tag:blogger.com,1999:blog-64432782268913374812024-03-01T11:41:56.075+01:00Movimento Socialista MondialeL’Umanità sta finalmente superando il capitalismo, ed è tempo per un grande cambiamento. E’ ora all’orizzonte un futuro senza scarsità basato sulla proprietà comune, sul libero accesso e sul controllo democratico. Una società globale senza frontiere dove le risorse della Terra sono diventate l’eredità comune di tutti e sono usate per soddisfare i bisogni della gente senza l’uso del denaro. Il più grande cambiamento nella società dalla scoperta dell’elettricità.Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.comBlogger96125tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-73024629617253033632023-11-19T09:51:00.003+01:002023-11-19T09:52:34.212+01:00Guerra Israele-Gaza: cosa diciamo<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span class="rynqvb"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;">Alcuni sostengono
che il conflitto arabo-israeliano in Medio Oriente non ci sarebbe stato se lo
Stato di Israele non fosse mai stato fondato.</span></span><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"> <span class="rynqvb">Ma è stato fondato ed esiste.</span>
<span class="rynqvb">E la stessa cosa si potrebbe dire delle innumerevoli
situazioni di conflitto che accadono oggi nel mondo.</span> <span class="rynqvb">Dobbiamo
quindi guardare alla situazione così com’è e, se lo facciamo, scopriremo che,
come in altri conflitti simili, la causa di fondo non è l’eterna inimicizia tra
due gruppi – ebrei e arabi – ma una lotta tra diverse fazioni capitaliste,
attraverso</span> <span class="rynqvb">rispettivi governi, sul territorio, sulle
risorse e sulle rotte strategiche. </span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span class="rynqvb">A Gaza, l’organizzazione Hamas,
anti-israeliana e antisemita, è salita al potere attraverso le elezioni del
2007 con l’obiettivo dichiarato di “innalzare la bandiera di Allah su ogni
centimetro della Palestina”.</span> <span class="rynqvb">Ma quella fu la fine di
ogni forma di democrazia là e, durante il loro mandato, hanno represso numerose
proteste contro di loro da parte dei rivali, espellendo i loro funzionari per
assicurarsi che non ci sarebbe mai stato un altro turno di elezioni e uccidendo
dozzine di loro stessi cittadini, molti dei quali civili.</span> <span class="rynqvb">Durante quel periodo la popolazione di Gaza è precipitata sempre
più nella povertà con, ad esempio, una disoccupazione del 40%, con i suoi
leader che si sono arricchiti assistiti da sostenitori di altri paesi arabi e
hanno potuto godere di accordi immobiliari multimilionari, ville di lusso e
carburante del mercato nero dall'Egitto. </span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span class="rynqvb">Anche la continua oppressione da parte
di Israele (un paese in cui tra l’altro il 22% delle sue famiglie vive in
povertà) è stata ovviamente un fattore significativo, poiché il suo governo ha
cercato di facilitare l’arricchimento della propria classe capitalista appropriandosi
della terra e mantenendo</span> <span class="rynqvb">uno stretto coperchio sulla
protesta.</span> <span class="rynqvb">Ora il coperchio è stato tolto, e nel modo
più orribile. </span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span class="rynqvb">Non ci sono scuse per gli orrori scatenati da Hamas su persone
innocenti né per la feroce ritorsione di Israele, che uccide migliaia di
persone, priva una terra di cibo, acqua ed elettricità e minaccia di radere al
suolo le sue infrastrutture, indipendentemente da ciò che potrebbe accadere
agli abitanti nel breve e nel lungo periodo.</span> <span class="rynqvb">Naturalmente
il governo israeliano sosterrà fino in fondo la propria classe capitalista –
dopotutto questo è il suo ruolo. </span></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span class="rynqvb">E fa tutto parte di un copione, che vediamo
messo in scena più e più volte mentre i governi che rappresentano le loro
classi capitaliste non riescono a risolvere i conflitti con la diplomazia e
ricorrono a una violenza orribile.</span> <span class="rynqvb">Possiamo solo
ripetere la stessa cosa che abbiamo sempre detto quando ciò è accaduto – che i
lavoratori (in questo caso quelli arabi e israeliani) non hanno interesse a
combattersi tra loro ma hanno un interesse comune a unirsi con altri
lavoratori per abolire il capitalismo e instaurare il socialismo.</span></span></span></p><p><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span style="font-family: arial;"><span class="rynqvb"></span></span></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span class="rynqvb"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; line-height: 107%;"><span style="font-family: arial;">(Traduzione da
<a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2023/no-1431-november-2023/israel-gaza-war-what-we-say/">Socialist Standard – novembre 2023</a>)</span><span style="font-family: Roboto; font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></span></span></p><p class="MsoNormal"><span style="background: whitesmoke; color: #3c4043; font-family: Roboto; font-size: 13.5pt; line-height: 107%;"><span class="rynqvb"><o:p></o:p></span></span></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-38147156534591302132023-04-25T11:28:00.002+02:002023-04-25T11:28:26.535+02:00Porre fine al sistema del profitto<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Il sistema capitalista della produzione per il profitto è ben oltre la data di scadenza. Ha sviluppato le forze produttive, anche se a costo di immense sofferenze umane, al punto che sono sufficienti per provvedere adeguatamente ai bisogni di ogni uomo, donna e bambino sulla Terra.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Il capitalismo è diventato un ostacolo all'ulteriore progresso umano. Si è sempre basato sullo sfruttamento economico e sulla privazione della maggioranza, ma, essendo sopravvissuto alla sua utilità, è diventato una minaccia per tutta l'umanità. Ha già causato due guerre mondiali e continuato a minacciarne un’altra, e ora minaccia disastrosi cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Il capitalismo ha sviluppato le forze di produzione estraendo un surplus da coloro che producono ricchezza. Sotto la pressione delle sue stesse incontrollabili forze di mercato, la maggior parte di questo surplus è stato accumulato come capitale investito in impianti e macchinari che hanno ampliato la capacità della società di produrre ricchezza.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">La produzione per l'accumulazione di capitale non è mai stata uno scopo razionale per la società umana. Lo sarebbe la produzione per soddisfare i bisogni materiali dei suoi membri – produzione direttamente per l'uso, non per la vendita e il profitto.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Se dovessimo progettare da zero una società umana che serva al meglio gli interessi di tutti i suoi membri, non sarebbe quella in cui le risorse naturali e gli strumenti per utilizzarle fossero di proprietà solo di alcuni membri della società mentre il resto lavorasse per loro. Non sarebbe una società in cui questa minoranza privilegiata fosse costretta da leggi economiche al di fuori del controllo di chiunque a utilizzare i propri profitti per accumulare sempre più capitale. Non sarebbe una società in cui la ricchezza fosse prodotta esclusivamente per la vendita e in cui la maggioranza fosse costretta a trovare un lavoro retribuito per ottenere denaro per acquistare ciò di cui necessitasse. Non sarebbe una società di classe e non sarebbe il capitalismo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Sarebbe una in cui i mezzi di vita - risorse naturali e industriali - non apparterrebbero a nessuno ma sarebbero disponibili per essere utilizzati dalla società per soddisfare i bisogni dei suoi membri. Una in cui le cose non sarebbero prodotte per la vendita e fornite solo a persone che potessero permettersi di pagarle, ma per essere condivise tra tutti i membri della società in base alle loro esigenze.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Naturalmente, la società non è progettata. Si evolve. Alcuni in passato immaginavano una tale società comunitaria, ma erano in anticipo sui tempi. Ora, però, le forze della produzione si sono sviluppate al punto che è diventata possibile una società di proprietà comune e di distribuzione secondo i bisogni.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Per porre fine al sistema del profitto, tutto ciò che manca ora è la volontà di farlo da parte della stragrande maggioranza che svolge tutto il lavoro utile nella società. Per realizzare il cambiamento, dovranno organizzarsi per ottenere il controllo politico, rimuovere la classe proprietaria, abolire la proprietà di classe e consentire che l’obiettivo dalla società umana diventi quello naturale di soddisfare i bisogni dei suoi membri nel miglior modo possibile.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">(Traduzione da <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2023/no-1424-april-2023/editorial-ending-the-profit-system/">Socialist Standard - aprile 2023</a>)</span></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-31047498335786694082023-04-08T12:47:00.002+02:002023-04-08T19:02:54.353+02:00Possiamo adattarci al cambiamento climatico?<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXGA40haW5_gzArXmYHL7gfYPY47FFjkdW71aLleWxBiekkK0Bn7WWY87Yq4GGMI53ld2x5pEwRwYKncgzcwkng4axrNb06eQDnlsL4FOpr0nHtqIrUkvK12I2JwJcSQJsx6au3Vjrf1O4lKqgPoMUY62dogYz6jTQhXsOHljo-IZCvVVoWs6ZFlNl/s550/cop-events04.png" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="309" data-original-width="550" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXGA40haW5_gzArXmYHL7gfYPY47FFjkdW71aLleWxBiekkK0Bn7WWY87Yq4GGMI53ld2x5pEwRwYKncgzcwkng4axrNb06eQDnlsL4FOpr0nHtqIrUkvK12I2JwJcSQJsx6au3Vjrf1O4lKqgPoMUY62dogYz6jTQhXsOHljo-IZCvVVoWs6ZFlNl/s320/cop-events04.png" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: arial;"><br /><div style="text-align: justify;">Un recente libro molto pubblicizzato, <i>The Journey of Humanity</i> di Oded Galor (The Bodley Head, 2022), che cerca di spiegare lo sviluppo umano nel corso della storia e il suo ritmo diverso in luoghi diversi in gran parte in termini delle condizioni ambientali prevalenti nei primi tempi, vede più motivi per essere positivi che negativi riguardo gli effetti del capitalismo moderno. Esprime la speranza che il riscaldamento globale e la crisi climatica da esso prodotto saranno un fenomeno "di breve durata" risolvibile tramite quelle che il libro chiama "tecnologie rivoluzionarie". Una simile speranza è anche oggetto di un articolo intitolato “Can Technology Help Us to Adapt to Climate Change?”, apparso di recente sul sito web delle Nazioni Unite “We The People”.</div></span><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">L'articolo fornisce innanzitutto esempi di come le società del passato siano riuscite a utilizzare la tecnologia esistente per adattarsi a condizioni climatiche estreme, ad esempio le antiche torri del vento persiane che sfruttavano la brezza e la dirigevano nelle case per mantenere fresche le abitazioni, o i primi agricoltori che convogliavano e immagazzinavano l'acqua per far fronte periodi secchi. Ma pur esprimendo ottimismo sull'ingegnosità degli esseri umani e sulla nostra capacità di adattamento, riconosce poi che gli eventi meteorologici estremi che si verificano a causa dell'aumento delle emissioni e che probabilmente continueranno sono destinati a essere molto più devastanti di qualsiasi cosa sia accaduta prima. Sottolinea il fatto che proprio l'anno scorso "milioni di persone in tutto il mondo sono state colpite da inondazioni mortali che le hanno costrette a lasciare le loro case". Esprime la speranza che l'innovazione sotto forma di barriere contro le inondazioni, sistemi di allerta precoce e altre "tecnologie di adattamento climatico" possa contribuire a mitigare parte di ciò, riconoscendo al tempo stesso che è meno probabile che tale innovazione sia accessibile ai paesi che ne hanno più bisogno. Raccomanda il <i>Green Technology Book</i>, pubblicato digitalmente nel 2022 dall'Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, che mostra oltre 200 tecnologie di adattamento per l'agricoltura e la silvicoltura, le aree costiere e le città e che, afferma, "apre la strada a maggiori sforzi per trasformare la politica sul clima in azione".</span></p><p style="text-align: justify;"><span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">L'articolo entra quindi nei dettagli considerevoli su come alcune di queste tecnologie vengono sviluppate, esempi sono l'acqua di mare trasformata in acqua potabile mediante l'uso dell'energia solare e quindi senza la grande quantità di energia che questo processo normalmente richiederebbe, turbine a vento a prova di tifone come mezzo per combattere condizioni meteorologiche estreme e riso resistente al clima che prospera in terreni salati. Ma poi, in una sezione intitolata "Il denaro fa funzionare l'adattamento", si afferma: "Ecco il problema... Come sempre, il finanziamento rimane una sfida... il variegato insieme di soluzioni necessarie non costa poco". È stato stimato che saranno necessari fino a 340 miliardi di dollari per coprire annualmente i costi globali di adattamento al clima entro il 2030." Qui si sottolinea che, sebbene la tecnologia per questo adattamento sia disponibile a livello globale, i paesi "poveri" non potranno permettersi di svilupparla o importarla da altri paesi, né potranno aspettarsi che altri paesi la condividano con loro.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Quindi, sebbene l'intestazione della sezione dica "Il denaro fa funzionare l'adattamento", in effetti sta dicendo esattamente il contrario, cioè che l'adattamento climatico non accadrà per i milioni forse miliardi di persone nei paesi che non possono pagare per quelle tecnologie. La ragione di ciò è che il mondo in cui viviamo è un mondo in cui tutti i beni e servizi, comprese le tecnologie, hanno un prezzo che permette di realizzare profitti per coloro che li hanno sviluppati, prodotti e commercializzati. In altre parole, la grave minaccia potenziale per le persone in alcuni dei paesi più esposti agli effetti del cambiamento climatico non sarà eliminata o mitigata, poiché non sarà redditizio farlo. Quindi, sebbene l'articolo non lo dica esplicitamente, ciò che esprime, per coloro che leggono tra le righe, è un chiaro esempio di come il sistema in cui viviamo, il capitalismo, sia spinto a condurre non solo guerre militari ma ciò che è stato chiamato "una guerra per il profitto contro la vita sulla terra”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Quale soluzione propone allora "We The People" per far fronte alle "sfide della perdita di biodiversità, del degrado del suolo e del cambiamento climatico" su base mondiale? Propongono che, a parte le nuove tecnologie, "dobbiamo apportare cambiamenti fondamentali al modo in cui viviamo, lavoriamo, produciamo e consumiamo" per "affrontare le cause alla radice della vulnerabilità climatica". Sebbene sia impossibile non essere d'accordo con questo in generale, la ricetta specifica che sostiene ("una forte attenzione alla riduzione delle disuguaglianze e alla promozione della giustizia sociale ed economica" e "l'impulso politico e il finanziamento necessari per implementare e ampliare queste soluzioni - al posto giusto e nel modo giusto') non è qualcosa che il capitalismo può offrire. Anche se può essere vero, come dice l'articolo, che "molte delle soluzioni che possono aiutarci ad adattarci ai cambiamenti climatici sono già disponibili", nel quadro di un sistema che mette il profitto prima di ogni altra priorità, l'"azione per il clima" è improbabile che sarà rapida o efficace anche se le soluzioni “sono già disponibili”. Tali soluzioni possono infatti vedere realizzato il loro pieno potenziale solo in un sistema che anteponga i bisogni al profitto, in un sistema di produzione per l'uso basato sulla cooperazione volontaria mondiale e sul libero accesso a tutti i beni e servizi che chiamiamo socialismo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">(<a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2023/no-1424-april-2023/can-we-adapt-to-climate-change/">Traduzione da Socialist Standard - aprile 2023</a>)</span></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-85782518856239885632022-10-16T18:12:00.003+02:002023-04-08T12:49:04.962+02:00Sulla presunta spirale salari-prezzi<p style="text-align: justify;"><b><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Il fondamento dell'argomento spirale</span></span></b></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP171uF386u86BNd-Gg0nSYcn05Lb4INoMjS9cV4pRjneVD83thSna3mnbmPtIbo3WcyhO4hf_pps3CfODbpKW_MmFccxHsWZNzu-GLRg891qcXTniO-Ss4Mk5rDWwkJvohuqzazMTEvwIrJ29YpcwrL1tibiBJc30zQEZhj_bEagC0XvzSrJPy9os/s350/Spirale.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="197" data-original-width="350" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP171uF386u86BNd-Gg0nSYcn05Lb4INoMjS9cV4pRjneVD83thSna3mnbmPtIbo3WcyhO4hf_pps3CfODbpKW_MmFccxHsWZNzu-GLRg891qcXTniO-Ss4Mk5rDWwkJvohuqzazMTEvwIrJ29YpcwrL1tibiBJc30zQEZhj_bEagC0XvzSrJPy9os/s320/Spirale.jpg" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: arial;"><br /><div style="text-align: justify;">In quasi tutte le interviste sui media degli ultimi mesi, il
segretario generale del sindacato RMT Mick Lynch ha dovuto affrontare la domanda
sulla temuta "spirale salari-prezzi". L'argomento, solitamente
presentato come un fatto evidente, è che l’aumento dei salari dei lavoratori
per tenere il passo con l'aumento dei prezzi non farà che aumentare i prezzi,
prolungando l'agonia per i consumatori.</div></span><p></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Lynch ha contrastato efficacemente l'argomento sottolineando che
l'aumento dei prezzi si è verificato nonostante la stagnazione dei salari reali
ed è avvenuto molto tempo prima delle sue azioni sindacali e di quelle di altri
sindacati. Espone così l'assurdità di incolpare i lavoratori per l'aumento dei
prezzi. I colpevoli che identifica sono società oscenamente redditizie che
usano i paradisi fiscali per resistere alla ridistribuzione del reddito. Qui la
sua argomentazione diventa un po' confusa, poiché non spiega esattamente come
gli alti profitti facciano salire i prezzi. Ma Lynch sottolinea un punto
importante sottolineando che un aumento della paga per i lavoratori potrebbe
essere sottratto a quei profitti, piuttosto che risultare nel tentativo dei
datori di lavoro di aumentare i prezzi. In questo modo indica il punto centrale
che questo articolo cercherà di spiegare: salario e profitto sono in una
relazione antagonista, dove i guadagni da una parte vanno a scapito dell'altra.
Pertanto, un aumento dei salari – o (contrariamente al punto di vista “lynchiano”)
del profitto – non si traduce necessariamente in un aumento dei prezzi delle merci.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">I commentatori che belano di una spirale salari-prezzi, al
contrario, danno per scontato che l'onere per le aziende di pagare salari più
alti ai lavoratori dovrebbe essere compensato da prezzi più alti. L'argomento
sembra non solo plausibile ma di buon senso, e le contro argomentazioni avanzate
da Lynch e altri, nonostante sollevino punti importanti e siano retoricamente
efficaci, non riescono a esporre le sue fondamenta traballanti.<o:p></o:p></span></span></p><p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span></span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Alla base dell’argomento spirale c'è l'assunzione che i prezzi
delle merci siano la somma di salario, profitto e mezzi di produzione, così che
se una qualsiasi di queste parti aumenta di prezzo, il prezzo complessivo delle
merci deve aumentare. Ancora una volta, questo sembra abbastanza plausibile. Ma
più di due secoli fa David Ricardo ha confutato questo tipo di teoria del
valore dimostrando come salari e profitto non siano le parti componenti del
prezzo delle merci, ma le parti distribuite del valore delle merci già esistente.
Questa visione si basa sull'idea che il valore di una merce è fondamentalmente
determinato dalla quantità di tempo di lavoro necessario per produrla. Qui
abbiamo una teoria del valore <i>basata sul lavoro</i>, come sperimentata da
Smith, purificata da Ricardo e perfezionata da Marx.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">L'unico modo per cogliere l'idea contro-intuitiva che i salari
siano le parti distribuite (piuttosto che componenti) del valore è esaminare le
forme sorprendentemente ingannevoli del salario e del profitto, che di solito
sono date per scontate.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><b><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Le forme ingannevoli del salario e del profitto<o:p></o:p></span></span></b></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Il salario a prima vista sembra essere un compenso per il lavoro
svolto. Dopotutto, i salari vengono pagati a ore, settimane o mesi, ecc. Ma se
i salari sono il pagamento del lavoro, come possiamo spiegare le differenze nei
salari pagati per tipi identici di lavoro tra luoghi diversi? I lavoratori nelle
fabbriche di auto in Vietnam, ad esempio, ricevono uno stipendio molto più
basso rispetto ai loro omologhi in Germania che svolgono compiti simili se non
identici. Se il salario orario è determinato dalla natura del lavoro stesso,
perché i salari variano a tal punto?<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">In realtà, tutti coloro che leggono questo articolo sanno perché
i salari in un paese in via di sviluppo come il Vietnam sono più bassi che in
un paese sviluppato come la Germania. Tali differenze corrispondono alla
differenza nel costo della vita, che riflette i prezzi di cibo, vestiti,
alloggio, trasporti, ecc. E differenze simili esistono all'interno di un
determinato paese tra aree urbane e rurali, o anche tra diverse città. Questi
fatti ovvi suggeriscono che ciò che determina fondamentalmente il livello di un
salario per un dato lavoro non è il lavoro stesso, ma il valore delle merci che
un lavoratore deve consumare per continuare a vivere e lavorare. Un salario
deve essere sufficiente per "riprodurre" quella capacità di lavorare.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Marx usa il termine "forza lavoro" per riferirsi a questa
capacità che viene acquistata e venduta come una sorta di merce sul mercato del
lavoro. Come altre merci, il valore della forza lavoro si riduce al tempo di
lavoro necessario per produrla, ma questo è determinato indirettamente
attraverso il tempo di lavoro socialmente necessario per produrre le merci e i
servizi che un lavoratore consuma per continuare a lavorare (e mantenere una
famiglia). Il salario è il pagamento di questa merce forza-lavoro. Pertanto,
qualsiasi aumento dei prezzi delle merci e dei servizi consumati dai lavoratori
dovrà riflettersi in un salario più elevato, se si vuole evitare un
deterioramento della qualità della loro vita e della loro capacità di lavoro.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Esistono ovviamente differenze significative tra i salari pagati
ai lavoratori che svolgono diversi tipi di lavoro. Un pilota di linea o un
chirurgo, ad esempio, riceve molto di più di un commesso o di un cameriere. Ma
queste differenze possono essere spiegate anche dal punto di vista della forza
lavoro, dal momento che nel suo valore giornaliero vengono mediati i costi di
istruzione e formazione necessari per acquisire determinate abilità e
competenze legate al lavoro. In altre parole, sebbene tali differenze salariali
appaiano determinate dal lavoro stesso, esse sono in realtà un riflesso delle
differenze nel valore della forza lavoro.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Comprendere che "forza lavoro" e "lavoro"
sono due concetti separati è la chiave per comprendere la fonte del profitto.
Un capitalista può realizzare un profitto quando il tempo di lavoro che i
lavoratori impiegano nel processo di produzione per creare nuove merci supera
il tempo di lavoro necessario per produrre le merci (ecc.) che consumano. Ad
esempio, se le merci consumate da un lavoratore richiedono quattro ore di
lavoro per produrle, ma il lavoratore lavora per otto ore nel processo di
produzione, il capitalista che ha assunto quel lavoratore riceve quattro ore di
lavoro gratuitamente. Il fatto che il profitto si riduca al "lavoro non
pagato" sembra controintuitivo perché il salario, calcolato su base oraria,
nasconde quello sfruttamento, facendo sembrare che equivalga a otto ore di
lavoro.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Se il profitto deriva dal tempo di lavoro speso nel processo
produttivo eccedente il lavoro incorporato nelle merci consumate dai
lavoratori, ciò significa che qualsiasi aumento del salario per l'acquisto di
forza lavoro ridurrà la quantità di lavoro non pagato intascato dal capitalista
(supponendo che la produttività del lavoro e le altre condizioni rimangano
invariate). Ad esempio, se i salari fossero aumentati al punto da consentire il
consumo di merci che avevano richiesto cinque ore di lavoro per produrle invece
di quattro, il capitalista riceverebbe solo tre ore di lavoro non pagato.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Potrebbe sembrare che il capitalista in questo caso potrebbe
semplicemente aumentare il prezzo delle nuove merci prodotte in modo da
continuare a sottrarre quattro ore – e questo è in effetti il presupposto
dell'argomento spirale. Ma quelle merci continuerebbero a richiedere la stessa
quantità di tempo di lavoro per essere prodotte e quindi avrebbero lo stesso
valore intrinseco di prima. Qualsiasi capitalista che decidesse di aumentare i prezzi
di una merce considerevolmente al di sopra del suo valore rischierebbe di perdere
nella competizione con i rivali, in particolare con quelli che avevano
aumentato l'intensità del lavoro o tenuto sotto controllo i salari. I
capitalisti non alzerebbero la voce per la spirale prezzi-salari, se gli
aumenti salariali potessero essere così facilmente compensati da prezzi più
alti.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><b><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Merci vendute al loro "prezzo di produzione"<o:p></o:p></span></span></b></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">La teoria del valore-lavoro fornisce la confutazione più
fondamentale della spirale salario-prezzo, ma quella teoria è a un alto livello
di astrazione e non spiega direttamente i prezzi effettivi delle merci. Cioè,
anche se il tempo di lavoro necessario per produrre una merce determina
sostanzialmente il suo valore, le merci non vengono scambiate a prezzi
esattamente in linea con il loro valore. A causa della media del tasso di
profitto in tutti i settori dell'economia, le merci tendono a vendere al loro
costo di produzione (c + v) + profitto medio (p), quello che Marx chiamava il loro
"prezzo di produzione".<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Quindi è necessario considerare quale effetto avrebbe, se ci
fosse, un aumento dei salari sui prezzi effettivi.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Questo punto può essere meglio compreso considerando un esempio
numerico, come il seguente in cui il tasso di profitto è 33,33% (c = capitale
costante, cioè macchinari, strumenti, materie prime ecc., v = capitale
variabile, cioè salari, p = profitto).<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white;"></p><div style="text-align: justify;"><span style="color: #e51ba1; font-family: arial;">Settore A: 9.000c + 3.000v + 4.000p = 16.000</span></div><span style="font-family: arial;"><div style="text-align: justify;"><span style="color: #e51ba1;">Settore B:
3.000c + 3.000v + 2.000p = 8.000</span></div></span><p></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">L'intensità del lavoro è diversa in ciascun settore, riflettendo
differenze nelle condizioni di produzione. I due settori rappresentano
differenti condizioni di produzione, ciascuno con una diversa intensità di
lavoro. Il settore A è meno ad alta intensità di manodopera, poiché tre volte
più capitale viene investito in capitale costante (c) per acquistare i mezzi di
produzione rispetto a quanto investito in capitale variabile (v) per acquistare
forza lavoro. Per il Settore B con un’intensità di lavoro maggiore, invece, il
capitale investito è equamente suddiviso tra capitale costante e capitale
variabile.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">La “legge del valore” è ancora in funzione – anche se ora in
modo indiretto – poiché il saggio medio del profitto si basa sulla quantità di
plusvalore esistente, e il valore totale è uguale al prezzo di produzione
totale, così come il plusvalore totale è uguale al profitto totale. (La
connessione tra valore e prezzo di produzione, chiarita da Marx, è qualcosa che
sfugge a Smith e Ricardo: il primo è spesso tornato in una teoria della
composizione del valore, mentre il secondo ha cercato di applicare direttamente
la sua teoria del valore del lavoro per spiegare i prezzi.)<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><b><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">L’effetto dell'aumento salariale sui prezzi di produzione<o:p></o:p></span></span></b></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Sulla base del concetto di prezzo di produzione, è ora possibile
considerare più da vicino quale effetto avrebbe sui prezzi un aumento salariale
per contrastare l'inflazione. Un aumento dei salari del 20%, ad esempio,
ridurrebbe il saggio di profitto. Il capitale variabile aumenterebbe in ciascun
settore da 3.000 a 3.600 (per un totale di 7.200) mentre i profitti totali si
ridurrebbero proporzionalmente da 6.000 a 4.800.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Su questa base, il saggio di profitto medio scenderebbe dal
33,33% al 25%, come risultato della divisione del plusvalore totale per la
somma del capitale variabile e costante totale:<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span lang="EN-US" style="color: #e51ba1;"><span style="font-family: arial;">4.800p ÷ (12.000c + 7.200v) × 100 = 25%.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Al nuovo saggio di profitto medio del 25%, l'utile effettivo per
il settore A scenderebbe a 3.150 e per il B a 1.650. Questa sarebbe la base per
i nuovi prezzi di produzione:<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white;"></p><div style="text-align: justify;"><span style="color: #e51ba1; font-family: arial;">Settore A: 9.000c + 3.600v + 3.150p = 15.750</span></div><span style="font-family: arial;"><div style="text-align: justify;"><span style="color: #e51ba1;">Settore B:
3.000c + 3.600v + 1.650p = 8.250</span></div></span><p></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">In conseguenza dell'aumento salariale, il prezzo di produzione
del Settore A diminuisce da 16.000 a 15.750, mentre il prezzo di produzione del
Settore B aumenta da 8.000 a 8.250. (Tuttavia, il prezzo alla produzione
combinato di entrambi i settori rimane pari al valore, a 24.000.)<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Ricordiamo che il settore B era il settore a più alta intensità
di lavoro, dove il prezzo di produzione era inferiore al valore, mentre era il
caso opposto nel settore A. Questo esempio mostra quindi che nei settori
produttivi con una percentuale relativamente alta di capitale variabile, come
il settore B, un aumento salariale può aumentare i prezzi, ma tenderebbe a
diminuire i prezzi nei settori a minore intensità di manodopera.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Il fatto che i prezzi salgano in alcuni settori e scendano in
altri dovrebbe già mettere in discussione lo scenario da incubo di una spirale
salari-prezzi. Ma per dare all'argomento della spirale il massimo beneficio del
dubbio, si potrebbe supporre che la maggior parte dei beni consumati dai
lavoratori sia prodotta nel settore B, dove il prezzo alla produzione aumenta
dopo l'aumento del salario.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">I prezzi più elevati dei beni nel settore B contrasterebbero in
qualche modo l'aumento dei salari (per contrastare l'inflazione). Ma
l'improbabilità che ciò porti a una spirale d'inflazione dovrebbe essere chiara,
se consideriamo la differenza di scala tra l'aumento salariale del 20% e
l'aumento del prezzo di produzione nel settore B. Nel nostro esempio, i salari
(capitale variabile) sono passati da 6.000 a 7.200 (+20%), mentre il prezzo
alla produzione è aumentato solo di circa il 3%, da 8.000 a 8.250. Inoltre,
considerando che almeno alcuni beni per i lavoratori sarebbero prodotti nel
Settore A, dove il prezzo alla produzione è diminuito, appare ancora meno
probabile la possibilità di una mortale spirale inflazionistica.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">Tuttavia, un aumento dei salari aumenterebbe ulteriormente la
domanda di beni consumati dai lavoratori, quindi è probabile che il prezzo di
mercato di tali beni salga al di sopra del prezzo di produzione. Un tale
aumento dei prezzi, tuttavia, sarebbe semplicemente il risultato di uno
squilibrio temporaneo tra domanda e offerta, che durerebbe solo finché domanda
e offerta non fossero in equilibrio.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">In breve, la spirale prezzo-salario (presentata come un fatto
evidente) è solo un argomento egoistico utilizzato dalla classe capitalista per
difendere i propri disonesti profitti.<o:p></o:p></span></span></p>
<p style="background: white; text-align: justify;"><span style="color: #212529;"><span style="font-family: arial;">(Traduzione da <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2022/no-1417-september-2022/but-what-about-the-wage-price-spiral/">Socialist
Standard - settembre 2022</a>)</span><span face="Segoe UI, sans-serif"><o:p></o:p></span></span></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-6997046971080767782022-05-08T09:50:00.004+02:002022-05-08T10:20:13.352+02:00Guerra in Ucraina<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">La Federazione Russa ha lanciato un attacco su vasta scala contro l'Ucraina.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Il <span style="color: #cc0000;">Movimento Socialista Mondiale</span> non si preoccupa dei cosiddetti diritti e torti di questa guerra, se le sottigliezze del diritto internazionale sono state violate o se la sovranità dell'Ucraina è stata ignorata. Come lavoratori, siamo dolorosamente consapevoli che saranno i compagni lavoratori a pagare il prezzo del sangue dei giochi geopolitici delle Grandi Potenze.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">L'Ucraina non è la "democrazia" che i politici e i media occidentali amano dare l'impressione che sia. In realtà, la sovrastruttura politica ed economica dell'Ucraina non è molto diversa da quella della Russia. Quindi l'argomento che è "democratica" mentre la Russia non lo è e che "dobbiamo sostenerla per difendere i "valori democratici" è falso.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Il guaio per i nostri compagni lavoratori che vivono nell'Europa orientale è che la storia non gli ha dato alternative, non c'è altra scelta che essere dominati dall'UE-USA o dalla Russia. Per i governi di entrambe le parti, le persone in Ucraina sono pedine da utilizzare per promuovere i propri interessi.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><span style="color: #cc0000;"><b>Non una goccia del sangue dei lavoratori dovrebbe essere versata</b></span> nel sostenere una o l’altra parte di questo conflitto capitalista di cui un blocco può rivendicare un territorio come parte della sua sfera di influenza. Che si tratti della nazione ucraina o delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, non vale il sacrificio delle vite dei nostri compagni lavoratori.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">Il MSM condanna l'atteggiamento di tutti coloro che sono disposti a vedere paesi e città disseminati di cadaveri di uomini, donne e bambini. Per cosa? Combattere a favore o contro quello che sarebbe fondamentalmente un semplice cambio di governo, con ciascuna parte che sacrificherebbe i nostri compagni lavoratori ucraini e i nostri compagni lavoratori russi del Donbass per affermazioni spurie come agire per la "democrazia" e la "libertà".</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: medium;">(Traduzione da <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2022/no-1412-april-2022/war-in-ukraine/">The Socialist Standard - aprile 2022</a>)</span></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-74905270149867903152021-11-28T10:14:00.001+01:002021-11-28T10:14:18.782+01:00Cosa succede quando c'è una maggioranza socialista?<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Non sarà il Partito Socialista come organizzazione separata dalla classe lavoratrice ad avere una maggioranza parlamentare, ma la classe lavoratrice di mentalità socialista. Saranno i lavoratori che avranno conquistato il controllo politico e i parlamentari socialisti saranno i loro delegati. Ciò presuppone una maggioranza socialista al di fuori del parlamento, che si sarà organizzata non solo in un partito politico socialista, ma anche in luoghi di lavoro pronti a mantenere in corso una produzione utile. Inoltre, ci sarebbero movimenti simili con il controllo del potere politico o che sarebbero vicini ad averlo in altri paesi capitalisti avanzati. <br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Quindi cosa farebbe la maggioranza dei delegati socialisti? La ragione principale per entrare in parlamento, come organo centrale eletto per la legislazione, è quella di essere in grado di controllare la macchina del governo; non allo scopo di formare un governo come sotto il capitalismo, ma, come minimo, per impedire che i poteri dello stato vengano usati contro il movimento per il socialismo. Inoltre, poiché lo Stato non è solo il potere pubblico della coercizione, ma anche il centro dell'amministrazione sociale, si userebbe questo aspetto per coordinare la rivoluzione sociale dal capitalismo al socialismo e per mantenere in vita i servizi amministrativi essenziali.</span><span></span></p><a name='more'></a><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Non c'è bisogno di creare da zero un organo centrale di coordinamento – come hanno proposto i sindacalisti e altri, sia basato su sindacati industriali che su qualche consiglio centrale dei lavoratori – quando ne esiste già uno che può essere adattato e utilizzato. A nostro avviso, ottenere il controllo della struttura politica esistente è la via più diretta verso il socialismo. Cercare di distruggerlo sarebbe un suicidio; cercare di ignorarlo rischia violenza e inutili interruzioni. Perché cercare di istituire dipartimenti centrali alternativi per affrontare questioni come l'agricoltura, l'istruzione, l'energia, la sanità e i trasporti? Lo stesso a livello locale: perché i consigli eletti esistenti non possono continuare ad amministrare i servizi locali?<br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Quindi una maggioranza socialista in parlamento dovrebbe decidere di adattare l'attuale struttura amministrativa centrale per renderla pienamente democratica. La misura principale, tuttavia, sarebbe quella di ritirare le sanzioni e il sostegno dello stato alla proprietà di classe capitalista dei mezzi di produzione. Poiché la maggior parte delle risorse produttive sono attribuite a società a responsabilità limitata, ciò sarà relativamente semplice. Le aziende sono istituzioni giuridiche create dallo stato che conferisce loro una personalità giuridica artificiale che può possedere proprietà. Basterebbe dichiarare che tutte le società sono sciolte e che d'ora in poi i loro beni fisici sono proprietà comune di tutte le persone. La classe capitalista sarà stata espropriata e tutti i suoi titoli legali e tutte le sue azioni saranno diventati pezzi di carta inutili e inapplicabili. Come misura immediata, coloro che lavorano in luoghi che producono qualcosa di utile o forniscono un servizio utile continuerebbero a gestirli, producendo per uso diretto e non più per il profitto. <br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;">Supponendo che non ci sia alcun tentativo da parte di qualche minoranza di cercare di contrastare con la forza delle armi la volontà democraticamente espressa del popolo per il socialismo, l'uso dello stato da parte della classe lavoratrice sarebbe allora finito. Lo Stato cesserebbe infatti di esistere in quanto tale e il suo lato amministrativo diventerebbe un centro amministrativo disarmato e democratico. Il socialismo sarà stato istituito.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2021/no-1407-november-2021/letter-12/">(Traduzione da Socialist Standard - novembre 2021)</a></span> <br /></p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-4045652136125548322021-09-13T14:24:00.004+02:002021-09-14T11:04:30.621+02:00Gli ambientalisti sanno cos’è il capitalismo?<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">La COP26 di novembre a Glasgow [nel Regno Unito]
si a<span class="jlqj4b">vvicina e molte organizzazioni si stanno preparando a
partecipare per far conoscere le loro proposte e le loro argomentazioni, e noi
del Movimento Socialista Mondiale faremo lo stesso per presentare la nostra
causa per il socialismo come soluzione al riscaldamento globale e a tutte le
sue crisi che l'accompagnano.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Il capitalismo è la causa
principale della maggior parte dei problemi ambientali che affrontiamo ed è
anche il più grande ostacolo all'attuazione delle soluzioni.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Eppure pochi riconoscono la colpevolezza
del capitalismo e, se lo fanno, i loro rimedi comportano poco più che
l'approvazione di leggi per regolare il sistema capitalista, come il proposto
Green New Deal, e l'incoraggiamento di piccoli cambiamenti nello stile di vita.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Molti gruppi di attivisti come
Extinction Rebellion e Sunrise Movement considerano la nostra proposta di un
mondo senza stati, confini, mercati, prezzi e denaro, come qualcosa per gli
scrittori di fantascienza.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Tuttavia, gli attivisti
ambientalisti più radicali ammetteranno che è necessario un cambiamento
rivoluzionario su scala mondiale, una rivoluzione per rovesciare il
capitalismo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Durante le
marce ci sono sicuramente abbastanza cartelli e striscioni con lo slogan
"Cambiamento del sistema, non cambiamento climatico".</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b"><span></span></span></span></p><a name='more'></a><p></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Credendosi progressisti
radicali, parlano di cooperative gestite in modo decentralizzato e sostengono
che un tale sistema può risolvere l'inquinamento e il riscaldamento globale.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Tuttavia, a un'ulteriore indagine,
diventa più chiaro che questa società sostenibile non è socialismo, poiché si
presume la continuità del denaro e del mercato, insieme alla proprietà privata.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">L'obiettivo è un'economia localizzata,
basata sulla piccola impresa, con una dipendenza molto ridotta dal mercato
mondiale, ma ancora legata a una forma di capitalismo e fedele alla convinzione
che il capitalismo può essere riformato in modo che sia compatibile con il
raggiungimento di un</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">società
ecosostenibile.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Girare intorno a termini come
anticapitalismo senza comprenderne appieno il significato non ci porta da
nessuna parte.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Questi
manifestanti definiscono il capitalismo in modo così vago che se riuscissero a
portare a termine con successo l'abolizione della loro forma di
"capitalismo", i fondamenti effettivi del sistema capitalista
rimarrebbero intatti e continuerebbero a esercitare i loro effetti dannosi
sulla nostra società e sulla nostra ecologia.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il capitalismo è il ciclo nefasto di crescita infinita e di
mercati in espansione per l'incessante accumulazione di capitale per fornire
profitti.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Come sistema deve
continuamente crescere con periodiche crisi.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Di conseguenza, i bisogni umani e i bisogni del nostro ambiente
naturale passano in secondo piano rispetto a questo imperativo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Gli investitori capitalisti vogliono
ottenere più soldi di quelli con cui hanno iniziato.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il ciclo è quindi denaro—beni in vendita—più soldi—più prodotti da
vendere—ancora più soldi.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Il capitalismo non scomparirà con
poche riforme e un po' di greenwashing<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>[</span><span class="hgkelc">ecologismo o ambientalismo di facciata]</span><span class="jlqj4b">.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Coloro che la pensano così dovrebbero
essere consapevoli che si sta proponendo di imporre al capitalismo qualcosa che
è incompatibile e contrario al suo ethos fondamentale.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Quindi non molti nel movimento
ambientalista in realtà rifiutano apertamente il capitalismo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">La loro filosofia di base è
"piccolo è bello". </span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Tuttavia, come dice il nome,
il riscaldamento globale è un fenomeno globale e non un effetto localizzato.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il capitalismo in tutto il mondo sta
depredando l'ambiente, cambiando i modelli meteorologici, degradando la terra e
l'acqua, estinguendo le specie animali.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il capitalismo sta polarizzando il pianeta, rendendo pochi
favolosamente ricchi mentre impoverisce molti, sequestrando la terra migliore,
sfrattando i piccoli agricoltori e devastando le comunità rurali, lasciandosi
dietro la miseria.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">I
capitalisti sacrificano l'equilibrio della natura per il saccheggio.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">In sostanza, se il capitalismo
è la ragione per cui abbiamo la crisi del cambiamento climatico, allora
qualsiasi tentativo di fermarla deve essere per definizione anticapitalista e,
quindi, la ricetta socialista è quella di eliminare piuttosto che riformare il
capitalismo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Una comunità
cooperativa dei produttori associati, che interagisce razionalmente con la
natura per il reciproco vantaggio, è la precondizione per un pianeta
sostenibile.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Come fece notare Marx: </span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">"un'intera società, una
nazione, o anche tutte le società esistenti simultaneamente prese insieme, non
sono i proprietari del globo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Sono solo i suoi possessori, i suoi usufruttuari, [beneficiari] e,
come <i>boni patres familias</i> [buoni padri di famiglia], devono tramandarlo alle
generazioni successive in una condizione migliore”.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">La minaccia ambientale alla
sopravvivenza umana deve arrivare a occupare un posto centrale tra le
preoccupazioni che ispirano le persone a lavorare per il socialismo.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il nostro benessere collettivo dipende
dall'instaurazione del socialismo mondiale.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Più a lungo va avanti il capitalismo, più le nostre prospettive
peggiorano.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Prima stabiliamo
il socialismo, meglio è, e meglio tardi che mai.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">L'unica protezione sicura
contro il cambiamento climatico è la sostituzione di una società basata
sull'accumulazione per il profitto con una basata sulla produzione per il
bisogno.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Ciò non avverrà con
inutili appelli ai governi e alle grandi aziende affinché si ravvedano.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Gli attivisti ambientali devono fare una
scelta tra la catastrofe globale e il cambiamento rivoluzionario.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Quando vediamo le priorità del
capitalismo, possiamo capire perché i politici non sono riusciti a ridurre
seriamente le emissioni.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Il
capitalismo è un ostacolo alla riduzione delle emissioni, non solo per la
storica dipendenza del sistema dai combustibili fossili, ma anche per la sua
dipendenza dalle forze di mercato.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Il capitalismo è un sistema
economico incompatibile con l'aspirazione umana alla sostenibilità.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">È un'economia globale che richiede
espansione costante e sfruttamento crescente.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Dovremo operare in maniera fondamentalmente diversa da come
facciamo ora.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Concentrando
le sue risorse umane sui bisogni reali delle persone, il socialismo sarebbe in
grado di fermare un gran numero di lavori dispendiosi e distruttivi che sono
necessari solo al sistema del profitto.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Con la fine della competizione commerciale, il socialismo non
sarebbe costantemente spinto a utilizzare i metodi di produzione più economici
e sporchi, ma potrebbe invece applicare metodi ecocompatibili.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Una gestione cooperativa mondiale del
bene comune metterebbe fine al potere e all'autorità incontrollati esercitati
sia dai governi che dai poteri corporativi delle grandi aziende.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Le nuove tecnologie, i
trasporti e le comunicazioni faciliteranno un mondo in cui l'intera popolazione
possa partecipare alla creazione di una società di condivisione.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Forse, se arriviamo a capire come
affrontare il cambiamento climatico e le conseguenze della pandemia, sarà il
punto di svolta irreversibile per la rivoluzione sociale.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b">Il cambiamento climatico
potrebbe avere un potenziale radicalizzante, poiché molte persone hanno
iniziato a mettere in discussione il sistema economico prevalente e il suo
effetto dannoso sull'ambiente.</span><span class="viiyi"> </span><span class="jlqj4b">Tuttavia, i gruppi ambientalisti tradizionali non presentano una
critica coerente delle conseguenze ecologiche del capitalismo né si sforzano di
offrire un'alternativa.</span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b"><span style="line-height: 107%;">Ciò che è
necessario è un cambiamento trasformazionale, una mobilitazione di massa dei
popoli per una società completamente nuova basata su un sistema economico
fondamentalmente diverso. Coloro che intendono difendere l'ambiente devono
organizzarsi in tutto il mondo per il socialismo, che è l'antidoto alla
disperazione e allo sconforto che prevale nell'atteggiamento di molte persone
nei confronti della minaccia del riscaldamento globale.</span></span></span></p><span style="font-family: arial; font-size: small;">
</span><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span class="jlqj4b"><span style="line-height: 107%;">La nostra
lotta è dimostrare che per quasi tutti i nostri fabbisogni materiali attuali e
futuri produciamo già a livelli sufficienti. L'abbondanza esiste e per fornire
l'abbondanza per tutti non è necessario intensificare il processo di estrazione
a scapito dell'ambiente. La produzione può essere orientata a soddisfare i
bisogni umani che, contrariamente alla mitologia usata per giustificare il
capitalismo, non sono illimitati e possono essere soddisfatti senza
sovraccaricare le risorse della natura. Immagina una società in cui ogni
individuo ha i mezzi per vivere una vita dignitosa e appagante, senza
eccezioni; dove la discriminazione e il pregiudizio sono stati spazzati via;
dove a tutti i membri della società è garantito uno standard di vita dignitoso;
e dove l'ambiente è protetto e riabilitato. Questo è il socialismo, un mondo
veramente umano.</span></span></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span class="jlqj4b"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh10EAcLIcuY6rB3WFm3HY0F2qTprxDsOLknkSbetza8VTdGws7pCf-tDqtbcTlHhjmiDFSC6de6w6mIjG7G9MLEi3_X22FCyFH3Gmh4kQwwzd8j-yvjn8j-d8pi1cCKbVkK18_9JFlxpw/s640/Toronto_1991.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="451" data-original-width="640" height="226" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh10EAcLIcuY6rB3WFm3HY0F2qTprxDsOLknkSbetza8VTdGws7pCf-tDqtbcTlHhjmiDFSC6de6w6mIjG7G9MLEi3_X22FCyFH3Gmh4kQwwzd8j-yvjn8j-d8pi1cCKbVkK18_9JFlxpw/s320/Toronto_1991.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;"></span><p></p><span style="font-family: arial;">
<span class="jlqj4b"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;">(Traduzione da <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2020s/2021/no-1405-september-2021/countdown-to-cop-part-two/">Socialist Standard – settembre 2021</a>)</span></span></span>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-78003380830726439712021-04-30T10:30:00.003+02:002021-04-30T10:34:26.763+02:00Il ritorno della Natura: Socialismo ed Ecologia <div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 14pt;">La brillante riscoperta di un secolo di
pensiero ecologico e socialista da parte di John Bellamy Foster
informerà, renderà possibile e ispirerà una nuova generazione di
socialisti e di verdi.</span></i><span style="font-size: 12pt;"><b> </b></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b>John Bellamy Foster <a href="https://monthlyreview.org/product/the-return-of-nature/" rel="noopener noreferrer" target="_blank">THE RETURN OF NATURE Socialism and Ecology</a> Monthly Review Press, 2020</b></span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK0eRd9fKCV6CClTK2xZl61quAkjg4ylMJA3Q18lM4tFb23Q456DHDOf8gRhkFFhP5cw5G9A0h6102eRPlhMRHp7bO3llhxOtp3EyfTmriPn3w_LpecAj3VgJ0z5KVZjsL21oSgolpPZo/s540/Return-of-Nature.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK0eRd9fKCV6CClTK2xZl61quAkjg4ylMJA3Q18lM4tFb23Q456DHDOf8gRhkFFhP5cw5G9A0h6102eRPlhMRHp7bO3llhxOtp3EyfTmriPn3w_LpecAj3VgJ0z5KVZjsL21oSgolpPZo/s320/Return-of-Nature.jpg" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">In un'epoca in cui la richiesta di cambiamento del sistema viene
ascoltata sempre di più, nel riconoscimento crescente delle cause
socio-economiche della crisi climatica, un libro che stabilisce la
connessione tra socialismo ed ecologia non potrebbe essere più
tempestivo. Nel tracciare l'evoluzione di tale connessione, <i>The Return of Nature</i> di John Bellamy Foster individua le condizioni per un ecosocialismo efficace.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></div><div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Il
libro è un lavoro di recupero in diversi sensi correlati: di Marx ed
Engels e di coloro che hanno ispirato come pionieri dell'ecologia
sociale; della natura come necessariamente radicata nell'analisi
sociale; della dialettica come metodo critico-pratico; del materialismo
come campo di immanenza e di emergenza; del socialismo come mediazione
sistemica del rapporto socio-naturale; e, soprattutto, della politica
come impegno pratico con il mondo, rendendo la conoscenza e la ragione
socialmente efficaci.</span></p><a name='more'></a><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Sebbene né Marx né Engels usassero la
parola "ecologia", entrambi mostrarono un interesse sistematico critico
per le questioni ambientali derivanti dallo scambio metabolico tra la
società umana e la natura. Avendo stabilito le basi della critica
socio-ecologica di Marx della società capitalista in <i>Marx’s Ecology</i> (MR Press, 2000), Foster traccia in <i>The Return of Nature</i>
il suo ulteriore sviluppo nel lavoro di una serie impressionante di
scienziati e pensatori socialisti. Riprendendo la storia dalla morte di
Darwin e di Marx nel 1882 e nel 1883, concentrandosi principalmente
sulla Gran Bretagna, Foster mostra che sin dal suo inizio, l'ecologia è
stata "profondamente intrecciata" con le "lotte per l'uguaglianza umana e
la rivolta contro la società capitalista".</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Il biologo E. Ray
Lankester funge da collegamento tra Marx e gli scienziati socialisti che
svilupparono la sua concezione materialista. Amico personale di Marx,
Lankester introdusse la parola <i>œcology</i> nella letteratura inglese, nella sua traduzione del 1873 di <i>History of Creation</i>
di Ernst Haeckel. Piuttosto che seguire l'uso di Haeckel, tuttavia,
Lankester sviluppò il proprio concetto di "bionomica" per abbracciare lo
studio degli adattamenti reciproci di piante e animali, studiando
complesse relazioni reciproche all'interno della "rete infinita della
vita". Studiando la co-evoluzione dell'umanità e della natura esterna e
le questioni derivanti dalla loro interazione, Lankester prestò
particolare attenzione alle minacce che le forme degenerative
dell'ecologia umana sotto il capitalismo rappresentavano per la civiltà.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">A
partire da ciò, Foster stabilisce le basi di una nozione espansiva
dell’ecologia, che unisce cultura, politica e scienza. Definendo
concisamente l'approccio dialettico come "la relazione sociale con la
natura, mediata dalla scienza e dall'arte attraverso il lavoro e la
produzione", egli traccia l'avvento di un emergente materialismo
ecologico che integra il flusso oggettivo e soggettivo di una dialettica
organica che media gli ordini metabolici naturali e umani.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">La “scienza unitaria” che J.D. Bernal descrisse in <i>Marx and Science</i>
offre una concezione integrale che è in grado di colmare i regni della
ragione teorica (la nostra conoscenza del mondo) e della ragione pratica
(come gli esseri umani agiscono alla luce di quella conoscenza), quindi
di informare e sostenere un'efficace eco-prassi.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Foster dimostra
che Marx ed Engels fondarono un'ecologia socialista basata su
un'analisi duplice dell'ecosistema che si è concentrata sulla
perturbazione capitalistica dell'interazione metabolica tra umanità e
natura, tracciando il suo ulteriore sviluppo in una serie di critiche e
analisi socio-ecologiche. Centrata sulla relazione mediata tra società
umana e natura, l'ecologia dialettica critica sviluppata in questo libro
è cruciale per identificare le cause specifiche delle crisi ambientali e
affrontarle efficacemente in senso strutturale e sistemico.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">In
questa analisi, i sistemi sociali emergono come ecologie umane
costituite da determinate relazioni materiali che, all'interno delle
relazioni capitalistiche, sono guidate da dinamiche contraddittorie che
violano sia l'ontologia umana che quella naturale. L'umanità – in quanto
"ribelle della natura”)(Lankester) – non può mai separarsi dalla
natura, ma può generare conseguenze ecologiche attraverso le sue azioni
all'interno di specifiche relazioni sociali che minacciano la sua stessa
sopravvivenza.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Lankester identificò la contraddizione
socio-ecologica al centro del sistema del capitale come una "disarmonia"
nei rapporti tra esseri umani e natura. Sotto l’imperativo della
accumulazione, la società capitalista mina sistematicamente le sue
preesistenti condizioni naturali. </span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Lo studente di Lankester, il
botanico Arthur George Tansley, socialista e pioniere del concetto di
ecosistema (nel 1935), concepì l'umanità come un "fattore biotico
eccezionalmente potente" in grado di trasformare gli ecosistemi naturali
e disturbare l'equilibrio metabolico tra essi.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">È questa capacità
di trasformazione e di compromissione nell'interazione metabolica tra
società e natura che è al centro dei problemi ecologici attuali. La
"frattura metabolica" identificata da Marx ha ora assunto proporzioni
globali come la violazione dei confini planetari.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Tale analisi chiede – e riceve – un'identificazione delle forme sociali che facilitino un armonioso ripristino metabolico. </span><br /><span style="font-family: arial;">Lankester
era per una società sostenibile in cui la scienza avrebbe preso il
posto dei rapporti mercantili come base della civiltà.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">In <i>Dangerous Truths</i>
(1943), Lancelot Hogben sosteneva che contro "la dottrina liberale
secondo cui la prosperità consiste nella capacità di scegliere tra la
più grande varietà di beni", "l'altro socialismo", esposto più
chiaramente da William Morris, "asseriva la necessità di decidere se gli
oscuri mulini satanici stessero fabbricando cose che è bene che gli
uomini scelgano ”, e con un impatto benigno piuttosto che distruttivo
sull'ambiente.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Joseph Needham criticò la natura intrinsecamente
caotica e dissipativa del sistema capitalistico nell'usare i doni della
natura per soddisfare gli imperativi di crescita derivanti dai rapporti
di mercato, sprecando sia energia naturale sia capacità e creatività
umane. Sottolineando la necessità di riconoscere i limiti ecologici
all'espansione della società umana, sostenne che questo sistema
dispendioso sarebbe stato soppiantato da un modello più sostenibile di
sviluppo umano. "L'obiettivo", sostiene Foster, era "creare una società
in cui l'alienazione dalla natura e l'alienazione del lavoro non si
nutrissero più l’una dell'altra".</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Prima di tutto, William Morris
offrì una strategia socialista più ampia, più coerente e convincente,
più in sintonia con i bisogni delle persone e il valore intrinseco della
natura nello stabilizzare il processo produttivo al di là di
un'espansione economica infinita.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Foster mostra che una parte
cruciale dell'argomentazione di Morris era che il lusso e lo spreco, che
avevano un impatto sociale ed ecologico così distruttivo,
rappresentavano paradossalmente un surplus economico sostanziale che
dava alla società il potenziale per soddisfare i bisogni genuini di
tutti nel quadro di relazioni egualitarie.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Morris, dichiarò
Hogben, era sia "uno psicologo sociale", nel suo riconoscere che un
programma socialista non poteva ignorare il fatto che le persone
vogliono che le loro vite siano "suggestive", sia "un saggio biologo"
nel credere che la Gran Bretagna potrebbe essere resa "così bella che le
persone non avrebbero bisogno né desidererebbero viaggiare. " Invitando
a un "riorientamento dei valori sociali", Hogben concluse che "se
vogliamo pianificare la sopravvivenza, il nostro primo obiettivo deve
essere quello di creare un ambiente sociale in cui l'ambiente familiare
sia soddisfacente perché suggestivo". (<i>Planning for Human Survival </i>).
Tale prassi integrale coinvolge non solo design, ingegneria e scienza:
"Non c'è motivo per cui il socialismo dovrebbe identificare la
pianificazione scientifica con una tecnologia esclusivamente meccanica".</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Morris
è estremamente importante in questo senso. La misura in cui la
stagnazione economica che travolse la Gran Bretagna alla fine del XIX
secolo non aveva generato una fonte di rivolta rese chiaro a Morris che
la trasformazione rivoluzionaria non poteva essere considerata una
risposta automatica a condizioni oggettive e a crisi. Quindi sottolineò
la necessità di rafforzare le condizioni soggettive di trasformazione
sociale, un processo di "formazione di socialisti" attraverso
l'educazione e un'ampia attività politica. Senza questo, il socialismo
non sarebbe che "la ruota del mulino senza la forza motrice".</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">La testimonianza dei vari pensatori raccolti in <i>The Return of Nature</i>
porta inesorabilmente alla conclusione che le future salute, armonia e
prosperità della Terra e dell'umanità risiedano in una fusione del mondo
del lavoro ed ambientalista che possa soppiantare il sistema
capitalistico con nuove forme sociali, favorendo una sensuale
interazione umana con la natura.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Alcuni ambientalisti prendono in considerazione l'idea di un capitalismo "stazionario". Bill McKibben in <i>Eearth</i> parla di un capitalismo riallineato che potrebbe funzionare felicemente senza crescita. <i>The Return of Nature</i>
mostra che tale prospettiva è chimerica, avendo il concomitante
pericolo di sedurre coloro che cercano un intervento ambientale
correttivo, che eviti conflitti e divisione (politiche e di potere), a
intraprendere azioni "pragmatiche" e soluzioni comuni che così rimangano
saldamente all'interno della logica di accumulazione del capitale e
dunque alla sua crescita non organica.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Controversie infinite e
irrisolvibili riguardo a regolamenti e tecnologie, così come cambiamenti
comportamentali e di stile di vita, nascono inevitabilmente dal
tentativo di rendere sostenibile un sistema capitalista intrinsecamente
insostenibile. Questo libro ricorda che il capitale non è una "cosa"
neutra, da appropriarsi e utilizzare in vari modi (una nozione
tipicamente borghese che naturalizza ed eternizza una categoria
economica che deve essere storicizzata), ma un rapporto di classe
caratterizzato da relazioni di potere</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Il capitale non può essere
sganciato dall’imperativo dell’accumulazione: la logica sistemica
dell'accumulazione e degli sprechi deve essere sradicata alla fonte.</span><br /><span style="font-family: arial;">Nel
recuperare la natura, Foster recupera il socialismo come progetto
critico-emancipatorio orientato al raggiungimento di una società
razionale, un ordine sociale non feticistico, libero ed egualitario.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Sostenendo
che Marx ed Engels consideravano una ragione dialettica critica come
"cruciale per comprendere la natura in quanto essa stessa una parte
rifratta e riflessa del complessivo processo di cambiamento della natura
mediato dalla società storica", Foster porta una concezione dialettica
del materialismo a sostenere una prassi ecologica trasformativa in cui
gli esseri umani non sono soggetti passivi da educare dall'esterno, ma
co-agenti pratici e consapevoli che trasformano una realtà di cui sono
parti intrinseche.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Il risultato è un ambientalismo attivamente
democratico, basato sulla connessione riflessiva tra l'agire umano e i
processi sociali e naturali emergenti.</span><br /><span style="font-family: arial;">Foster fa un lavoro eccellente
nel recuperare la concezione dinamica del materialismo di Marx,
enfatizzando la fluidità contro la fissità per sovvertire le tendenze
metafisiche o filosofiche a una astrazione totalizzante. Il ritorno alla
dialettica materialista è forse l'aspetto più significativo del lavoro
di Foster.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Mentre è importante mettere in chiaro "ciò che Marx ha
detto veramente", mantenere una fedeltà teorica e pratica con Marx
significa rispettarlo ancora di più come pioniere di un realismo
critico-dialettico piuttosto che come un profeta la cui visione viene
ossificata in concetti e sistemi. È più importante applicare il suo
metodo critico che ripetere citazioni.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Marx coltivava un'intensa
passione per la libertà e la conoscenza e la loro relazione. Ciò
comportava l'impegno a distruggere tutte le forme di pratica
feticizzante e di coscienza mistificante conseguenti
all'autoestraneazione dell'umanità, e a sviluppare idee critiche in un
pratico impegno nelle lotte degli oppressi contro i rapporti di dominio e
sfruttamento. Avrebbe fatto in modo prima di tutto che le generazioni
future si fossero impegnate nell'attività pratico-critica di cui è stato
pioniere, trattando con disprezzo coloro che l’avessero trasformata in
un'autorità atta a creare a un sistema statico di pensiero e di azione
politica.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Foster fa un lavoro notevole nel mostrare come il
materialismo sviluppato da Marx, e da coloro che seguendo le sue orme lo
svilupparono ulteriormente, enfatizzi il movimento e il cambiamento,
comportando una comprensione dialettica che fosse in sintonia con il
dinamismo e la fluidità della realtà, aiutando coloro che lottano per la
libertà e l’uguaglianza contro tutte le forme ossificate e ideologiche.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Il
ruolo del mutamento al cuore della concezione dialettica del
materialismo di Marx comporta un continuo richiamo al fatto che la
teoria e la pratica della libertà, come la realtà in cui siamo immersi,
sono sempre fatti incompiuti. Finché questa realtà e la nostra relazione
mediata con essa esisteranno, la concezione materialista di Marx,
qualunque forma possa assumere all'interno di specifiche relazioni
sociali, rimarrà ostinatamente rilevante.</span><br /><span style="font-family: arial;">John Bellamy Foster ha
riscoperto questa prospettiva, dandole la forma, la coerenza e la
chiarezza di un'ecologia dialettica che merita una seria considerazione
da parte di tutti coloro che sono interessati allo stato critico in cui
si trova il pianeta.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">L'analisi critica presentata in questo
libro non lascia dubbi sul fatto che la risoluzione della crisi
ambientale richiede non solo tagli alle emissioni di carbonio e
investimenti in energie rinnovabili, ma anche un nuovo tipo di società i
cui quadro istituzionale e sistema economico rendano per prima cosa
anzitutto praticabile ed efficace l'attuazione di tali programmi, e in
seconda battuta facciano cessare le fratture ecologiche che li rendono
necessari.</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><i>The Return of Nature</i> è un libro informativo
ed educativo che mostra la stretta connessione tra socialismo ed
ecologia - in contrasto con la forma dominante assunta dal socialismo
nel ventesimo secolo che ha perso il contatto con la natura ed è
diventato complice degli imperativi distruttivi del capitale. Ripristina
la concezione perduta di un socialismo ecologicamente sensibile di cui
il mondo oggi ha disperatamente bisogno.</span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">Foster presenta una visione
del mondo che può informare, rendere possibile e ispirare una nuova
generazione di socialisti attenti all'ecologia e di ecologisti orientati
al socialismo, prefigurando il giorno in cui questi soggetti si
fonderanno nell'impegno politico di istituire un rapporto metabolico tra
società-natura su basi armoniose e sane.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;">Il libro conclude il suo insegnamento in modo conciso: </span><span style="font-size: small;"><br /><span style="font-family: arial;">“Ciò
che dobbiamo detronizzare oggi è l'idolo del capitale stesso, il potere
concentrato dell'avarizia di classe, che ora mette in pericolo
l'ecologia della Terra. È questo che costituisce l'intero significato
della libertà come necessità e del ritorno della natura nel nostro
tempo".</span><br /><span style="font-family: arial;">Il lavoro di Foster dimostra che un lavoro di ripresa critica
sul metabolismo, che da Marx ed Engels conduce ad un'ecologia integrale
del rapporto società-natura, rimane la teoria della liberazione più
convincente, intellettualmente soddisfacente e praticamente rilevante
nel mondo di oggi.</span><br /></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><b>Comunicato</b>: Il giorno in cui questa recensione è stata pubblicata, è stato annunciato che <i>The Return of Nature</i>
ha vinto il Deutscher Memorial Prize di quest'anno, assegnato ogni anno
a "un libro che esemplifica i migliori e più innovativi nuovi scritti
nella o sulla tradizione marxista".</span><span style="font-size: small;"><br /></span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: small;"><span><b>Peter Crischley</b></span></span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: small;">(Traduzione da </span><span style="font-size: small;"><a href="https://climateandcapitalism.com/2020/11/13/the-return-of-nature-socialism-and-ecology/" rel="noopener noreferrer" target="_blank">Climate&Capitalism</a>)</span><span style="font-size: 12pt;"><b> </b></span></span></p></div>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-53404350753059091822020-09-06T10:19:00.003+02:002020-09-06T10:21:38.932+02:00La trasformazione marxiana dei valori in prezzi e la sua “Nuova Interpretazione” (un’esposizione divulgativa)<span style="font-family: arial;"><span style="font-size: medium;"><b>Introduzione</b></span>
</span><p align="center" class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 11pt; line-height: 107%;"></span></b></span></p><span style="font-family: arial;">
</span><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;">La questione della trasformazione dei valori di scambio in
prezzi di produzione nell’ambito del sistema economico marxiano è ormai lunga quasi
centocinquant’anni e ha accompagnato le fortune e le sfortune del marxismo
teorico in tutte le vicissitudini della storia del movimento operaio e
socialista. Per tale motivo non possiamo neppure tentare di esporla
cronologicamente in queste brevissime note, rimandando le persone interessate a
una descrizione, seria ma divulgativa, del problema alla pagina italiana di
Wikipedia:</span></span></p><span style="font-family: arial;">
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<p class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_della_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_di_produzione">https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_della_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_di_produzione</a>.</span></p>
<span style="font-family: arial;">
</span><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;">In quel che segue proveremo invece a fornire le idee
basilari del problema come formulato per la prima volta da Karl Marx nel III
volume de <i>“Il Capitale”</i> [1] (sez. II e sez. III), come rivisto
criticamente dalla scuola economica neoricardiana (sez. IV) e, in fine, come sistematizzato
dai principali teorici della scuola marxista nota come “Nuova Interpretazione”
(sez. V). Qualche breve conclusione (sez. VI) terminerà queste note proponendo
spunti di approfondimento per chi fosse interessato all’importante tematica
della<b> </b>trasformazione dei valori in prezzi da un punto di vista più
completo e matematicamente rigoroso. L’unica precisazione che ci resta da fare
è quella relativa al livello basilare di conoscenza dell’economia marxista
richiesta al lettore: daremo per scontata una superficiale familiarità con i
concetti espressi da Marx nel I volume de <i>“Il Capitale”</i> [2] quali: il
valore d’uso e il valore di scambio, il lavoro astratto, la differenza tra
lavoro e forza-lavoro, il capitale costante e quello variabile, il plusvalore e
pochissimo altro, come ottimamente spiegato nel <i>“Riassunto del Capitale”</i>
scritto da Friedrich Engels nel 1868, ma pubblicato solo nel 1929:</span></span></p><span style="font-family: arial;">
</span><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><a href="https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1867/capitale/e-riassunto.htm"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;">https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1867/capitale/e-riassunto.htm</span></a><span class="MsoHyperlink"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%; text-decoration: none;">.</span></span></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"></span></p><p class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt; line-height: 107%;">Continua a leggere: <a href="http://digilander.libero.it/gm.freddi/NI_intro.pdf">link al documento in formato PDF</a></span></span><br />
</p>Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-87822514809527015612020-05-19T00:06:00.000+02:002020-05-21T10:54:15.579+02:00ANGELICA BALABANOFF: UN ITINERARIO VERSO IL BOLSCEVISMO E RITORNO<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Anželika Isaakovna Balabanova nacque a Černigov nell’Impero Russo
(ora Černihiv in Ucraina) in agosto, probabilmente attorno al 1868 [1]. La sua
famiglia, di origine israelitica, era ricca, sicché lei ebbe un’infanzia
privilegiata. Presto si rese conto di non sentirsi a suo agio in quel tipo di
classe sociale abbiente e, con il sostegno finanziario della famiglia ma allo
stesso momento contro il suo volere, si trasferì a Bruxelles per frequentare l’<i>Université
Nouvelle.</i> Lì conobbe figure di spicco della Seconda Internazionale (o
vicine ad essa), come Élisée Reclus, Émile Vandervelde e Georgi Plekhanov.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">A Lipsia, dove si trasferì per un breve periodo, conobbe anche Rosa
Luxemburg che divenne il suo modello per gli anni a venire. Quindi si recò a
Berlino dove frequentò lezioni di economia politica e incontrò vari membri di
alto livello del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), come Clara Zetkin e
August Bebel. Sentì quindi parlare di un professore di filosofia italiano, il
marxista Antonio Labriola, abbastanza noto persino tra gli studenti della SPD. Così
decise di trasferirsi a Roma dove frequentò le lezioni di Labriola e incontrò alcuni
fondatori del Partito Socialista Italiano (PSI): Filippo Turati, Claudio Treves
e la compagna di Turati, anch’ella un’ebrea russa, Anna Kuliscioff. In quel
periodo prese a italianizzare il suo nome divenendo per tutti “Angelica
Balabanoff”.</span></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0y2dgTzUhwwK7fJgi_kgS1LsfCY47H6TkWVqlLFeYiLhvjViBaD9LCUWO9bh4l1TT9-l25BHPXoaoEVn4BG_2BydIKA4HBIfXUw0QHH9AIQk0lpFt-U6GfWgnH9ujfs9LGjrtdMV9HGY/s1600/angelica.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="722" data-original-width="560" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0y2dgTzUhwwK7fJgi_kgS1LsfCY47H6TkWVqlLFeYiLhvjViBaD9LCUWO9bh4l1TT9-l25BHPXoaoEVn4BG_2BydIKA4HBIfXUw0QHH9AIQk0lpFt-U6GfWgnH9ujfs9LGjrtdMV9HGY/s320/angelica.jpg" width="248" /></a></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"></span></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Con Mussolini</span></b></span></span><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
Angelica diventò membro del PSI nel 1900. Il Partito le chiese di recarsi a
Losanna per educare gli immigrati italiani al socialismo. Qui incontrò Benito
Mussolini. Descrive il loro primo incontro nel suo libro <i>“Il Traditore,
Mussolini e la conquista del potere”</i>. Era un derelitto. Non poteva lavorare
perché era “malato”. <i>“Non sono bravo in niente, nemmeno a guadagnare un
pezzo di pane”</i>, le disse il futuro Duce. Le stava implicitamente chiedendo
aiuto per tradurre un opuscolo di Kautsky dal tedesco, in cui era principiante,
per guadagnare un po’ di soldi. Per pietà veniva invitato da una parte
all’altra a tenere discorsi per pochi franchi presso le riunioni socialiste.
Come tutti sappiamo, si rivelò un oratore efficace anche se molto retorico.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">In Svizzera la Balabanoff fondò il supplemento femminista <i>“Su
Compagne!”</i> e incontrò i leader menscevichi Martov e Axelrod. Si unì alla <i>League
of Academic Marxists</i> guidata da Chicherin e conobbe Trotsky a Vienna nel
1906. La Balabanoff probabilmente incontrò Lenin per la prima volta a Berna.
Nel 1907 rappresentò gli studenti universitari russi al V Congresso del Partito
Socialdemocratico Russo a Londra. Lo stesso anno partecipò per la prima volta a
un congresso della Seconda Internazionale, il VII, a Stoccarda, dove contribuì principalmente
come traduttrice e conobbe Karl Liebknecht.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Insieme a Giacinto Menotti Serrati, futuro leader del PSI, la
Balabanoff aiutò Mussolini a lasciare la Svizzera e a trovare un buon lavoro a
Trieste, un lavoro che tuttavia questi non riuscì a mantenere a lungo. Angelica
ha raccontato in modo interessante il giorno in cui Mussolini fu nominato
direttore della rivista socialista romagnola <i>“La Lotta di Classe”</i>. Il
direttore precedente voleva rinunciare a questo incarico e lo offrì a Mussolini
che, pensava, fosse un buon socialista considerando le posizioni politiche di
suo padre Alessandro e, soprattutto, perché non aveva impegni di lavoro.
L'inizio della fortuna politica di Mussolini è spesso identificato con il ruolo
che svolse al XIII Congresso del PSI del 1912, quando propose una mozione per
espellere alcuni riformisti di alto livello dal partito. La Balabanoff tende a
minimizzare il suo ruolo. Secondo lei Mussolini ovviamente era per la loro
espulsione, ma fu scelto a proporre la mozione di espulsione solo perché venne sostenuto
dai delegati della sua regione e, soprattutto, per mancanza di altri volontari.
La vittoria degli intransigenti alla guida del PSI spinse il riformista Claudio
Treves a dimettersi dalla redazione dell’organo del Partito l’<i>“Avanti!”</i>.
Anche in questo caso a Mussolini venne offerto l’incarico a causa della
mancanza di altri candidati privi di lavoro e impegni familiari. Quando gli venne
proposta questa posizione era titubante e accettò solo a condizione che Angelica
collaborasse con lui. La Balabanoff descrive Mussolini come un soggetto non
insensibile alla corruzione. Ruppe con lui prima del suo tradimento politico del
1914, a causa del suo comportamento opportunista ed egoista. Alcuni credono che
la Balabanoff e Mussolini avessero avuto anche una relazione sentimentale.
Questo non ci interessa, ma quel che è certo è che Mussolini al culmine del suo
potere ammise che senza l’aiuto della Balabanoff sarebbe rimasto una nullità.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">A Zimmerwald</span></b></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel luglio 1914, la
Balabanoff fu chiamata urgentemente a Bruxelles per un incontro speciale dell’Internazionale.
Propose lo sciopero di massa contro la guerra, mentre Viktor Adler e Jules
Guesde erano contrari all'idea. Fu sostenuta solo dai laburisti indipendenti
Keir Hardie e John Bruce Glasier. Ad agosto incontrò Plekhanov a Ginevra, il
quale sperava di vedere il partito socialista italiano prodigarsi a favore dell’intervento
militare italiano dalla parte della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e
Russia). In Italia, ormai sull’orlo dell’intervento, era difficile essere
stranieri. Quando il membro della SPD, il tedesco Albert Südekum, visitò l’Italia
per spingere il PSI a convincere le masse ad intervenire dalla parte austro-germanica,
la Balabanoff fu tacciata di esser filotedesca, sebbene avesse ricordato alla
folla che era stata espulsa dall’Austria nel 1909 e dalla Germania all’inizio
del 1914.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">La Balabanoff si trasferì quindi in Svizzera. Nel dicembre del
1914 si recò a Berna dove fu determinante nell’organizzazione della famosa
conferenza socialista di Zimmerwald contro la guerra che ebbe luogo nel
settembre del 1915. Entrò a far parte, in qualità di segretaria, dell'Ufficio Esecutivo
composto inoltre dallo svizzero Grimm, dall’italiano Lazzari (un vecchio massimalista)
e dal romeno Rakovsky. Il manifesto di Zimmerwald, redatto da Trotsky, rispecchiava
lo scontro tra i moderati e la frazione sinistra di Lenin. Gli argomenti
discussi a Zimmerwald furono infatti: l'azione di pace che il proletariato
avrebbe dovuto svolgere, la posizione nei confronti del fallimento della
Seconda Internazionale e la possibile trasformazione della guerra mondiale in
guerra civile rivoluzionaria. La visione moderata prevalse, quindi Zimmerwald
rappresentò principalmente le istanze di pace. Non ripudiò ufficialmente la
Seconda Internazionale, né propose di trasformare la guerra mondiale in guerra
civile.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
<br />
</span><b><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Con i bolscevichi</span></b></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
La Balabanoff visse a Zurigo fino allo scoppio della Rivoluzione Russa del
febbraio del 1917. Come altri rivoluzionari lasciò la Svizzera per raggiungere
la Russia su un treno speciale, viaggiando con Martov, Axelrod e Lunacharsky.
Delusa dalla rivoluzione di febbraio iniziò ad avvicinarsi ai bolscevichi. In
questo periodo frequentò molto spesso Trotsky. Firmò una risoluzione insieme a
Trotsky, Kamenev e Riazanov per il boicottaggio definitivo del governo
provvisorio russo.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Si recò a Stoccolma per organizzare la terza conferenza del
movimento di Zimmerwald, che ebbe luogo nel settembre del 1917. Ormai il blocco
moderato era scarsamente rappresentato e prevalse la sinistra di Lenin. Dopo la
Rivoluzione d’Ottobre del 1917, Lenin le chiese di rimanere a Stoccolma per
diffondere da lì le notizie sulla Russia, fornendole anche molti fondi per
farlo. In due occasioni la Lega Antibolscevica tentò di assassinarla. Alla fine,
cercò di rientrare a Mosca nel settembre del 1918, perché Lenin era stato
gravemente ferito dal celebre attentato di Fanny Kaplan. Ma a causa dei
combattimenti tra gli eserciti bianchi e l’Armata Rossa al confine finlandese
dovette tornare a Stoccolma. Alla fine, riuscì a rientrare in Russia ad ottobre
e incontrò Lenin che era ancora in convalescenza nella sua casa di campagna.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Presto tornò a viaggiare. Andò a Zurigo dove fu accusata di aver
trasportato cento milioni di franchi per finanziare la rivoluzione in Italia.
Fu quindi espulsa dalla Svizzera, mentre l’Italia chiedeva la sua estradizione
per arrestarla. Tuttavia, alla fine, insieme ad altri bolscevichi, fu estradata
in Germania dove era in corso la rivoluzione del novembre 1918, ma con la
vittoria dell’SPD, questo gruppo di rivoluzionari venne dopo poco rispedito in
Russia. Mentre era a Berlino fu ospite di Adolph Joffe, ambasciatore sovietico
in Germania. Lì incontrò alcuni membri del Partito Socialdemocratico Indipendente
Tedesco per convincerli a seguire i bolscevichi, ma non ebbe successo.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Quando fu fondata la nuova Internazionale, il Comintern, Lenin
nominò Zinoviev presidente e la Balabanoff segretaria. Lenin aveva bisogno di
lei proprio per la sua rete internazionale di connessioni. Ma lei si ritrovò presto
a fare un semplice lavoro amministrativo per il Comintern. Successivamente fu
mandata in Ucraina come Commissaria per gli Affari Esteri, ma nel 1920 i
bolscevichi dovettero lasciare l’Ucraina e così Angelica tornò a Mosca. Ebbe
molti attriti con Zinoviev il quale cercò di sbarazzarsi di lei in vari modi.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Nel giugno di quell’anno arrivò a Mosca una delegazione del PSI
guidata da Serrati, ora Segretario del partito. Il II Congresso del Comintern
si stava svolgendo proprio nel momento in cui Lenin stabilì le condizioni per l’adesione
dei vari partiti esteri; per gli italiani questo avrebbe significato espellere noti
riformisti come Turati e Treves. Serrati era contrario e la Balabanoff si
schierò dalla sua parte. Quando Lenin le chiese di scrivere qualcosa contro
Serrati, lei si rifiutò, dicendogli “Sono più d’accordo con lui che con te”.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">La Balabanoff riferisce di un altro esempio del dispotismo di Lenin
durante il IX Congresso del Partito Comunista Russo nel 1921. Alexandra
Kollontai, una Commissaria del Popolo, aveva criticato il Partito per aver
concesso pochissima autonomia alle organizzazioni dei lavoratori; questo fu
sufficiente a Lenin per attaccarla pubblicamente in modo distruttivo.
All'inizio del 1921 i contadini insorsero contro le requisizioni forzate di
cereali e molti furono giustiziati. Poi Kronstadt si sollevò contro il dominio
bolscevico che scatenò una sanguinosa repressione del Soviet locale. Questi
furono gli ultimi eventi che la fecero decidere a lasciare la Russia. Eppure
aveva bisogno del lasciapassare di Lenin per farlo.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Mentre la Balabanoff stava aspettando di poter lasciare la Russia,
arrivò Clara Zetkin. La Zetkin rimase con lei per un po’. Secondo il racconto
della Balabanoff, la Zetkin sembrava piuttosto sensibile alle adulazioni dei
bolscevichi che amava molto. La Zetkin cercò di convincere la Balabanoff a
rimanere in Russia, ma la Balabanoff si rifiutò di fare da traduttrice al III Congresso
del Comintern nel giugno del 1921. Nel dicembre del 1921 le fu infine permesso
di lasciare la Russia. Da quel momento in poi fu un’aperta antibolscevica,
sebbene venne ufficialmente espulsa dal Partito Comunista Russo solo nel 1924.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
</span><b><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Antibolscevica</span></b><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
<br />
Quando Lenin le aveva chiesto di non andarsene, lei gli aveva risposto che non
era d’accordo con i metodi dispotici e demagogici dei bolscevichi. Anni dopo,
quando Trotsky era ormai un rifugiato in Messico, lei gli scrisse per esprimergli
la sua simpatia e gli ricordò che gli stessi metodi di denigrazione usati
contro di lui ora erano stati precedentemente usati proprio da lui contro
altri. Trotsky le rispose: “Non menzioniamo il passato; quelli erano tempi
diversi. Non roviniamo la nostra amicizia”.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">La Balabanoff aveva visto da vicino i bolscevichi ed era convinta
che senza Lenin non ci sarebbe stato Stalin. Spiegò che il regime di Lenin e l’apparato
che lui aveva creato attuarono le condizioni che consentirono a figure come
Stalin di svilupparsi senza inibizioni e senza freni. Infatti, fu il clima instaurato
dal regime sovietico a plasmare e incoraggiare le tendenze criminali del futuro
dittatore.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Dopo aver lasciato la Russia, Angelica rimase in Svezia e poi si
trasferì in Austria dove erano al potere i socialdemocratici di Otto Bauer. Qui
scrisse per l’<i>“Arbeiter-Zeitung”. </i>Nel 1927 si trasferì a Parigi convocata
dal PSI in esilio. Ci si trasferì, ma contro la sua inclinazione, perché al PSI
mancava oramai “la vecchia guardia” massimalista: Serrati era passato ai
comunisti poco prima della sua scomparsa e Lazzari era morto. Al convegno di
Grenoble di gennaio del 1928 fu eletta segretaria del Partito e direttrice dell’<i>“Avanti!”</i>
dalla frazione massimalista ostile a Nenni e alla fusione con i riformisti del
Partito Socialista Unitario all’estero. Si era giunti quindi a un’ennesima
scissione socialista. Successivamente il suo piccolo partito in esilio, il
PSI-m (Partito Socialista Italiano-massimalista), decise di entrare nella coalizione
antifascista, ma la Balabanoff era contro il cosiddetto “Fronte Unito”, a causa
del suo anti-bolscevismo, e non voleva lavorare né con i riformisti né con i
comunisti. Più tardi Trotsky l’avrebbe voluta nella sua Quarta Internazionale
ma alla Balabanoff la cosa sembrava non interessare.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Nel novembre del 1935 ottenne un visto per trasferirsi negli Stati
Uniti, dove si avvicinò al liberalsocialista Gaetano Salvemini. Nel 1938 fu
pubblicata la sua autobiografia <i>“My Life as a Rebel”</i>. Nel 1941 la
fazione massimalista del PSI cessò di esistere e con essa il leggendario organo
l’<i>“Avanti!”</i> (che come testata tornò quindi nelle mani del PSI di Nenni).</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">Nel 1947 la Balabanoff ritornò in Italia dove fu utilizzata da
Saragat per promuovere il suo Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI),
una nuova organizzazione socialdemocratica che in quel momento sosteneva di
continuare la variegata eredità del PSI di Turati, Costa, Lazzari e Prampolini fondato
nel lontano 1892. Lei vi aderì per via del suo anti-bolscevismo, ma anche
perché credeva, erroneamente, che il PSLI fosse ideologicamente affine ai vecchi
riformisti e massimalisti italiani dei primi del 1900. Così nel 1955 fu
invitata al congresso della ricostituita Internazionale Socialista (ormai in
realtà del tutto socialdemocratica) a Vienna, dove fu acclamata come una leggenda
vivente. Trascorse gran parte del 1957 in Austria e in Svizzera. Si avvicinò infine
a Golda Meir e divenne filoisraeliana. Alla fine, nel 1960, si stabilì
definitivamente a Roma dove morì il 25 novembre 1965.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">La Balabanoff fu l'archetipo della rivoluzionaria socialista
democratica. Il suo marxismo era in realtà piuttosto idealista e lei lo viveva
come una fede. Si considerava una missionaria. La sua missione era quella
convertire i lavoratori al marxismo. Con questo in mente si può capire perché
abbia preso a cuore le sorti di Mussolini, aiutando questo ozioso agitatore
anarcosindacalista a diventare una socialista rispettato, o perché si sia
votata al bolscevismo di Lenin per perseguire l’obiettivo rivoluzionario
massimo, ma come, allo stesso tempo, abbia difeso l'integrità della Seconda
Internazionale durante la conferenza di Zimmerwald. Più tardi nella sua vita si
identificò, in modo un po’ nostalgico, con quell’amalgama di posizioni
oscillanti tra l’aperto riformismo e il vago massimalismo che furono tipiche
del primo socialismo italiano, sedicente marxista, degli inizi del XX secolo.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;"><br />
La Balabanoff ebbe il merito di denunciare per esperienza diretta Mussolini <i>(“Il
Traditore”)</i> e, soprattutto, Lenin e il bolscevismo <i>(“Impressioni su
Lenin”)</i> in un periodo in cui queste critiche erano impopolari o,
addirittura, proibite. Vale la pena leggere queste due sue opere e quindi vale
la pena ricordarla.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.Opt;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; line-height: 115%;">[1] Alcune fonti suggeriscono invece il 1869, il 1877 o,
addirittura, il 1878.</span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span lang="IT" style="color: black; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span lang="IT" style="color: black; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><!--[if gte mso 9]><xml>
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<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Tratto da <i>Angelica Balabanoff: To Bolshevism and back</i>, Cesco, Socialist Standard dell’Agosto 2018, tradotto e ampliato da Cesco e D.C.</span></div>
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Errico
Malatesta (1853-1932) fu senz’altro il più celebre militante anarchico italiano
del cinquantennio che va dalla morte di Michail A. Bakunin (1876) al
consolidamento della dittatura fascista (1926) e, probabilmente, uno dei più
rilevanti al livello mondiale insieme a Pëtr A. Kropotkin, Gustav Landauer, James
Guillaume, Ricardo Mella, Alexander Berkman, Emma Goldman e Rudolf Rocker. Nel
resto di questo breve articolo non proveremo neppure a riassumere l’avventurosa
esistenza di Malatesta [1], tutta intessuta di progetti rivoluzionari, fallite
insurrezioni, fughe precipitose, lunghi esili e non trascurabili periodi di
detenzione carceraria. Una vita scomoda ma coerente dove, glissando su certe
ingenuità giovanili (ad esempio, i fatti della banda del Matese del 1877),
emerge l’elevata statura morale della persona che è eguagliata soltanto dalla fede
salda nell’avvenire comunista libertario del genere umano. Al livello
biografico c’interessa solo riassumere l’attività di Malatesta dalla fine della
Grande Guerra (novembre 1918) alla Marcia su Roma (ottobre 1922), perché è
proprio in questo quadriennio che si situano i due articoli ai quali intendiamo
fornire adeguate risposte. Soltanto nel 1919, dopo diversi tentativi
infruttuosi, Malatesta, esule nel Regno Unito dal 1914, riesce a ottenere un
passaporto dal console italiano a Londra e a imbarcarsi a Cardiff per Taranto
con l’aiuto di un influente sindacalista dei portuali italiani. In Italia gode
subito di un’enorme popolarità, acclamato dalla folla (ma con sua grande
irritazione!) come il “Lenin italiano”, e se ne avvantaggia durante un’intensa
attività propagandistica che lo rende uno dei protagonisti più radicali del
cosiddetto “Biennio Rosso” (1919-1920). I suoi intenti sono infatti
sintetizzabili in quattro semplici linee d’azione: </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">necessità
di armarsi, necessità di un fronte unico dei sovversivi, necessità di far
funzionare campi e officine in modo nuovo, necessità di passare dagli scioperi
alle occupazioni. </span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Punti che, almeno per qualche settimana durante l’Occupazione
delle Fabbriche (settembre 1920), sembrano divenire finalmente attuabili.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel
febbraio del 1920 fonda e dirige a Milano il quotidiano anarchico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità Nova</i>, mentre nel luglio dello
stesso anno è tra i protagonisti del congresso di Bologna dove si riorganizza
l'<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unione Anarchica Italiana</i> e viene
approvato il famoso “Programma Anarchico” [2], già abbozzato da Malatesta nel
1919. Viene però arrestato e recluso nel carcere di San Vittore dove, insieme
ad altri detenuti, inizia uno sciopero della fame che mina le sue condizioni
fisiche, riducendolo quasi in fin di vita. Tale sciopero viene sospeso solo dopo
la famigerata “Strage del teatro Kursaal Diana”, avvenuta il 23 marzo 1921 e
costata 21 morti e 80 feriti, per la quale vengono condannati Giuseppe Mariani,
Ettore Aguggini, Giuseppe Boldrini e altri sedici anarchici individualisti che sostengono
di aver agito proprio per protesta contro l’arresto immotivato di Malatesta e
dei suoi compagni. Poco dopo Malatesta viene liberato ma, fortemente
impressionato dalle conseguenze umane e politiche della strage, pubblica un
articolo sull’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità Nova </i>nel quale,
pur mostrando una certa comprensione per gli esecutori materiali
dell’attentato, critica gli atti di violenza indiscriminati. Continua a
dirigere l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità Nova</i> (nel
frattempo ridottasi a settimanale e trasferitasi a Roma dopo le devastazioni
fasciste della redazione) fino alla fine del 1922, anno in cui Mussolini prende
il potere e chiude d’autorità il giornale (22 novembre) che termina con il n. 196.
Riprenderà le pubblicazioni soltanto nel secondo dopoguerra.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Gli
articoli di Malatesta su<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Umanità Nova</i>
(1920-1922)</span></b>
</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Gli
scritti di Malatesta apparsi sull’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità
Nova </i>nei tre anni di vita della prima serie del giornale sono molto
numerosi, in quanto il nostro autore fu sia il direttore che l’articolista di
punta per i problemi politici, economici e sindacali del comunismo libertario;
tutti trattati sempre in maniera chiara, semplice e comprensibile,
completamente all’opposto del modo di scrivere forbito e ricercato degli
intellettuali politici del tempo, quali, per esempio, Gabriele D’Annunzio,
Francesco Saverio Nitti e Benedetto Croce. Luigi Fabbri, assiduo collaboratore
dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità Nova</i>, raccolse tali
articoli con cura (includendo anche quelli comparsi sotto pseudonimi o in forma
anonima) per un’edizione svizzera del 1935, mentre successivamente furono ristampati
in Italia in due ponderosi volumi intitolati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Pagine di lotta quotidiana”</i> [3]. Gli argomenti discussi sono molto
vari, anche se l’aspetto polemico domina di gran lunga, orientato uniformemente
in tutte le direzioni: contro il governo, contro la Russia bolscevica [4],
contro il sindacato socialista riformista, contro i repubblicani, contro il
neonato partito comunista, ma, soprattutto, contro l’ala massimalista (Serrati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">in primis</i>) del partito socialista, che
Malatesta crede d’individuare come la principale responsabile del fallimento
della tanto vagheggiata “Rivoluzione Italiana”. Siccome abbiamo già discusso
abbondantemente di questa questione nei mesi scorsi, sorvoleremo sul mito
anarchico (e bolscevico...) della “rivoluzione mancata” [5], concentrandoci
invece su due articoli di Malatesta dove, sempre in modo critico, sono
affrontati alcuni problemi teorici importantissimi la cui attualità rimane
pressoché immutata a distanza di un secolo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
“fretta”</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">rivoluzionaria</i> (U.N., n.
125 del 6 settembre 1921) e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Socialisti e
anarchici</i> (U.N., n. 129 del 10 settembre 1921).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
primo tratta, in polemica con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Giustizia</i> (giornale socialista turatiano di Reggio Emilia), del ruolo della
propaganda anti-capitalista tra i lavoratori, ma anche dell’importanza delle
minoranze coscienti nello svolgersi dei processi d’insorgenza rivoluzionaria.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
secondo, sempre in polemica con<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> La
Giustizia</i>, riporta brani della risposta di quest’ultima all’articolo
malatestiano appena citato e poi si concentra sulla supposta incompatibilità
tra i metodi democratici rappresentativi e il comunismo, specificando come gli
anarchici non polemizzino con i socialisti democratici dal punto di vista
bolscevico (auspicante cioè la ferrea dittatura del partito rivoluzionario) ma,
all’opposto, da una posizione libertaria che aspira all’eliminazione immediata
di ogni apparato coercitivo statale, sia esso democratico oppure dittatoriale.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Una risposta marxista a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">«La “fretta” rivoluzionaria»</i></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tralasciando
le battute iniziali di Malatesta in cui si commenta in modo alquanto ironico un
articolo di G. Valenti apparso su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Giustizia</i>, ma si ammette la necessità della propaganda tra i lavoratori
statunitensi [6] per conquistare le masse di quel Paese alle idee di
emancipazione, il nostro autore entra nel vivo del problema quando afferma
testualmente che:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“È
una verità assiomatica, ‘lapalissiana’, la rivoluzione non si può fare se non
quando vi sono forze sufficienti per farla. Ma è una verità storica che le
forze che determinano l’evoluzione e le rivoluzioni sociali non si calcolano
coi bollettini del censimento.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I
cattolici </span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">[7] <i style="mso-bidi-font-style: normal;">degli Stati
Uniti e d’altrove resteranno numerosi come sono, e magari aumenteranno, fino a
quando vi sarà una classe, potente di ricchezza e scienza, interessata a tenere
la massa nella schiavitù intellettuale per poter meglio dominarla. Gli operai
non saranno mai tutti organizzati e le loro organizzazioni saranno sempre
soggette a disfarsi o a degenerare fino a quando la miseria, la disoccupazione,
la paura di perdere il posto, il desiderio di migliorare le condizioni
alimenteranno la rivalità tra operai e daranno modo ai padroni di profittare di
tutte le circostanze, di tutte le crisi per mettere in concorrenza gli operai
gli uni contro gli altri. E gli elettori resteranno sempre monotoni per
definizione anche se qualche volta accade loro di tirar delle cornate.”</i> </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Notiamo
subito che la visione di Malatesta sembra apparentemente semplice e spontanea,
ma in realtà è costruita con sapiente retorica: partendo da una proposizione
che suona più che ovvia (“lapalissiana”, scrive infatti l’autore), ovvero che
la rivoluzione socialista potrà avvenire solo quando esisteranno forze sociali
sufficienti a promuoverla, viene subito indebolita l’idea di un’evoluzione
pacifica e spontanea della società dal capitalismo al socialismo (ipotesi tanto
cara a certi ambienti positivisti vicini alla frazione riformista del PSI che,
conseguentemente, attribuivano al partito un mero ruolo di “levatrice” del
socialismo). Ma poi, in meno di un rigo, si passa a un’affermazione assai meno lapalissiana,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>ossia che queste forze che determinano l’evoluzione
e le rivoluzioni sociali non si calcolano coi “bollettini del censimento”.
Ovvero non sono misurabili in modo puramente numerico quantitativo, come per
esempio le forze della fisica, ma vanno invece comprese in modo prettamente
qualitativo.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
nostro consenso a quest’affermazione potrà però essere solo parziale: se
l’autore intende dire che la numerosità relativa del proletariato, il suo tasso
di sindacalizzazione, d’iscrizione a partiti e movimenti socialisti (tutte
caratteristiche che possono esser indicate da numeri o da percentuali) non
bastano a poter prevedere uno sbocco rivoluzionario della lotta di classe,
allora saremo senz’altro a favore; ma se invece il ricorso al supposto
carattere qualitativo del proletariato rivoluzionario travalica il chiaro
concetto materialista di “sviluppo della coscienza di classe” per entrare nel
reame fumoso e irrazionalista della “volontà rivoluzionaria”, <span style="background: white;">dello “sciopero come tirocinio rivoluzionario”, </span>del
“mito politico e sociale capacitante” e via discorrendo (tutti cari a Georges Sorel
e ai suoi ammiratori tra i sindacalisti rivoluzionari italiani) allora non
potremo che esprimere il nostro inequivocabile dissenso.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma
seguitiamo con la disamina di quanto scrive Malatesta quando,
pessimisticamente, si dichiara convinto che, a causa della potenza della classe
dominante e dei suoi ovvi interessi a lasciare languire il proletariato in uno
stato di schiavitù intellettuale, le religioni più oscurantiste avranno sempre ampia
presa, larghe fette di lavoratori resteranno non organizzati, oppure le loro
organizzazioni degenereranno e si decomporranno rapidamente. Tutto viene
imputato alla paura dei licenziamenti generata dalle crisi cicliche, alla
concorrenza tra i lavoratori salariati stessi, nonché alla tendenza di molti
proletari ad attenuare i propri disagi individualmente piuttosto che in modo
classista collettivo o, magari, coltivando le monotone illusioni di un
elettoralismo, talora sorprendente, ma comunque sempre irrilevante. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Anche
in questo caso il nostro assenso potrà esser solo parziale: se Malatesta
intende dire che questa è la condizione “normale” della classe operaia oppressa
da un regime capitalista tipico (o “ideal-tipico” usando una locuzione
weberiana), allora egli non fa altro che ribadire i ben noti capisaldi del
marxismo classico. Se invece è convinto che questa è una realtà immutabile (una
“legge bronzea” direbbe Lassalle) del dominio del capitale sulle classi
subalterne, allora non condividiamo affatto il suo pessimismo che ci sembra del
tutto anti-dialettico, in quanto non in grado di concepire i mutamenti storici
dei rapporti tra le varie classi antagoniste in determinati momenti.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A
questo punto, anche allo scopo di chiarire ulteriormente le concezioni
malatestiane, diamo di nuovo la parola al nostro autore che finalmente palesa
la sua idea di rivoluzione: </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“È cosa
provata che date certe condizioni economiche, dato un certo ambiente sociale,
le condizioni intellettuali e morali della massa restano sostanzialmente le
stesse e, fino a quando un fatto esterno, un fatto idealmente o materialmente
violento non viene a modificare quell’ambiente, la propaganda, l’educazione, l’istruzione
restano impotenti e non riescono ad agire che sopra quel numero d’individui
che, in forza di privilegi naturali o sociali, possono vincere l’ambiente in
cui sono costretti a vivere. Ma quel piccolo numero, quella minoranza cosciente
e ribelle che ogni ordine sociale partorisce in conseguenza delle stesse
ingiustizie a cui la massa è soggetta, agisce come fermento storico e basta, è
sempre bastato, a far progredire il mondo.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ogni
nuova idea, ogni nuova istituzione, ogni progresso ed ogni rivoluzione è stata
sempre l’opera di minoranze. È nostra aspirazione, è nostro scopo quello di far
assurgere tutti quanti gli uomini a fattori effettivi, a forze coscienti della
vita sociale; ma per riuscire a questo scopo occorre dare a tutti i mezzi di
vita e di sviluppo, e perciò bisogna abbattere, con la violenza poiché non si
può fare altrimenti, la violenza che questi mezzi nega ai lavoratori.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Naturalmente
il «piccolo numero», la minoranza, deve esser sufficiente, e ci giudica male
chi pensa che noi vorremmo fare un’insurrezione al giorno senza tener conto
delle forze in contrasto e delle circostanze favorevoli o meno.”</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Inizialmente
Malatesta sembra propendere per la nostra interpretazione più favorevole delle
sue precedenti affermazioni: la soggezione della classe lavoratrice è sì
condizione ‘normale’ del dominio capitalista, ma un fatto esterno, idealmente o
materialmente ‘violento’, può modificare in qualsiasi momento questa
situazione. Però subito dopo il suo discorso si salda con una questione molto
diversa relativa ad un piccolissimo numero di individui che, a causa di
privilegi naturali (intelligenza, perspicacia, spirito critico ecc.) o sociali
(istruzione superiore conseguenza di un minimo benessere, contatti più o meno
fortuiti con ambienti sovversivi ecc.) riesce a vincere il dominio
intellettuale del capitale, anzi sembra addirittura trarre origine e forza
proprio dalle ingiustizie che tale dominio continua a perpetrare. Fin qui
nessuna obiezione da parte nostra in quanto sappiamo bene quanto sia esiguo (nelle
situazioni ‘normali’) il numero di lavoratori pienamente coscienti che abbiano
accettato e compreso fino in fondo il programma del socialismo rivoluzionario
marxista. Ma proprio nello stesso periodo, nuovamente con grande scaltrezza
retorica, viene immessa bruscamente un’affermazione completamente diversa, che
vale la pena riportare di nuovo: </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ma
quel piccolo numero, quella minoranza cosciente e ribelle (…) agisce come
fermento storico e basta, è sempre bastato, a far progredire il mondo. Ogni
nuova idea, ogni nuova istituzione, ogni progresso ed ogni rivoluzione è stata
sempre l’opera di minoranze.”</i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sembrerebbe
di udire l’eco, appena leggermente modificata dal contesto libertario, delle
varie teorie “elitiste” del periodo, diffusissime in diverse coniugazioni
politiche e sociologiche: da Gustave Le Bon a Vilfredo Pareto fino a Max Weber,
da Gaetano Mosca a Robert Michels fino a Vladimir I. Lenin [8]; ma sarebbe un imperdonabile
sbaglio. È infatti tutta interna al pensiero anarchico la tradizione del “fermento”
rivoluzionario, del manipolo di “refrattari” che scuote le masse con la
“propaganda del fatto”. Basterebbe citare Michail A. Bakunin e Carlo Cafiero,
con la loro segretissima <i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">Alleanza</span></i><span style="background: white;"> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Internazionale <i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; mso-bidi-font-weight: bold;">della
Democrazia Socialista,</span></i></i></span> per fare solo due nomi. Eppure
l’analogia con le concezioni avanguardiste del bolscevismo c’è, pur dovendone
riconoscere la diversa genesi. Tant’è che l’autore conclude con un finale,
breve ma pesante come un macigno, che sembra uscito dalla penna di Lenin o di
Trockij dopo il novembre del 1917:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“In
somma noi siamo perfettamente d’accordo con ‘La Giustizia’ quando insiste sulla
necessità di fare molta propaganda e di sviluppare il più possibile le
organizzazioni proletarie di lotta; ma ci stacchiamo recisamente da essa quando
pretende che per agire bisogna aspettare di aver attirato a noi la maggioranza
di quella massa inerte che non sarà convertita se non dai fatti, che non
accetterà la rivoluzione se non dopo che la rivoluzione sarà iniziata”.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Sarà forse monotono
ripeterlo, ma, nonostante tutto il rispetto che nutriamo per quell’integerrimo
rivoluzionario che fu Malatesta, non possiamo di certo condividere questo suo
giudizio. E a chi parla di ipotetiche maggioranze proletarie divenute
“rivoluzionarie” <i style="mso-bidi-font-style: normal;">post-factum</i> quasi
per magia, opponiamo testardamente la nostra idea di sempre: solo quando una
larga parte della classe lavoratrice vorrà coscientemente il socialismo e
accetterà di lottare senza sosta per esso, allora sarà possibile una
rivoluzione proletaria su scala mondiale che condurrà alla definitiva scomparsa
del modo di produzione capitalista. Tutto il resto è solo l’ennesima versione
del solito vicolo cieco rappresentato dalle varie “rivoluzioni politiche” che
si risolvono semplicemente in un ricambio della classe dominante, questo sì
mera “circolazione delle élite” di paretiana memoria.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Una risposta marxista a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">«Socialisti e anarchici»</i></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questo secondo articolo, apparso
appena quattro giorni dopo il precedente, prosegue la polemica con il </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">giornale
socialista riformista modenese <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Giustizia, </i>spostandosi però dalla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“questione
di voler fare la rivoluzione più o meno presto”</i> a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“quella della libertà o dell’autorità”</i>, ovvero<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>andando a finire, come spesso accadeva in quegli anni, a
commentare gli eventi russi e il relativo comportamento dei bolscevichi.
Malatesta era stato infatti citato da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Giustizia </i>nella diatriba interna al PSI tra i partigiani della Rivoluzione
d’Ottobre e gli elementi riformisti più scettici di fronte a tali fatti. Tale
citazione, riassunta da Malatesta stesso per motivi di brevità, ci appare come
segue:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Così
dice Malatesta. C’è da osservare che l’esempio della dittatura bolscevica in
Russia ha valore soltanto contro chi immagina che il Socialismo – cioè
l’organizzazione della vita sociale sulle basi della proprietà collettiva – si
possa attuare dall’alto, per opera di una “minoranza” che s’impadronisca del
potere governativo. In questo caso è vero che il governo è “necessariamente”
tirannico, come afferma Malatesta: dovendo agire contro gli istinti, i sentimenti,
le abitudini e la volontà della grande “maggioranza” della popolazione, un tale
governo non può reggersi fuorché con la violenza e il terrore. E malgrado la
violenza ed il terrore, esso dovrà cadere od altrimenti rinunciare alle riforme
non ancora mature e ritornare indietro, per mettersi al livello della massa
popolare che è l’elemento fondamentale di ogni organizzazione sociale e non si
lascia plasmare a capriccio altrui». </span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Queste affermazioni, le
quali non sono affatto negate dall’anarchico sammaritano (che all’opposto le
rivendica) vengono però subito integrate da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
Giustizia</i> in modo tale da ipotizzare una qualche tenuissima convergenza tra
comunismo libertario e socialismo democratico:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Ma
lo stesso Malatesta avverte che oltre la forma dittatoriale propugnata dai
comunisti e di cui si sta facendo così tragico esperimento in Russia, vi è
anche la forma democratica del potere governativo. E la forma democratica –
quella che fu sempre proclamata dai socialisti – non vuole la dittatura di un
partito, ma vuole invece la sovranità della intera classe lavoratrice, dai più
oscuri lavoratori manuali fino ai più illuminati lavoratori del pensiero».</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
testo del giornale modenese prosegue elencando brevemente gli obiettivi e i
metodi tipici del socialismo riformista turatiano, ma poi termina prevedendo il
vivace dissenso degli anarchici su queste specifiche proposte politiche:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Sappiamo
bene quali sono le obiezioni degli anarchici; ma anche Malatesta dovrà
convenire che questa forma di democrazia non può assolutamente essere confusa
con la dittatura alla russa, dalla quale è assai più lontana che
dall’anarchismo».</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La
risposta del nostro celebre anarchico non si fa attendere, giungendo immediata
ed ironica, anche se in una forma alquanto sofistica e vagamente supponente:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 14.2pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Infatti.
Il Socialismo veramente democratico che vagheggia “La Giustizia” è molto
migliore del socialismo dittatoriale, alla russa: solamente … non è il
socialismo o è il socialismo reso impossibile».</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpLast" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma cosa intende Malatesta
con questa alternativa un po’ sibillina? Chi si aspetterebbe immediatamente una
dura critica al riformismo socialdemocratico e alla sua idea (di derivazione
bernsteiniana) di una lenta e pacifica evoluzione dal capitalismo al socialismo
attraverso un cammino di riforme parlamentari, rimarrebbe deluso. I primi tre
motivi addotti nel prosieguo dell’articolo sono altri, sebbene l’autore sembra voler
insistere soprattutto sull’ultimo: </span></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpFirst" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 18.0pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; mso-list: l1 level1 lfo7; text-align: justify; text-indent: -18.0pt; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">1)<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Lascio
andare ora la questione che la democrazia è, nella migliore ipotesi, il dominio
della maggioranza, e che gli anarchici vogliono la libertà per tutte le
minoranze, sapendo bene che ogni nuova idea, ogni progresso è sempre l’opera di
minoranze e non è accettato dalla maggioranza se non quando è, almeno in parte,
già attuato».</span></i></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpMiddle" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 18.0pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; mso-list: l1 level1 lfo7; text-align: justify; text-indent: -18.0pt; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">2)<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«Lascio
andare anche la questione che una vera maggioranza cosciente sopra una cosa
qualsiasi non si forma che lentamente e che intanto può essere urgente una
soluzione per una parte sia pure piccola del consorzio sociale».</span></i></div>
<div class="MsoListParagraphCxSpLast" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 18.0pt; margin-right: 14.2pt; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; mso-list: l1 level1 lfo7; text-align: justify; text-indent: -18.0pt; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">3)<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«E mi
fermo invece sulla possibilità o meno di elevare le masse, la maggioranza dei
lavoratori, alla concezione ed al desiderio del socialismo fino a che durano
gli attuali ordinamenti economici e politici».</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come è facile notare, si
ritorna rapidamente alle idee “elitiste” di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“La
‘fretta rivoluzionaria”:</i> sotto il dominio economico, politico e culturale
del capitalismo le masse proletarie sono generalmente prostrate e soggiogate.
Quindi solo una piccolissima minoranza raggiunge il livello di coscienza
necessario a concepire una rivoluzione socialista. Tale minoranza può però
agire da “detonatore sociale” mediante azioni eclatanti che sono potenzialmente
in grado di scuotere la grande maggioranza della classe lavoratrice, la quale,
sebbene mobilitata e pronta allo scontro, solo con lentezza potrà divenire
realmente e coscientemente rivoluzionaria. A questo punto la risposta di Malatesta
ai socialisti riformisti si fa volutamente un po’ opaca: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Giustizia</i> viene tacciata di ingenuità e, a sostegno delle tesi
“elitiste” appena esposte, vengono portati alcuni esempi fallimentari
dell’azione dei socialisti eletti nei vari municipi e al parlamento nazionale.
Il tutto è condito persino da un paio di frasi paternaliste e qualunquiste, non
proprio all’altezza del nostro celebre anarchico:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“E
le organizzazioni proletarie sono sempre una cosa incerta, un giorno disposte a
rovesciare tutto per raggiungere l’emancipazione, un altro conservatrici e vili
per paura di compromettere lo scarso pane”</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">O addirittura: </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-right: 14.2pt; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“(…)
poiché vi è sempre, in regime capitalista, della gente a cui manca pane, si
trovano sempre dei disgraziati che per un pane sicuro son disposti a farsi
assassini dei loro fratelli”.</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In
fondo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mutatis mutandis</i>, si finisce
con lo sposare la teoria blanquista dell’insurrezione violenta [9], apparentemente
necessaria per prevenire l’ancora più violenta repressione borghese:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“La borghesia non si farà espropriare di
buona grazia e si dovrà sempre addivenire al colpo di forza, alla violazione
dell’ordine legale con mezzi illegali (…)”.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La
risposta malatestiana termina poi con un crescendo in cui si ribadiscono le
tradizionali (e stereotipate) differenze tra anarchici e socialisti per il
periodo post-rivoluzionario: i primi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“vogliono,
quando vi sarà la minoranza sufficiente e le altre circostanze lo permetteranno,
abbattere il potere statale e mettere tutta la ricchezza sociale a disposizione
di tutti, vigilando perché non si costituiscano nuovi poteri i quali
monopolizzino il lavoro di riorganizzazione volgendolo a favore di certi
partiti e di certe consorterie”.</i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I
secondi invece<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> “vogliono impossessarsi
del potere e fare la legge”. </i>Magari non tutti i socialisti optano per
metodi dittatoriali dei bolscevichi, e quindi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“vogliono farlo <u>democraticamente</u></i>,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> cioè farsi eleggere deputati ed andare a rappresentare il pensiero e
la volontà di una massa, che non ha ancora pensiero e volontà o, se l’ha,
dovrebbe affrettarsi a rinunziarvi delegando il potere ai bei parlatori e
sottomettendo le sue aspirazioni a tutti i rischi di una casuale maggioranza
parlamentare. In realtà poi sarebbe dittatura lo stesso: forse un po’ meno
brutale, ma sempre dittatura, cioè prepotenza prima di chi manipola le elezioni
e poi di chi guida e domina il parlamento”.</i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È
davvero impressionante come in sole otto righe di testo si possa fare una
confusione così enorme all’interno della compagine socialista ostile al
bolscevismo, amalgamando tra loro il socialismo genuinamente marxista (che
rimonta a <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>F. Engels, P. Lafargue, A.
Labriola per giungere fino a D. De Leon e all’ “impossibilismo” britannico) e la
socialdemocrazia apertamente riformista (E. Bernstein) o, tutt’al più,
vagamente centrista (K. Kautsky e O. Bauer), specie per quello che riguarda
l’uso rivoluzionario del parlamento borghese e il ruolo del partito nella corso
della rivoluzione. Data la brevità del nostro testo non possiamo dilungarci
ulteriormente su queste questioni, ma vogliamo indirizzare il lettore
interessato all’ottimo opuscolo del Partito Socialista della Gran Bretagna
sull’argomento: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“What’s wrong with using
Parliament?”</i> [10] del 2010.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La
frase finale poi (siamo a tredici mesi appena dalla Marcia su Roma che
inaugurerà in ventennio fascista!) raggiunge le vette più alte dell’involontaria
auto-ironia e, commentandosi da sé, non necessita di una nostra risposta:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Ecco perché noi, come siamo nemici
della dittatura, che è tirannia sfacciata, siamo nemici anche della democrazia,
che è tirannia mascherata e forse più dannosa della franca dittatura, perché dà
alla gente l’illusione di esser libera e quindi può durare di più”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Conclusioni</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nelle pagine precedenti abbiamo
messo a fuoco alcune concezioni del celebre rivoluzionario italiano Errico
Malatesta nel periodo della sua maggiore maturità politica, corrispondente al primo
dopoguerra e alla conseguente fondazione dell’importante giornale anarchico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Umanità Nova</i>. Purtroppo, pur rispettando
il personaggio per il suo coraggio indomito di combattente rivoluzionario, per
sua integrità morale e per la sua immediata denuncia dei pericoli della
dittatura bolscevica, abbiamo toccato con mano la sua lontananza dalle
posizioni del socialismo marxista almeno su tre questioni cruciali: il ruolo
del partito, la maturazione della classe lavoratrice e la dinamica della
rivoluzione socialista. Ma quel che è peggio è la sua totale incomprensione
delle profonde differenze esistenti tra socialdemocrazia riformista (o
centrista) da un lato, e socialismo rivoluzionario anti-bolscevico dall’altro. Certo,
su questo specifico punto Malatesta ha delle attenuanti perché scrive in un
periodo in cui la separazione netta nel mondo tedesco-olandese tra comunismo
dei consigli di derivazione luxemburghiana-“tribunista” e comunismo bolscevico
non era ancora del tutto compiuta. Tuttavia, dato il suo lungo soggiorno nei
paesi anglosassoni e la sua sicura conoscenza di alcune opere di Marx, Engels,
Lafargue e Labriola, si direbbe che la spiegazione di tali incomprensioni sia da
cercare altrove: il pregiudizio bakuninista [11], che ingiustamente e
superficialmente etichetta il marxismo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tout
court</i> come filosofia del “socialismo di stato”, pesa ancora enormemente
nelle concezioni politiche del nostro autore anarchico e, paradossalmente,
sembra trarre nuove conferme proprio dalle degenerazioni del socialismo
internazionale, ovvero dal parlamentarismo riformista da un lato e dalla
dittatura bolscevica dall’altro. Ad ogni modo, a voler ben vedere è proprio il
tipo di anarchismo propugnato da Malatesta (ossia una sintesi piuttosto
disinvolta tra “anarco-comunismo” e “anarco-individualismo” nota come “programmismo
anarchico”) a mostrare inquietanti, ancorché involontari, tratti comuni con la
socialdemocrazia e il bolscevismo. Infatti tutte e tre concezioni citate, in
qualche forma, accettano la passività politica della maggioranza della classe
lavoratrice come un fatto dato una volta per tutte e cercano quindi tipi
differenti di scorciatoie per l’attuazione del loro programma, sempre però
caratterizzate dall’azione di élite politiche: di parlamentari e dirigenti
sindacali per i socialdemocratici, di rivoluzionari di professione e futuri
commissari del popolo per i bolscevichi, di “refrattari” pronti alla “propaganda
del fatto” e ad azioni eclatanti per gli anarchici programmisti. A tali
progetti rispondiamo citando le prime due frasi poste come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">incipit</i></span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> <span style="background: white;">degli<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"> “Statuti Provvisori
dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori”</span></i></span> del 1864 [12]:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Considerando che: (1) </span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">l’emancipazione della classe operaia deve essere opera dei
lavoratori stessi; che la lotta della classe operaia per l’emancipazione non
deve tendere a costituire nuovi privilegi e monopoli di classe, ma a stabilire
per tutti diritti e doveri eguali e ad annientare ogni predominio di classe; (2)
che la soggezione economica del lavoratore nei confronti dei detentori dei mezzi
di lavoro, cioè delle fonti della vita, è la causa prima della schiavitù in
tutte le sue forme, di ogni miseria sociale, di ogni pregiudizio spirituale e
di ogni dipendenza politica; (…)”</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="color: black; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tale documento si deve materialmente a Marx, ma fu sempre tenuto nella
massima considerazione anche dagli anarchici, che si ritengono appunto i
legittimi eredi della Prima Internazionale. Dovrebbe essere quindi anche per
loro, come lo è per noi, un punto di riferimento essenziale dell’azione
politica.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%;">
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<br />
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal;">[1]<span style="background: white;"> Si veda, per esempio, una recente biografia di Errico
Malatesta: Vittorio Giacopini, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non ho bisogno di stare tranquillo,</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">vita straordinaria del rivoluzionario più temuto da tutti i governi e le questure del regno </i>(</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="https://www.ibs.it/libri/editori/El%C3%A8uthera"><span style="color: windowtext; font-weight: normal; mso-bidi-font-weight: bold; text-decoration: none; text-underline: none;">Elèuthera</span></a></span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; line-height: 110%;">, Milano,</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; line-height: 110%;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; line-height: 110%;">2012).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; line-height: 110%;">[2]
Consultabile sul sito della FAI: </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="http://www.federazioneanarchica.org/archivio/programma.html"><span style="font-weight: normal; mso-bidi-font-weight: bold;">http://www.federazioneanarchica.org/archivio/programma.html</span></a></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-weight: normal; line-height: 110%;">[3]
Errico Malatesta, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pagine di lotta
quotidiana, </i>2 voll.<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>(Movimento
Anarchico Italiano, Carrara, 1975).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[4] Quasi profetiche sono le parole che
Malatesta dedica, già nel luglio del 1919, all’esperienza della Rivoluzione
d’Ottobre in una sua breve lettera da Londra a Luigi Fabbri. Non possiamo
astenerci dal riportare nella sua scarna semplicità il seguente passaggio che
merita un plauso anche da parte dei marxisti: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“(…). <span style="background: white;">Anche il generale Bonaparte servì
a difendere la Rivoluzione Francese contro la reazione europea, ma nel
difenderla la strozzò. Lenin, Trockij e compagni sono di sicuro dei
rivoluzionari sinceri, così come essi intendono la rivoluzione, e non
tradiranno; ma essi preparano i quadri governativi che serviranno a quelli che
verranno dopo per profittare della rivoluzione ed ucciderla. Essi saranno le
prime vittime del loro metodo, e con loro, io temo, cadrà la rivoluzione. È la
storia che si ripete: <span style="mso-bidi-font-style: italic;">mutatis
mutandis</span>, è la dittatura di Robespierre che porta Robespierre alla
ghigliottina e prepara la via a Napoleone. (…)”. </span></i><span style="background: white;">Fabbri riporterà tale lettera come introduzione alla
sua critica del bolscevismo scritta nel 1921 e pubblicata con il titolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Dittatura e Rivoluzione” </i></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">(</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="http://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/fabbri_dittatura_e_rivoluzione.pdf">http://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/fabbri_dittatura_e_rivoluzione.pdf</a><span style="background: white;">), </span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">una vera e propria risposta
anarco-comunista al celebre <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stato e Rivoluzione
</i>di Lenin.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[5] La versione anarchica di tale ‘mito’
è dettagliatamente presentata da Armando Borghi nel suo volume <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’Italia tra due Crispi. Cause e conseguenze
di una rivoluzione mancata </i>(1924), la cui versione riveduta e corretta è
stata ripubblicata dall’autore nel 1964 con il titolo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La rivoluzione mancata</i>: <a href="http://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/Borghi-Armando_La_rivoluzione_mancata.pdf">http://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/Borghi-Armando_La_rivoluzione_mancata.pdf</a></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[6] L’esempio riguarda
gli USA in quanto considerati all’epoca come assai arretrati sindacalmente (solo
4,5 milioni di organizzati su 40 milioni di produttori e produttrici) e
politicamente (solo 1 milione di voti socialisti su 25 milioni di elettori).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[7] Malatesta qui cita
i lavoratori cattolici praticanti degli Stati Uniti, che Valenti valutava in
circa 60 milioni, considerandoli in quel periodo come un esempio di proletari arretrati,
assai lontani quindi dalle idee rivoluzionarie, sia socialiste che anarchiche.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[8] Si confrontino, a
puro titolo di esempio, la “</span><i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">Psychologie du
socialisme”</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"> (1898) di Le Bon, il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Che fare?”</i> (1902) di Lenin e “<i>La
democrazia e la legge ferrea dell'oligarchia”</i> (1910) di Michels. Opere quasi
coeve, ma diversissime, eppure accomunate da una vera e propria fissazione per
le élite politiche e la loro supposta azione.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[9] Per una demolizione
teorica del blanquismo nell’epoca successiva alla Comune di Parigi si veda il
sempre attuale testo di Friedrich Engels del 1895: “</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="https://www.marxists.org/archive/marx/works/1895/03/06.htm"><span style="background: white; color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;">Introduzione alle <i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">Lotte
di classe in Francia 1848-1850</span></i></span></a><span style="mso-no-proof: yes;">”, dove si dichiara finalmente chiusa la stagione delle barricate in
strada, ma non quella delle rivoluzioni</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">(</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1850/lottecf/introduzioneengels.htm">https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1850/lottecf/introduzioneengels.htm</a><span style="mso-no-proof: yes;">).</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[10] La traduzione
italiana dell’opuscolo citato è disponibile in rete: </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;"><a href="https://digilander.libero.it/gmfreddi/Parlamento.pdf">https://digilander.libero.it/gmfreddi/Parlamento.pdf</a><span style="mso-no-proof: yes;"></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 110%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 110%;">[11] Per la violenta
critica di Bakunin a Marx si veda la seguente opera: Michail A. Bakunin, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stato e anarchia</i> (Universale Economica
Feltrinelli, Milano, 2015).</span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">[12] Consultabile in rete all’indirizzo: </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><a href="https://www.resistenze.org/sito/ma/di/cm/mdcm8e09-003087.htm">https://www.resistenze.org/sito/ma/di/cm/mdcm8e09-003087.htm</a></span><!--[if gte mso 9]><xml>
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<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt;">Tra il 15 e il 16 settembre 1922 parteciparono a
Saint-Imier (Svizzera) un centinaio di militanti anarchici provenienti da tutta
Europa tra cui Errico Malatesta (qui nella foto), unico superstite
dello storico congresso del 1872 che <span style="background: white;">segnò la
definitiva divisione in due tronconi dell’Associazione Internazionale dei
Lavoratori (nota anche come Prima Internazionale). Era stato convocato dalla
corrente bakuninista (<span style="mso-bidi-font-style: italic;">antiautoritaria</span>)
della Prima Internazionale che rifiutava la legittimità del congresso
riunitosi dal 2 al 7 settembre 1872 a L'Aia (Paesi Bassi) per iniziativa
di Karl Marx e Friedrich Engels.</span></span></i></div>
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Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-72709976139677255702020-02-19T13:44:00.000+01:002020-03-15T10:33:05.902+01:00Antonio Labriola<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<b><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14pt; line-height: 19.9733px;">Introduzione</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<b><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14pt; line-height: 19.9733px;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt;">Sono ormai passati 130 anni dall’ingresso di Antonio Labriola nella scena
socialista italiana e mondiale. Nonostante non sia mai stato un nome di spicco
nel firmamento marxista, Labriola ha avuto picchi di popolarità seppur in
circuiti molto ristretti. Probabilmente nonostante sia stato considerato da
diversi studiosi del marxismo uno dei suoi filosofi più rigorosi, il suo
pensiero filosofico, appunto, è risultato poco accessibile ed è rimasto
pressoché sconosciuto ai molti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Ad ogni modo, mentre in vita aveva un certo ascendente su alcuni
socialdemocratici tedeschi, era infatti in relazione epistolare tra gli altri
con Bebel e Kautsky. Diviene perciò comprensibile come possa una giovane
Angelica Balabanoff, ancora studentessa universitaria in Germania, decidere di
trasferirsi in Italia dopo averne sentito parlare così bene da compagni di
corso vicini alla Socialdemocrazia. La Balabanoff in una lettera al Mussolini
“socialista” teneva molto a precisare la differenza che passava tra Antonio, il
professore di filosofia e marxista ortodosso e Arturo, il sindacalista
rivoluzionario, che Engels chiamava argutamente “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Labriolino”</i>.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Quando all’età di 47 anni decide di scrivere a Engels, Labriola è già
professore ordinario di filosofia e didattica all'Università di Roma,
proveniente dalla scuola di Bertrando Spaventa filosofo neo-hegeliano di
spicco. Labriola era stato aiutato a più riprese dai fratelli Spaventa nel
trovare una degna occupazione, presso i circuiti governativi post-unitari.
Prima di approdare al socialismo Labriola aveva già studiato a fondo, oltre
Hegel, anche Feuerbach e la scuola di Herbart. Aveva vinto onorificenze nella
trattazione degli antichi greci, di Spinoza e di Giambattista Vico. Nel 1871,
ben 19 anni prima di diventare socialista, Labriola entra in politica come
pubblicista. Scrive dapprima ne «Il Piccolo» e nella «Gazzetta di Napoli», giornali
liberali, quindi nell’ «Unità Nazionale» e nella «Nazione» di Firenze. A quel
tempo era vicino alla Destra storica, ma per il superamento della vecchia
politica risorgimentale, fino a quando nel 1886 tentò di presentarsi come
candidato, senza nessuna appartenenza partitica, su posizioni
radical-progressiste contro il trasformismo di Depretis. Quindi, soprattutto
dopo un viaggio in Germania allo scopo di studiarne il sistema educativo, si
avvicina al socialismo scientifico<i>. </i>Inizia quindi un rapporto epistolare
con Engels e Turati. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Come marxista, Labriola prese parte al dibattito scaturito dalla
pubblicazione del III libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Il
Capitale”</i>, si occupò della critica di Böhm-Bawerk, ma, soprattutto, delle
“sciocchezze” di Achille Loria e <i>dei suoi ammiratori sulla Critica Sociale</i>,
tra i quali Turati stesso. La critica di Labriola si riferisce allo schema di
riproduzione semplice, il quale evidenzia come la dimensione temporale (ossia
il momento dell’acquisto è distinto da quello della vendita) del ciclo
produttivo con la conseguente usura dei macchinari, spieghi la discrepanza tra
valore contenuto e valore realizzato. Engels nella prefazione al III libro, si
trova costretto a criticare la confusione di Loria tra massa del plusvalore e
profitto e l’idea di quest’ultimo che il capitale commerciale possegga il “magico
potere” di assorbire in sé tutto il plusvalore eccedente il saggio generale di
profitto. Si torna quindi al punto esplicitato da Marx, anni prima in una
lettera ad Engels, secondo cui Loria interpreta il capitalismo come una sorta
di proprietà terriera intesa sotto forma di rendita fondiaria. Marx scrive: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“ero divertito e soddisfatto dal suo [di
Loria] modo di scusarsi apertamente dell’avere antiquato ‘Il Capitale’ con la
sua proprietà fondiaria. Per tutto ciò, riserbo ancora seri dubbi sul carattere
di questo giovane” </i>[1]<i style="mso-bidi-font-style: normal;">.</i> Labriola,
seppur con i suoi limiti in campo economico, enfatizza l’ignoranza di Loria nel
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><u>non</u></b> considerare il ciclo
produttivo come un elemento dinamico temporale contenente l’usura dei
macchinari. <span style="color: blue;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">L’apporto originale al marxismo di Labriola fu quello filosofico. Come
descrive lui stesso a Engels “<i>vissi per anni con l’animo diviso fra Hegel e
Spinoza</i>”. Sempre a Engels, Labriola confessa “<i>Forse - anzi senza forse -
io sono diventato comunista per effetto della mia educazione (rigorosamente)
hegeliana, dopo essere passato attraverso la psicologia di Herbart, e la
Volkerpsychologie di Steinthal e altro</i>”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“<i>Volgendomi al Socialismo, non ho chiesto a Marx l’abicì del sapere. Al
marxismo non ho chiesto, se non ciò che esso effettivamente contiene: ossia
quella determinata ‘critica dell’economia’ che esso è, quei ‘lineamenti del
materialismo storico’ che reca in sé (...). Non chiesi al marxismo nemmeno la
conoscenza di quella filosofia, che esso suppone, e, in un certo senso,
continua, superandola per inversione dialettica; ed è l’Hegelismo che rifioriva
(...). Per intendere il socialismo scientifico non mi occorreva, dunque, di
avviarmi per la prima volta alla concezione dialettica, evolutiva o genetica,
che dir si voglia, essendo io ho vissuto sempre in cotesto giro di idee, da che
pensatamente penso</i>”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Labriola era un professore di filosofia e in quanto tale egli spiega che
l’essenza del materialismo storico è “la <i>filosofia della praxis</i> [prassi
o pratica], <i>in quanto investe tutto l’uomo storico e sociale, come mette
termine ad ogni forma d’idealismo</i>.” Una filosofia che non è confinata alla
comprensione del pensiero e della società che l’ha generato, ma, alla sua trasformazione,
attraverso la presa di coscienza dei meccanismi di trasformazione del pensiero
stesso. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Specifica ad Engels che in italiano sarebbe più opportuno parlare di <i>metodo
genetico</i> invece di <i>metodo dialettico</i>, in quanto il termine
dialettico “<i>è denigrato nell’uso comune all’arte retorica ed avvocatesca</i>”
mentre il metodo vuole intendere “<i>le cose che divengono</i>” (ovvero la loro
genesi). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Vede la storia come processo di creazione di un terreno artificiale che <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><u>media</u></b> il divenire delle cose tra
cui il capitalismo e quindi il socialismo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“<i>Le idee non cascano dal cielo, e
anzi, come ogni altro tipo di prodotto dell’attività umana, si formano in date
circostanze (…). Anche le idee suppongono un terreno di condizioni sociali, ed
hanno la loro tecnica: ed il pensiero è anch’esso una forma del lavoro.</i>”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“<span style="mso-bidi-font-style: italic;">Lo
stato è (...) messo al suo posto (...) in quanto forma che è effetto di altre
condizioni, e a sua volta, poiché esiste, reagisce naturalmente sul resto. (...).
Codesta forma sarà mai superata? [Sì] ma come risultato dell’immanente processo
della storia. (...). La premessa di tale previsione è nelle condizioni stesse
della presente produzione capitalistica [che] concentra di giorno in giorno
sempre più la proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di pochi, (...)
azionisti e negoziatori (...) la cui direzione passa all’intelligenza. Col
crescere della coscienza di tale situazione nei [lavoratori] e col decrescere
della capacità nei detentori del capitale a conservare la privata direzione del
lavoro produttivo, si verrà </span></span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="background: #faf9f6; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">a un punto in cui, di un modo o
dell'altro, con la eliminazione di ogni forma di rendita, interesse e proprietà
privata, la produzione passerà all'associazione collettiva, ossia sarà
comunistica.</span></i><i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"> (...). Il governo tecnico e pedagogico dell’intelligenza sarebbe l’unico
ordine della società.”</span></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Nell’opera <i style="mso-bidi-font-style: normal;">In memoria del Manifesto, </i>Labriola
indica che la previsione storica del comunismo critico è una <i>previsione
morfologica,</i> ovvero che rivela la forma delle cose, quali le classi
sociali. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Qui sotto riportiamo un brevissimo articolo uscito sul<i> Socialist
Standard (Febbraio 2016) </i>sul Labriola Socialista più che filosofo. In
aggiunta abbiamo digitalizzato una sua lettera ad Engels in merito alla fondazione
del Partito Socialista Italiano. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“Quando solo alcuni individui più o meno socialisti si
rivolgono a ignoranti proletari che sono apolitici e in gran parte reazionari,
è quasi inevitabile che quegli individui vengano considerati utopisti e
demagoghi”.</span></i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: right;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Antonio Labriola<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">[1] per approfondire il discorso dei difficili rapporti (sia umani che
intellettuali) tra Marx ed Engels da un lato e Achille Loria dall’altro, si puo
leggere l’utile artico di G. M. Bravo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Engels
e Loria: <span style="mso-bidi-font-weight: bold;">relazioni e polemiche”</span></i><b>,
</b><i>Studi Storici, </i>Anno 11, No. 3 (Luglio - Settembre 1970), pp.
533-550.<o:p></o:p></span></div>
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<a name='more'></a><br />
<div align="center" class="MsoTitle" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14.0pt;">Antonio Labriola: un marxista rigoroso<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Il pensatore politico italiano Antonio Labriola (1843-1904) fu descritto da
Friedrich Engels come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"un rigoroso
marxista</i>". Tuttavia si avvicinò al marxismo piuttosto tardi. Menzionò
per la prima volta Marx nel 1883 in una recensione del libro di Bärenbach sulle
scienze sociali (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Die Socialwissenschaften</i>).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Labriola iniziò a corrispondere con Engels nel 1890; nello stesso anno con
Filippo Turati, fondatore del “Partito Socialista Italiano”, scrisse
l’indirizzo di saluto dei socialisti italiani al congresso del “Partito Tedesco
dei Lavoratori Socialdemocratici” ad Halle.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Quando il “Partito dei Lavoratori Italiano” fu fondato al Congresso di
Genova due anni dopo, Labriola fu critico nei confronti della sua piattaforma e
quando tale organizzazione divenne il "Partito Socialista Italiano"
nel 1894 sotto la guida di Turati, Labriola si lamentò con lui nei seguenti
termini:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">"<i style="mso-bidi-font-style: normal;">I socialisti devono ... essere
chiari ... devono smettere di essere piccoli giacobini e politicanti ... Voi
volete rendere simpatico il socialismo; Dio vi aiuti in tale filantropica
impresa. In quanto a me i borghesi li credo buoni soltanto a farsi impiccare.
Non avrò la fortuna d’impiccarli io, ma non voglio nemmeno contribuire a
dilazionarne l’impiccagione.</i>”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Secondo Labriola il partito della classe operaia avrebbe dovuto avere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Maestri” </i>(nel senso di insegnanti) e
sembra che avesse in mente persone come Marx, Engels e se stesso. Ma per
Labriola era chiaro che il partito non avrebbe dovuto avere quella che egli
chiamava "una minoranza giacobina al potere".<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Inoltre vedeva Turati come un riformista, come spiegò nel 1891:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L'eclettismo di [Turati] non è una
conseguenza della [sua] intelligenza, né della [sua] immaturità, ma è
necessariamente un riflesso del mondo in cui viviamo, dove tutto è soggettivo,
arbitrario, incidentale, e quindi non c'è spazio per la scienza organizzata,
per la disciplina del partito</i> ".<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Nel 1892, in una lettera a Engels, ripeté questo concetto:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L'eclettismo non scomparirà presto.
Non è solo l'effetto di una confusione intellettuale, ma è l'espressione di una
situazione. Quando solo alcuni individui più o meno socialisti si rivolgono a
ignoranti proletari che sono apolitici e in gran parte reazionari, è quasi
inevitabile che quegli individui vengano considerati utopisti e demagoghi</i>
".<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Ma Labriola pensava anche che, attraverso una combinazione di educazione e
necessità per i lavoratori di rovesciare il capitalismo, questo “eclettismo”
(ovvero il revisionismo opportunistico e il riformismo) sarebbe scomparso nel
lungo termine. In questo senso Labriola era un ottimista e si distingueva da
altri rivoluzionari come Lenin e Gramsci che sostenevano l’opinione pessimistica
secondo cui l'autodeterminazione della classe operaia era impossibile e solo la
coercizione sarebbe stata in grado di guidare le masse.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Labriola divenne la fonte "preferita" di Engels e, in risposta a
un’amara lettera di Turati, Engels scrisse:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quanto a (...) Labriola, la malalingua
che gli attribuisci potrebbe avere una certa giustificazione in un paese come
l'Italia, dove il partito socialista, come tutte le altre parti, è stato
invaso, come la piaga delle locuste, da quella “gioventù borghese senza classe”,
di cui Bakunin era così orgoglioso</i>”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Nell'ottobre 1892 Labriola informò Engels dello scandalo bancario della
Banca Romana che coinvolgeva anche alcuni membri del Partito Socialista
Italiano. L’anno seguente Labriola fu fortemente critico nei confronti del partito
per la sua posizione ambigua riguardo alla rivolta di contadini, artigiani e
operai industriali in Sicilia, nota come “Fasci Siciliani”. Il partito
descrisse questo evento come “una rivolta di anime povere”, mentre Labriola
vide in esso il primo esempio di socialismo italiano in azione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Il contributo principale di Labriola al pensiero marxista non arrivò che
diversi anni dopo, nel 1895, quando pubblicò il suo primo importante lavoro
sulla filosofia del materialismo storico: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">In
memoria del Manifesto dei Comunisti</i>. In questo Labriola scrisse:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">“Bisogna insistere sull'espressione di ‘democratica
socializzazione dei mezzi di produzione’, perché l’altra di ‘proprietà
collettiva’, oltre a contenere un certo errore teoretico, in quanto che scambia
l’esponente giuridico col fatto reale economico, nella mente poi di molti si
confonde con l’incremento dei monopoli (...) e del sempre rinascente ‘socialismo
di stato’, il cui segreto è di aumentare in mano alla classe degli oppressori i
mezzi economici dell'oppressione (...) la massa proletaria, in somma, o sa, o
s’avvia ad intendere, che la ‘dittatura del proletariato’, la quale dovrà preparare
la socializzazione dei mezzi di produzione, non può procedere da una sommossa
di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il risultato dei proletarii
stessi, che siano, già in sé, e per lungo esercizio, una organizzazione
politica</span></i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">In seguito, Labriola pubblicò un’ulteriore analisi del materialismo storico
da un punto di vista filosofico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(La
concezione materialista della storia, 1895)</i> e nel 1898 rispose alle
opinioni dello scrittore francese George Sorel in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Discorrendo di socialismo e filosofia.</i> Continuò sempre a criticare
attivamente la politica “eclettica” di Turati e il suo PSI, scrivendo ad
esempio che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">in Italia non esiste
un'organizzazione della classe operaia e quindi la lotta di classe e il partito
politico con una base di lavoratori sono prematuri</i>”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">In questa éra di politica "revisionista", Labriola fu attivo nel
combattere, ad esempio, Enrico Ferri che cercò di definire il marxismo come una
forma derivata dell'evoluzionismo darwiniano, e il socialdemocratico tedesco
Eduard Bernstein che prese una posizione simile a quella di Turati.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Labriola aveva già capito in anticipo che il cosiddetto “comunismo agricolo”
della Russia non avrebbe potuto essere un percorso verso la rivoluzione
socialista e, in accordo con Engels, che la Russia avrebbe dovuto inizialmente
attraversare una fase di sviluppo borghese (ossia, di produzione di merci)
prima di poter ospitare un vero emergere di idee socialiste. Le sue opinioni
sul sottosviluppo russo, tuttavia, portarono a ciò che molti hanno visto come
una sorta di macchia morale sul suo pensiero: la sua posizione sul
colonialismo. Labriola immaginò il sottosviluppo risolto tramite la
colonizzazione da parte delle nazioni sviluppate, che avrebbero così portato le
nazioni sottosviluppate a un livello materiale in cui le idee socialiste avrebbero
potuto iniziare ad avere una certa risonanza. Va anche detto che cambiò idea
diverse volte su questo punto e sembrava, prima della morte di Engels nel 1895,
che concordasse con lui sul fatto che i governi fossero troppo corrotti e
legati ai finanzieri e al mercato azionario per impedire agli investitori di
impadronirsi delle colonie e sfruttarle in misura maggiore del numero di
persone che avrebbero potuto migliorare le condizioni di tali territori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Tuttavia, nel 1897, sulla questione della colonizzazione della Libia,
Labriola sembrò tornare alla sua precedente posizione, sostenendo che i
socialisti avrebbero dovuto sostenere i tentativi del governo italiano di
colonizzare la Libia sulla base del fatto che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">non può esserci progresso del proletariato in cui la borghesia è
incapace di progredire</i>”. Questo fu un anatema per i marxisti del tempo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Labriola fu letto e influenzò filosofi idealisti italiani come Benedetto
Croce e Giovanni Gentile, nonché da altri che affermavano di essere nella
tradizione marxista, come Rodolfo Mondolfo, Antonio Gramsci e Lelio Basso e,
fuori dall'Italia, da Trotsky, Lenin e Plekhanov.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">(tradotto dall’originale: ANTONIO LABRIOLA: A STRICT MARXIST? di Cesco,
Socialist Standard, issue 338, February, 2016. <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2016/2010s/no-1338-february-2016/antonio-labriola-strict-marxist/"><span style="color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;">https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2016/2010s/no-1338-february-2016/antonio-labriola-strict-marxist/</span></a>)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoTitle" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 14.0pt;">Lettera di
Antonio Labriola a Fredrich Engels<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Napoli, 2 settembre 1892 <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">(180, Riviera) <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Egregio Signore, <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">pregai Lafargue di rimetterle una mia lettera. In quella dicevo in poche
parole come le cose erano andate a Genova. Avrà visto il resto dai giornali, e
a quest’ora si sarà fatta una esatta idea di tutto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">lo sono sempre cauto nello scrivere all’estero delle cose d’Italia. Pochi,
o forse nessuno dei socialisti viventi, si trovano nella posizione sua.
Cinquant’anni di vita rivoluzionaria, la conoscenza delle lingue, della storia
e degli uomini di tanti paesi, e l’abito schiettamente scientifico della mente,
le danno il modo di intendere le cose dal vero, dalle fonti e senza illusioni.
Per lei la critica è l’essenziale della conoscenza, ma per le moltitudini l’illusione
è necessaria, e come per essi l’illusione è una forza, lasciamo che l’abbiano.
E diremo col <i>Socialiste</i>, col <i>Vorwärts</i> e con l'<i>Arbeiterzeitung</i>:
finalmente il socialismo, come partito politico, è nato anche in Italia! <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">D’altra parte, per ragioni di prudenza e di tattica, il socialismo
internazionale non può fare a meno di riconoscere come suoi alleati i secessionisti,
i pentiti, i convertiti all’ultima ora, che a Genova hanno «<i>more italico</i>»
<i>fabbricato</i> un partito, quali che siano le cause, e i probabili effetti
del pentimento e della conversione. C'è almeno questo di guadagnato, che nel
prossimo Congresso di Zurigo [1] non potrà partire dall’Italia una schiera di
rompiscatole, che facciano da alleati degli Hans Müller, dei Domela e di altri
simili schiamazzatori. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Non mi meraviglia che in Francia e in Austria non si pensi a criticare le
cose d’Italia. Hanno i socialisti di quei due paesi troppi guai a casa propria.
Ma il contegno della stampa tedesca è imperdonabile. Con un partito così
numeroso e così forte, sicuro di sé e dello avvenire, con tanti giornali
diffusi e forniti di mezzi economici, con tanto credito di precursori mondiali,
i socialisti tedeschi avrebbero il dovere della chiaroveggenza e il diritto
ancora d’insegnare agli altri. Invece si prestano alla <i>réclame</i>. Ha visto
come è finita la commedia di De Amicis nell'articolo di Maurizio [2], che non
diceva nemmeno tutto, perché al Kautsky non conveniva che si dicesse tutto? La
lezione che venisse dai tedeschi avrebbe grande effetto in Italia. Qui da noi
si ha un’idea quasi superstiziosa della scienza e del valore dei tedeschi. Non
potrebbe sorgere, per esempio, a Zurigo un giornale di carattere
internazionale, che garantisse la misura e la sincerità delle comunicazioni
internazionali? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Ed ora torniamo <i>a noi</i>, eccole in breve i motivi della mia
incredulità sugli effetti di quel che è accaduto a Genova. Può darsi che m’inganni
- desidererei quasi di aver torto - ma questo è il mio sentimento <i>ora</i>.
Da due anni sostengo una polemica privata epistolare col Turati, assai curiosa.
Cominciò dal momento che io proposi, lui quasi renitente, l’indirizzo al
Congresso di Halle [3]. Pigliando argomento dalle lotte tra legalitari ed
antilegalitari, dal suo modo di scrivere nella <i>Critica Sociale</i>, dalla
smania che aveva di abbracciar tutto e di contentar tutti, e dalla voglia di
lodare e di biasimare un po' capricciosamente, io lo esortavo a prendere una
via, a decidersi, ad adottare una dottrina od una linea di condotta. E lui a
darmi del marxista, del tedesco, dell’ideologo, dell’ignaro della vita, dell’amante
della linea logica. La cosa è andata così fino al 25 del passato luglio, che io
mi rifiutai di andare a Genova, perché Turati e gli altri di Milano mi
scrivevano: essere cosa impossibile un programma netto; convenire barcamenarsi
tra anarchici, socialisti ed operai puri; non essere gli operai italiani maturi
per la politica; doversi attendere; andassi io a Genova a difendere le <i>mie</i>
idee. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Intanto la sollevazione degli <i>operai puri </i>contro socialisti
politici, accaduta a Milano, trasformava le cosiddette <i>mie idee</i> in
programma della <i>Lotta di classe</i>, diventata di botto organo critico del
programma che si aveva impegno di sostenere a Genova. Il resto è stato un
pasticcio all’italiana, con le solite commediole e burlette, e con buona dose
di malafede. Gli <i>opportunisti</i> della vigilia, diventati di botto «marxisti,
tedeschi ed amanti della linea logica», abbandonarono il <i>proprio</i>
programma ai <i>loro</i> avversari, e dalla sera alla mattina divennero
fondatori del partito socialista, per via di un <i>emendamento</i> [4].<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Molti particolari mi sfuggono, perché sono lontano da Roma, ma dal
complesso delle lettere ricevute, e dai giornaletti che ho letto, desumo che ci
furono molti pettegolezzi e che la soluzione inaspettata è frutto di puntigli e
di gare di capitani. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Ma comunque la cosa sia nata - e quasi tutte le cose umane nascono male, e
quasi per caso, almeno nell'apparenza - si tratta ora di sapere se potrà avere
effetti utili e duraturi, o se dovrà degenerare in una delle solite vanità ‘consortesche’
alla italiana. Eccole i dati: <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Gli anarchici sono relativamente molti, e arditi parecchio. Non sono
anarchici per le dottrine che professano, che anzi le poche volte che ragionano
parlano da comunisti. Ma riflettono la tradizione cospiratoria dei Carbonari:
sono dei comunardi fuori luogo e dei blanquisti ignoranti; hanno presa sulla
moltitudine dei disperati, sensibili sempre all’idea della insurrezione, che
chiamano rivoluzione. Potranno essere assorbiti o eliminati da una forte
organizzazione, quando verrà, ma non possono essere vinti da un manipolo di
socialisti, i quali fanno di tutto per parere non rivoluzionari, e ci tengono a
passare per legalitari. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Quei tali operai puri che non vogliono sentir parlare di politica,
rappresentano una non irragionevole diffidenza contro la demagogia d’ogni
maniera, compresa quella dei socialisti. Il loro <i>astensionismo anemico</i>
talune volte s’accorda con l’astensionismo rivoluzionario degli anarchici e dei
mazziniani, altra volta viene manipolato dalla borghesia a scopi elettorali,
per via di transazione. Il secondo caso si è sempre verificato a Roma, fino
alle ultime elezioni comunali, come le scrissi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Il concetto della «lotta di classe» è tanto elastico, tanto aereo, tanto metaforico
ancora nella testa degli italiani, che i mazziniani (“Dio e Popolo”) se lo son
quasi appropriato dopo il Congresso di Palermo. Il Maffi è entrato nel Comitato
socialistico di Milano per fare gli interessi delle «Società affratellate».
Queste sperano di assorbire tutto il movimento operaio nel prossimo Congresso
di Bologna (pare che Sombart lo sperasse). C'è una gara a <i>farsi le mosse</i>,
come si dice in buon toscano. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Tutto porta all'impossibilità di organizzare delle grandi masse. Ciò non
può un Comitato residente a Milano, senza mezzi, e fatto di gente che non si
può muovere. Nel Comitato ci sono Croce e Lazzari. Ora io la prego di leggere la
relazione sulla «Borsa del lavoro» che le mandai segnata in più punti di matita
rossa; e dica se queste egregie persone, che scrivono quella roba da servitori,
abbiano il diritto di parlare di lotta di classe e di conquista dei poteri. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Rimane il giornale, come unico risultato plausibile del Congresso. Bisogna
che esista, ed io farò quanto è in me per aiutarlo. È il solo mezzo per
illustrare il programma votato alla rinfusa, e per esplorare dove sono gli
elementi che dovranno costituire il partito. Ma il guaio è che non vi sono i
danari, e mentre il<i> Vorwärts</i> annunziava assicurata la esistenza del
giornale per due anni, la cosa è tanto in aria che il Prampolini mi scrive che
lui non va a Milano perché non c’è di assicurato almeno 150 lire il mese. E il
Prampolini è un povero impiegato della Camera del Commercio di Reggio a 93 lire
il mese. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Questo lo stato vero delle cose, e giudichi lei. Veda se non c’è da ridere
dei gridi di vittoria, usciti dalle colonne della <i>Lotta di classe</i>, dei
ragionamenti a base di ipotesi fatti in tanti giornaletti, e delle promesse
alquanto vane. Ma questo ridere non è un piacere. Là ad ogni modo c'è un gruppo
di persone impegnate a seguire una linea di condotta; c'è un Comitato
responsabile per lo meno di quello che non farà; c’è, spero, un giornale di
propaganda; c’è l'embrione di qualche cosa. Forse avremo delle persone impegnate
ad acquistare il credito della meritata popolarità, prima di conquistare il
potere, dei deputati che non vendono il veto (come Moneta e Maffei) o che
mancano alla Camera intenzionalmente (come Agnini e Prampolini l’11 giugno u.s.)
in momenti solenni, e dei consiglieri comunali che non arrivano al potere per
favorire gli amici affamati (come è accaduto per anni in Romagna ed a Catania).
Può darsi che il piccolo partito sorto di sorpresa, e il programma votato alla
rinfusa, facciano nascere l’amore della disciplina e il pudore della
responsabilità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Mi creda suo sempre<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">A. Labriola <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">[1] Il III Congresso della II Internazionale che ebbe luogo nell’agosto 1893.
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">[2] È l’articolo di Maurizio Adam, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">De
Amicis und sein Sozialismus</i> (“De Amicis e il suo socialismo”), che fu
ispirato indubbiamente da Labriola e comparve sulla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neue Zeit</i>, anno 1892, pp. 626 e sgg.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">[3] Labriola aveva redatto l'indirizzo rivolto nell'ottobre 1890 dai
socialisti italiani <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Alla democrazia
sociale di Germania radunata in Congresso ad Halle</i>. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L'Indirizz</i>o. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sulla
preparazione,</i> pubblicato in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Scritti
vari, </i>op. cit., pp. 245-248; cfr. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Filippo
Turati attraverso le lettere di corrispondenti</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(1880-1925),</i> Laterza, Bari, 1947, p. 57.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">[4] Il Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori italiani, eletto al
congresso operaio di Milano (1891), aveva pubblicato alla vigilia del Congresso
di Genova un progetto di statuto e di programma del partito. Su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La lotta di classe</i> (nn. 2 e 3, 6-7 e
13-14, agosto 1892) se ne era discusso e si erano respinte alcune frasi
generiche in quanto espressione di un socialismo non scientifico.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">(Biblioteca del movimento operaio italiano: Antonio Labriola. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lettere ad Engels</i>, edizioni Rinascita, Roma,
1949).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha6cuA_Q-FzsFotv6hPJBcaJ7yaIdRRhfXqQV0J_0Ga_mzeaKONWq7r4wrYViSuvyv6BV6VgOjtcyNpliknaJjm_j9Wg4jTG-4X9gIDbeGqD-V5c0SSjeh5fN-6E9Lc5-lnUlkn_ZsG1E/s1600/Antonio+Labriola.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="290" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha6cuA_Q-FzsFotv6hPJBcaJ7yaIdRRhfXqQV0J_0Ga_mzeaKONWq7r4wrYViSuvyv6BV6VgOjtcyNpliknaJjm_j9Wg4jTG-4X9gIDbeGqD-V5c0SSjeh5fN-6E9Lc5-lnUlkn_ZsG1E/s320/Antonio+Labriola.jpg" width="232" /></a></div>
<br /></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-73611401798575710722020-01-29T16:42:00.002+01:002020-02-02T18:42:07.749+01:001920 - 2020 L’Occupazione delle Fabbriche e il mito della mancata rivoluzione socialista in Italia<!--[if gte mso 9]><xml>
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</xml><![endif]--><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Introduzione</span></b><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tra
il 25 e il 30 settembre del 1920, esattamente un secolo fa, terminava il
cosiddetto movimento di “Occupazione delle Fabbriche”<i style="mso-bidi-font-style: normal;">,</i> con </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">gli
operai che sgomberavano pacificamente gli stabilimenti riconsegnandoli agli
industriali. Quasi contemporaneamente, il 2 ottobre, quando l'occupazione era
da poco conclusa, il settimanale socialista torinese <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ordine
Nuovo</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> pubblicava un
editoriale [1] in cui, oltre ad ammettere la sconfitta dei lavoratori
industriali, si accusavano i dirigenti sindacali e i burocrati di partito di
esserne i responsabili. Finiva la cronaca ed iniziava già il mito, quello della
</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">mancata
rivoluzione socialista in Italia. Una leggenda ancora largamente diffusa nella
sinistra “radicale” italiana: dai leninisti agli anarchici, dai trotzkisti [2]
ai bordighisti, dagli “operaisti” fino, addirittura, ad alcune frange più intransigenti
della socialdemocrazia. Più in generale, tutto il periodo degli anni 1919 e
1920, noto in Italia con il nome pittoresco di “Biennio Rosso”, verrà visto da
molti come un susseguirsi di possibili occasioni pre-rivoluzionarie nelle quali
i lavoratori, potenzialmente e obiettivamente in grado di conquistare il potere
politico ed economico, furono sistematicamente illusi e ingannati dai loro
dirigenti partitici e/o sindacali. Traditi dai socialisti del PSI secondo gli
anarchici, traditi dalla potente minoranza riformista della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Confederazione Generale del Lavoro</i>
(CGdL) secondo i socialisti massimalisti, traditi sia, direttamente, dai riformisti
sia, indirettamente, dai massimalisti secondo la cosiddetta “frazione
astensionista” del PSI, che avrebbe di lì a poco formato il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Comunista d’Italia</i> (PCdI) sotto
la pressione della potente componente bolscevica russa del<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Komintern</i> (Internazionale Comunista).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Personalmente<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>non siamo affatto d’accordo con questo
ridicolo scaricabarile. La nostra tesi è radicalmente diversa: nel Biennio
Rosso non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione socialista in Italia e nel
resto dell’articolo cercheremo di spiegarne chiaramente le ragioni. Tuttavia, prima
di cominciare, è necessaria una brevissima ma cruciale precisazione: anche se
alcune delle nostre analisi di questo fenomeno storico sembreranno
esteriormente simili a quelle apparse in quegli anni sulle colonne della
rivista teorica riformista del PSI, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Critica
Sociale</i> di Filippo Turati, noi non siamo assolutamente dei riformisti.
Anzi, all’opposto, pensiamo che il sistema capitalista non possa esser
trasformato gradualmente nel suo successore storico, il Socialismo. In questo
senso, pur riconoscendo che su alcuni singoli punti (la critica alla Rivoluzione
d’Ottobre, il rifiuto dei moti insurrezionali violenti ecc. [3]) Turati e i
suoi compagni interpretarono l’insegnamento di Marx ed Engels meglio dei loro
avversari massimalisti e leninisti, non ne possiamo in alcun modo condividere
scelta strategica di fondo: faticosi progetti parlamentari di leggi per la
riforma sociale, lenta conquista politica dei comuni urbani con la conseguente
creazione di cooperative e di aziende municipalizzate ecc., fino all’illusione
finale di potersi alleare nel 1924 con la parte più “democratica” della
borghesia in vista di un ipotetico fronte antifascista che salvasse il paese
dalla dittatura mussoliniana. Come sono lontani i tempi (26 gennaio 1894) in
cui Friedrich Engels in persona istruiva [4] il giovane avvocato Turati sui
gravissimi rischi di un governo di coalizione tra partiti socialisti e forze
politiche borghesi! Ma questa è proprio la parabola storica (1892-1925) del “primo
riformismo italiano” che meriterebbe un approfondimento a parte e che esula,
ovviamente, dal tema del presente articolo.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">L’Italia
nel 1911</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come
spiegano chiaramente Marx ed Engels in molti passi della loro opera
storico-politica [5], il Socialismo potrà essere raggiunto soltanto in seguito
al completo sviluppo del capitalismo su scala planetaria, ossia quando
quest’ultimo avrà poco o nulla da offrire all’umanità in termini di progresso
materiale, morale e intellettuale. Questo non per un’astratta filosofia della
Storia, ma, concretamente, per almeno due ragioni principali: solo lo sviluppo
capitalistico crea la base materiale altamente tecnologica (le “forze
produttive”, secondo il marxismo) per la realizzazione del Socialismo, che,
come sappiamo, è una società dove i bisogni umani saranno soddisfatti in modo
totalmente gratuito e il lavoro sarà del tutto libero. Inoltre, sempre per Marx
ed Engels, la classe sociale artefice di questa grande trasformazione sarà
quella dei lavoratori salariati i quali, però, divengono la larga maggioranza
della popolazione esclusivamente nel quadro di un capitalismo maturo. Oggigiorno
questa situazione è davvero sotto gli occhi di tutti e soltanto le perduranti
sovrastrutture ideologiche impediscono alla maggioranza dei lavoratori di tutto
il mondo di prenderne coscienza. Ma com’era il capitalismo cento anni fa,
all’inizio del secolo scorso?</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La
cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”, guidata dal tumultuoso sviluppo
economico di Stati Uniti d’America e Germania, unitamente alla corsa alla
colonizzazione imperialista sancita dal congresso di Berlino (1878), avevano
dato luogo, per la prima volta nella intera storia umana, a un sistema
economico integrato su scala mondiale caratterizzato da un economia capitalista
altamente “finanziarizzata” e costellata da grossi gruppi industriali
oligopolistici. Alcuni storici dell’economia hanno coniato per questa fase il
termine di “prima globalizzazione” (dato che la seconda è quella odierna). Per
questo motivo una grossa parte dei marxisti del periodo 1889-1914, la
cosiddetta “età della Seconda Internazionale”, riteneva la rivoluzione
socialista oggettivamente e soggettivamente già possibile, se non addirittura
imminente [6]. È importante capire però che il fatto, certamente vero,
dell’espansione del capitalismo su scala mondiale non implicava che nel 1914
tutti i paesi presentassero simultaneamente lo stesso grado di maturità
capitalista. Crederlo sarebbe un errore grossolano e anti-dialettico molto
pericoloso, noto in logica come la “fallacia di composizione” (se un insieme
gode di una certa proprietà, non necessariamente tutti i suoi elementi godono
individualmente della stessa proprietà). All’opposto, persino in Europa, che
era stata la culla della “prima rivoluzione industriale” (in Gran Bretagna
prima e poi anche in Belgio e Francia), coesistevano situazioni molto varie: il
feudalesimo era ormai scomparso ovunque, persino nell’arretratissima Russia (nel
1861), ma il modo di produzione capitalista non aveva ancora portato
all’industrializzazione completa di tutto il continente. Nelle aree dell’Europa
Meridionale (Portogallo, Spagna, Italia e Balcani) ed Orientale (la metà
ungherese dell’Impero Asburgico e l’Impero Russo) l’economia era ancora
dominata dall’agricoltura anche se alcune isole d’industrializzazione avevano iniziato
a crescere velocemente alla fine del XIX secolo grazie alla sinergia tra
capitali nazionali e investimenti stranieri; per esempio la Catalogna e i Paesi
Baschi in Spagna, il triangolo industriale Torino-Milano-Genova in Italia, i
distretti di San Pietroburgo e di Mosca in Russia ecc. In aggiunta va ricordato
che anche il mondo rurale europeo non presentava agli inizi del XX secolo
caratteristiche omogenee: in taluni paesi (o, meglio, in talune zone di
determinati paesi) dominava la grande proprietà fondiaria gestita in modo
capitalistico moderno, altrove la piccola e media proprietà contadina, mentre
continuava a sussistere persino il latifondo (in Russia, Polonia, Ungheria, Italia
Meridionale, Spagna Centrale e Meridionale), un arcaico residuo di strutture
produttive legate all’antica nobiltà terriera.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Basterebbe
quanto appena citato per comprendere l’improbabilità di una rivoluzione
socialista nell’Italia dell’inizio del XX secolo, ma sarà forse utile fornire
qualche cifra relativa agli anni precedenti all’entrata in guerra dell’Italia
nel 1915. Fortunatamente nel 1911 vi è un importante censimento ufficiale che registra
<span style="background: white;">35.841.563 residenti di cui, secondo Montroni
[7], solo il 31,3% vive in contesti urbani. Gli attivi arrivano appena al 47,7%
dei residenti. Crafts [8] stima per il 1910 un prodotto interno lordo pro-capite
di 548$ (in dollari USA equivalenti del 1970), da confrontarsi con i valori di 1.302$,
958$ e 883$, rispettivamente per Gran Bretagna, Germania e Francia, rivelando
così la palpabile arretratezza della struttura economica italiana, appena
superiore a quella russa (398$). Ma forse più interessante ancora sono i due
dati riportati da Federico [9]: sempre nel 1911 l’agricoltura pesa ancora sull'<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; mso-bidi-font-weight: bold;">economia
italiana</span></i> per circa il 38-40% in termini di prodotto nazionale lordo
e per circa il 58-59% in termini di occupazione totale. Degli occupati rurali, Pescosolido
[10] afferma poi che il 52,8% non possiede la terra dove lavora e va
considerato, almeno parzialmente, come bracciantato “avventizio”, vero e
proprio proletariato agricolo, la parte più povera del paese, largamente
analfabeta e certamente più interessata a una possibile riforma agraria che al
Socialismo (ciò nonostante la vedremo lottare con particolare determinazione
durante tutto il Biennio Rosso). L’industria occupa invece il 23,7% degli
attivi e contribuisce per il 25,1% alla produzione lorda nazionale. I servizi occupano
infine il 17,9% degli attivi e contribuiscono per il 22,3% alla produzione
lorda nazionale di cui più della metà passa attraverso la Pubblica
Amministrazione. Combinando insieme le varie cifre citate siamo in grado di
fornire (con l’aiuto, per esempio, del noto saggio di Sylos Labini [11]) una
stima approssimativa della percentuale dei lavoratori salariati italiani sul
totale degli attivi: circa il 49%, così suddivisi tra agricoltura (26% degli
attivi), industria (17% degli attivi) e servizi (6% degli attivi), escludendo
però il ceto impiegatizio (privato e pubblico) assimilato da Sylos Labini, in
modo discutibile, alla piccola borghesia, ma pari nel 1911 già all’11% degli
occupati. Anche accostando, un po’ acriticamente, i braccianti e gli operai
industriali e dei servizi con gli impiegati di vario genere, emerge una nazione
in cui i lavoratori dipendenti sono poco più della metà degli attivi (circa il
60%), mentre l’altra parte, formata da coltivatori diretti, artigiani,
bottegai, commercianti, liberi professionisti, imprenditori e agrari, è ancora
robustamente attestata intorno al 40%. I lavoratori dipendenti urbani poi,
raggiungono appena il 34%; la grande trasformazione del secondo dopoguerra che
porterà alla quasi scomparsa dei piccoli e medi coltivatori (8% degli attivi
nel 1983) e alla grande espansione del ceto impiegatizio (26% degli attivi nel 1983),
è ancora di là da venire nel periodo che stiamo considerando.</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Il
Partito Socialista Italiano</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Come
abbiamo appena visto il capitalismo italiano degli inizi del XX secolo, benché
in evidente transizione da un’economia principalmente rurale ad una largamente basata
sull’industria e sui servizi, non è certamente a un livello di sviluppo analogo
a quello della Gran Bretagna, della Francia, della Germania o degli Stati Uniti
d’America, mostrando, un po’ come l’Austria-Ungheria, caratteristiche ibride tra
quelle dei paesi suddetti e quelle delle nazioni europee orientali (i Balcani, l’Impero
Russo ecc.). Ma sarebbe una grave semplificazione limitarsi a un’analisi
puramente numerica e quantitativa della classe lavoratrice italiana di questo
periodo. L’autentico pensiero socialista ha sempre ribadito anche l’importanza
del fattore soggettivo per il raggiungimento del Socialismo; essendo infatti una
società basata sul libero accesso ai consumi e sul lavoro puramente volontario,
esso non ammette, come al contrario avveniva in tutte le realtà classiste
precedenti, una divisione tra capi e gregari, tra chi comanda e chi ubbidisce,
e nemmeno tra chi coordina e organizza e chi invece si limita ad eseguire
quanto gli si chiede compiere. Questa assenza implica immediatamente che i
lavoratori che lottano per il Socialismo devono necessariamente essere
preparati ad esso: le loro concezioni politiche (e di conseguenza anche le loro
azioni pratiche) dovrebbero, almeno in modo embrionale, prefigurare la
consapevolezza e l’alto livello di coscienza necessari per costruire e
conservare la società futura senza classi. Il requisito soggettivo minimo per
la Rivoluzione Socialista è quindi quello per cui un’ampia maggioranza di
lavoratori voglia coscientemente il Socialismo, ovvero: abbia una minima
cultura di base (alfabetizzazione), sappia cosa sia il Socialismo, ne faccia
apertamente propaganda e sia disposta a lottare duramente per averlo, ma senza
seguire in modo servile e pedissequo eventuali avventurieri politici dalla demagogia
populista “socialisteggiante”. Marx ed Engels diffidarono per tutta la loro
vita dei politici troppo carismatici che assumevano volontariamente, forse
persino in buona fede, pose tribunizie o da capi ispirati (<span style="background: white;">Wilhelm <i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; mso-bidi-font-weight: bold;">Weitling</span></i>, </span>Luis Blanc, Giuseppe
Mazzini, Ferdinand Lassalle, Henry Hyndman ecc.), apprezzando piuttosto i semplici
militanti operai che si erano auto-istruiti lentamente e faticosamente per
approdare da soli al pensiero socialista, come ad esempio il conciatore-filosofo
<span style="background: white;">Joseph Dietzgen. Marx </span>aveva così ben
chiaro questo punto che nel 1864 volle scrivere alla <span style="background: white;">prima riga degli<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"> "Statuti
Provvisori dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori"</span></i></span>
(ossia la Prima Internazionale): <i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">"Considerando che: (1) l'emancipazione dei lavoratori
sarà opera dei lavoratori medesimi (…)". Purtroppo però la cruenta repressione
della Comune di Parigi nel 1871 (con più di 30.000 morti tra gli insorti) e i
dissidi tattici e organizzativi tra i socialisti marxisti e gli anarchici bakunisti,
portarono prima a una scissione e poi alla liquidazione dell’esperienza
dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, che già nel 1876-1877 poteva
dirsi conclusa.</span></i><i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-style: normal;"></span></i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
periodo successivo vide la rinascita del socialismo e di partiti
dichiaratamente “operai” in tutta Europa, prima più lentamente tranne che in
Germania [dove il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialdemocratico Tedesco</i> (SPD) era già stato fondato a Gotha nel 1875],
poi, parallelamente alla fondazione della Seconda Internazionale a Parigi nel
1889, in modo sempre più rapido in moltissimi paesi (Spagna 1879, Francia 1882,
Belgio 1885, Austria e Svezia 1889, Italia 1892, Paesi Bassi 1894, USA e Russia
1898, Gran Bretagna 1900 ecc.). Tuttavia, nonostante l’attenta e acuta
supervisione di Friedrich Engels durata fino alla sua morte avvenuta
nell’agosto del 1895, la Seconda Internazionale non fu affatto rigorosa nella
selezione dei partiti membri: il carattere schiettamente classista, il legame
con i sindacati operai, la lotta per l’estensione della democrazia, per il
suffragio universale maschile e per alcune riforme basilari del lavoro (ad
esempio la giornata di otto ore), una generica opposizione al militarismo, al
colonialismo, al clericalismo e all’autoritarismo, potevano esser più che
sufficienti per guadagnarsi in quegli anni la fama di “socialisti”, lasciando
però l’idea stessa di Socialismo con dei contorni volutamente sfumati a un
futuro piuttosto remoto. Al marxismo venne tributato inizialmente il massimo
onore, ma più come quadro teorico generale che come strumento di lotta politica,
poi, con Bernstein e il celebre <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Revisionismusdebatte</i>
del 1896, alcuni cominciarono a mettere in discussione sempre più apertamente
le previsioni sull’evoluzione capitalista attribuite, in modo un po’ frettoloso,
a Marx ed Engels. C’era in tutta la Seconda Internazionale una voglia di
crescere rapidamente, di edificare partiti di massa influenti sia nel mondo
sindacale che in quello politico, acquistando in modo veloce e sistematico
seggi parlamentari se non, addirittura, intere amministrazioni comunali. Con
l’eccezione del clamoroso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">affaire
Millerand</i> del 1899, gli unici veri tabù rimasti in piedi furono quelli
della partecipazione a governi di coalizione con partiti “borghesi” e del
sostegno alle guerre imperialiste; ma lo scoppio della Grande Guerra nel 1914
s’incaricherà subito d’infrangere entrambi. Per il resto lo snodo tattico
cruciale sembrava essere solo uno: differenziarsi in tutto e per tutti dagli
anarchici e dagli anarco-sindacalisti, dalla loro stampa rozza e irregolare,
dalla loro predicazione settaria e fanatica, dai loro gesti dimostrativi
plateali che rasentavano (e sovente raggiungevano) il crimine, dalla loro
mancanza di precisione, disciplina e organizzazione, dal loro rifiuto di ogni
compromesso e ogni accordo, anche il più vantaggioso. Era il mito del nuovo
movimento operaio che rimpiazzava il vecchio, del “socialismo scientifico” che,
nell’epoca appunto del positivismo, sostituiva in modo irreversibile quello
“utopico e libertario” [12].</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma
torniamo allo specifico dell’Italia. Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista Italiano</i> (PSI), che nasce nel 1892 a Genova (col nome
provvisorio di “Partito dei Lavoratori Italiani”<i style="mso-bidi-font-style: normal;">)</i> dalla fusione di varie leghe e movimenti dell’Italia
Settentrionale a vocazione operaista (Croce e Lazzari), filantropica e
“tradunionista” (Bignami e Gnocchi-Viani), riformista (Turati) e persino
ex-anarchica (Costa), è quasi un caso paradigmatico della voluta mescolanza tra
propaganda rivoluzionaria e pratica riformista, tipica, come si è visto, dei
partiti della Seconda Internazionale. Tuttavia, a differenza della SPD tedesca,
che codificò tale duplicità nel congresso di Erfurt [13] con la scelta di due
programmi (quello “minimo”, riformista, e quello “massimo”, rivoluzionario), il
PSI non riuscì a darsi un documento fondante di spessore teorico per ciò che
concerne l’obiettivo politico finale del Socialismo. Si può leggere infatti il
seguente “Programma del 1892”:</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Considerando che nel
presente ordinamento della società umana gli uomini sono costretti a vivere in
due classi: da un lato i lavoratori sfruttati, dall’altro i capitalisti
detentori e monopolizzatori delle ricchezze sociali; </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">che i salariati d’ambo i
sessi, d’ogni arte e condizione, formano per la loro dipendenza economica il
proletariato, costretto ad uno stato di miseria, d’inferiorità e di
oppressione; </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">che tutti gli uomini, purché
concorrano secondo le loro forze a creare e a mantenere i benefici della vita
sociale, hanno lo stesso diritto a fruire di codesti benefici, primo dei quali
la sicurezza sociale dell’esistenza</span></u></i><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">;
</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">riconoscendo che gli attuali
organismi economico-sociali, difesi dall’odierno sistema politico,
rappresentano il predominio dei monopolizzatori delle ricchezze sociali e
naturali sulla classe lavoratrice; </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">che i lavoratori non
potranno conseguire la loro emancipazione se non mercé la socializzazione dei
mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.) e la
gestione sociale della produzione; </span></u></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">ritenuto che tale scopo
finale non può raggiungersi che mediante l’azione del proletariato organizzato
in partito di classe, indipendente da tutti gli altri partiti, esplicantesi
sotto il doppio aspetto: </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">1° della lotta di mestieri
per i miglioramenti immediati della vita operaia (orari, salari, regolamenti di
fabbrica, ecc.) lotta devoluta alle Camere del Lavoro ed alle altre
Associazioni di arti e mestieri; </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">2° di una lotta più ampia e
intesa a conquistare i poteri pubblici (Stato, Comuni, Amministrazioni
pubbliche, ecc.) per trasformarli, da strumento che oggi sono di oppressione e
di sfruttamento, in uno strumento per l’espropriazione economica e politica
della classe dominante; </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">i lavoratori italiani, che
si propongono la emancipazione della propria classe, deliberano: </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">di costituirsi in Partito,
informato ai principi suesposti e retto dal seguente ‘Statuto, Costituzione del
Partito’ (…)” </span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">;</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">notando
che, a fianco di una corretta visione classista della società (invero un po’
semplificata), compare principalmente una forte denuncia morale delle enormi disuguaglianze
tra proletari e capitalisti, nonché della inclinazione delle istituzioni
statali a proteggere e conservare tali disuguaglianze. Per quello che concerne
il Socialismo il livello programmatico è davvero embrionale (vedi le nostre
sottolineature del testo): vi è una versione estremamente edulcorata della nota
idea comunista “da ciascuno secondo le sue possibilità e a ciascuno secondo i
suoi bisogni”, unita a una vaga promessa di “socializzazione” dei mezzi di
produzione e di “gestione sociale della produzione” (senza spiegazione alcuna
dei termini). Ma diamo pure per valida, pur con mille dubbi e perplessità, la
descrizione programmatica del Socialismo contenuta nel programma di fondazione
del PSI e ammettiamo per un attimo dunque che tutti i militanti del PSI
volessero coscientemente il Socialismo. Parliamo comunque di un partito che dal
1897 al 1909 passa da 27.281 a 31.960 iscritti, per raggiungerne gli 81.463 nel
1919, subito dopo la Grande Guerra, fino a toccare il tetto massimo di 216.327
iscritti nel 1921 come reazione alla scissione comunista [14]. Nel periodo
dell’Occupazione delle Fabbriche (autunno del 1920) possiamo quindi
realisticamente stimare una militanza di circa 150.000 iscritti; certo ancora poca
cosa (il 3,8%!) rispetto ai circa 3,9 milioni di lavoratori industriali e dei
servizi menzionati nel paragrafo precedente (volendo escludere quindi
braccianti e impiegati). Ma da questa modesta capacità di reclutamento dei
militanti sarebbe sbagliato dedurre una scarsa importanza del PSI nella società
italiana. Al contrario, la sua influenza diventa progressivamente sempre più
forte anche se sembra quella di un partito per “la promozione e il riscatto dei
lavoratori” più che per il Socialismo. Una realtà essenzialmente “laburista” e
riformista in cui i tre canali tipici dei partiti della Seconda Internazionale
sono sfruttati a pieno: competizione elettorale, carta stampata e azione
sindacale. Nel primo la crescita del consenso è davvero notevole: dal 2,95% dei
voti nel 1897 al 17,62% nel 1913, fino al 32,28% nel 1919 (pari a 1.834.792
voti) e al 24,69% (pari a 1.628.753 voti)</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">
</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">nel
1921 [14], anche se questa espansione deve tener conto delle due riforme
elettorali (del 1912 e del 1918) che introducono gradualmente il suffragio
universale maschile, la prima ai maggiori di 30 anni, la seconda ai maggiori di
21 anni. Per quello che concerne la stampa, ricordiamo qualche numero circa le
vendite dell’organo del partito, il celebre <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Avanti!</i>:
fondato nel 1896 dal liberal-socialista Leonida Bissolati, fu l’unico delle
quaranta e più pubblicazioni del PSI a raggiungere una tiratura su scala
davvero nazionale: partendo da soli 3.000 abbonati nel primo anno di vita, <span style="background: white;">l'<i>Avanti!</i> salì a 30-45.000 copie nel 1913 e a
60-75.000 copie nei primi mesi del </span></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/1914" title="1914"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">1914</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
[15]. Come terzo fattore è rilevante citare la crescita della summenzionata
CGdL, l’importante centrale sindacale socialista fondata, su impulso del
riformista Rinaldo Rigola, nel 1906 <span style="background: white;">dall’unione
di varie leghe di resistenza e federazioni, insieme ad oltre 700 piccoli
sindacati locali. Essa ebbe un totale immediato di 250.000 tesserati, che nel
1918 diventarono 600.000 e nel 1919 oltre un milione [16]. Orbene, nel 1920 la
sindacalizzazione dei lavoratori italiani raggiungerà l’astronomica cifra di circa
3,5 milioni di tessere, di cui ben 2.150.000 relative alla CGdL e 500.000
all’USI (un sindacato autogestionario fondato nel 1912).</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In
conclusione, cosa possiamo imparare da questo breve paragrafo sul PSI e sulla
sua azione nella classe lavoratrice italiana dell’inizio del XX secolo? Che pur
riscontrando grosse difficoltà nel propagandare l’idea stessa di Socialismo,
persino in una versione molto semplificata e annacquata, il partito comincia ad
acquisire gradualmente una certa rilevanza, anche se non enorme, utilizzando a
fianco della carta stampata anche i tipici mezzi del laburismo riformista
(programmi elettorali accattivanti e filo-operai, promozione di sindacati e
cooperative ecc.). Un esempio è il cosiddetto “programma minimo” del 1900,
approvato dal VI Congresso Nazionale per le elezioni politiche, dove la parola
“Socialismo” neppure compare! Poi però, dopo il breve periodo bellico (maggio
1915 – novembre 1918), succede qualcosa di inaspettato, anche per i dirigenti
socialisti, e il partito sembra, in apparenza, divenire per un biennio
l’arbitro della società italiana. Sarà l’effetto congiunto della Grande Guerra
e della Rivoluzione Russa, che dovremo necessariamente esaminare per riportare
l’Occupazione delle Fabbriche alla sua dimensione reale al di fuori del mito.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">I Massimalisti</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
PSI, come molti altri partiti della Seconda Internazionale, non presentava una
grande compattezza interna, ma all’opposto era diviso in correnti spesso in
forte polemica tra loro. In qualche modo questo era il portato delle modalità
con cui il partito era venuto alla luce: un’unione un po’ frettolosa di
militanti, sia borghesi sia operai, dalle origini più disparate: ex-mazziniani
democratici e repubblicani, radicali massoni e anticlericali, studiosi e
propagandisti marxisti, dotti professori positivisti, ex-anarchici bakunisti
non completamente pentiti, sindacalisti focosi e impulsivi ecc. Tuttavia la
dialettica interna fece presto (nel 1900-1902) cristallizzare due grossi
blocchi contrapposti: i “riformisti” di Filippo Turati e Leonida Bissolati e i
“rivoluzionari” di Arturo Labriola ed Enrico Ferri. I primi furono sicuramente
molto più influenti sul piano sindacale, parlamentare e inizialmente della
stampa, ma vennero spesso sospettati di “ministerialismo” (ipotetica collusione
con i governi liberali), mentre i secondi primeggiarono nella propaganda e
nell’agitazione, sfruttando i molti episodi di malcontento che periodicamente
opponevano il povero proletariato italiano non solo al padronato, ma anche al
governo e alle sue forze dell’ordine. Dopo un iniziale prevalere dei
riformisti, nel 1904 si affermano per un biennio i rivoluzionari (con la segreteria
di Ferri), per poi cedere di nuovo le redini del partito a un’alleanza tra i
riformisti e i cosiddetti “integristi” (oggi diremmo i “centristi”) di Oddino
Morgari. L’espulsione degli anarco-sindacalisti nel 1907 e lo scivolamento di
Ferri verso il centro “integrista”, smorzano per un po’ le polemiche interne al
partito, che ritorna <i style="mso-bidi-font-style: normal;">de facto</i> al
riformismo turatiano nel 1908 con la segreteria di Pompeo Ciotti. Ma questa
calma, solo apparente, viene definitivamente perduta nel 1912 durante il XIII
congresso, dove prevalgono le istanze rivoluzionarie di Costantino Lazzari e
viene espulso Bissolati con i suoi collaboratori (ovvero i riformisti più a destra),
sia per la sua debole opposizione alla conquista della Libia, ma ancora di più
per essersi recato di sua iniziativa al Quirinale durante le consultazioni
governative. Il giovane massimalista Benito Mussolini diviene direttore dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Avanti!.</i> Da questo momento in poi il PSI
svilupperà un’anomala evoluzione verso un radicalismo sempre più spinto che lo
porterà, dopo i moti della Settimana Rossa (7-14 giugno 1914), cosa quasi unica
nella Seconda Internazionale, a un’intransigente opposizione alla Grande Guerra
e, successivamente con il XV congresso di Roma del settembre 1918 e il XVI
congresso di Bologna dell’ottobre 1919, addirittura a un entusiastico appoggio
alla Rivoluzione d’Ottobre e al progetto bolscevico di una III Internazionale<i style="mso-bidi-font-style: normal;">.</i> Le parole d’ordine del PSI divengono
quindi </span><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">"</span></i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_socialista" title="Stato socialista"><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">repubblica socialista</span></i></a><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">"</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e <i>"</i></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Dittatura_del_proletariato" title="Dittatura del proletariato"><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">dittatura del
proletariato</span></i></a><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">"</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel
frattempo la maggioranza massimalista del partito aveva iniziato a trattare la
corrente riformista di Turati con sempre maggior fastidio, come una sorta di
corpo estraneo all’organizzazione, da sopportare soltanto per i suoi meriti passati,
la sua abilità parlamentare e, soprattutto, per i suoi forti legami con la CGdL
di D’Aragona e Buozzi. L’espulsione finale arriverà solo nel 1922 dietro
pesanti pressioni del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Komintern</i> nel
tentativo, peraltro fallito, di recuperare lo strappo con i comunisti. Il lungo
periodo della segreteria Lazzari (10 luglio 1912 - 24 gennaio 1918 e poi ancora
20 novembre 1918 - 22 marzo 1919) è anche quello che vede l’astro nascente di Mussolini,
il quale, fino all’espulsione definitiva per bellicismo nel 1914, sarà uno dei
capi rivoluzionari del partito insieme a Lazzari stesso e a Giacinto Menotti
Serrati, quest’ultimo particolarmente ispirato dai bolscevichi russi. Ma cosa
significava nel contesto italiano essere un socialista “rivoluzionario” (ovvero
“massimalista”) nel periodo 1904-1917? E cosa invece dopo la Rivoluzione
d’Ottobre, che fu discussa e accolta nel XV e nel XVI congresso del partito? Si
tratta di due domande importanti per capire la nascita di tante illusioni circa
il Biennio Rosso e, soprattutto, l’Occupazione delle Fabbriche, anche se data
la brevità del presente articolo non potremo certamente studiare con cura le
varie sfumature del pensiero socialista in Enrico Ferri, Arturo Labriola,
Costantino Lazzari, Benito Mussolini o Giacinto Menotti Serrati. E in effetti
non ce ne sarebbe neppure realmente bisogno, in quanto, almeno secondo una
celebre definizione dello storico Gaetano Arfè [17], <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“la corrente di sinistra arriva al governo del partito con un bagaglio
di idee assai poco pesante e altrettanto poco ordinato su quel che debba essere
la propria parte”.</i> L'ascesa della corrente “intransigente rivoluzionaria”,
secondo la denominazione che ne davano i suoi stessi membri, appariva quindi
come l'affermarsi di una linea politica assai intransigente sul piano verbale,
ma poco rivoluzionaria su quello della teoria: le argomentazioni di Lazzari e
dei suoi alleati erano molto aspre e dettagliate su cosa rifiutare del
riformismo turatiano e sindacale, ma molto schematiche e povere sulla strategia
generale del partito. In un certo senso quindi, si può sostenere che l'ala
massimalista non avesse preparato in alcun modo la propria ascesa, ma fosse
stata sospinta in avanti dalla radicalizzazione di alcuni importanti strati
della classe lavoratrice italiana, i quali rifiutavano il cosiddetto “imperialismo
straccione” (fortunata citazione di Lenin) di un paese che, pur senza aver
risolto i suoi atavici problemi e le sue arretratezze, pretendeva di
scimmiottare le grandi potenze europee. Forse dai discorsi roboanti a metà tra
marxismo e evoluzionismo spenceriano di Enrico Ferri, dalle suggestioni
anarco-sindacaliste di Arturo Labriola (chiaramente influenzate da Georges
Sorel e da Francesco Saverio Merlino), dalla rozzezza argomentativa di Costantino
Lazzari e Nicola Bombacci e dall’esaltata violenza superomista di Benito Mussolini,
più nietzscheano che marxista, si distinguevano, almeno in parte, le posizioni
politiche di Giacinto Menotti Serrati, il massimalista più lucido del PSI,
almeno fino a quando non inizia a parteggiare apertamente per il bolscevismo nell’agosto
del 1917 con il celebre articolo dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Avanti!</i>
dal titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Viva Lenin!”</i>. Serrati,
pur autore di un interessante studio sulle penose condizioni delle carceri
italiane del suo periodo [18], è però un uomo essenzialmente pratico, un
viaggiatore cosmopolita con una vena di avventurismo, un abile organizzatore
capace di usare la rivoltella con la stessa maestria della penna. La sua forte
simpatia per i bolscevichi inizia, auspice l’italo-russa Angelica Balabanoff,
nelle due famose riunioni dei socialisti europei contro la guerra a Zimmerwald
(settembre 1915) e a Kienthal (aprile 1916), dove si contrappongono la
posizione di Kautsky e Trockij <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(“pace
senza annessioni né riparazioni”)</i> a quella di Lenin e Luxemburg <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(“t<span style="background: white;">rasformare
la guerra imperialista in guerra di classe”).</span></i><span style="background: white;"> Naturalmente Serrati e la Balabanoff vengono progressivamente
conquistati dal carisma di Lenin. Ma è soprattutto la concezione bolscevica del
partito-avanguardia, fatto di quadri estremamente disciplinati, veri
professionisti della rivoluzione, a convincere erroneamente Serrati che, essendo
il partito l’unico strumento del proletariato per la conquista del potere, sia
necessario trasformare il caotico e magmatico PSI in un’organizzazione
leninista di massa per ripetere in Italia l’esperienza dell’Ottobre Rosso. Sul
culto del partito rivoluzionario Serrati è addirittura più leninista di Bordiga
e Gramsci, che pure, alla lunga, gli saranno preferiti da Lenin e Trockij.
Infatti Serrati disprezza (o comunque svaluta) i “consigli operai” (detti <i style="mso-bidi-font-style: normal;">soviet</i> in quel periodo) e tutta la
“mistica consiliarista” tanto cara alla corrente astensionista-comunista del
PSI. Pensa infatti, un po’ come Lenin nel luglio del 1917 (ma a differenza di
Trockij), che un partito ben organizzato e saldamente radicato nelle masse
proletarie possa conquistare il potere anche senza aver egemonizzato gli
eventuali “consigli”. Eppure Serrati non si rivela disposto a seguire
ciecamente i “21 punti di Lenin” (ufficializzati il 7 agosto 1920) per condurre
in porto l’adesione del PSI al <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Komintern</i>
e, in maniera caparbia, difende la libertà tattica dei socialisti italiani
nell’opporsi all’espulsione dell’ala riformista, stante il suo forte controllo della
CGdL. Mosca sarà però irremovibile e fomenterà di lì a poco la scissione della
corrente astensionista-comunista (benché Lenin [19] sullo specifico problema
elettorale fosse chiaramente vicino alle posizioni “partecipazioniste” di
Serrati) che si costituirà in Partito Comunista d’Italia. Ma qui siamo già nel
gennaio del 1921, ovvero mesi dopo la fine dell’Occupazione delle Fabbriche.
Per completezza ricordiamo solo che, nonostante la successiva espulsione dei
riformisti dal partito socialista (già citata), il PSI massimalista “puro” non
verrà ammesso al <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Komintern</i> in quanto il
XX congresso socialista di Milano del 1923 rifiuterà un’umiliante fusione con
il PCdI (mozione Nenni-Vella). Serrati, perseguitato dai fascisti, deluso e
seguito soltanto da pochi fedelissimi (i cosiddetti “terzini”) chiederà nel
1924 l’adesione individuale al partito comunista dove però non avrà mai
incarichi di rilievo fino alla morte sopraggiunta nel 1926. </span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per concludere il paragrafo non possiamo non ricordare
l’acuta critica di </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Turati" title="Filippo Turati"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Filippo Turati</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> al
massimalismo italiano successivo alla Rivoluzione d’Ottobre, pronunciata
durante il XVI congresso di Bologna<span style="background: white;">. Nel suo
memorabile discorso del 7 ottobre 1919 parlò, tra le altre cose, di una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“infatuazione mitica”</i> per il </span></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Bolscevismo" title="Bolscevismo"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">bolscevismo</span></a><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> che
si era impadronita della maggioranza del partito e che allontanava la classe
proletaria dalla vera </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_(politica)" title="Rivoluzione (politica)"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">rivoluzione</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
socialista<span style="background: white;">: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Ecco
perché la teoria della violenza – se anche fosse plausibile in Russia – non si
potrebbe applicare in Italia. (…) Noi allontaniamo dalla rivoluzione le stesse
classi proletarie. Perché è chiaro che, mantenendole nell’aspettazione
messianica del miracolo violento, nel quale non credete e pel quale non
lavorate se non a chiacchiere, voi le svogliate dal lavoro assiduo e penoso di
conquista graduale, che è la sola rivoluzione possibile e fruttuosa”</i> [20]</span></span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. Pur non accettando il sottofondo riformista e gradualista
della sua critica, non potremmo caratterizzare meglio l’effetto negativo del
bolscevismo sul PSI massimalista di quei mesi, che di fatto riportava il
movimento operaio italiano alla fase blanquista e insurrezionalista di almeno
quarantacinque anni prima. </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La vacuità teorica del massimalismo anteguerra, che forse
sarebbe potuto evolvere, almeno in parte, verso l’autentico Socialismo, era
stata di colpo colmata dal bolscevismo leninista, con tutte le sue lusinghe e
le sue ambiguità, ma in maniera approssimativa, frettolosa e agiografica, in
modo tale, alla lunga, da non soddisfare nemmeno quest’ultimo. Questa ‘malattia
russa’ del massimalismo italiano, il quale negli anni ’30 in esilio si era
riannodato al riformismo post-turatiano di Saragat e Faravelli, sarebbe
riesplosa ancora una volta durante la Guerra di Spagna e la Seconda Guerra
Mondiale sotto forma del mito antifascista dell’URSS di Stalin, con i pesanti
strascichi dell’unità d’azione con il PCI, della scissione riformista di
Palazzo Barberini, del Fronte Popolare del 1948 e, in ultimo, della nascita del
PSIUP che durò dal 1964 fino al 1972.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Il 1919</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il Biennio Rosso<span style="mso-bidi-font-weight: bold;"> iniziò nel 1919,</span> caratterizzato
presto da una serie di intense lotte sociali: moti bracciantili, tumulti popolari
contro il carovita, scioperi industriali e dei servizi, occupazioni di terre incolte.
Le agitazioni, inizialmente localizzate nel Settentrione e nel Centro, si
estesero rapidamente a tutto il paese e furono spesso accompagnate da </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Sciopero" title="Sciopero"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">manifestazioni</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Picchetto_(sciopero)" title="Picchetto (sciopero)"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">picchetti</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e scontri con le forze
dell’ordine. </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma quale fu la ragione principale di tali imponenti lotte,</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> che nel 1919 totalizzarono oltre
1.800 scioperi economici e più di 1.500.000 scioperanti </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Biennio_rosso_in_Italia#cite_note-contesto-6"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">[21]</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, allargandosi poi a tutti i
settori, incluso quello degli impiegati pubblici? </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L'economia italiana era allora in
una situazione di grave crisi che, iniziata già durante la Grande Guerra,
sarebbe durata a lungo: il reddito nazionale nel biennio 1917-18 era sceso
drasticamente e fino al 1923 restò ben sotto ai livelli dell’anteguerra, causando
quindi un radicale peggioramento del tenore di vita dei ceti popolari (alcune statistiche
parlano per il 1918 di un calo dei salari reali del 35,4% rispetto al valore
del 1913 </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Biennio_rosso_in_Italia#cite_note-4"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">[21]</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">)</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. Al livello macroeconomico questo
calo si accompagnava a un aumento del debito pubblico (il 124% del prodotto
interno lordo nel 1919 [21]), a un aggravio del deficit della bilancia dei
pagamenti</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, al crollo del valore della </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Lira_italiana" title="Lira italiana"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">lira</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e,
ovviamente, a un’impennata dell’inflazione che causò la diminuzione
generalizzata dei salari reali. Ma mentre gli operai industriali e dei servizi
scioperavano principalmente per gli aumenti salariali e i miglioramenti delle
condizioni di lavoro (per esempio, la riduzione dell'orario giornaliero a non
oltre otto ore fu ottenuta nelle grandi industrie proprio nell'aprile del 1919),
nelle campagne, dove avvennero scioperi davvero imponenti (nel solo 1919 più di
500.000 persone [21]), si ebbero obiettivi differenti da categoria a categoria:
i sindacati dei braccianti avventizi lottavano per ottenere il monopolio del
collocamento e il cosiddetto “imponibile di manodopera” (ossia l’obbligo per
gli agrari di assumere un numero fisso di braccianti contrattato coi sindacati),
mentre i mezzadri e i salariati agricoli fissi cercavano di ottenere dalla
proprietà fondiaria dei nuovi contratti (i cosiddetti “patti agrari”) a loro
più vantaggiosi. Allo stesso tempo si verificarono nel Lazio e nell’Italia Meridionale
importanti lotte per l'occupazione delle terre incolte del latifondo da parte
di braccianti, coloni e piccoli coltivatori diretti, mentre dappertutto, tra la
primavera e l’estate del 1919, si verificò un'ondata di proteste contro l’ingente
aumento dei prezzi dei beni di consumo primari.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Fino al giugno 1919 il ruolo
del PSI nelle agitazioni non fu particolarmente marcato, poi il partito</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">indisse per il 20 e il 21 luglio la
prima grande manifestazione politica, in concomitanza con uno </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Sciopero#Tipologie" title="Sciopero"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">sciopero generale</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> (che gli anarchici, sconfitti, avrebbero voluto senza
limiti). Nonostante i toni abbastanza cauti dell'<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Avanti!</i>,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>alcuni elementi
proletari più radicalizzati e parzialmente influenzati dall’anarco-sindacalismo
si convinsero che stesse per scoccare finalmente la "<span style="mso-bidi-font-style: italic;">grande ora</span>" e pensarono quindi a
uno sciopero espropriatore con valenza "<span style="mso-bidi-font-style: italic;">rivoluzionaria</span>". In realtà esso si svolse in relativa
tranquillità grazie anche ai ripetuti appelli alla moderazione da parte dei
sindacalisti riformisti (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">in primis</i> </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ludovico_D%27Aragona" title="Ludovico D'Aragona"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Ludovico D'Aragona</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, il</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> segretario confederale della </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Confederazione_Generale_del_Lavoro" title="Confederazione Generale del Lavoro"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">CGdL</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">),</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> cosicché quasi ovunque i servizi
pubblici continuarono a funzionare. La mancata rivoluzione, che era stata goffamente
preannunciata dai tanti proclami dei fogli anarchici e massimalisti, favorì nei
fatti proprio il governo liberal-progressista del radicale Francesco Saverio
Nitti e coagulò la nascita di una sorta di vasto “blocco d’ordine”,
anti-socialista e anti-anarchico, comprendente radicali, democratici, liberali,
conservatori insieme a reduci, nazionalisti, futuristi dannunziani. Delle forze
borghesi solo i repubblicani simpatizzarono, almeno in parte, con gli
scioperanti, pensando di poter ripetere l’esperienza tedesca e austriaca, in
cui gli operai socialdemocratici erano stati abilmente utilizzati come
strumento per la liquidazione delle rispettive monarchie imperiali.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’atteggiamento del PSI, come si è
già detto, cambiò nettamente dopo il XVI congresso dove trionfò la mozione di
Serrati, che aveva come obiettivo immediato la creazione di una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"</i></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Stato_socialista" title="Stato socialista"><i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">repubblica socialista</span></i></a><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">"</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> su modello sovietico</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quattro furono i punti
esplicitamente menzionati:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">a)
la Rivoluzione bolscevica venne dichiarata il modello d’azione del Partito
Socialista Italiano;</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">b)
conseguentemente il partito decise di aderire all'Internazionale Comunista;</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">c)
si riconobbe che il partito avrebbe potuto ricorrere alla violenza se ciò fosse
stato necessario per il conseguimento dei suoi fini (ovvero avrebbe potuto
usare il metodo del “terrore rivoluzionario” se fosse stato costretto);</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">d)
tra questi fini c'era la distruzione dello Stato borghese, la realizzazione
della dittatura del proletariato e la costruzione di un "nuovo ordine
comunista".</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In
pratica la mozione massimalista </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">si
distingueva dalla terza mozione, quella di Amadeo Bordiga, solo per pochi ma
importanti dettagli: mentre i massimalisti ritenevano che la rivoluzione fosse
comunque inevitabile e l'attendevano in modo tutto sommato passivo, la frazione
bordighista (autoproclamatasi “comunista astensionista”), forse più coerente
con l'esempio leninista, riteneva doveroso adoperarsi per la riuscita
dell’insurrezione. In effetti Bordiga era pienamente convinto
dell'incompatibilità assoluta tra </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Socialismo" title="Socialismo"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Socialismo</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia" title="Democrazia"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">democrazia</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
e riteneva quindi che il partito socialista non avrebbe dovuto partecipare alle
imminenti elezioni politiche del 16 novembre del 1919, proprio quelle, come si
è visto, dove il PSI raggiunse risultati davvero spettacolari: </span><span style="background: #f9f9f9; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">1.834.792</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> voti validi su </span><span style="background: #f8f9fa; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">5.793.507</span><span style="background: #f8f9fa; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 7.0pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">votanti [14] (maschi maggiori di 21
anni). Assumendo per il 1919 una quota di lavoratori dipendenti pari al 61,3% degli
attivi [11], possiamo stimare (benché molto approssimativamente) che ben il 52-53%
dei lavoratori (o ex-lavoratori) dipendenti abbia scelto il PSI e il suo
programma. Un programma elettorale che, sebbene non fosse più quello “minimo”,
esplicitamente riformista, del 1900, manteneva di certo molte ambiguità sulla
natura della rivoluzione e ancora di più su cosa si intendesse con il termine “Socialismo”.
Per saggiarne il tono volutamente retorico, tipico del massimalismo di Serrati,
Bombacci, Gennari e Salvadori, riportiamone il brano più saliente e ispirato: «</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non è un voto che
vogliamo da voi, è una promessa, un atto di fede. Votando per la scheda sulla
quale è l’insegna, levata in alto, della Repubblica socialista del mondo</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> [ossia la falce e il martello contornati da due spighe di
grano - nota dell’autore - ]<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, voi,
proletari d’Italia, direte di voler muovere lotta diretta alla conquista della
vostra emancipazione. Su quella insegna sta scritto: “Tutto il potere al
proletariato. Chi non lavora non mangi” (…)</i>»<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>[22].</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Ovviamente
la scelta apparentemente “eversiva” del partito e la totale contestazione delle
istituzioni monarchiche poneva il PSI automaticamente e stabilmente all'opposizione.</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Così
</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">i vari governi liberali che si
succedettero dopo novembre 1919, fino alla Marcia su Roma, poterono reggersi
solo grazie all'appoggio esterno del Partito Popolare, una nuovissima forza
politica di matrice cattolica (espressione principalmente dei coltivatori
diretti e della piccola borghesia non nazionalista) che aveva totalizzato nel
1919 ben il 20,53% dei voti.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Il
1920</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il nuovo anno, quello cruciale per
la nostra vicenda, esordisce con una raffica di scioperi ancora più intensi di
quelli dell’anno precedente e ciò non deve sorprendere dato che, come scrive
Candeloro [21], nel 1920 ebbero luogo più di 2.000 scioperi con oltre 2.300.000
aderenti. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A marzo scoppiano gli scioperi dei
metalmeccanici. In particolare alla</span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/FIAT" title="FIAT"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">
FIAT di Torino</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> avviene</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
il famoso “</span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Sciopero_delle_lancette" title="Sciopero delle lancette"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">sciopero delle
lancette</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">”</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">,
così chiamato per l'episodio che diede origine alla vicenda: la lotta contro
l’ora legale di derivazione bellica (che anticipava in modo insopportabile
l’orario di ingresso), il braccio di ferro tra la proprietà e la Commissione
Interna e il successivo licenziamento di tre suoi membri. Gli operai
metalmeccanici rispondono con uno sciopero di solidarietà ai licenziati che
coinvolge tutte le officine metallurgiche torinesi. Gli industriali a loro
volta reagiscono con una </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Serrata_(lavoro)" title="Serrata (lavoro)"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">serrata</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">,
pretendendo come precondizione per la riapertura delle aziende, lo scioglimento
dei </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Consiglio_di_fabbrica" title="Consiglio di fabbrica"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Consigli di Fabbrica</span></a><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> (appena sorti a Torino, su modello dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">soviet</i> russi, specie fra gli operai metallurgici in appoggio alle
loro Commissioni Interne)</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. Viene
proclamato un imponente sciopero generale provinciale alla metà di aprile,
tuttavia sia la direzione nazionale della CGdL che quella del PSI si mostrano
titubanti preferendo non estendere l’agitazione al resto del paese. Per questo
motivo, ma anche a causa dell’invio da parte del governo di 50.000 soldati, gli
operai torinesi interrompono lo sciopero il 24 aprile, accettando un accordo di
fatto svantaggioso che non vede riconosciuti dalla proprietà i Consigli di
Fabbrica, ma soltanto tollerati in modo informale. Eppure il fuoco continua a
covare sotto la cenere: dopo le abituali manifestazioni di protesta del 1º maggio,
disperse dalla polizia in vari luoghi (per esempio a Torino e Napoli), inizia
un nuovo poderoso sciopero indetto contro il rincaro del pane. Esso indebolisce
il </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Governo_Nitti_II" title="Governo Nitti II"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">governo Nitti</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> portandolo alle dimissioni nel mese
di giugno, ma non cessa con la nomina del vecchio Giolitti a Primo Ministro,
anzi si salda con la </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Rivolta_dei_Bersaglieri" title="Rivolta dei Bersaglieri"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">rivolta dei Bersaglieri</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">a Trieste</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e ad </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ancona" title="Ancona"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Ancona</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">,
i quali si rifiutano d’imbarcarsi per l’Albania (dove era prevista
un’occupazione militare italiana) sparando sugli ufficiali e causando due morti
e vari feriti. Per la prima volta l’opinione pubblica borghese comincia ad
avere paura: si teme l’intesa tra gli operai industriali e i militari
scontenti, esattamente come nella Russia dell’ottobre 1917. Da </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ancona" title="Ancona"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Ancona</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
la rivolta si spanderà poi al resto delle </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Marche" title="Marche"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Marche</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">,
all’Umbria, a Roma, alla </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Romagna" title="Romagna"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Romagna</span></a>,<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
fino alla Lombardia, tenuta in vita dallo sciopero dei ferrovieri della USI che
bloccheranno per giorni l’arrivo ad Ancona delle Guardie Regie per la pubblica
sicurezza (create in funzione anti-insurrezionale proprio nell’ottobre del 1919).
Sarà poi la Marina Militare, dopo un intenso cannoneggiamento della città, a
riportare definitivamente l’ordine il 28 di giugno.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tra il giugno e l’agosto del 1920 si
svolge una durissima trattativa tra la FIOM, in rappresentanza dei
metalmeccanici della CGdL (seguita presto da altri sindacati) e la Federazione
degli Industriali Meccanici e Metallurgici allo scopo di adeguare i salari
degli operai ai consistenti aumenti del costo della vita. Si arriva presto al
muro contro muro anche a causa degli attriti personali tra il leader sindacale
Bruno Buozzi e l’avvocato Edoardo Rotigliano, noto nazionalista e
rappresentante dell’ILVA, quando si cominciano a mettere in discussione i
sopraprofitti padronali dovuti alle laute commesse belliche del periodo
1915-1918 [23]. La FIOM reagisce con la formula dell’ “ostruzionismo senza
sabotaggio”: ridurre la produzione al minimo osservando le norme in modo
scrupoloso e rifiutando sia cottimo che straordinari. La reazione padronale
però non si fa attendere: il 30 agosto iniziano le serrate alle Officine Romeo,
anche contro i moniti prefettizi, alle quali la FIOM milanese contro-reagisce
deliberando subito l’occupazione delle fabbriche che comincia dalla famosa
industria automobilistica Isotta Fraschini. Il giorno seguente la serrata degli
stabilimenti metalmeccanici assume un carattere nazionale, seguita, quasi
ovunque, dall’occupazione operaia che arriverà a mobilitare 400.000 lavoratori
metalmeccanici (con in aggiunta anche 100.000 unità appartenenti ad altri
settori industriali [23]). Il Primo Ministro Giolitti comprende che bisogna far
continuare la protesta pacificamente impedendo che le forze dell’ordine entrino
nelle fabbriche occupate, evitando così di dare un carattere politico ed
eversivo a una vicenda che la stessa CGdL riformista considera come puramente
sindacale. Solo a Genova, in un cantiere navale, le Guardie Regie perdono la
testa e uccidono un occupante ferendone altri due. Certamente la produzione cala
quasi ovunque per ovvi problemi di approvvigionamento e di contabilità anche se
a Torino il livello di autogestione operaia è davvero notevole grazie alla
collaborazione tra operai (Consigli di Fabbrica), sindacati (Camere del
Lavoro), altri lavoratori (Cooperative) e cittadini favorevoli all’occupazione
(Comitati): i prodotti industriali delle fabbriche autogestite furono in parte
venduti o regalati, ma più spesso le vettovaglie vengono donate agli
scioperanti sotto forma di collette, insieme anche ad armi e residuati bellici da
usare solo a scopo difensivo da parte delle vedette operaie note come “Guardie
Rosse”. Notevole è anche il ruolo dei ferrovieri e dei loro sindacati nel
rallentare gli spostamenti delle famigerate Guardie Regie e nel rifornire gli
occupanti di carbone, viveri e altri generi di conforto. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tuttavia, nonostante il prudente
neutralismo giolittiano, l’occupazione cominciava ad avere inevitabili risvolti
politici: gli industriali reclamavano a gran voce lo sgombero delle fabbriche
come precondizione per riaprire le trattative con la FIOM, mentre quest’ultima
era ormai esautorata dal direttivo confederale della CGdL. Tra il 9 e l’11
settembre il sindacato e il partito socialista, in una serie di riunioni tese e
convulse, decidono la strategia da seguire: i riformisti, maggioritari nella
CGdL, sono per riaprire subito la vertenza con gli industriali e il governo,
mentre i massimalisti e gli astensionisti, più forti nel partito, parlano apertamente
d’insurrezione e di presa del potere. Tuttavia i socialisti torinesi, anche se
radicali e molto attivi nel movimento delle occupazioni (come Gramsci,
Terracini, Tasca e Togliatti, tutti legati al giornale l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ordine Nuovo</i> su posizioni filo-sovietiche) non si fidano dei loro vertici
nazionali e mantengono un atteggiamento assai guardingo. Credono infatti che i leader
del partito e del sindacato li lascerebbero da soli, come utili capri
espiatori, nel caso che un’insurrezione dovesse riuscire nella sola città di
Torino fallendo altrove. Ad ogni modo il 20 settembre la CGdL sblocca la
situazione con un ultimatum: se il PSI volesse prendere le redini del movimento
per scatenare la rivoluzione, i dirigenti sindacali sarebbero pronti a
dimettersi in blocco. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Voi</span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> - dice D’Aragona ai
capi del partito - <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-bidi-font-style: italic;">credete
che questo sia il momento per far nascere un atto rivoluzionario; ebbene
assumetevi la responsabilità. Noi non ci sentiamo di assumere questa
responsabilità, di gettare il proletariato al suicidio, vi diciamo che ci
ritiriamo e diamo le nostre dimissioni</span>”</i> [24]. Ma i capi del partito
sentono che senza i dirigenti della CGdL non sarebbe possibile proseguire sulla
via rivoluzionaria. </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A
questo punto la segreteria del PSI (guidata da Egidio Gennari) lascia cadere la
sua proposta rimettendo ogni decisione sulla continuazione della lotta al
Consiglio Nazionale della CGdL del giorno seguente, dove si affrontano due
mozioni contrapposte: una propone di lasciare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“alla Direzione del Partito l'incarico di dirigere il movimento
indirizzandolo alle soluzioni massime del programma socialista, e cioè la
socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio”</i>; mentre l’altra
prevede quale obiettivo immediato della lotta, non la rivoluzione, ma solo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“il riconoscimento da parte del padronato
del principio del controllo sindacale delle aziende”. </i>Vince la seconda e
anche la segreteria del PSI, che da statuto avrebbe avuto il diritto d’invalidarla,
l’accetta. Questa decisione però scaverà un solco sempre più profondo tra i
massimalisti da un lato e gli “ordinovisti” dall’altro, i quali, infatti, dopo
violente polemiche [25] si coalizzeranno coi seguaci di Bordiga il mese dopo (il
20 ottobre 1920).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tramontata ogni velleità
rivoluzionaria e autoesclusosi il PSI, il governo Giolitti prese l’iniziativa
di mediare tra le parti, arrivando faticosamente (soprattutto per le forti
resistenze padronali) allo storico accordo di Roma del 19 settembre 1920, il
quale stabiliva aumenti salariali e miglioramenti contrattuali in termini di
ferie e licenziamenti, ma prescriveva lo sgombero immediato delle fabbriche
occupate. Vi era pure un generico impegno governativo (di fatto mai attuato) a
formulare una legge sulla cogestione operaia delle aziende [23], argomento che
interessava molto l’ala riformista turatiana. La fine delle occupazioni avvenne
così, pacificamente, tra il 25 e il 30 settembre, con i lavoratori convinti di
aver conseguito un’importante, seppur parziale, vittoria. Il concordato definitivo
tra FIOM e Confindustria venne poi perfezionato il 1° ottobre a Milano
chiudendo definitivamente la vicenda.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il PSI, nonostante il suo ruolo
abbastanza defilato nell’episodio delle occupazioni, riesce a lucrare un buon successo
(specie in Toscana e in Emilia) nelle elezioni amministrative della prima
settimana di novembre, anche se i liberali escono ancora vincitori, seppur di
misura, nei due baluardi industriali di Torino e Milano. I socialisti si
aggiudicano la maggioranza in 26 dei 69 consigli provinciali e in 1.915 comuni
su 8.346 [21]. Si notano però due tendenze nuove: il PSI ha perso un po’ del
seguito del 1919 e i partiti anti-socialisti, seppure ideologicamente lontani
(per esempio, liberali e popolari), tendono talora ad allearsi al livello
locale nei cosiddetti “blocchi nazionali”, i quali cominciano ad ospitare
frequentemente anche elementi ultra-nazionalisti. Questi ultimi iniziano la
loro folgorante ascesa politica proprio in queste settimane le quali vedono per
la prima volta un ricorso massiccio alla violenza intimidatoria dei cosiddetti
“squadristi”. Al contrario, le presunte violenze proletarie del Biennio Rosso furono
in quegli anni molto sopravvalutate dalla stampa, se non addirittura mitizzate,
mentre i morti ammontano, secondo l’imparziale Gaetano Salvemini [26] (che non
simpatizzava né col governo Giolitti, né col suo ex-partito, il PSI), a non più
di 65 persone in due anni, da confrontarsi con i 131 lavoratori uccisi da parte
delle forze dell’ordine o di civili anti-socialisti, ma per lo più, va
precisato, in un contesto rurale e bracciantile.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Conclusioni</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Riteniamo di aver dimostrato con un
certo dettaglio la nostra tesi iniziale, ovvero il carattere mitico e non
storico di un’ipotesi socialista rivoluzionaria associata al Biennio Rosso in
generale, e all’Occupazione delle Fabbriche in particolare. L’immaturità del
capitalismo italiano di quel periodo, in cui una larga porzione di lavoratori
salariati era ancora misera, poco istruita e non particolarmente attratta da un
programma genuinamente socialista (perché legata al mondo rurale e bracciantile),
rendeva obiettivamente impossibile o, perlomeno largamente improbabile, un
esito rivoluzionario mirante al superamento del capitalismo. In aggiunta, il
carattere essenzialmente laburista e riformista dell’azione politica e
sindacale del PSI dalla sua fondazione fino almeno alla Guerra di Libia, non
poteva che corroborare tale impossibilità in quanto questo partito veicolava
implicitamente l’idea che le condizioni della classe lavoratrice potessero
migliorare in maniera continua e graduale, come nei paesi capitalisti più
progrediti, in modo praticamente illimitato, trasferendo così il concetto
stesso di “Socialismo” in un futuro sempre più lontano e sfumato. Tuttavia per
onestà intellettuale abbiamo anche notato come a partire dal 1912, e più ancora
nel periodo bellico, fosse emersa vittoriosamente nel partito una tendenza
intransigente, massimalista e verbalmente rivoluzionaria come effetto del
malcontento popolare per le costose imprese militari che, pur galvanizzando la
media e la piccola borghesia nazionalista, risultavano essenzialmente odiose e
incomprensibili agli occhi dei lavoratori italiani. Ma la vacuità e la
superficialità di tali correnti impedì in Italia l’inizio di un vero e proprio
processo di sedimentazione del socialismo “impossibilista” come avvenne invece
negli Stati Uniti d’America (il SLP, rifondato da Daniel de Leon nel 1890), in
Gran Bretagna (il SPGB, nel 1904), in Canada (il </span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">SPC,
sempre nel 1904</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">),
nei Paesi Bassi (il SDP, nel 1907) e in Germania (lo Spartakusbund, nel 1914).
Anzi, all’opposto, appena la rivoluzione russa vide trionfare il bolscevismo,
con la sua mistica dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">soviet </i>e la
sua violenta dittatura di partito tutta tesa all’edificazione del capitalismo
di stato sulle ceneri dell’impero zarista, i massimalisti del PSI
identificarono le loro sorti, in modo ingenuo e acritico, con quelle del
nascente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Komintern</i>. Ovviamente con
questo non intendiamo dire che tutti i movimenti “impossibiliti” appena citati
non avessero subito in alcun modo il fascino dell’Ottobre Rosso di Lenin e
Trockij. Tuttavia i loro “anticorpi ideologici” reagirono prontamente opponendosi
alle chimere del bolscevismo internazionale. Così gli eredi più autentici di
queste formazioni olandesi e tedesche (rispettivamente, la KAPN e la KAPD) già
nel 1921 denunciavano a gran voce il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Komintern</i>
e la sua pericolosa influenza sul movimento operaio mondiale [27]. Nel PSI
questo non avvenne e il partito continuò per decenni ad oscillare a fasi alterne
tra bolscevismo e riformismo senza elaborare alcuna profonda critica ad
entrambi, ma limitandosi, nei casi migliori, a riprendere le tematiche
conciliatorie care all’austromarxismo di Otto Bauer e Max Adler.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Tornando ai rapporti tra massimalisti
e Occupazione delle Fabbriche è interessante il giudizio del leader forse più
importante del PSI di quel periodo, </span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Giacinto
Menotti Serrati, che in una lettera dell’aprile 1921 al giornalista comunista
Jaques Mesnil scrive: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<i><span style="border: none 1.0pt; font-family: "arial" , "sans-serif"; padding: 0cm;">Mentre tutti parlavano di
rivoluzione, nessuno la preparava (…). La famosa occupazione delle fabbriche,
che fu un atto sindacale compiuto in concomitanza di interessi colla borghesia
giolittiana, fu interpretata come una decisa azione rivoluzionaria e non era
invece che un aspetto (…). Ora la borghesia, impaurita dal nostro abbaiare,
morde e morde sodo. Si difende accanitamente, quasi [come] prima dell’attacco</span></i></i>.”
Il testo lascia davvero di stucco visto che </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">i massimalisti (Serrati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">in primis</i>) avevano predicato per tutto
il 1920 l’inevitabilità della rivoluzione e del metodo violento per abbattere
lo Stato borghese, nonché la necessità di passare alla formazione e all’organizzazione
del cosiddetto “esercito rosso”. Presa di coscienza, benché tardiva,
dell’enorme abbaglio subito o ennesima acrobazia politica motivata
dall’opposizione al gruppo torinese di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Ordine
Nuovo” </i>confluito nel PCdI pochi mesi prima? Non lo sappiamo, ma sia
Candeloro [21] che Spriano [23] (benché quest’ultimo sia stato uno storico
piuttosto vicino al PCI togliattiano) sembrano condividere l’opinione di
Serrati,</span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> negando chiaramente che
l'Occupazione delle Fabbriche avesse realmente la possibilità di costituire
l'occasione di una rivoluzione vittoriosa. Invece è certo che il mito della
“rivoluzione socialista mancata” proprio all’ <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Ordine Nuovo”</i> va fatto risalire. Uno dei suoi intellettuali di
punta, Antonio Gramsci, affermò esplicitamente nel 1926, qualche anno dopo gli
eventi, che:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Come
classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono
all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le
necessità del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti.
Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché
non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi
finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende
commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e
internazionali, perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi
avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito Socialista e dai sindacati che
invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità delle masse; in
realtà i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne
la </span></i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/XVII_Congresso_del_Partito_Socialista_Italiano" title="XVII Congresso del Partito Socialista Italiano"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">rottura di Livorno</span></i></a><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> e si creò un nuovo partito, il
Partito Comunista” </span></i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">[25].</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Successivamente la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">vulgata</i> dell’infallibilità analitica di
Gramsci, tanto cara alla sinistra italiana a partire dagli anni ’50 (e
incomprensibilmente in grado di accomunare stalinisti, maoisti, trotzkisti ed
eurocomunisti) s’incaricò di fare assumere a questo giudizio un carattere quasi
dogmatico: tutto fallì, in mancanza di un vero partito bolscevico, per il
plateale tradimento dei dirigenti sindacali riformisti e l’insipiente ignavia
dei dirigenti massimalisti del PSI. Ma paradossalmente non ci si rese conto che
così facendo si andava semplicemente a recepire e a ripetere la più trita delle
argomentazioni propagandistiche del fascismo il quale dipinse l'Occupazione
delle Fabbriche come un episodio emblematico di un'epoca di profondi disordini,
caratterizzato da gravi e ripetute violenze operaie e dal pericolo incombente
di una rivoluzione comunista, pericolo che, in Italia, sarebbe stato sventato
solo dal provvidenziale avvento di Benito </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Benito_Mussolini" title="Benito Mussolini"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Mussolini</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> nell’ottobre del 1922. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In estrema sintesi, l’Occupazione
delle Fabbriche fu solo un episodio dell’incessante lotta di classe tra
lavoratori e capitalisti in Italia, sicuramente importante, ma forse meno del
famoso “primo sciopero generale” del settembre 1904, dove il carattere
anti-governativo e politico dell’azione fu ancora più forte. La mitizzazione
dei fatti del 1920 non può quindi che essere attribuita alla prossimità della
Rivoluzione d’Ottobre, non compresa nella sua vera essenza burocratica e
capitalista di stato, ma equivocata come alba del Socialismo mondiale [28].</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><!--[if gte mso 9]><xml>
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</span><br />
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 115%;">Bibliografia</span></b></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
</span><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
</span>
<br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[1] L’articolo
è a <span style="background: white;">pag. 1 ed è</span> intitolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cronache dell<span style="background: white;">’
“Ordine Nuovo”</span></i><span style="background: white;">, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’Ordine Nuovo, </i>n. 16 anno II, del 2
ottobre 1920. </span></span></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
</span>
<br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[2] Un
esempio tipico della visione dei trotzkisti sull’argomento si trova in un breve
articolo del 2010:</span></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
</span>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><a href="https://old.marxismo.net/storia-e-memoria/storia-e-memoria/storia-e-memoria/settembre-1920-loccupazione-delle-fabbriche"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://old.marxismo.net/storia-e-memoria/storia-e-memoria/storia-e-memoria/settembre-1920-loccupazione-delle-fabbriche</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"></span></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[3] Si veda, per esempio, il celebre discorso
di Filippo Turati al XVII Congresso del PSI (Livorno, 19 gennaio 1921), noto
come “La Profezia di Turati”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in cui si
contesta punto per punto la visione bolscevica di Umberto Terracini:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<u><span style="color: blue; font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.circolorossellimilano.org/MaterialePDF/discorso_di_turati_a_livorno.pdf</span></u></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[4] Friedrich
Engels a Filippo Turati in Milano (26 gennaio 1894): </span><a href="https://www.marxists.org/archive/marx/works/1894/letters/94_01_26.htm"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/archive/marx/works/1894/letters/94_01_26.htm</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[5] Si veda,
per esempio, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il Manifesto del Partito
Comunista</i> (1848), un’opera giovanile e un po’ schematica, ma già abbastanza
completa. Non si tralascino però le importanti prefazioni alle edizioni
successive: da quella tedesca del 1872 a quella russa del 1893:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<a href="https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/index.htm"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/index.htm</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[6] Uno fra
tutti è <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il massimo ideologo dal Partito
Socialdemocratico Tedesco di quegli anni, Karl Kautsky, certamente non un
estremista, che tuttavia nel 1909 scrive un libro dall’eloquente titolo di “La
via al potere” (<i><span style="background: white;">Der Weg zur Macht</span></i><span style="background: white;"> </span>):</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<a href="https://www.marxists.org/archive/kautsky/1909/power/index.htm"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/archive/kautsky/1909/power/index.htm</span></a><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[7] Giovanni
Montroni<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, La società italiana
dall'unificazione alla Grande Guerra</i> (Laterza, Roma-Bari, 2002).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span lang="EN-US" style="font-family: "arial" , "sans-serif"; mso-ansi-language: EN-US;">[8] N. F. R. Crafts, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Explorations in economic history,</i> vol. 20, pagg. 387-401 (1983).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[9] Giovanni
Federico,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le nuove stime della produzione agricola italiana, 1860-1910: primi
risultati e implicazioni</i>, Rivista di storia economica,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>vol. 3, pagg. 359-382 (2003).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[10] Guido
Pescosolido, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unità nazionale e sviluppo
economico in Italia 1750-1913</i> (Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2014)<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">.</b></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[11] Paolo <span class="sc"><span style="background: #FAF9F6;">Sylos Labini, </span></span><i><span style="background: #faf9f6; font-family: "arial" , "sans-serif";">Le classi sociali
negli anni '80</span></i><span style="background: #FAF9F6;"> (Laterza, Roma-Bari,
1987).</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="background: #faf9f6; font-family: "arial" , "sans-serif";">[12] Meglio che da un saggio si potrebbe davvero assaporare lo spirito
dell’epoca dall’eccellente film dei fratelli Taviani intitolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“San Michele aveva un gallo”</i> (1972),
tutto imperniato sul contrasto tra vecchio insurrezionalismo anarchico e nuova militanza
proto-socialista nell’Italia del 1880-85:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<a href="https://www.imdb.com/title/tt0069215/"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.imdb.com/title/tt0069215/</span></a><u><span style="color: blue; font-family: "arial" , "sans-serif";"></span></u></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[13] Il
famoso programma di Erfurt della SPD, commentato in modo tutto sommato positivo
da Engels, fu opera principalmente di Karl Kautsky e venne ufficialmente
approvato nel 1891, rimanendo in vigore fino al 1921. A fianco di una versione
breve:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<u><span style="color: blue; font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/history/international/social-democracy/1891/erfurt-program.htm</span></u></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">Kautsky ne produsse
anche una commentata, molto più densa dal punto di vista teorico, che fu
pubblicata successivamente con il titolo di “La Lotta di Classe”, dove un
intero capitolo è dedicato alla futura società socialista:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<u><span style="color: blue; font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/archive/kautsky/1892/erfurt/index.htm</span></u></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[14] A.A.
V.V<i style="mso-bidi-font-style: normal;">., Almanacco Socialista</i> (Ed.
Avanti!, Milano, 1946).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">[15] <span style="background: white;">a cura di </span></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Valerio_Castronovo" title="Valerio Castronovo"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">Valerio Castronovo</span></a><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";"> <span style="mso-bidi-font-style: italic;">e Nicola
Tranfaglia</span>, <i>La stampa italiana nell'età liberale</i><i style="mso-bidi-font-style: normal;">,</i> pag. 212 (Laterza, Roma-Bari, 1979).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[16] Fabrizio Loreto, Storia della CGIL. Dalle origini ad oggi (Ediesse,
Roma, 2009).</span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="background: white;"></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[17] Gaetano Arfè, Storia
del socialismo italiano 1892-1926, (Einaudi, Torino, 1965).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[18] Giacinto Menotti
Serrati, Il manuale del perfetto carcerato (Castelvecchi, Roma, 2016).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[19] V .I. Lenin, L’estremismo,
malattia infantile del comunismo, maggio 1920 (Ed. Lotta Comunista, Milano,
2005):</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1920/lwc/index.htm"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1920/lwc/index.htm</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[20] Filippo Turati, Socialismo
e riformismo (Frazione di Concentrazione Socialista, Milano, 1919):</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://media.regesta.com/dm_0/GRAMSCI/gramscixDamsBiblio002/allegati/Op._A_19_58/Coperta/0000_0.jpg"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">http://media.regesta.com/dm_0/GRAMSCI/gramscixDamsBiblio002/allegati//Op._A_19_58/Coperta/0000_0.jpg</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[21] <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Biennio_rosso_in_Italia#cite_ref-3"><span style="color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></a>Giorgio Candeloro, Storia
dell'Italia moderna VIII: la prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento
del fascismo (Feltrinelli, Milano, 1996).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[22] Carlo Felici, Dalla
Grande Guerra alla Guerra Civile, parte VII: le elezioni del 1919. La resa dei
conti nel Paese, in Avanti! on-line del 7/1/2019:</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.avantionline.it/le-elezioni-del-1919-la-resa-dei-conti-nel-paese/"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";">http://www.avantionline.it/le-elezioni-del-1919-la-resa-dei-conti-nel-paese/</span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[23] Paolo
Spriano, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’occupazione delle
fabbriche</i>. Settembre 1920, quarta edizione (Einaudi, Torino, 1973).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[24] G. Bosio, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La Grande paura. Settembre 1920.
L’occupazione delle fabbriche nei verbali inediti delle riunioni degli Stati
generali del movimento operaio</i>, pagg. 100-101 (Samonà e Savelli, Roma,
1970).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[25] Antonio Gramsci,
Scritti Politici (Editori Riuniti, Roma,1969).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[26] Gaetano
Salvemini, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Scritti sul fascismo</i>
(Feltrinelli, Milano, 1962).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif";">[27] <a href="https://www.amazon.com/s/ref=dp_byline_sr_book_1?ie=UTF8&field-author=Philippe+Bourrinet&text=Philippe+Bourrinet&sort=relevancerank&search-alias=books"><span style="color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;">Philippe
Bourrinet</span></a>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Dutch and
German Communist Left</i> (Haymarket, Chicago (IL), 2018).</span></div>
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">[28] per un’efficace descrizione del fascino e degli equivoci generati
dalla Rivoluzione Russa nell’Italia del 1919 si può vedere l’interessante
volume di Pietro Nenni, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il diciannovismo</i>
(Ed. Avanti!, Milano, 1962), scritto in retrospettiva. L’autore, futuro leader
del PSI, in quell’epoca era addirittura un giovane repubblicano eppure il
portato degli eventi lo condusse al socialismo e a scrivere in maniera febbrile
un pamphlet dall’emblematico titolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Lo
spettro del comunismo, 1914-1921”</i> pubblicato nel 1921 dall’Editrice
Modernissima di Milano.</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br />
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;"><!--[if gte mso 9]><xml>
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<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">
</span></span><br />
<h1 align="right" style="background: white; border: none; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .75pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-align: right;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">D. C.</span></span></span></h1>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">
</span></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">
</span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3lNj7yJFtwHBbED2s2wAxgieLrhfpXUfAMPoZJxHHVLjy0D8IdIIYPXoenw-P-R-4Xtb9aPlPr3RmXBWjAJcAA9BAhJuRf-G_WedCN4G8eMnQe1OAwXBk5KtxLOOlGA2ugaENoGTgoRY/s1600/Lavoratori.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="375" data-original-width="638" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3lNj7yJFtwHBbED2s2wAxgieLrhfpXUfAMPoZJxHHVLjy0D8IdIIYPXoenw-P-R-4Xtb9aPlPr3RmXBWjAJcAA9BAhJuRf-G_WedCN4G8eMnQe1OAwXBk5KtxLOOlGA2ugaENoGTgoRY/s1600/Lavoratori.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%;">Lavoratori
della fonderia “Il Pignone” a Firenze durante l’occupazione (dal 2 al 30
Settembre 1920). In quegli anni la fabbrica impiegava a regime circa 600 operai
ed era la seconda per dimensioni della provincia di Firenze, superata solo
dalle officine “Galileo” con circa 1.200 operai [23]. Si riconoscono le
bandiere rosse a destra e a sinistra, nonché l’emblema della FIOM al centro.</span></i><!--[if gte mso 9]><xml>
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Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-45791371970218216452019-08-22T09:06:00.000+02:002019-08-22T09:06:37.909+02:00Dobbiamo davvero mettere Marx in soffitta?<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Il nostro movimento è per il socialismo rivoluzionario, marxista.
Ma se venisse meno la fondatezza della critica economica di Marx al
principio di funzionamento del capitalismo, verrebbe forse meno la fondatezza
delle ragioni della nostra lotta? No, per almeno tre motivi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: 17.85pt; margin-right: 0in; margin-top: 0in; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list .5in; text-align: justify; text-indent: -17.85pt;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><span style="mso-list: Ignore;">1.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">La teoria del
valore-lavoro non è completamente stravolta, ha ancora una funzione per
la lotta di classe. L’idea che sia proprio il lavoro a valorizzare il
prodotto, Marx la prende dai suoi predecessori Smith e Ricardo. Quello che Marx
aggiunge alla teoria classica del valore è il concetto di “lavoro astratto”. “Astratto”
in quanto ridotto ad unità, semplificato e semplificabile. È il tempo di lavoro
che il capitalista acquista come qualsiasi altra merce, ed è interesse del
capitalista estrarre da questo tempo la capacità di trasformare un insieme di
elementi qualsiasi (materiali e/o immateriali) in un prodotto finito (e vendibile),
sia quest’ultimo una merce fisica oppure un servizio. È quindi interesse del capitalista
estrarre più capacità possibile da questa forza-lavoro (chiamata così in quanto
vista come una merce specialissima). Di conseguenza il lavoro trasferito
dall’uomo a una merce non si esaurisce nel consumo della merce stessa, ma si
trasferisce quando tale merce è utilizzata, a sua volta, nella produzione di
altri beni. Per esempio, il lavoro cristallizzato nel fabbricare un manico di
legno (che naturalmente ingloba il lavoro di aver trasformato un albero in liste
di legno) con una testa di metallo (che già contiene il lavoro di estrazione e di
forgiatura del metallo) viene trasferito in parte nel prodotto derivante
dall’uso di quello stesso martello (come tecnologia), senza il quale l’uomo
avrebbe dovuto utilizzare le mani nude, incidendo negativamente sulla
produttività di una sua ora di lavoro. Le merci quindi non escono dal nulla, il
lavoro umano dà origine a tutte le merci, e questo non si può semplicemente
ignorare (o nascondere sotto la generica etichetta di “costo di produzione”)
come fa certa economia “borghese” accademica. In linea di principio ogni merce
è composta da quote di lavoro astratto (che vanno indietro nel tempo, di mezzo
di produzione in mezzo di produzione, fino all’origine del primo manufatto coinvolto,
anche se molto indirettamente, nella produzione della merce in questione). In
termini generali, i valori delle merci, ovvero la quantità di “capitale costante”
(costi dei mezzi di produzione e delle materie prime) più il capitale variabile
(costo della manodopera in salari) più il plusvalore (valore del tempo di
lavoro non retribuito), non sono necessariamente uguali ai loro
prezzi di produzione. Questo non perché i prezzi siano determinati dalla
domanda e dall’offerta, dato che, come argutamente già Marx osserva, domanda e
offerta alterano il prezzo di produzione originale (dando vita al prezzo di
mercato), ma non lo determinano. Ma perché i prezzi nel sistema reale, e non
semplificato, sono difficilmente determinabili. Quindi Marx viene attaccato per
aver iper-semplificato il problema e aver sostenuto che c’è proporzionalità, a
livello di sistema, tra la somma del tempo speso a produrre le merci (e questo
deve includere anche le quote di lavoro trasferito da merce a merce e la quota
di lavoro non pagato al lavoratore, che costituisce il plusvalore) e la somma
dei prezzi di produzione; e che, anche se le merci fossero vendute semplicemente
al loro prezzo di produzione il capitalista ne trarrebbe comunque un profitto,
in quanto il plusvalore sarebbe già contenuto nel valore della merce prodotta.
Marx quindi diceva una cosa semplice: il profitto deriva dal lavoro non pagato
al lavoratore! Ma questo è ancora vero? Sì, lo è! E lo sarà fin quando il
capitalista spingerà i salari al ribasso, muoverà la produzione dove la forza
lavoro costa meno e fin quando l’educazione della forza lavoro la valorizzerà, rendendola
però più cara. Tutti questi segnali ci fanno intendere che il profitto è
generato sulle spalle di chi lavora. Nonostante la teoria del valore-lavoro
non sia da buttare, questa non può essere però accettata ciecamente. Vi sono
diverse correnti di pensiero, sia all’interno che all’esterno del marxismo, che
hanno criticato tale teoria. Spesso dovendo sacrificarne degli aspetti
importanti. Dove la teoria del valore-lavoro di Marx soffre, e il problema
della trasformazione ne è un esempio, è nel rapportare il valore di scambio di
una merce al suo prezzo di produzione. Il valore del lavoro come definito nella
teoria classica non é uguale al tempo di lavoro impegato per produrre una merce.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: .5in; margin-right: 0in; margin-top: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: .25in; margin-right: 0in; margin-top: 0in; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list .5in; text-align: justify; text-indent: -.25in;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><span style="mso-list: Ignore;">2.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">L’apporto
probabilmente più importante di Marx prima che si concentrasse su quella che in
privato, scrivendo ad Engels, chiamò la “merda economica”, fu il concetto di “materialismo
storico”. Questa visione del mondo e delle cose è fondamentale per la presa di
coscienza della classe lavoratrice. Il materialismo storico consiste nel vedere
la storia dei rapporti umani come, in ultima istanza, il frutto dei rapporti
socio-economici. Ovvero il fatto che l’uomo si adatta, adattando. Per poter
avere successo l’uomo si adatta al pianeta adattandolo però alle sue necessità;
e lo adatta lavorando in società. La società ha sviluppato dei rapporti
economici e questi influenzano i rapporti tra uomini. Con questa visione si può
presto vedere che l’umanità sotto il capitalismo è divisa in classi: quelli che
producono, i lavoratori, e quelli che dicono di produrre solo perché posseggono
i mezzi di produzione, i padroni. I padroni sono pochi e detengono la maggior
parte della ricchezza, i lavoratori sono la maggioranza e se perdono il lavoro
(prima o poi, dipendentemente dal loro grado di opulenza) sono nei guai.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: .25in; margin-right: 0in; margin-top: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: .25in; margin-right: 0in; margin-top: 0in; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: list .5in; text-align: justify; text-indent: -.25in;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;"><span style="mso-list: Ignore;">3.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";"> </span></span></span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Marxismo vuol
dire anche lotta al riformismo. Marx ed Engels furono molto chiari in merito e
stabilirono una corrente politica socialista rivoluzionaria. Il capitalismo,
che pur ha fatto avanzare la civiltà umana, è fallace, crea disparità e
sfruttamento, va per questo rivoluzionato. Ma non può essere cambiato mediante
riforme in quanto queste preservano il sistema capitalista. Anche mettendo
in discussione la teoria del valore-lavoro di Marx ciò non giustificherebbe
l’abbandono della corrente rivoluzionaria propria di Marx ed Engels per la
quale il WSM non è disposto a scendere a nessun compromesso. Il capitalismo non
può essere riformato perché è la sua natura l’assoggettare una classe a scapito
di un’altra. La divisione del lavoro, l’esistenza delle classi sociali, il
denaro devono essere tutti aboliti e questo non è possibile semplicemente riformando
il capitalismo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; margin-left: .25in; margin-right: 0in; margin-top: 0in; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Per queste ragioni Marx non può essere messo in soffitta.
Certo non si può pretendere che la sua analisi economica, da lui stesso
riconosciuta come una semplificazione della realtà, possa avere una validità assoluta;
ciò nonostante è ancora un ottimo esempio di come concepire il capitalismo,
ovvero come un sistema che: ha una fine, è squilibrato, è soggetto a
crisi cicliche, eleva il profitto in modo esponenziale e, facendo ciò, è a
vantaggio di pochissimi e a discapito della maggioranza. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0in; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%;">Marx non può andare in soffitta almeno fino a quando
esisterà una classe lavoratrice mondiale sfruttata. </span></div>
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<br />
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<i><b><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt; font-style: normal;">INTRODUZIONE</span></b></i></div>
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<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: center;">
<i><b><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt; font-style: normal;">HENRYK GROSSMAN E LA TRASFORMAZIONE MARXIANA </span></b></i></div>
<div align="center" class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: center;">
<i><b><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt; font-style: normal;">DEI VALORI IN PREZZI</span></b></i></div>
<div align="center" class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; font-style: normal;">Henryk Grossman</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">, o
anche “Grossmann” alla tedesca (Cracovia, 14 aprile 1881 – Lipsia, 24 novembre
1950) è stato un importante economista di scuola marxista, forse il più
rilevante a cavallo delle due guerre mondiali. Prima cittadino austriaco
(studiò infatti a Vienna con Carl Grünberg) e poi polacco, insegnò presso
Libera Università di Varsavia dal 1922 al 1925. Costretto all’esilio in quanto
militante comunista, riparò in Germania dove si unì al prestigioso Istituto per
le Ricerche Sociali di Francoforte. Qui ebbe come colleghi, tra gli altri, ancora
il suo mentore Carl Grünberg, insieme ai più famosi Horkheimer e Pollock.
Emigrato nel 1933 a Parigi, poi a Londra e infine nel 1937 a New York, rimase
abbastanza isolato dagli altri membri del suo istituto a causa della loro
evoluzione filosofica dal marxismo verso posizioni di tipo
analitico-positivista. Accettò poi, nel 1949, una cattedra di economia politica
a Lipsia (nella neonata Repubblica Democratica Tedesca), morendo però appena un
anno dopo.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Grossman
è noto al vasto pubblico soprattutto per il suo famoso e controverso saggio sulla
teoria delle crisi e la caduta tendenziale del saggio di profitto, pubblicato
con il titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="mso-bidi-font-style: italic;">Das Akkumulations- und Zusammenbruchsgesetz des kapitalistischen
Systems”</span></i> (nella versione italiana: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="mso-bidi-font-style: italic;">Il crollo del capitalismo. La
legge dell'accumulazione e del crollo del sistema capitalista</span>”)</i>
proprio nel 1929, alla vigilia della cosiddetta Grande Depressione. Questo
fatto segnò la fortuna, ma anche in un certo modo la condanna, dell’opera che
venne immediatamente strumentalizzata dall’Internazionale Comunista (in pieno “Terzo
Periodo”) a fini meramente propagandistici, piuttosto che venir analizzata con
cura e rigore scientifico. Uno studio più serio del metodo economico grossmaniano
e della sua lettura de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Il Capitale”</i> di
Marx avverrà soltanto in ambienti molto minoritari ad opera dello studioso e
militante comunista anti-bolscevico Paul Mattick (cfr.<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN-US" style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">“The permanent crisis - Henryk Grossman’s interpretation
of Marx’s theory of capitalist accumulation”, <span style="mso-bidi-font-style: italic;">International Council Correspondence</span></span></i><span lang="EN-US" style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">,</span><span lang="EN-US" style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"> vol. </span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">I, n. 2, pp. 1-20, Nov. 1934).</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Pochi
sanno però che Grossman ha anche fornito contributi molto importanti in
svariati altri campi dell’economia politica e della storia del pensiero
economico. Attualmente l’accurato lavoro di Rick Kuhn, il biografo di Grossman
[cfr. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Henryk Grossman and the Recovery
of Marxism”</i> (University of Illinois Press, Urbana & Chicago, 2007)] sta
riportando gradualmente alla luce l’opera di questo studioso quasi dimenticato.
Per esempio, uno dei campi d’indagine di Grossman fu quello della cosiddetta
“trasformazione marxiana dei valori in prezzi”, un argomento appena abbozzato
nel III libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Il Capitale”</i>, ma che
diverrà estremamente importante nella lunghissima diatriba che opporrà la
scuola neo-ricardiana a quella marxista nel periodo tra gli anni ’60 e gli anni
’90 del XX secolo. Ebbene, nell’articolo incompleto (e quindi non pubblicato)
del 1930 che riportiamo qui sotto: “</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Per la conclusione
della controversia sul calcolo dei valori e dei prezzi nel sistema marxiano”</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">, Grossman
riassume in modo magistrale tutta la critica dell’economia accademica al
marxismo dall’uscita del III libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Il
Capitale”</i> ad opera di Engels (1894) fino alla Prima Guerra Mondiale, non
limitandosi a smontare uno ad uno gli argomenti degli economisti “borghesi” e dei
“socialisti revisionisti”, ma non lesinando neppure pesanti “tirate d’orecchi”
ai più eminenti marxisti “ortodossi” della II Internazionale, come Kautsky,
Hilferding, Luxemburg e Bauer.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Fino
a qui nessun problema; anzi l’articolo sembra l’antefatto di un altro lavoro: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="mso-bidi-font-weight: bold;">La
trasformazione dei valori nei prezzi in Marx e il problema delle crisi</span> ”</i>
(pubblicato nel 1932 e presente in questo sito alla pagina </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif";"><a href="http://socialismo-mondiale.blogspot.com/2016/02/la-trasformazione-dei-valori-nei-prezzi_47.html"><span style="color: windowtext; font-size: 12.0pt;">http://socialismo-mondiale.blogspot.com/2016/02/la-trasformazione-dei-valori-nei-prezzi_47.html</span></a></span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">)
concernente tematiche simili e dedicato alla critica esplicita della Luxemburg,
di Bauer e di Bukharin per ciò che riguarda la loro (supposta) imperfetta
comprensione delle tematiche del III libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Il Capitale”</i>. Lo sforzo didattico di Grossmann è notevole e la
lettura di questo testo incompiuto risulta agevole fino a quando non tratta di
Tugan-Baranovsky e di Bortkiewicz. Lì comincia ad esprimere giudizi non sempre
condivisibili e talora anche un po’ oscuri. A puro titolo di esempio,
elenchiamo cinque punti particolarmente delicati:</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br />
<span style="background: white;">1) Il fatto che Tugan-Baranovsky inizi la sua
analisi della trasformazione dai prezzi e Marx, al contrario, dai valori, non
ha molta importanza in un modello lineare input-output, a differenza di quello
che afferma Grossman che invece interpreta questa scelta come una discrepanza
metodologica fondamentale. Allo stesso modo, il passaggio dai cinque settori
produttivi di Marx ai tre di Tugan-Baranovsky e Bortkiewicz è scarsamente
rilevante tranne che, ma questo Grossmann non lo nota, per troppo rigida
separazione tra consumi frugali dei lavoratori e consumi di lusso dei
capitalisti (come notato acutamente, per esempio, da V. V. Kalyuzhnyi). </span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br />
<span style="background: white;">2) La possibilità che tutti i prezzi di un
modello di riproduzione semplice possano esser riferiti all'oro (si tratta della
“parità aurea” in vigore ai tempi di Marx) e che l'oro stesso abbandoni il suo
valore-lavoro per un prezzo di produzione, in quanto parte del settore
industriale III (ossia quello della fabbricazione di beni di lusso per capitalisti)
dotato di una precisa composizione organica, non è cruciale come pensa
Grossmann. Anzi è possibile superare direttamente e molto agevolmente il
problema come mostrato nei punti 3 e 4 qui di seguito.</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">3) Infatti
l'equazione di Steedman (che generalizza i risultati di Tugan-Baranovsky e di Bortkiewicz
a un modello con numero qualsiasi di settori industriali) lascia inespresso il
cosiddetto "numeraire" dei prezzi, una sorta di costante di scala
arbitraria. Bortkiewicz, nel suo saggio critico, la fissa imponendo che il
prezzo dell’oro sia pari ad 1 unità per definizione. Ma Grossmann lo contesta sostenendo
che in questo modo sarebbe ovvio che la somma di tutti prezzi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">P</i>, non sia più uguale alla somma di
tutti i valori, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">W</i>, come sostenuto
invece da Marx nel III libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Il
Capitale"</i>.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br />
<span style="background: white;">4) Tuttavia, come si diceva, essendo il
"numeraire" totalmente arbitrario, non è questo il problema del
metodo marxiano di trasformazione rispetto alle critiche di Tugan-Baranovsky e
di Bortkiewicz. Il vero problema è nel tasso medio di profitto, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r</i>, che nei due modelli risulta realmente
diverso. Ora, se <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Π</i> è la somma di
tutti i profitti, allora si ha che il tasso medio di profitto, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r</i> [definito semplicemente come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r=</i></span></span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Π/(P-Π)]</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"> non
coincide nei due casi. I due modi di trasformare i valori nei prezzi danno due grandezze
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r</i> diverse e non conciliabili. Questa
difficoltà non è risolvibile ragionando sul prezzo dell'oro perché <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r</i>, per costruzione, non dipende per
nulla dal "numeraire", in quanto quest’ultimo agisce allo stesso modo
su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Π</i> e su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">P</i>. Si noti che <i style="mso-bidi-font-style: normal;">r</i> nella
teoria marxista è una quantità cruciale in quanto rappresenta proprio la molla
degli investimenti di capitale, e la sua supposta caduta tendenziale gioca il
ruolo che ben conosciamo nell’interpretazione grossmaniana della teoria
economica marxista.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br />
<span style="background: white;">5) Ma allora perché Tugan-Baranovsky e
Bortkiewicz sostengono la loro superiorità rispetto a Marx? Perché il modello
di Marx di riproduzione semplice con i prezzi non è stazionario (a differenza dell’analogo
modello per i valori), mentre il loro lo è! La non-stazionarietà non appare un
dettaglio lieve nei modelli input-output: significa che il mercato non è mai,
come si suol dire, "clear", ovvero ci sono merci invendute, richieste
non soddisfatte e denaro non speso. È proprio quello che per una certa scuola
(il cosiddetto "disproporzionalismo") scatena episodicamente le crisi
economiche. Inoltre Marx stesso nel II libro de <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Il Capitale"</i>, dove già parla di riproduzione semplice
(ma per i valori, non per i prezzi), ha ben chiara l’importanza della
stazionarietà e la rivendica, addirittura condensandola in una nota formula per
il modello a due soli settori produttivi. Tuttavia va anche citato un recente
approccio agli schemi di riproduzione semplice, la “Temporal Single System
Interpretation” (1980-1984), che contesta esplicitamente il ruolo della
stazionarietà.</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">In
conclusione, invitando il lettore a confrontarsi direttamente con il testo di
Grossman in questione, dobbiamo notare come il famoso economista polacco non
riesca a venire realmente a capo delle critiche di Bortkiewicz a Marx. Anzi,
pochi anni dopo nel 1932, Grossman tornerà sull’argomento in una serie di
appunti sparsi (raccolti da un suo studente di Francoforte) e si cimenterà
anche con l’opera della Moszkowska <i style="mso-bidi-font-style: normal;">[“</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Das Marxsche System” </span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">(1929)]</span><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"> che ribadisce le idee bortkiewiciane approfondendole. Ebbene,
anche in questo caso il lavoro <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(“Il
problema del tasso medio di profitto nella moderna teoria economica”)</i> verrà
abbandonato in fase iniziale e non vedrà mai la luce. Per un’efficace critica
marxista dell’approccio neo-ricardiano alla trasformazione dei valori in prezzi
bisognerà attendere il periodo 1980-1982 con la nascita della “Nuova
Interpretazione” ad opera di eminenti studiosi quali Duménil e Foley. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><a href="http://digilander.libero.it/gm.freddi/Grossmann.pdf">Scarica il documento in formato PDF</a> </span></div>
Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-27758760530450161772019-05-13T12:00:00.000+02:002019-05-13T12:00:29.587+02:00Al diavolo il debito, viva la rivoluzione!<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Di recente ho scritto sul <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Socialist
Standard</i>, organo mensile del Partito Socialista della Gran Bretagna, un
articolo sulla disputa tra governo e Unione Europea sul budget. Tra le altre
cose, affrontavo superficialmente l’argomento del debito pubblico.
Nell’articolo già chiarivo brevemente, se ce ne fosse stato bisogno, quale
fosse la differenza tra deficit e debito dello Stato. La discussione come è
noto era sul deficit, ovvero il piano di spesa pubblica rapportato al Prodotto Interno
Lordo (PIL). Gli Stati membri non credevano che il piano proposto dal governo 5
Stelle-Lega fosse in grado di rispettare l’accordo del 2012, noto come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fiscal Compact</i>. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fiscal compact</i> che altro non è che una politica di austerità che in
una economia così malandata come quella italiana può determinare un fattore di
ulteriore strangolamento economico, in particolare se contemporaneamente non
vengono fatte riforme strutturali che favoriscano la realizzazione di profitti
e quindi gli investimenti privati. In altre parole, è facile essere austeri
quando si ha un PIL alto e in crescita, altro conto in una economia stagnante o
in calo. E ancora, il deficit è più facile riscontrarlo in economie con un
grande debito pubblico. Questo perché una parte considerevole del budget deve
andare a coprire gli interessi delle speculazioni fatte sul debito stesso.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Ma cosa ha determinato in Italia una tale
voragine?</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Il problema del debito pubblico mi interessava particolarmente anche perché
vivendo all’estero e in particolare nel Nord Europa sono spesso esposto a
commenti puerili sulla disonestà degli italiani soprattutto per quanto riguarda
l’evasione fiscale. Il fatto che il debito dello Stato sia definito “pubblico”
tende a far pensare che tutti i cittadini vi abbiano contribuito. Questo
giustificherebbe le maldicenze che vogliono accollare la responsabilità del
debito a tutti gli italiani.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">L’aggettivo “pubblico” in questo caso è però fuorviante. Infatti se si va a
analizzare come questo debito si sia generato e sia andato fuori controllo, ci
si rende presto conto che la responsabilità va accollata principalmente alla
classe dirigente e alle grandi società che ne hanno tratto giovamento. Ciò non
toglie che l’evasione fiscale, e quindi le mancate entrate, compongano una
parte del debito pubblico. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Il fenomeno dell’evasione fiscale andrebbe analizzato più da vicino. Come
descritto da Stefano Manestra nel suo resoconto per la Banca d’Italia intitolato
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Questioni di economia e finanza, Per una
storia della ‘tax compliance’ in Italia”</i>: “<i>La quota del reddito
nazionale non assoggettata a tassazione è scesa dalla metà grossolanamente
stimata da Einaudi prima della Grande Guerra a un quarto, secondo i calcoli del
Ministero dell’Economia e delle Finanze per il 2006; semmai è l’accresciuta
ricchezza del paese ad aver reso oggi il fenomeno più macroscopico in valore
assoluto</i>”.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">I soggetti economici che evadono maggiormente il fisco sono le piccole
imprese e le attività professionali (liberi professionisti come medici,
avvocati, ingegneri...). Insomma la piccola e media borghesia. L’Iva è
l’imposta con la maggiore percentuale di evasione. La pressione tributaria che
è in linea con gli altri paesi se non addirittura più alta, va a ricadere su
quelli che il fisco non possono evaderlo o non lo evadono. Inoltre, il peso
dell’evasione fiscale da parte dei grandi evasori è ovviamente maggiore del
peso dei piccoli evasori i quali possono risparmiare e speculare su tale
evasione poco e niente. In Italia è consuetudine anche il fenomeno
dell’evasione per necessità. I cosiddetti <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“poveracci”</i>
che evadono il fisco per sopravvivere.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Considerando quindi che l’evasione fiscale è un fenomeno in diminuzione
sicuramente dagli anni ‘70 a oggi, e che, al contrario, il debito pubblico è
cresciuto a dismisura, si può vedere quanto non si possa meramente attribuire
al fenomeno dell’evasione fiscale la costituzione del debito pubblico. Ciò non
toglie che i grandi e medi evasori fiscali accollino da anni il peso tributario
sulla maggioranza dei lavoratori. Dopo aver ricollocato e contestualizzato il
ruolo delle mancate entrate sulla costituzione e aggravamento del debito
pubblico, possiamo affrontare le cause che hanno determinato l’esplosione di
tal debito negli anni ’70 e ‘80. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">I lavoratori e il debito.</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Vorrei iniziare con lo sfatare un altro mito che fa molto comodo alla
classe dominante, ovvero, che la crescita esponenziale del debito sia coincisa
con l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori. Ovvero la teoria
meschina, secondo la quale le richieste dei lavoratori abbiano determinato il
debito. Lo Statuto dei Lavoratori entrò in vigore nel 1970. Non è una
coincidenza che la sua entrata in vigore determinò anche l’inizio dei cosiddetti
anni di piombo. La destabilizzazione politica era necessaria per marginare il
crescente potere contrattuale della classe lavoratrice. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Tornando però ai fatti, salari e PIL mostrano abbastanza chiaramente che i
lavoratori non sono stati pagati in relazione al PIL di più che in altri paesi
europei; anzi, dagli inizi degli anni ‘90 i salari sono scesi
significativamente al di sotto dei livelli di altri paesi quali Germania,
Francia e Spagna. Il caro-vita ha conosciuto un aumento rapido negli anni ‘70 e
’80, ma se negli anni ‘70 i salari erano in aumento (tendenza europea)
controbilanciando anche l’alta inflazione, negli anni ‘80 i salari hanno
cominciato a crescere poco o niente, riducendo i salari reali (ovvero corretti
per l’inflazione).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Quindi come sono usciti questi soldi? </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Prima di affrontare una volta per tutte la vera causa di dissanguamento
dello Stato, vi chiedo ancora un attimo di pazienza per poter affrontare e
sgretolare un altro mito. Se ce ne fosse bisogno, visto che questo mito si
sgretola drammaticamente da solo, giorno dopo giorno, davanti ai nostri occhi.
La spesa pubblica in opere pubbliche, sanità e istruzione. È abbastanza
semplice dimostrare che i governi italiani dagli anni ‘70 ad oggi non hanno mai
speso più di altri paesi in opere pubbliche. Anzi, è abbastanza semplice notare
seguendo dati accessibili a tutti, che la spesa pubblica dello Stato italiano è
stata (ed è in questi anni) nella media, se non leggermente sotto, degli altri
paesi europei economicamente sviluppati. Non ho infatti visto infrastrutture
come in Giappone, dove il debito pubblico è addirittura maggiore di quello
italiano, ma dove le opere pubbliche sono al top dell’innovazione tecnologica.
In Italia vediamo opere fatiscenti, ponti che crollano, ecc. Per non
considerare che una parte dei soldi investiti andavano (e vanno) ad alimentare
quel sistema di bustarelle che non è certo terminato con le cosiddette “Mani Pulite”.
Per quanto riguarda l’istruzione e la sanità siamo paragonabili agli altri
paesi (attorno al 5% del PIL e tra il 5 e il 10%, rispettivamente). Però la
spesa per l’amministrazione pubblica, nonostante sia stata ridimensionata negli
anni 2000, era (ed è) più alta che in altri paesi, come il Regno Unito e la
Francia. Nel nostro caso sfiorava il 15% del PIL negli anni ‘90 ed appena sotto
al 10% negli anni 2000. Contro meno del 5% in altri paesi (dati provenienti dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale
dello Stato, Servizio Studi Dipartimentali, “La spesa dello Stato dall’Unità
d’Italia, anni 1862-2009”). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">E allora dove sono andati questi soldi
pubblici? </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">A pochi privati! Già nel 1972 il deputato del PCI Leonello Raffaelli aveva
dichiarato in parlamento che <i>“i governi della Democrazia cristiana facevano
da banca all’industria petrolifera in perdita, rimettendoci; perché lo Stato,
essendo debitore, prestava denaro alle industrie e, appunto, ci rimetteva”. </i>La
crisi petrolifera del 1973 porterà nel ‘74 il triplicare dei prezzi in 3 mesi,
e alla richiesta di un prestito stand-by al Fondo Monetario Internazionale. L’aspetto
interessante di uno degli avvenimenti che a detta di tutti hanno determinato
l’inizio della ripida salita del debito pubblico, ovvero la crisi petrolifera
del 1973, è che lo Stato già prima di ciò elargiva fondi per la raffinazione
del greggio creando <i>“un eccesso di capacità, superiore anche del 60%
rispetto al fabbisogno” </i>ingolfando di fatto il mercato interno. “<i>Il
mancato adeguamento dei prezzi nazionali rispetto agli aumenti che si erano
verificati nei primi anni Settanta nel mercato internazionale del greggio a
seguito degli accordi di Teheran e Tripoli aveva peraltro causato sul mercato
italiano, in cui il livello dei prezzi era stato mantenuto artificialmente
basso rispetto all’estero, dei problemi di rifornimento già nel primo trimestre
del 1973”.</i> (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“La crisi energetica del
1973 e la politica petrolifera italiana”</i>, Andrea Tonon). Le multinazionali
estere non trovavano vantaggiose le condizioni in Italia e questo determinò una
crescita artificiale dell’ENI. Nonostante questo andasse a pesare sul suo
bilancio “<i>pari a 34 miliardi di lire tra il maggio 1971 e il marzo 1973” </i>di
disavanzo.<i> “All’inizio del 1974, in seguito all’acquisizione dei 4.500
impianti della Shell in Italia, che portò alla creazione di un nuovo marchio
per la commercializzazione dei prodotti petroliferi (IP – Italiana Petroli), il
numero delle stazioni di servizio di proprietà dell’ente di Stato passò da
7.300 a quasi 12.000; così come si espanse notevolmente la presenza dell’ENI
nel campo della raffinazione, abbandonato anch’esso dalle imprese estere in
uscita dal mercato italiano. L’ente di Stato si ritrovò, quindi, nel giro di
poco tempo, a subire una crescita ipertrofica caratterizzata da notevoli
aggravi di bilancio, che nel 1978, per la prima volta nella storia venticinquennale
dell’ENI, si chiuse con un passivo di 326 miliardi di lire, senza produrre
alcun utile” </i>(<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“La crisi energetica
del 1973 e la politica petrolifera italiana”</i>, Andrea Tonon).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Secondo<i> Giorgio Ruffolo, </i>Segretario Generale della Programmazione Economica,
in quegli anni vi era stato uno <i>“sperpero di denaro pubblico in forza del
quale i raffinatori hanno potuto negli anni scorsi costruire impianti
nettamente eccedenti al fabbisogno nazionale, rivendendo all’estero la maggior
parte dei prodotti raffinati col solo vantaggio per il Paese di una percentuale
d’inquinamento altissima e priva di qualsiasi giustificazione” </i>(<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“La crisi energetica del 1973 e la politica
petrolifera italiana”</i>, Andrea Tonon).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Come anticipato nel 1974 il governo italiano fa ricorso al FMI, primo paese
industrializzato a chiedere un prestito. Succederà ancora nel ‘77. A causa
degli impegni assunti col FMI, l’Italia si obbligò alla correzione del
disavanzo da <i>raggiungersi in diciotto mesi, mediante contenimento del
deficit del Tesoro e del credito all'economia.</i> Fu posto un tetto alla quota
destinata al Tesoro, e aggiunto <i>l'obbligo di un deposito pari al 50% delle
merci importate. </i>Ci fu anche un incremento del tasso dei prezzi al consumo
il quale superò il 19%. È probabile che i due prestiti stand-by ebbero effetti
negativi nel lungo termine generando una super-inflazione. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Nel contempo la DC aveva anche instaurato una forte politica clientelare
che si stava esprimendo con una crescita ipertrofica dell’apparato pubblico,
determinando una spesa sproporzionata, come indicato sopra. A questo possiamo
aggiungere un fenomeno importante di fuga dei capitali all’estero, anche questa
attribuibile all’alta e media borghesia. E a completare il quadro c’è il
rallentamento dello sviluppo industriale e la recessione economica del 1975.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Questo ci porta poi a parlare della speculazione sul debito. Quando una persona
deve dei soldi a qualcun altro, cosa fa? Li chiede in prestito agli stessi
creditori per poi ripagare questo e quell’altro? Non sembra molto logico. Ma
ovviamente questo è uno Stato sovrano, che ha elargito soldi pubblici a società
che, del loro, dovevano produrre profitto per pochi. Questi soldi non son mai
tornati, allora lo Stato vende Buoni del Tesoro, ovvero chiede ai risparmiatori
(diciamo per semplicità) di dargli liquidi, diciamo 100 per riottenere domani
150. Ma dove li trova quei 50? Tassando i risparmiatori stessi? </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Sul debito pubblico incominciano a pesare gli interessi. La quota del
debito che si auto-alimenta salirà dal 6% della spesa totale negli anni ‘70 ad
un quarto della spesa totale nei primi anni novanta per tornare attorno al 10%
dopo gli anni ‘90, ovvero attorno al 4% del PIL. Però tale spesa va rapportata
all’inflazione, quando questa è alta gli interessi “costano” meno. E negli anni
‘90 l’inflazione era alta, dal 2008 è diminuita riportando il problema degli
interessi sul debito. Con questo si comprende perché la Banca d’Italia, col
divorzio del 1981, ha cercato di evitare la deflazione imposta dagli Stati
Uniti. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Come notato da Leonida Tetoldi: “<i>Le politiche dei governi, e il Tesoro,
avevano trasformato i BOT da </i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="background: white; font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">«congegno»</span></i><i><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"> di sostegno economico, in alcuni
periodi dell’anno, in grado di subentrare di fronte ai problemi di cassa - e
quindi di strumento fluttuante -, in uno strumento di debito vero e proprio che
cresceva e si consolidava attraverso continui rinnovi (...) attraverso la
ricerca dell’appetibilità dei Bot</span></i><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"> ”.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Questa ricerca dell’appetibilità si è spinta lontano dalle “famiglie”
italiane verso istituti di credito. Quindi si passa a buoni sempre più
competitivi, il che vuol dire anche attirare i puri speculatori finanziari, quelli
che fanno soldi coi soldi e in questo caso particolare, soldi coi debiti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Negli anni ‘80 e più precisamente dall’ ‘83 all’ ‘89 il debito lievitò dal
59% del PIL a oltre il 100%. Questo considerando che l’Italia era entrata in
recessione dalla fine degli anni ‘70. Rispetto all'anno precedente, nel <i>1975
l'indebitamento netto della pubblica amministrazione quasi raddoppiò in valore
assoluto, accrescendo la propria incidenza sul prodotto interno lordo dal 7
all'11,7%. Nel 1981-82 il medesimo saldo s'accrebbe dell'86% in valore assoluto
e di 3,3 punti di prodotto nazionale (vecchia serie, o di 2,8 punti secondo la
nuova serie) rispetto ai livelli del 1980</i>. (Ministero del Tesoro, </span><em><span lang="IT" style="background: white; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-weight: bold;">Relazione del direttore generale alla Commissione
parlamentare di vigilanza: Il debito pubblico in Italia</span></em><span lang="IT" style="background: white; font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">, 1861-1987</span><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">La strumentalizzazione politica del debito diventa un pratica politica
principalmente durante gli anni ‘80. Il debito pubblico veniva utilizzato ora
per puri fini di consenso politico: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“l’aumento
dell’indebitamento dello Stato garantiva ai partiti più forza nella gestione
del potere, senza che da parte delle opposizioni (...) fosse possibile
sviluppare una politica alternativa” </i>(Tedoldi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il conto degli Errori</i>). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Quindi soldi dati a compagnie private vengono accollate sul pubblico, che è
invitato a speculare e che si ritroverà in poco tempo con un debito che si nutre
di se stesso, lievitando. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Ora non basta che spostare i creditori dalla sfera nazionale, ovvero dal
debito pubblico nazionale (nelle mani in qualche modo della “nazione” per usare
un termine caro ai borghesi), a creditori esteri. Ed ecco che lo spread ovvero,
per esempio, la differenza in rendimenti tra titoli di stato italiani e
tedeschi diventa un’ossessione nazionale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">All’inizio degli anni ‘90 con la liberalizzazione dei flussi internazionali
ci fu il graduale trasferimento del debito da creditori nazionali a creditori
internazionali. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Aggiuntivamente il debito viene internazionalizzato per un mero calcolo
economico. Quando il debito pubblico comincia a divenire grande rispetto al PIL
di un paese, fa concorrenza al sistema bancario-finanziario nazionale, nel
senso che i risparmiatori, invece di prestare i soldi alle banche o alle
imprese (sotto forma di obbligazioni o azioni), li prestano più volentieri allo
Stato (che è molto più solvibile e dà cedole certe), relegando la banca a
semplice custode dei titoli pubblici. Ora, oltre un certo livello, questo è rovinoso
in quanto impedisce la trasformazione del risparmio in investimento,
strangolando le banche e dunque i prestiti alle imprese private. A questo punto
una via di salvezza sarebbe attirare capitali dall'estero. Ma questo implica
alti tassi d'interesse e deprime a sua volta l'economia nazionale rendendo più
costosi gli investimenti. Quindi l'unica soluzione percorribile è piazzare
direttamente i titoli pubblici all'estero, specie nei fondi-pensione privati
che cercano investimenti a lungo termine, ben remunerati ma sicuri. Ed eccoci
al problema dello spread: se i fondi-pensione sentono "puzza di
bruciato" in un certo paese inondano il mercato di titoli pubblici di
questo paese e il loro valore di scambio (non di fine-contratto, come pochi
sanno...) affonda. Le nuove emissioni avranno quindi cedole più lucrose per
controbilanciare i rischi aumentati e così via, avvitandosi nei meccanismi a
spirale noti ad Argentina, Grecia e forse, tra non molto, Italia.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Nel ‘91 furono negoziati i parametri di Maastricht, in quel momento
l’Italia aveva già un debito del 98% del PIL. Nel 1996 il 20% dei titoli di Stato
erano in mano ad acquirenti stranieri. Per passare al 38% nel 1999. Come notato
da Tedoldi, nel 2004 lo Stato italiano non era più in grado di rispondere alla
recessione con il suo indebitamento come fatto negli anni ‘70, anche per le
richieste di garanzie da pare dell’Unione Europea. Nei primi anni 2000 i
maggiori creditori esteri divennero Francia, Germania, Gran Bretagna e quindi
la Cina, arrivando al 53% del debito totale nel 2005. Nel 2010 l’85% del debito
era posseduto da banche estere (cinesi, tedesche, statunitensi e
mediorientali).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">La posizione del WSM ovvero da partito
socialista rivoluzionario. </span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Molti economisti liberisti vedono il debito pubblico come una cosa
positiva. È un debito che tutti hanno, nessuno ripaga completamente, ci si può
speculare, e permette una certa flessibilità nel tamponare e rilanciare
l’economia. Ma questa è una visione puramente borghese.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il problema sorge quando i creditori vogliono
i soldi indietro, un po’ come un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ponzi
Scheme</i>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Il debito pubblico nazionale come abbiamo mostrato è un mostro generato dagli
interessi di pochi ai danni di molti. L’aggettivo ‘pubblico’ è fuorviante.
L’aggettivo ‘nazionale’ è un concetto squisitamente borghese. Divide i
lavoratori dietro barriere di orgoglio nazionale, usando retaggi culturali,
spesso contraffati, in quanto la storia vera sarebbe un’inquietante escalation
di soprusi e forzature. È un concetto, quello di nazionale, che riesce ancora a
dividere nel bene e nel male. E ciò che ci divide ci controlla. Questo dà adito
alla falsa polemica dell’Unione Europea, che non è internazionalismo, ma
nient’altro non è che interessi nazionali agglomerati in un polo di influenza,
nella grande guerra globale. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Affamare uno Stato, come successo in Grecia, viene quindi giustificato e
tollerato proprio grazie al doppio errore di colpa pubblica di una certa
nazione. “Perché i greci non pagano le tasse”. Stesso discorso per gli
italiani. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Questa divisione nazionale ci porta a simpatizzare o odiare un altro gruppo
di lavoratori per interessi economici ai quali ci si impone un legame, una
responsabilità. Colpevoli di essere nati in una nazione insolvente. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Ecco, per un socialista ciò è puro <i>nonsense</i>!</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Il WSM in linea con Marx e Ricardo sostiene che le tasse non tocchino i
salari reali dei lavoratori. Ovvero il salario dopo le tasse, dirette o
indirette e al consumo. Quindi se si prendessero in considerazione uno
stipendio lordo di 1000 euro e un altro di 10.000 euro al mese e si togliessero
tutte le tasse dirette e indirette (anche a percentuali diverse, diciamo 30% e
50 % rispettivamente, includendo pure le tasse al consumo come l’IVA)
rimarrebbero 700 euro al primo e 5.000 euro al mese al secondo. Chiaramente,
anche se il primo non pagasse le tasse, il suo introito netto sarebbe inferiore
a quello del secondo. Quello che conta qui, quindi, è il salario reale e il
potere di acquisto. Se con un aumento delle tasse si andasse a determinare una
riduzione del potere di acquisto, questo risulterebbe in una riduzione di fatto
dei salari reali. Ovviamente spesso il lavoratore ha l’illusione che quei 1000
euro siano il suo salario reale e questo determina un’amarezza e un accanimento
contro le tasse che però fanno il gioco di coloro ai quali, ovvero i
capitalisti, le tasse <s>ne</s> intaccano i profitti. Però c’è un’altra
considerazione da fare. Lo Stato che preleva le tasse in linea teorica lo fa
per permettere il funzionamento dell’amministrazione pubblica e dei servizi
pubblici ai quali tutti hanno accesso. Lo Stato quindi intacca una porzione dei
profitti dei capitalisti per il bene comune. In questo caso dovremmo essere
lieti di pagare le tasse. Ma cosa succede se questi soldi non vengono infatti
spesi per opere di bene comune? Questo determina un ulteriore motivo di
risentimento contro il sistema tributario. Ora il debito pubblico può essere
visto come tasse differite, ovvero che sono notificate ma non prelevate ancora
fisicamente. Ma queste tasse a chi giovano? Alla comunità?</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Noi siamo lavoratori, facciamo parte della classe dei lavoratori, che poi
noi si abbia una lingua e una cultura italica, bene: è un attributo di
creatività, estro e fantasia, se vogliamo dare adito agli stereotipi. La classe
dei lavoratori è internazionale, è mondiale. I confini che ci dividono per
farci guerre di mercato, guerre di commercio e guerre di religione e razziste,
sono confini che appartengono alla classe dominante. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Questo è un debito borghese usato ogni giorno per condizionare manovre
politiche borghesi. La risposta non è una geniale manovra economica di rientro
e nemmeno politiche che causano ulteriore aumento del debito.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">La risposta è quella di chi sta con i lavoratori di tutto il mondo,
lasciando questi giochetti, questi pretesti, queste colpe a chi li ha inventati
ovvero la classe dominante, i ricchi insomma, quelli che il debito, diciamocelo
chiaramente, non lo pagano e non lo pagheranno mai.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">La piccola e media borghesia che evade il fisco, i petrolieri e altri
industriali “salvati” dallo Stato, i politicanti corrotti con il loro sistema
di clientele e patronaggio, le banche e gli speculatori finanziari di
professione. Questi sono quelli che devono pagare il debito. Un debito che va
oltre l’aspetto pecuniario, un debito morale di “topi nel formaggio “ per
utilizzare un’espressione di Sylos Labini. Come i ratti, sono i primi che abbandonano
la nave che affonda.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Questo è un sistema che non può essere curato, va sovvertito! </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Quindi al<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> diavolo il debito e viva
la rivoluzione! </b></span><span lang="IT" style="mso-ansi-language: IT;"></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-27671128312496447532018-12-26T12:38:00.000+01:002018-12-30T12:42:34.042+01:00Rosa Luxemburg e l’opposizione marxista al leninismo<div style="text-align: justify;">
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</xml><![endif]--><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Durante la cosiddetta <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"rivolta di gennaio"</i>, iniziata
il 6 gennaio di cento anni fa, Rosa Luxemburg viene rapita e poi assassinata,
insieme a Karl Liebknecht, dai soldati dei famigerati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“</i></span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Freikorps" title="Freikorps"><i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Freikorps</span></i></a><i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">”</span></i><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, i gruppi paramilitari agli ordini del governo del premier
social-democratico Friedrich Ebert e del ministro della Difesa
Gustav </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Gustav_Noske" title="Gustav Noske"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Noske</span></a><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">. Il corpo di Rosa,
gettato in un canale di Berlino, è recuperato solo il 31 maggio e sepolto nel cimitero
centrale di Friedrichsfelde. Si sa per certo che il brutale assassinio avviene
il 15 gennaio.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Da questo momento inizia un
vero e proprio processo di “beatificazione” per la rivoluzionaria polacco-tedesca
portato avanti dalla Sinistra mondiale delle più varie sfumature: già
nel 1926 a lei, Karl Liebknecht, Leo Jogiches e Franz Mehring viene
dedicato un monumento del famoso architetto Ludwig </span><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ludwig_Mies_van_der_Rohe" title="Ludwig Mies van der Rohe"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%; text-decoration: none;">Mies van der Rohe</span></a>,<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> commissionato dal Partito Comunista Tedesco (la KPD) di
stretta osservanza moscovita. Successivamente, con la fondazione della Repubblica
Democratica Tedesca nel 1949 all’interno della zona di occupazione sovietica
della Germania sconfitta, praticamente tutto viene intitolato alla memoria di
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht: vie, piazze, scuole, biblioteche, musei,
perfino monete e francobolli. Il messaggio è molto chiaro ed elementare
(benché, come vedremo in seguito, completamente falso): le idee rivoluzionarie
della Luxemburg sono sopravvissute alla sua morte nel programma della KPD e si
sono poi finalmente concretizzate nella Germania “socialista”, resa possibile
dalle baionette russe dopo il crollo del regime nazista.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma vi è anche un altro uso,
senz’altro più scaltro e intellettualmente sofisticato, ma non per questo più
autentico, dell’eredità politica luxemburghiana. Quando diviene chiaro, ad
opera soprattutto dei lavori del comunista libertario Daniel Guérin (1971), che
il pensiero di Rosa Luxemburg è per moltissimi aspetti irriducibile alla
vulgata marxista-leninista di Mosca o di Pechino, ella viene assunta da vari
gruppi socialdemocratici critici e “di sinistra” come l’emblema della
cosiddetta “Terza Via”, equidistante dal “socialismo reale” sovietico o cinese
e dal riformismo socialdemocratico dell’Europa Settentrionale. Campione di
questa tendenza in Italia è il dirigente del PSI prima (e del PSIUP poi) Lelio
Basso, figura culturalmente molto significativa nel trentennio ’50-‘70, ma
alquanto inquieta e oscillante tra un socialismo democratico “radicale” e un
comunismo critico “dal volto umano”, con venature anche di operaismo e di
terzomondismo. E una tale </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">apologia luxemburghiana da parte dei
“riformisti di sinistra” continua ancora oggi: gli esponenti del partito della
"Sinistra Europea'', nato proprio a Berlino il 10 gennaio 2004, come primo
atto ufficiale si sono recati in pellegrinaggio sulla tomba di Rosa Luxemburg per
rivendicare la supposta continuità tra il loro progetto politico e quello della
grande rivoluzionaria polacco-tedesca.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma chi è davvero questa donna eccezionale che
con i suoi scritti e le sue azioni sembra riscuotere un consenso generale nella
Sinistra degli ultimi cento anni, mettendo apparentemente insieme lo stalinista
Walter Ulbricht, il socialista “di sinistra” Lelio Basso, l’anarco-comunista Daniel
Guérin e il comunista dei consigli Paul Mattick, in un modo tale che forse solo
un gigante del pensiero come Marx potrebbe fare?</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E, soprattutto, se non fosse stata
crudelmente massacrata a soli 47 anni, cosa avrebbe pensato del “socialismo
reale” edificato dai comunisti ufficiali, o, più in generale, della ideologia
dogmatica e totalitaria del cosiddetto “marxismo-leninismo”?</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nelle poche pagine che seguono cercheremo di
dare una risposta sincera e senza preconcetti a questi interrogativi arrivando
alla conclusione, probabilmente per molti un po’ provocatoria, che è forse
proprio il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“World Socialist Movement” </i>(WSM)<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, </i>pur<i style="mso-bidi-font-style: normal;">
</i>con tutte le differenze e i distinguo del caso, a essere il raggruppamento
politico di oggi più autenticamente “luxemburghiano”. Paradossalmente
utilizzeremo per le citazioni di Lenin parte di un vecchio e misconosciuto
articolo telematico (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Chi era Rosa
Luxemburg?”, <a href="http://www.pmli.it/chieraluxemburg.htm"><u><span style="color: blue;">http://www.pmli.it/chieraluxemburg.htm</span></u></a></i>)
di un piccolo raggruppamento maoista italiano (il PMLI) che, proprio a causa
del suo estremismo settario (agli antipodi del WSM in tutto), riesce ad essere
veritiero almeno in un punto: la pluriennale opposizione tra Lenin e la
Luxemburg. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Rosa Luxemburg (o meglio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="background: white; mso-bidi-font-style: italic;">Róża
Luksemburg”</span></i><span style="background: white; mso-bidi-font-style: italic;">
in polacco)</span> nasce a Zamość nella Polonia aggregata all’Impero Russo nel
1871 da una famiglia di origine ebraica di commercianti di legname, prima
agiata e poi alquanto impoverita. Trasferitasi a soli due anni a Varsavia, vi
frequenta a partire dal 1884 il liceo femminile entrando subito in contatto con
gruppi giovanili clandestini d’ispirazione socialista. Nel 1889, per sfuggire a
una serie di arresti che decima tutti i vari movimenti socialisti polacchi,
Rosa si vede costretta a emigrare in maniera rocambolesca, attraversando la
frontiera austriaca nascosta in un carro di fieno e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giungendo in fine in Svizzera. Qui fa studi
universitari di filosofia, di matematica e di scienze naturali, ma alla fine
opta per la giurisprudenza e l’economia addottorandosi (cosa ancora eccezionale
per una donna) a Zurigo nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della
Polonia. Nel frattempo approfondisce lo studio del marxismo e partecipa
attivamente alla vita politica degli esuli socialisti polacchi e russi,
collaborando soprattutto con <span style="background: white;">Leo Jogiches di cui
diventa la compagna. L’evento più importante di questo periodo è la separazione
(1893-1894) dei socialisti patriottici del PPS da quelli internazionalisti
dell’SDKP, che, animati proprio da Jogiches e dalla Luxemburg, fonderanno a
Parigi la rivista <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Sprawa Robotnicza”
(“La Causa operaia”)</i>. Inizia fin da subito l’intransigente opposizione
luxemburghiana a ogni forma di patriottismo e di nazionalismo, persino per le
nazionalità oppresse come quella polacca, in quanto considerati una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“illusione destinata a distogliere i
lavoratori dalla lotta di classe</i>”. Cominciano proprio in questo periodo (originariamente
per banali problemi di diritti d’autore) le prime ruggini con i socialisti
russi che, per bocca del loro massimo teorico Georgij V. Plechanov (il mentore
e maestro di marxismo del giovane Lenin), nel 1893 forniscono un appoggio
organizzativo importante ai delegati social-patrioti del PPS presso il III
congresso della Seconda Internazionale, riuscendo così a privare Rosa Luxemburg
della sua delega. La battaglia contro il nazionalismo polacco prosegue con
opuscoli e articoli su diverse riviste socialiste europee (anche su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Critica Sociale”</i> di Turati) almeno fino
al 1896, quando, durante il IV congresso della Seconda Internazionale, si
arriverà a una soluzione provvisoria di compromesso nella quale si riconosce il
diritto dei popoli all’auto-determinazione, ma si ribadisce anche che il fine
ultimo dei partiti socialisti è l’eliminazione del capitalismo a livello mondiale.</span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Rosa capisce però che per influire davvero
sul movimento operaio ha bisogno di portare le sue idee coerentemente marxiste
nel cuore stesso della Seconda Internazionale: il Partito Socialdemocratico
Tedesco (la SPD) e quindi nel 1898 emigra in Germania, dove si stabilisce in
maniera definitiva dopo un matrimonio fittizio con un cittadino tedesco, il
figlio dell’amica Olympia Lübeck. Trasferitasi a Berlino, stringe amicizia con
i coniugi Kautsky che in quel periodo stanno iniziando una lotta senza
quartiere contro tendenze revisioniste sostenute apertamente da Eduard
Bernstein a partire dal 1896. È il famoso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="background: white;">Revisionismusdebatte”.</span></i> Ma piuttosto che
dedicare spazio alla nota battaglia della Luxemburg contro il riformismo
revisionista prima e contro centrismo kautskiano dopo (con il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="background: white; mso-bidi-font-weight: bold;">Massenstreikdebatte”</span></i><span style="background: white; mso-bidi-font-weight: bold;"> nel periodo 1906-1913</span>), sarà molto più utile per il nostro scopo
capire come ella entri diverse volte in rotta di collisione con Lenin e i
bolscevichi russi.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpLast" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il primo episodio prende le mosse da un
attacco diretto a Lenin in un articolo che ella dedica alla crisi del Partito Operaio
Social-Democratico Russo (il POSDR) e alla successiva scissione tra bolscevichi
e menscevichi, apparso nel 1904 contemporaneamente sulla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neue Zeit</i> (l’organo teorico della SPD) e sulla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Iskra</i> (giornale del POSDR) con il titolo piuttosto neutro di “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Questioni organizzative della
socialdemocrazia russa”</i>. Ma sotto un atteggiamento apparentemente
distaccato e quasi da cronista, la Luxemburg coglie acutamente l’essenza
radical-borghese della dottrina leninista del partito, scrivendo:</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> </span></i><br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Per questo motivo la socialdemocrazia crea un tipo di organizzazione completamente diverso da quelli comuni ai precedenti movimenti rivoluzionari, come i giacobini e i seguaci di Blanqui. Lenin sembra ignorare questo fatto quando presenta nel suo libro «Un passo avanti e due indietro» (a pagina 140) l'opinione che il socialdemocratico rivoluzionario non sia altro che un «giacobino, indissolubilmente unito all'organizzazione del proletariato, che ha preso coscienza dei suoi interessi di classe». Per Lenin la differenza tra la socialdemocrazia e il blanquismo si riduce all'osservazione che al posto di una manciata di cospiratori, abbiamo un proletariato consapevole della sua natura di classe. Dimentica che questa differenza implica una revisione completa delle nostre idee sull'organizzazione e, quindi, una concezione completamente diversa del centralismo e delle relazioni esistenti tra il partito e la lotta stessa”.</span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpFirst" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questo articolo causò la prima violenta
reazione di Lenin contro Rosa contenuta nello scritto del settembre 1904 intitolato
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Un passo avanti e due indietro.
Risposta a Rosa Luxemburg'' </i>(da non confondersi con il quasi omonimo saggio
leniniano citato dalla Luxemburg:<i style="mso-bidi-font-style: normal;">
"Un passo avanti e due indietro”, </i>di pochi mesi prima), dove la
rivoluzionaria polacco-tedesca viene accusata di aver fatto conoscere ai lettori
socialisti tedeschi non l’esatto pensiero di Lenin, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"ma qualcosa di diverso''</i>, in particolare a proposito del
progetto di Statuto del Partito elaborato e presentato al congresso del POSRD
da lui stesso. La si accusava senza mezzi termini di aver scritto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"esclusivamente banalità inventate di
sana pianta''</i> e d’ignorare persino “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">l'abbiccì
della dialettica''</i>. Ma il direttore della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neue Zeit</i> del periodo, Karl Kautsky (in buoni rapporti con Rosa
fino al 1906), si rifiuta di pubblicare la replica di Lenin. In effetti in quel
periodo d’inizio secolo, Rosa Luxemburg, come pure Kautsky, si schiera coi
menscevichi contro i bolscevichi nella lotta all’interno del POSDR. E non è un
fatto episodico: sul piano ideologico e politico la Luxemburg sostiene e
teorizza anche in seguito posizioni chiaramente e coerentemente “mensceviche”,
avverse ad ogni concezione avanguardista del partito e fondate sull’autonomia
della classe lavoratrice nel suo processo di auto-emancipazione. Ad esempio,
nel 1912 Lenin l’attacca duramente perché in un articolo su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Vorwärts”</i> (il quotidiano della SPD) del
14 settembre ella aveva criticato Karl Radek sulla questione del cosiddetto “liquidazionismo”
(ovvero l’ipotesi di scioglimento del POSDR), ma non da posizioni bolsceviche,
quanto piuttosto sposando le opinioni di Julius Martov, il famoso dirigente
marxista menscevico. Lenin definisce in questa occasione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"presuntuose''</i> le parole usate da Rosa Luxemburg.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Certamente vi sono anche occasioni in cui tra
la Luxemburg e Lenin s’arriva a una parziale convergenza: nell'agosto 1908,
quattro anni dopo il primo scontro sul menscevismo, Lenin la loda pubblicamente
citando un suo articolo contro il militarismo in cui si difende la causa della
fallita rivoluzione russa del 1905. Probabilmente in quel momento il dirigente
socialista russo ritiene prioritario attirare dalla parte dei bolscevichi
elementi politici come Rosa Luxemburg e altri dell’ala "sinistra'' della socialdemocratica
tedesca.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma già nell’agosto del 1912 riemergono forti
contrasti tra i due quando la Luxemburg partecipa alla cosiddetta
"conferenza di Tyszka'' (lo pseudonimo di Jogiches) che raduna il Comitato
Esecutivo del <span style="background: white;">SDKPiL (l’erede dell’SDKP dopo
l’ingresso dei lituani nel 1899)</span>, un partito in grave crisi dopo il 1911
divenuto assai polemico nei confronti di tutte le tendenze del socialismo russo.
Lenin, che come sempre spinge per organizzazioni politiche su base nazionale o
etnica, definisce molto aspramente quel Comitato Esecutivo sostenendo che sia <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“miserabile”</i> e che <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“non abbia più nessun partito da amministrare”.</i> Ma c’è di più: nel
marzo 1913, in una lettera alla redazione del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Sozial-demokrat” </i>(l’organo centrale del partito bolscevico), Lenin
stronca in modo implacabile l’opera teorica più importante di Rosa Luxemburg: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Ho letto il nuovo libro di Rosa, «Die Akkumulation
des Kapitals». Ne dice di grosse! Ha storpiato Marx''.</i> Anche se Nikolaj I.
Bucharin nel 1924 dimostrerà che le critiche luxeburghiane agli schemi di
riproduzione allargata di Marx non sono necessarie, il tempo sarà però
galantuomo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“L’accumulazione del
capitale”</i>, un lavoro di notevole profondità e originalità viene riscoperto
più tardi da svariati economisti, sia marxisti come Fritz Sternberg che
accademici come Joan Robinson, ed è oggi considerato una vera e propria pietra
miliare nello studio di fenomeni tipici del capitalismo moderno, come l’imperialismo,
il colonialismo e la corsa agli armamenti.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La ferma opposizione di entrambi alla I
Guerra Mondiale sembra spingere finalmente Lenin e la Luxemburg nella stessa
direzione politica. Rosa sostiene vigorosamente la posizione anti-bellicista
intransigente dei bolscevichi russi e lo scrive, firmandosi con lo pseudonimo di
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Junius''</i>, sia nell'opuscolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"La crisi della socialdemocrazia
tedesca''</i> (redatto nel 1915 durante la sua prigionia e pubblicato nel 1916
in modo clandestino), sia <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nelle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Tesi sui compiti della
socialdemocrazia internazionale''</i> a cui collaborano anche altri
socialdemocratici tedeschi di sinistra come Clara Zetkin e Franz Mehring. Tuttavia
oltre alle lodi non mancano anche delle velate critiche a Lenin e alle sue
teorie rivoluzionarie, al punto tale che questi si sente costretto a replicare
scrivendo nel luglio 1916 le sue osservazioni <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"A proposito dell'opuscolo di Junius”:</i> anche se espressi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"con grande vivacità''</i> e in grado
di esercitare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"ancora una grande influenza
nella lotta contro il partito ex-socialdemocratico tedesco che è passato nel
campo della borghesia''</i>, sostiene Lenin, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"i ragionamenti di Junius sono molto incompleti''</i> e conterrebbero
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">"due errori''</i>. Siccome <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"per i marxisti, l'autocritica è
indispensabile''</i> e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"le opinioni
che devono servire come base ideologica per la III Internazionale vanno
esaminate sotto tutti gli aspetti possibili''</i>, Lenin critica
puntigliosamente quelli che lui vede come i difetti principali di Junius-Luxemburg,
cominciando dalla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"errata negazione
di tutte le guerre nazionali'',</i> superate dalla guerra mondiale
imperialista. Infatti, secondo il leader bolscevico, affermando ciò la
Luxemburg vanifica <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"il principio
fondamentale della dialettica marxista''</i> secondo cui <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"tutti i limiti, nella natura e nella società, sono relativi e
mobili; che non c'è un solo fenomeno il quale non possa, in determinate
circostanze, trasformarsi nel suo opposto. Una guerra nazionale può
trasformarsi in guerra imperialista e viceversa''</i>. Vediamo come ancora una
volta, sfrondato della tipica retorica marxisteggiante di Lenin, il punto di
scontro sia sempre quello della questione nazionale, in questa occasione però
vista dal lato militare. E poi sul tema della "difesa della patria''
Junius-Luxemburg sviluppa secondo Lenin un ragionamento sbagliato, in modo che tale
tesi finirebbe, secondo lui, per rafforzare <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"la
nostra convinzione che il nostro partito abbia posto questo problema nel solo
modo giusto: in questa guerra imperialista, in considerazione della possibilità
e della necessità di contrapporle la guerra civile per il socialismo e di adoperarsi
a trasformarla nella guerra civile per il socialismo, il proletariato è contro
la difesa della patria''.</i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Persino nel suo discorso all'indomani del barbaro
assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, Lenin introduce una leggera
nota polemica nella sua orazione funebre. La frase seguente: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"L'esempio della rivoluzione tedesca ci
persuade che la democrazia sia solo una copertura della rapina borghese e della
violenza più feroce'' </i>è in chiara polemica con la famosa e profetica critica
luxemburghiana alla Rivoluzione d’Ottobre: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“<span style="background: white;">Col soffocamento della vita politica in tutto il paese
anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa.
Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione illimitate, libera
lotta d'opinione in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa
apparente e in essa l'unico elemento attivo rimane la burocrazia"</span>
</i><span style="background: white; mso-bidi-font-weight: bold;">(R.
Luxemburg, <i>La Rivoluzione russa, </i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">1918)<i>.</i></span></span></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma Rosa, in quest’opera quasi profetica, non si
limita alla critica dell’identificazione bolscevica tra “dittatura del partito”
e “dittatura del proletariato”, come avrebbe fatto un qualsiasi dirigente
socialista democratico europeo (per esempio Kautsky, Bauer, Hilferding, Turati,
Blum, Vandervelde ecc.). Ella, da vera conoscitrice del marxismo, aggiunge una
preoccupazione cruciale sul ruolo regressivo dell’elemento contadino nella
rivoluzione russa, comprendendo in larghissimo anticipo che la forza
anti-zarista e anti-aristocratica fatta scaturire machiavellicamente da Lenin e
Trockij con i loro semplici e allettanti slogan prima, e con la riforma agraria
poi, avrebbe <i>“creato un nuovo e potente strato popolare di nemici del
socialismo nel mondo agrario, nemici la cui resistenza sarà molto più
pericolosa e ostinata di quella dei grandi proprietari terrieri”. </i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E ancora: <i>“</i></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’occupazione dei latifondi da parte dei contadini secondo lo
slogan, breve e preciso, di Lenin e dei suoi compagni: «Andate e prendetevi la
terra!», condusse semplicemente all'improvvisa e caotica conversione della
grande proprietà fondiaria aristocratica nella piccola proprietà terriera
contadina. E ciò che è stato creato non è una proprietà sociale, ma una nuova
forma di proprietà privata, vale a dire la frammentazione di grandi latifondi
in piccole e medie proprietà, ossia il passaggio da unità di produzione
relativamente avanzate a unità primitive di piccole dimensioni che operano con
mezzi tecnici praticamente immutati dal tempo dei faraoni.<span style="mso-bidi-font-style: italic; mso-bidi-font-weight: bold;">”</span></span></i></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="background: white; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Certo, si potrebbe osservare come alcune residue
illusioni sul carattere ipoteticamente “socialista” della Rivoluzione d’Ottobre
(piuttosto che borghese e anti-feudale) sono ancora presenti in questo scritto,
dato che la Luxemburg è alquanto a favore della presa del potere da parte dei
bolscevichi. Tuttavia chi conosce la tragica storia dell’URSS sa benissimo come
il monito di Rosa si sia essenzialmente avverato: tutta l’evoluzione di questo
paese verso il capitalismo di stato è stata scandita dal perenne conflitto, ora
latente, ora più palese, tra i contadini medi (i <i>kulaki</i>) e i burocrati
statali e di partito. Dalle requisizioni del cosiddetto “socialismo di guerra”,
alla prima e alla seconda “Nuova Politica Economica” (la NEP), fino alla
famigerata “collettivizzazione forzata” (con la vera e propria eliminazione
fisica di centinaia di migliaia di <i>kulaki</i>), la partita sarà chiusa solo
tra il 1930 e il 1934 con il trionfo della burocrazia, accompagnato però da una
produttività agricola davvero disastrosa: nel solo inverno tra il 1932 e il
1933 si conteranno in URSS tra i 4 e i 7 milioni di morti per fame!</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma sarà più tardi, scrivendo le sue <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Note di un pubblicista''</i> nel febbraio
del 1922, che Lenin farà un bilancio definitivo della vita e dell'opera della
Luxemburg, evidenziando la distanza incolmabile tra loro causata da quelli che
per lui saranno sempre e soltanto degli errori politici: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">"Si è sbagliata sulla questione dell'indipendenza della Polonia;
si è sbagliata nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; si è sbagliata
nella sua teoria della accumulazione del capitale; si è sbagliata quando nel
luglio 1914, accanto a Plechanov, Vandervelde, Kautsky, ecc., ha difeso
l'unificazione dei bolscevichi e dei menscevichi; si è sbagliata nei suoi
scritti dalla prigione nel 1918''.</i></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In questo non possiamo che dar ragione al
celebre dirigente bolscevico: a dispetto di certa retorica socialista e della
comune fraseologia rivoluzionaria, la distanza politica tra il giacobinismo di
Lenin e il marxismo di Rosa Luxemburg rimane davvero incolmabile!</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><b>DC</b> </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQajKjjavqnY9ur9urvNiwZ9JEli6xb2wQVQNciI2BezSayHBiOzMqBafCFmVGz7xKKVQJLFbTTrJfApVAXQ0-8c0e9gJA6HxE1isqG1uDvhIN3o6AeiCfJ4d5LXXJRoeQMET9ZICt94w/s1600/Rosa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="247" data-original-width="435" height="181" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQajKjjavqnY9ur9urvNiwZ9JEli6xb2wQVQNciI2BezSayHBiOzMqBafCFmVGz7xKKVQJLFbTTrJfApVAXQ0-8c0e9gJA6HxE1isqG1uDvhIN3o6AeiCfJ4d5LXXJRoeQMET9ZICt94w/s320/Rosa.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-62046104832195308952018-11-01T09:08:00.002+01:002020-01-11T12:27:04.652+01:00L’Estrema Sinistra: un anacronismo del 21° secolo<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b><span style="font-size: 12pt;">Il
conservatorismo dell’Estrema Sinistra</span></b><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Una delle
cose di cui il Partito Socialista [della Gran Bretagna, SPGB] è spesso accusato
da quella che viene definita genericamente come “Estrema Sinistra” è
“l’utopismo”. Siamo “utopici” perché vogliamo istituire un’alternativa al
capitalismo dove i beni e i servizi non siano più prodotti per la vendita ma
direttamente per soddisfare i bisogni umani, dove la divisione di classe della
società in datori di lavoro e dipendenti, insieme all’intero sistema del lavoro
salariato, abbia cessato di esistere e dove le risorse produttive della società
siano possedute in comune da tutti.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">È vero,
sulla scala Richter dell’insulto politico l’essere definiti “utopici” si trova
piuttosto in basso. Si potrebbe essere definiti molto peggio nel lessico
colorato dell’Estrema Sinistra. Ci avrebbero potuto etichettare come
“revisionisti” oppure come “tirapiedi degli imperialisti”.</span></span></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Tuttavia,
sembra esserci qualcosa di strano in questa accusa di “utopismo”; suona come
una dissonanza cognitiva. Dopo tutto, non si suppone che questi raggruppamenti
assortiti di trotzkisti, stalinisti, marxisti-leninisti, maoisti, hoxhaisti,
castristi e affini, abbiano come “obiettivo finale”<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>esattamente l’obiettivo del partito
socialista?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Le "ferree leggi "
della storia, a loro avviso, non ci spingono inesorabilmente in quella
direzione, comunque?</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Beh, così
non sembra. Sembra che l’Estrema Sinistra – possiamo dimenticarci della
Sinistra Moderata che non pretende nemmeno di avere il socialismo come
obiettivo di lungo termine – abbia premuto il pulsante “Pausa” sulla storia e
che quello sia il posto dove intendano rimanere indefinitamente. Sembra che la
necessità pragmatica di fare campagne per le riforme abbia sempre la precedenza
sulla necessità di una rivoluzione sociale. Le loro ragioni per pensarla così saranno
esaminate in seguito.</span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></b></span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;">Le precondizioni del Socialismo</span></b><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Dovrebbe
essere ovvio che per creare una società socialista si deve avere una
maggioranza significativa che la vuole e che capisce ampiamente che cosa
comporta. Questo perché il socialismo costituisce un cambiamento radicale delle
“regole del gioco”, per così dire – cioè le norme e le aspettative sociali che
governano il comportamento umano.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Nel
socialismo la nozione stessa di scambio economico sarà scomparsa come
conseguenza logica del rendere le risorse produttive della società proprietà
comune di tutti. Lo scambio, dopotutto, denota uno scambio di titoli di
proprietà e, quindi, l'esistenza di proprietà privata - ciò significa che il
lavoro in una società socialista non può più essere forzato dal bisogno di
vendere le nostre capacità lavorative per un salario; deve necessariamente
assumere una forma volontaria. Significa anche che i prodotti del nostro lavoro
collettivo - i beni e i servizi che consumiamo - sarebbero messi a disposizione
di tutti su una base completamente gratuita senza la necessità di alcun tipo di
scambio.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">In realtà,
queste due cose - "libero accesso" e "lavoro volontario" -
si uniscono come pratiche sociali in quanto l'una implica l'altra. Costituiscono
l'essenza stessa di ciò che si intende con il vecchio slogan socialista
"da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni".
Ma, chiaramente, per attuare ciò, le persone devono sapere cosa aspettarsi
l'una dall'altra. Abbiamo bisogno di sentire il senso di sicurezza che derivi
da una visione condivisa di come la società dovrebbe funzionare e di un insieme
comune di valori per guidarci e motivarci. Altrimenti il risultato sarà,
ovviamente, il caos e la disgregazione della società stessa.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Sempre ovviamente,
questo accordo sociale può essere attuato solo laddove esista il potenziale
tecnologico per produrre abbastanza per soddisfare i bisogni della popolazione.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Altrimenti
la scarsità cronica di materiale minerebbe e sovvertirebbe l'ethos cooperativo
da cui dipende una società socialista. L'interesse personale, invece di
integrare i valori altruistici (come sarebbe il caso in una società sana ed
equilibrata), avrebbe sempre più il compito di affossare quest'ultima, dal
momento che gli individui si affannerebbero per impossessarsi di quanto
possibile a prescindere dalle conseguenze per gli altri.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">I socialisti
sostengono che questo potenziale tecnologico esiste da tempo; la barriera alla
sua realizzazione è il capitalismo. Il capitalismo non solo riduce
deliberatamente la produzione a ciò che può essere proficuamente venduto, ma fa
anche in modo che una parte molto ampia e in costante crescita dell'attività economica
sia dedicata non al soddisfacimento dei bisogni umani, ma all’andare incontro,
invece, ai bisogni sistemici del capitalismo stesso, per esempio l'intero
settore finanziario dell'economia capitalista.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Questo
massiccio spreco di risorse umane e materiali (dal punto di vista del
soddisfacimento dei bisogni umani) terminerà bruscamente con il socialismo.
Queste risorse saranno liberate allo scopo di aumentare significativamente la
produzione complessiva di ricchezza socialmente utile mentre, paradossalmente,
contribuiranno a mitigare le pressioni enormi e insostenibili che vengono
attualmente esercitate sul nostro ecosistema globale - semplicemente cambiando
lo scopo di base per cui la ricchezza è prodotta in primo luogo. Vale a dire,
cambiando la natura della società in cui viviamo.<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> </b></span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Sostenere il capitalismo</b> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Dove sta
l’Estrema Sinistra in relazione a tutto questo? Dal momento che non sono
realmente interessati a parlare, e tanto meno a difendere, il socialismo -
perché per loro sarebbe "utopico" farlo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>- come arriverà una coscienza socialista di
massa, secondo loro? Proprio quando non sarà più 'utopistico' parlare di
socialismo - forse mai?</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Citano
frequentemente in loro difesa quella famosa frase di Marx ne <a href="https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/index.htm"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’ideologia tedesca</i></a> (1845),
fraintendendo completamente quello che Marx intendeva, e interpretandola come
giustificazione della loro mancanza di interesse nel promuovere una vera
alternativa al capitalismo:</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></i></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;">"Il comunismo, per noi, non è
uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà
dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato
di cose presenti. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto
ora esistente."</span></i><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Una premessa importante a cui Marx stava alludendo qui era proprio l'esistenza
di un potenziale tecnologico sufficientemente sviluppato per rendere
realizzabile il comunismo (alias socialismo). Mentre i socialisti sostengono
che questo potenziale esiste da molto tempo, l’Estrema Sinistra, nel complesso,
tende a negarlo e, così facendo, inavvertitamente e inutilmente aiuta a
prolungare il capitalismo.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Per loro,
non è veramente il capitalismo il responsabile della persistenza della povertà
superflua. Anche se possono scagliarsi contro le "avide società" e su
come queste favoriscano i profitti a scapito delle persone, il problema,
suggeriscono, è che ci manca ancora l'infrastruttura tecnologica necessaria che
potrebbe rendere il socialismo una possibilità materiale. In breve, abbiamo
bisogno di ulteriore sviluppo capitalistico.</span></span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Ad esempio,
la povertà assoluta, definita dalla Banca Mondiale come una condizione di grave
deprivazione materiale in cui gli individui sono costretti a vivere con un
reddito inferiore a 1,90 dollari al giorno con riferimento ai prezzi del 2011,
continua a colpire centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. In modo
schiacciante, i poveri assoluti sono concentrati nel sud del mondo. Da ciò si
deduce che il problema si riduce alla relazione iniqua tra il "mondo ricco"
e il "mondo povero" - come se la povera gente non vivesse nel primo e
la gente ricca non vivesse nel secondo.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Per molti
dell’Estrema Sinistra questa relazione diseguale è una funzione
dell'"imperialismo" piuttosto che del capitalismo in quanto tale. Di
conseguenza, ciò che è richiesto è una lotta contro l'imperialismo e le nazioni
imperialiste - in particolare, gli Stati Uniti. Ciò comporta il sostegno alle
"lotte di liberazione nazionale" nel sud del mondo e agli sforzi di
questi paesi poveri per svilupparsi economicamente, liberati dall'influenza
maligna di questo imperialismo del Primo Mondo. In questo modo i partigiani del
"Terzo Mondo" appartenenti all’Estrema Sinistra si allineano agli
interessi dei capitalismi locali nel sud del mondo.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Il problema
è che il capitalismo è un sistema globale; è ovunque guidato dalla stessa
logica. È una logica che funziona per bloccare la realizzazione dell'enorme
potenziale produttivo che già possediamo e solo stabilendo un'alternativa
globale al capitalismo possiamo sperare di rilasciare questo potenziale. Difficilmente
si può farlo se si è sostenitori del nazionalismo del Terzo Mondo. Il
nazionalismo non è una minaccia per il capitalismo; al contrario, ne è un
sostegno ideologico.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Non solo, l’Estrema Sinistra ingenuamente suppone che "l'abbondanza
materiale" sia qualcosa che deve diventare un fatto empirico, una realtà
esperienziale per tutti, prima ancora che possiamo iniziare a parlare di
socialismo - un'idea sociologicamente debole, comunque, dato il cronico senso
di privazione che il capitalismo infonde costantemente in noi attraverso il
potere della pubblicità e similari, anche quando le nostre vite sono già
ingombre di gadget spesso inutili e i nostri frigoriferi sono pieni zeppi di
cibo confezionato. Fino ad allora, sostiene l’Estrema Sinistra, il capitalismo
è ancora necessario, anche se sotto la tutela dello stato benevolo e mascherato
dai simboli della terminologia socialista.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Questo
pensiero arretrato e chiaramente non rivoluzionario deriva dal loro profondo
attaccamento al modello statalista di sviluppo capitalistico, come è stato
implementato nei primi decenni dell'Unione Sovietica. All'epoca questo modello
sembrava effettivamente consentire un tasso relativamente rapido di
accumulazione di capitale in termini internazionali. Si può certamente affermare
che il capitalismo di stato era più adatto (da quel punto di vista) a un periodo
iniziale di sviluppo capitalistico rispetto ai modelli rivali (come il
capitalismo liberista) - ciò che l'economista Walt Rostow chiamò la fase di
"decollo industriale" della crescita economica nel suo influente
libro, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Stages of Economic Growth: A
Non-Communist Manifesto</i> (1960).</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">In seguito,
tuttavia, mentre l'economia sovietica cresceva in termini di dimensioni e
complessità e passava da una forma estensiva a una forma intensiva di crescita
economica, questo modello capitalista di stato, con le sue intrinseche rigidità
strutturali e inefficienze, diventava sempre più un impedimento allo sviluppo
capitalista, risultando in definitiva nel crollo della stessa Unione Sovietica.
Ma il fondamentale conservatorismo dell’Estrema Sinistra, con la sua ossessiva
preoccupazione per il "produttivismo" e la crescita del PIL fine a se
stessa, rende difficile per loro rinunciare a una cieca fiducia nello sviluppo
capitalista guidato dallo stato. È come se fossero intrappolati in una “distorsione
temporale” negli anni '30 del secolo scorso, quando il buon vecchio Baffone (Stalin)
“governava la baracca" e la cosiddetta “pianificazione centrale” era di gran
moda.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Dal momento
che il capitalismo (di stato) è ancora necessario, a loro avviso, una conseguenza
di ciò è che non ha senso lavorare per mettere in atto quell'altra premessa (ancora
maggiore) su cui si fonda l'affermarsi di una società socialista - cioè la comprensione
e il desiderio di realizzare il socialismo da parte della maggioranza. Tali
discorsi, dicono, sono prematuri e "utopici". La loro difesa di
questa posizione è che sono "materialisti", quindi proporre il
socialismo è "idealista". Non apprendiamo attraverso "propaganda
astratta" ma attraverso "esperienza pratica".</span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></b></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;">L'idealismo dell’Estrema Sinistra</span></b><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">In realtà,
questo rivela una visione rozza, meccanica e completamente riduzionistica di
ciò che il materialismo in realtà è. Le idee fanno parte del nostro ambiente
sociale, non sono qualcosa di separato da esso. Non c'è una dicotomia tra
"idee" ed "esperienza". Le idee sono il mezzo con cui dare
un senso alle nostre esperienze. Nel <a href="https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/index.htm">Manifesto Comunista</a> appare il seguente
passaggio:</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></i></span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;">"Tutti i precedenti movimenti
storici erano movimenti di minoranze o nell'interesse delle minoranze. Il
movimento proletario è il movimento indipendente e autocosciente dell'immensa
maggioranza, nell'interesse dell'immensa maggioranza”.</span></i><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">L'enfasi sull'
”autocoscienza” qui è deliberata e intenzionale. Non si può separare
logicamente la nozione di una classe lavoratrice che è diventata consapevole
del suo status di classe produttiva espropriata nel capitalismo - la
"classe per sé" di Marx in contrapposizione a una "classe in sé"
- dal desiderio collettivo di rendere i mezzi della produzione di ricchezza la
proprietà comune di tutti. Una cosa implica l'altra. In altre parole, proporre
la causa del socialismo - ciò che l’Estrema Sinistra abbandona come
"utopismo" - è in realtà una parte fondamentale dello sviluppo
dell'autocoscienza proletaria.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Nella
concezione meccanicistica dell’Estrema Sinistra di cosa sia il
"materialismo", il desiderio del socialismo è, in qualche modo,
pensato come se scaturisse magicamente dalle condizioni materiali in cui i
lavoratori si trovano senza l'intervento attivo, o la propagazione, delle
"idee". Ma com'è possibile dal momento che non viviamo in una società
socialista e possiamo solo prevederla nella nostra immaginazione? Ma è proprio
il ruolo dell'immaginazione che l’Estrema Sinistra intende sminuire e
minimizzare nella sua concezione meccanicistica della rivoluzione.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Ne <a href="http://www.rottacomunista.org/classici/marx-engels/capitale/index.htm"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il Capitale</i></a>, Marx tocca proprio
questo punto quando distingue tra il lavoro istintivo degli (altri) animali e
il lavoro umano:</span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></i></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-size: 12pt;">"Un ragno conduce operazioni
simili a quelle di un tessitore e un'ape fa vergognare molti architetti nella
costruzione delle sue celle. Ma ciò che distingue il peggior architetto dalle
migliori api è questo, che l'architetto innalza la sua struttura nell'immaginazione
prima di erigerla nella realtà ".<br />
</span></i><span style="font-size: 12pt;">(Volume I, capitolo 7).</span><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Esattamente
la stessa argomentazione può essere applicata all'instaurazione della società
socialista. Eppure, il processo di immaginare una tale società come una
condizione preliminare per realizzarla viene liquidato dall’Estrema Sinistra come
"utopismo". Non a caso per loro è solo quando l'avanguardia (che –
presumibilmente – è l’unica a possedere questa capacità di immaginare
un'alternativa al capitalismo) ha catturato il potere politico in favore dei
lavoratori che questi ultimi possono essere istruiti o familiarizzati nei modi
del socialismo.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">In breve, la
loro visione meccanicistica del materialismo va di pari passo con la loro
concezione elitaria della rivoluzione basata sull'ingegneria sociale.</span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;"> </span></b></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 12pt;">Una profezia che si auto-avvera</span></b></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Così
l'intero pensiero dell’Estrema Sinistra su questa materia aiuta a mettere in
moto una sorta di profezia auto-avverantesi che fondamentalmente ostacola la
diffusione delle idee socialiste. Il solo fatto che la causa socialista
continui ad attrarre relativamente pochi sostenitori è cinicamente citato da
loro come la vera ragione per respingerla. In questo modo, l’Estrema Sinistra si
unisce agli schietti sostenitori del capitalismo nel tentativo di garantire che
il socialismo rimanga fermamente al di fuori dell'agenda politica.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Ma finché la causa socialista viene respinta, essa continuerà ad attrarre pochi
sostenitori. La sua mancanza di sostegno è in qualche modo equiparata a una
mancanza di credibilità - sebbene ironicamente molti di questi gruppi britannici
che ci ridicolizzano per essere "utopici" sono di dimensioni
significativamente più piccole del Partito Socialista stesso.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Tuttavia,
l'assunto di base che viene fatto qui - che se un'idea riesce ad attrarre poco
sostegno deve quindi mancare di credibilità - sembra discutibile. In una
dimensione ideale del mondo non dovrebbe importare. Un'idea dovrebbe essere valida
o no per conto suo e indipendentemente dal sostegno che ha attirato.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Dopo tutto, Hitler è salito al potere grazie al sostegno elettorale di milioni
di lavoratori tedeschi. Dobbiamo forse dedurre che l'ideologia nazista fosse
molto raccomandabile per questa ragione? Al contrario, Niccolò Copernico propose
la sua teoria eliocentrica nel 16° secolo di fronte un’opposizione quasi
universale, persino apertamente ostile. Avrebbe dovuto abbandonare quella
ricerca e cedere al consenso prevalente? Alcuni storici suggeriscono che le
idee di Copernico abbiano contribuito a dare il via alla successiva rivoluzione
scientifica.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Senza voler
estendere eccessivamente l'analogia, i socialisti oggi sono in qualche modo
l'equivalente politico di Copernico nell'era rinascimentale. Ciò che viene disprezzato
e deriso oggi può diventare il senso comune e la convenzione di domani e più
rapidamente di quanto possiamo mai immaginare in un mondo in cui il ritmo del
cambiamento sta accelerando.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Il socialismo è un'idea il cui tempo è giunto e, per quanto piccolo possa
essere il numero dei socialisti, basta la logica del cosiddetto “effetto
farfalla” per avere un impatto reale e cumulativo sul mondo in cui viviamo.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">(Traduzione
da<i> </i><a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2010s/2018/article/no-1369-september-2018/socialist-standard-2010s-2010-no-1272-august-2010-16/">Socialist Standard, settembre 2018</a>)</span></span></div>
Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-80890123850067311562018-10-20T10:50:00.001+02:002018-10-20T11:00:08.458+02:00Il Partito Socialista della Gran Bretagna: da dove viene e come ha arricchito il Marxismo?<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> fu fondato il 12 giugno 1904 da un centinaio
di membri ed ex-membri della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione Socialdemocratica</i>,
scontenti della politica e della struttura di quell’organizzazione.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione
Socialdemocratica</i> era stata fondata nel 1881 come organizzazione
dichiaratamente marxista, benché Engels, che in quell’epoca viveva a Londra,
non avesse voluto aver nulla a che fare con essa. In quegli anni gli scritti di
Marx, di Engels e degli altri pionieri del socialismo scientifico erano
scarsamente noti nei paesi anglosassoni, eccetto ai pochi che conoscevano le
lingue straniere. Ad ogni modo, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione
Socialdemocratica</i> ebbe il merito di divulgare in Gran Bretagna le idee e le
opere di Marx. Questo fatto, in seguito, avrebbe portato alla richiesta di un
partito socialista intransigente e democraticamente organizzato che prendesse il
posto di una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione Socialdemocratica</i>
riformista e autoritaria.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione
Socialdemocratica</i> impiegò molto del suo tempo a far campagne per riforme che
avrebbero dovuto migliorare le condizioni di vita della classe lavoratrice
britannica. Hyndman, che giocò il ruolo principale nel costruire il partito,
sembrava considerare quest’ultimo come un suo feudo personale e reagiva a ogni
critica in modo altezzoso e dispotico. Il giornale di partito, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Justice”</i>, era addirittura posseduto da
un gruppo privato su cui gli iscritti non avevano alcuna influenza. L’opportunismo
e l’arroganza di Hyndman avevano già portato nel 1884 a una scissione, quando
parecchi membri, inclusi William Morris ed Eleonor Marx, diedero vita alla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lega Socialista,</i> che però cessò presto d’essere
di qualsiasi utilità divenendo egemonizzata dagli anarchici. Una seconda
rivolta condusse alla formazione, nel 1903, del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista dei Lavoratori, </i>clone dell’omonima
organizzazione statunitense. All’inizio, insieme a un programma di “rivendicazioni
immediate”, il<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Partito Socialista dei
Lavoratori</i> dichiarò che il suo scopo era la conquista del potere politico,
ma presto, sotto l’influenza del suo progenitore americano, subordinò l’azione
politica a quella sindacale industriale.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ma la successiva rivolta contro il dominio del
gruppo di Hyndman sulla<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Federazione Socialdemocratica</i>
fu organizzata da uomini e donne che avevano una conoscenza ben più solida delle
teorie economiche e politiche marxiste. Per la loro ferrea opposizione
all’opportunismo divennero sarcasticamente noti col nome di “Impossibilisti”.
All’inizio cercarono di usare le strutture della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Federazione Socialdemocratica </i>per avviare una riforma del partito,
ma poi si scontrarono con la cricca di Hyndman pronta a usare ogni sotterfugio
anti-democratico per mantenere il controllo dell’organizzazione. Molti
congressi vennero pilotati, diverse sezioni sciolte e vari iscritti furono perfino
espulsi. La questione arrivò al termine con il congresso del 1904, tenutosi a
Burnley nel mese di aprile:</span></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span><br />
<ul style="text-align: justify;">
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">“L’adozione
di un atteggiamento intransigente che non contempli accordi con nessuna parte
dei partiti filo-capitalisti; né permetta alcun compromesso con persone o
partiti che non riconoscano la lotta di classe o che non siano pronti a lottare
per rovesciare l’attuale sistema capitalista. </i></span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Opposizione
a tutti coloro che non si siano completamente votati alla realizzazione della
Democrazia Sociale.</i></span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Un’organizzazione
ricostruita, in cui l’Esecutivo sia essenzialmente un corpo amministrativo, con
la politica e la tattica determinate e controllate dall’intera organizzazione.</i></span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’organo
di Partito sia posseduto, controllato e diretto dal Partito.</i></span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">I singoli
membri abbiano il diritto di richiedere la tutela dell’intera organizzazione
contro decisioni ritenute arbitrarie”.</i></span></li>
</ul>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il 12 giugno 1904 la maggioranza dei firmatari di
questo volantino, insieme a pochi altri, fondò il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran Bretagna. </i>All’inizio i membri del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran Bretagna</i>
adottarono un documento, “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Oggetto e</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dichiarazione dei Principi”</i>, che, senza
bisogno di cambiamenti, è rimasto ancora oggi la base d’appartenenza al
partito. In questa cornice il partito ha lavorato in modo coerente per far
conoscere i principi socialisti e per smascherare le numerose teorie errate e
pericolose che avevano guadagnato consenso tra i lavoratori.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> vanta il successo di esser stato nel giusto
in modo coerente su un gran numero di argomenti nell’arco di più di un secolo
di attività.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> mise in guardia dal pericolo rappresentato
dai socialisti partigiani delle riforme ancora prima del vergognoso collasso
della socialdemocrazia europea allo scoppio della prima guerra mondiale.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> disse nel 1918 che i bolscevichi non
avrebbero potuto costruire il socialismo in Russia e fu il partito che, almeno
in Gran Bretagna, aprì la strada all’idea che in Russia si stesse sviluppando
il capitalismo di stato.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> predisse l’inevitabile fallimento dei governi
laburisti, sia come via verso il socialismo, sia come mezzo per migliorare
stabilmente le condizioni di vita dei lavoratori.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Fin dall’inizio il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran Bretagna </i>si convinse che le
nazionalizzazioni non avrebbero rappresentato una soluzione ai problemi dei
lavoratori.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> ha sempre denunciato la natura falsa e
divisiva del nazionalismo, del razzismo e del fanatismo religioso.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">In entrambe le guerre mondiali il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran Bretagna</i>
dichiarò e mantenne un atteggiamento di ferma opposizione socialista
all’attività bellica.</span><br />
<br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista
della Gran Bretagna</i> ha anche fornito i suoi specifici contributi alla
teoria socialista alla luce di ulteriori sviluppi (e talora anche di
superamenti) di alcune opinioni dei pionieri del socialismo scientifico, Marx ed
Engels. Elenchiamo in quel che segue alcuni di questi contributi essenziali:</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ol style="text-align: justify;">
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">soluzione
del vecchio dilemma “riforme o rivoluzione”, dichiarando che un partito
socialista non dovrebbe propagandare le riforme del capitalismo, pur
riconoscendo che il parlamento possa essere effettivamente usato per fini
rivoluzionari.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Consapevolezza
che il socialismo sarà un sistema mondiale di produzione e distribuzione.
Quindi il socialismo non potrà in alcun modo esser realizzato in un solo paese.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Riconoscimento
del fatto che non vi è più alcun bisogno di una “società di transizione” tra
capitalismo e socialismo. Marx ed Engels non erano dei dogmatici e non lo è
nemmeno il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran
Bretagna</i>. Essi riconobbero che i principi generali del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Manifesto del Partito Comunista”</i> erano sempre validi, ma che
l’applicazione pratica di tali principi poteva dipendere dalle condizioni
storiche del tempo. Non siamo più nel 1848, quando Marx ed Engels abbozzarono
alcune misure rivoluzionarie alla fine della seconda sezione del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Manifesto”,</i> e neppure nel 1875, quando
Marx suggerì nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Critica al Programma
di Gotha”</i> che il socialismo avrebbe potuto aver bisogno di una fase
iniziale basata su un sistema di buoni orari di lavoro. Nel XXI secolo il
socialismo è tecnicamente possibile già da subito e potrà esser realizzato
rapidamente mediante il libero accesso ai consumi sotto un controllo
democratico appena la maggioranza dei lavoratori lo vorrà.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Rifiuto
di ogni ulteriore ruolo progressista per il nazionalismo dopo che, a partire
dalla fine del XIX secolo, il capitalismo è divenuto il sistema mondiale
dominante. L’industrializzazione di un paese arretrato sotto l’egida di un
capitalismo di stato nazionale ora non è più né necessaria, né economicamente
progressista.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Per
le stesse ragioni vi è il rifiuto netto dell’idea di “guerre progressiste”. I
socialisti si oppongono a tutte le guerre per motivi di classe, rifiutandosi di
prendere parte alle liti tra i capitalisti per lo sfruttamento delle materie
prime, per l’occupazione di zone d’influenza strategica e per il controllo
delle rotte commerciali.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Denuncia
del concetto di “dirigenza” quale principio politico capitalista,
caratteristico delle rivoluzioni che hanno portato al potere la borghesia, ma
totalmente estraneo alla rivoluzione socialista. Quest’ultima vedrà
necessariamente la partecipazione attiva e conscia della vasta maggioranza dei
lavoratori, cosicché non vi sarà più nessun ruolo utile per capi e dirigenti.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Difesa
e pratica dell’idea che un partito socialista debba essere senza capi e senza riunioni
segrete, prefigurando così la società socialista che esso cerca di realizzare.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Riconoscimento
del fatto che il capitalismo non crollerà da sé per dinamiche interne, ma che
continuerà a sopravvivere oscillando tra una crisi e l’altra, finché i
lavoratori non si organizzeranno consciamente per abolirlo.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Opposizione
a tutte le principali religioni organizzate in quanto anti-scientifiche e
politicamente divisive e nefaste.</span></li>
<li><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Riconoscimento del fatto che l’apatia, il disimpegno
e la mancanza di partecipazione agli affari di partito producono in quest’ultimo
patologie politiche quali l’entrismo, il frazionismo, gli errori teorici, le
lotte interne e i personalismi.</span></li>
</ol>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">
</span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> sempre ha rifiutato di venire a compromessi sui
principi socialisti per unirsi a organizzazioni riformiste o semi-riformiste, e
ha fermamente insistito affinché l’unica via al socialismo passasse attraverso un’organizzazione
democratica e un’azione politica basata sulla comprensione chiara delle
posizioni di classe proprie dei lavoratori oppressi dal giogo del capitalismo. I
dieci punti che abbiamo appena riportato rappresentano una breve sintesi dei
maggiori contributi teorici del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito
Socialista della Gran Bretagna</i> al socialismo scientifico, ma non devono
indurre a pensare che il marxismo sia, almeno per questo partito, una dottrina
ferma e oramai cristallizzata in un certo numero di dogmi. All’opposto, alcune
importanti questioni sono ancora materia di discussione all’interno del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Partito Socialista della Gran Bretagna</i> e
dei partiti fratelli del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Word Socialist
Movement.</i> Per approfondire tutte queste tematiche si consulti pure questo sito in italiano (contenente, tra l’altro, un <a href="https://www.worldsocialism.org/spgb/"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">link</i></a> al ricchissimo materiale politico in lingua inglese a partire
dal 1904).</span></div>
Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-88990458064713043512018-09-28T14:52:00.000+02:002018-09-29T19:22:36.151+02:00Macchine abbastanza intelligenti per una società intelligente<div style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="mso-ansi-language: IT;">L’intelligenza
artificiale sembra ora più che mai una realtà concreta.<br />
Le macchine sono in grado di imparare in un modo simile a quello degli umani e di
adattarsi a nuove situazioni, risolvendo problemi con un certo grado di
imprevedibilità.<br />
Una certa risonanza l’aveva avuta la vittoria di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Google’s AlphaGo</i>, un sistema di intelligenza artificiale, su il
miglior giocatore di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Go</i> (Ke Jie). A
differenza dal gioco degli scacchi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Go</i>
non è solo questione di logica, ma ha un certo grado di istinto.<br />
L’intelligenza artificiale si fonda su <i style="mso-bidi-font-style: normal;">machine
learning</i>, una branca affascinante delle scienze informatiche, che di
recente ha visto un progresso considerevole, che ha rivitalizzato il concetto
stesso di intelligenza artificiale. Per la prima volta l’intelligenza
artificiale sembra più realistica di un film di fantascienza. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Machine learning</i> concerne in un
algoritmo (una serie di regole) in grado di capire da un insieme di dati qual è
il possibile risultato e ripetere questo procedimento fin quando il risultato
preciso viene raggiunto. Queste capacità di allenarsi sui dati e di iterare il
processo sono gli elementi che permettono di imparare, il buon vecchio metodo
che procede per tentativi ed errori, ma fatto ad una velocità inimmaginabile.
Per esempio, date 10 immagini (per esempio, volti umani), l’algoritmo impara a
riconoscerle usando un numero limitato di caratteristiche (feature) pre-selezionate
da un operatore umano (per esempio, dimensione del volto, colore, forma,
dimensione del naso, ecc). La macchina quindi condensa tutte queste
caratteristiche al minimo necessario per riconoscere l’immagine. L’algoritmo
non indovina le immagini al primo colpo, ma, siccome paragona il suo risultato
(stima) alle immagini manualmente etichettate da un operatore umano, riesce ad
aggiustare il tiro e a provare iterativamente fin quando raggiunge una
corrispondenza perfetta. In più, quando una nuova immagine è disponibile la
macchina ora è allenata a riconoscerla. Questo è quello che noi umani già
impariamo a fare in tenera età.<br />
<br />
La rete neuronale artificiale è una branca di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">machine learning</i>. Grazie a questa l’algoritmo ambisce a funzionare
come i neuroni del cervello. Per dei determinati dati in ingresso (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">input</i>), come delle caratteristiche che
definiscono un’immagine, si vedano i volti umani dell’esempio precedente,
diversi strati nascosti condurranno al risultato in uscita (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">output</i>) più plausibile. Questo è il
tipico approccio a scatola chiusa, ovvero che nessuno sa cosa succede al suo
interno.<br />
La macchina è in grado di riconoscere immagini, suoni, o altre cose solo perché
l’uomo con il suo lavoro di etichettatura gli ha detto esattamente cosa sono.
Tutte gli input hanno bisogno di un’etichetta.<br />
Nulla di speciale fin qui, al contrario molto lavoro umano.<br />
La cosa incomincia a farsi interessante quando questi algoritmi diventano
capaci di imparare senza supervisione umana (senza etichette). Questi sono
algoritmi a strati multipli, anche conosciuti come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">deep learning</i> (ad apprendimento avanzato). Per esempio si immagini
di applicare un algoritmo che ha imparato a riconoscere tipi di cane a tipi di
gatto, ma in quest’ultimo caso senza dare riferimenti (etichette) o
caratteristiche che dicano all’algoritmo come distinguerli. L’algoritmo
estrarrà le caratteristiche basandosi su quelle ereditate dai dati, e userà la
‘conoscenza’ acquisita nel riconoscere i tipi di cane. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Deep learning</i> è la prima, anche se rudimentale, concretizzazione di
intelligenza artificiale. Il passo verso l’auto-apprendimento è un importante passo
in avanti nella tecnologia. Alcuni si spingono a dire che questa sia la nuova
rivoluzione industriale. Ciò nonostante, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">deep
learning</i> richiede un enorme quantità di dati (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">big data</i>), computer ad alta capacità di computazione e ovviamente
la possibilità di conservare tutti questi dati. Tutto ciò non cade dal cielo,
ma richiede un’enorme quantità di lavoro umano.<br />
I sevizi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">open-source</i> (libero accesso),
le piattaforme tipo Google e Android, le API (interfaccia) aperte hanno
facilitato il progresso visto in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">deep
learning</i> rendendo possibile la generazione di tanti dati e in alcuni casi
condividendo il lavoro e i suoi frutti. I dati diventano così preziosi che la
privacy delle persone dalle quali questi provengono è spesso ignorata (si veda
Facebook o casi simili), obbligando i governi a mettere dei paletti (si veda il
recente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">General Data Production
Regulations</i>).<br />
<br />
Per la prima volta, dei lavori ‘specializzati’ rischiano di essere sostituiti
da macchine intelligenti. È un problema? Alcuni sindacati parlano di una tassa
sui robot, per compensare per i lavori che questi toglieranno agli uomini.
Altri mettono in discussione la teoria del lavoro-valore di Marx, se il lavoro
umano non è più parte del processo produttivo. Però, la ragione vera e propria
di un sistema non basato sullo sfruttamento del lavoro umano è avere macchine
che facciamo la stragrande maggioranza del lavoro o se possibile tutto il
lavoro per noi. Nella logica della teoria del lavoro-valore è chiaro che se gli
uomini non fossero coinvolti nella produzione di beni e servizi, la
composizione organica del capitale (capitale fisso/capitale variabile) verrebbe
intaccata, rimanendo solo capitale fisso, influenzando anche il saggio di
profitto (plusvalore/capitale fisso + capitale variabile), potenzialmente tendendo
a zero. In altre parole, se gli uomini non lavorassero, non riceverebbero un
salario, e non sarebbero in grado di comprare le merci prodotte. Grazie al
fattore tempo e all’interconnessione dei settori produttivi, questo esaurimento
di valore di scambio non accadrebbe tra la notte e il giorno. Infatti, fino a
che ci saranno lavoratori con un salario adeguato, e capitalisti con profitti
adeguati, a chiudere il ciclo produttivo con la vendita delle merci prodotte,
il profitto delle industrie completamente automatizzate non sarebbe zero.
Inoltre, il valore astratto cristallizzato nella produzione dei robot e della
loro capacità di auto-apprendimento originariamente è stato generato da lavoro
umano. Nonostante ciò più cicli produttivi verranno condotti in piena
automazione, meno profitto sarà generato.<br />
<br />
La domanda rimane: questo progresso sarà la fine naturale del capitalismo? No.
Influenza di sicuro le crisi economiche e la povertà di massa come ha sempre
fatto. Il capitalismo però non collasserà da solo, si adatterà. Non tutti i
lavori saranno rimpiazzabili. I lavori più psicologici saranno ancora condotti
dagli uomini. Il capitalismo continuerà con le sue contraddizioni e marcate
disparità. L’automazione in una società capitalista significherà cambiamenti
nei modelli di occupazione e disoccupazione, mentre in una società socialista,
potrà liberare l’uomo dal lavoro manuale atto a produrre beni e servizi.
Permetterà all’uomo di acquisire abilità e di migliorare la società. Ciò nonostante
non ci siamo nemmeno avvicinati a quel grado di automazione.<br />
CESCO<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="mso-ansi-language: IT;">(dal Socialist Standard di Luglio, 2018)</span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-12067422113913985992018-04-03T07:21:00.000+02:002018-04-03T07:21:01.144+02:00Capitalismo di Stato sovietico?<br />
<div align="center" class="MsoSubtitle" style="text-align: center;">
<span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Storia di un’idea<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoTitle" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 14.0pt; mso-ansi-language: IT;">Capitalismo di Stato sovietico?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">di W. Jerome e A. Buick<o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">(con postilla di R. Mondolfo)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">La
differenza fra il sistema sovietico e il sistema sociale dell’Europa
occidentale e del Nord America sembra così marcata da giustificare una
etichetta distintiva; e l’etichetta che è stata adottata per un sistema di
proprietà statale dei principali mezzi di produzione è «socialismo». L’ampio
accordo, tuttavia, non nasconde divergenze radicali di svariate gradazioni
d’opinioni, che rifiutano di applicare la denominazione «socialismo» al sistema
sovietico. Ma fra gli stessi dissenzienti non c’è accordo riguardo alla
definizione che dovrebbe applicarsi. Il fine di questo saggio è considerare la
storia di quella definizione che descrive l’Unione Sovietica come una società
capitalista di Stato. Questa teoria è stata sostenuta da tre diversi gruppi ben
distinti ideologicamente: 1) i marxisti ortodossi; 2) i «comunisti dei consigli»;
3) i leninisti dissidenti.<o:p></o:p></span></div>
<h1 style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">I Marxisti ortodossi <o:p></o:p></span></b></h1>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Riuscirà
probabilmente una sorpresa per la maggior parte dei lettori apprendere che è la
scuola di lingua inglese del marxismo tradizionale, derivante dalla Federazione
socialdemocratica di Hyndman, e rappresentata dal piccolo Partito Socialista di
Gran Bretagna (SPGB) e dagli ancor minori partiti fratelli dei paesi di lingua
inglese (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Stati Uniti) quella che ha,
senza esitazione, affermato che la rivoluzione bolscevica ha portato ad una società
capitalista di Stato. Il SPGB si oppose alla guerra del 1914-18, e perciò approvò
decisamente l’azione anti-imperialista dei bolscevichi russi, pur condannando la
tattica leninista (che riteneva opportunista) sollecitante i lavoratori inglesi
a sostenere il Partito laburista. Il SPGB riteneva che il partito bolscevico
fosse formato da socialisti intenzionati ad introdurre un sistema di proprietà
sociale. Tuttavia il SPGB predisse che questo tentativo sarebbe fallito per la
mancanza di un requisito fondamentale per il socialismo, cioè l’esistenza di
un’industria moderna e di un proletariato con mentalità socialista. Lenin
stesso ammetteva che la proprietà sociale era fuori questione in Russia finché il
capitalismo non avesse portato ad un alto sviluppo della produzione sociale.
Egli si riferiva all’attività del settore nazionalizzato dell’economia (che era
solo un piccolo settore a quel tempo) come ad una forma di capitalismo di Stato.
Il SPGB citò Lenin su questo punto, ma ciò non bastava a definire il sistema sociale
della Russia sovietica come capitalismo di Stato. La maggior parte della società
russa, come Lenin ammetteva, consisteva in un classico sistema di rapporti
capitalistici, ben noto in occidente, che coesisteva con una produzione
contadina semifeudale e perfino con attività prefeudali di pastorizia e caccia.
Poiché il SPGB credeva che lo sviluppo del capitalismo fosse una premessa necessaria
al socialismo, esso non condannò Lenin e i bolscevichi. Tuttavia insistette
nell’affermare che la Unione Sovietica non era una società socialista, e,
inoltre, nel sostenere che il «dominio di una minoranza — sia pure minoranza
marxista — non è socialismo». Fu solo nel periodo 1929-30 che cominciò ad
applicare il termine capitalismo di Stato alla URSS, quando Stalin collettivizzò
l’agricoltura e organizzò una produzione pianificata di merci sotto il
controllo dello Stato. In Germania, diversamente dalla Gran Bretagna, i
socialisti marxisti avevano un largo seguito e favorevoli prospettive per
giungere a posizioni di governo. Dal 1918 il SPD era dunque partito di governo,
e l’atteggiamento del suoi dirigenti di fronte al governo bolscevico era
determinato più da considerazioni politiche immediate che da una analisi teorica.
Perfino Karl Kautsky, la guida ideologica della socialdemocrazia tedesca
(sebbene membro dell’opposizione formata dal Partito Socialista Indipendente
nel 1918), non tentò alcuna particolare analisi economica della società
sovietica. Tuttavia in vari suoi scritti di critica ai bolscevichi si riferì
all’Unione Sovietica come a una società di capitalismo di Stato. In <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Terrorismo e comunismo</i> egli dice: «il
capitalismo industriale, lungi dall’essere un sistema privato, è diventato ora
un capitalismo di Stato» «Oggi (…) ambedue, stato e burocrazia capitalista,
sono fusi in un unico sistema». Tuttavia questo concetto non venne elaborato più
a lungo; evidentemente Kautsky considerava la Russia matura solo per
l’abolizione dei rapporti feudali della terra, ma non per l’abolizione del
capitalismo. Entrambi, Kautsky ed i bolscevichi, credevano che la proprietà
statale dei mezzi di produzione e un sistema di retribuzione mediante salario
fossero compatibili col socialismo. Essi concordavano altresì nel ritenere che
sebbene una società senza salariati e senza Stato possa essere possibile nel futuro,
gli sforzi immediati dovessero essere diretti a fini meno ambiziosi. Kautsky e
i bolscevichi non erano invece d’accordo sui mezzi adatti ad ottenere questo
obiettivo minore. Molte critiche kautskiane al regime instaurato dai bolscevichi
erano fondate sul fatto che la loro azione repressiva negava la democrazia
politica, e senza democrazia politica la classe lavoratrice non poteva
controllare la macchina economica a cui era soggetta, per cui era lasciata
nella stessa posizione in cui si trovava in qualsiasi paese capitalista. Di
fatto, i lavoratori russi erano in una situazione peggiore di quella del
lavoratori di quei paesi dove prevaleva qualche forma di democrazia politica. Più
tardi Kautsky parlò di Lenin «che usava il potere statale per la creazione del
suo capitalismo di Stato». Egli spiegava che la Russia potrebbe diventare
socialista «solo quando il popolo espropri gli espropriatori». «Un cambiamento nelle
relazioni formali di proprietà non basta per stabilire il socialismo, perché
occorre anche il controllo democratico dello Stato da parte del lavoratori.
Mancando questo, i lavoratori si trovano, rispetto al problema del controllo
del mezzi di produzione, nella stessa situazione che ha di fronte a sé il
lavoratore nei paesi capitalisti». Per Kautsky il controllo democratico del
mezzi di produzione attraverso il potere politico era la differenza essenziale
fra socialismo e capitalismo di Stato. In scritti ulteriori erano usati da lui
altri termini, ma la sua critica rimase sostanzialmente la stessa. Un altro
eminente teorico, l’austriaco Otto Bauer, in linea con la tradizione critica
marxista nei confronti della rivoluzione bolscevica, affermava che la mancanza
di forti e vitali istituzioni democratiche in Russia, così come la sua arretratezza
economica, impedivano il raggiungimento del socialismo. Ma a differenza di
Kautsky, Bauer prevedeva una graduale maturazione e democratizzazione del
regime sovietico. Egli riteneva che il programma di industrializzazione dei
bolscevichi avrebbe condotto a una «razionalizzazione economica». Questa a sua
volta avrebbe portato alla conseguenza che Bauer credeva derivante dallo
sviluppo economico: la democrazia politica. Così egli si aspettava che il
regime sovietico divenisse più democratico: «dal dittatoriale capitalismo di
Stato sorgerà un ordinamento socialista della società». In certo senso il capitalismo
di Stato russo stava costruendo il socialismo. Bauer credeva che la transizione
dal capitalismo di Stato al socialismo non avrebbe richiesto una rivoluzione
politica, e quindi si opponeva al veemente incitamento di Kautsky per una nuova
rivoluzione russa contro i bolscevichi. Al pari di Kautsky, Bauer non usò
sempre gli stessi termini nell’analisi dell’URSS come forma di capitalismo.
Occasionalmente egli usò il termine «socialismo dispotico». I socialdemocratici
tedeschi ed austriaci si opponevano ai bolscevichi a causa delle
caratteristiche dittatoriali del loro potere. Quando definivano il regime sovietico
«quale capitalismo di Stato», era più per motivi politici che economici. A
differenza del SPGB e degli altri partiti socialisti, i socialdemocratici
tedeschi non pensavano che il sistema della retribuzione mediante salario, la
moneta e lo Stato fossero incompatibili col socialismo. Per i socialdemocratici
tedeschi, socialismo significava il controllo democratico delle forze
produttive di una società altamente industrializzata. Inoltre la rivalutazione
del significato del sistema socio-economico sovietico negli anni ‘30 accentuava
la distinzione fra il capitalismo tradizionale e la società sovietica. Nel 1940
l’eminente teorico socialdemocratico Rudolf Hilferding pubblicò una critica
della teoria del capitalismo di Stato dell’URSS, nel periodico di lingua russa
di New York, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Socialist Courier</i>.
Hilferding indicava come segno distintivo del capitalismo un’economia di mercato,
nella quale i prezzi sono il risultato di un minimo di concorrenza fra i
diversi proprietari dei mezzi di produzione. Questa concorrenza «in ultima
analisi dà origine alla legge del valore», e determina che cosa e quanto è prodotto.
«Un’economia di Stato, tuttavia, elimina precisamente l’autonomia della legge
economica... Non è più il prezzo, ma una commissione statale pianificatrice che
determina la produzione». Hilferding definiva l’Unione Sovietica come una nuova
organizzazione economica né capitalista, né socialista, come una economia di
Stato totalitario. L’economia nazista tedesca e quella fascista italiana eran
specie meno sviluppate di questo genere.</span></div>
<a name='more'></a> <o:p></o:p><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">I
marxisti russi, presenti soprattutto nella frazione menscevica dell’antico
partito socialdemocratico russo, seguivano la tradizionale posizione marxista,
secondo la quale il socialismo poteva succedere allo sviluppo del capitalismo
solo nei paesi che eran passati attraverso la rivoluzione borghese. Ora, dato
che la Russia non aveva sviluppato il capitalismo che in misura insufficiente e
che la rivoluzione borghese era avvenuta solo recentemente, la Russia non era
matura per il socialismo. Nello sviluppo economico, secondo la concezione
marxiana, il capitalismo precede II socialismo: così vi era fra i menscevichi
una tendenza a definire la società sovietica come capitalismo incipiente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Nel
1919 uno dei capi menscevichi, Giulio Martov, scrisse <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lo stato e la rivoluzione socialista</i> in risposta a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stato e rivoluzione</i> di Lenin. Nel
condannare la dittatura di una minoranza, Martov affermava che «la classe
proletaria considerata come un tutto (…) è la sola possibile costruttrice della
nuova società, e deve essere quindi il solo successore della classe che era
prima alla direzione dello Stato». Ciò esigeva piena democrazia ed una
situazione incompatibile con una dittatura di minoranza. Ne conseguiva che la Società
sovietica non era socialista; ma poteva essere definita come Capitalista?
Questo problema non aveva una chiara risposta neppure da parte di Martov.
Poiché i bolscevichi di questo periodo parlavano essi stessi di un capitalismo
di Stato russo, era naturale che numerosi menscevichi accogliessero questa
definizione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Martov
morì nel 1922, e il suo compagno di partito Abramovich condivise la posizione
di Kautsky, cioè che quella russa era una nuova società di classe, basata sulla
dittatura terroristica. Teodoro Dan sviluppò una posizione alquanto simile a
quella trotskista, cioè che l’URSS era un tipo di stato operaio. Questa teoria
era combattuta da altri menscevichi, come Solomon Schwarz e Aron Yugow, che
adottarono una teoria secondo la quale la Russia sovietica era uno stato
diretto da «managers». Finalmente i menscevichi giunsero ad adottare la tipica
veduta socialdemocratica, che cioè l’URSS fosse un tipo di nuova società «totalitaria».
Tuttavia l’opinione di molti antichi socialdemocratici russi riguardo al regime
sovietico si manifestò con riferimenti occasionali al capitalismo di Stato
russo. Sebbene Yugow alla fine giungesse a ribadire, come altri socialdemocratici,
la sua teoria dell’Unione Sovietica come stato manageriale, per un certo
periodo egli diede della natura della società sovietica una valutazione di
capitalismo di Stato, argomentando che la mancanza di socialismo, che può
svilupparsi solo nei paesi altamente industrializzati, precludeva qualsiasi «salto»
russo dalla condizione precapitalista direttamente al socialismo. «Noi abbiamo
visto che la nazionalizzazione dell’industria in Russia non ha prodotto una
economia socialista, ma solo un capitalismo di Stato burocratico e mal
funzionante». Come Trotsky, Yugow credeva che i burocrati cercassero di
estendere il loro potere sino a giungere ad un ripristino della proprietà
privata dei mezzi di produzione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">II
ramo italiano del marxismo tradizionale, cioè di quei socialisti che accettano
Marx ma respingono Lenin, è del tutto scomparso con l’abbandono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">de facto</i> dell’adesione al marxismo da
parte dei partiti affiliati alla Seconda Internazionale. I socialdemocratici
italiani, cioè il PSDI, che rappresentano gli eredi della tradizione
socialdemocratica, sostengono che l’URSS è una dittatura totalitaria in una
società capitalista di Stato. In generale il PSDI conserva una opinione simile
a quella del ramo germanico e dei menscevichi russi. Come gli altri
socialdemocratici, il PSDI non s’impegna neppure esso in alcuna profonda
analisi teorica della società sovietica. I socialdemocratici italiani di questa
convinzione, come i loro compagni tedeschi e russi, credono che nazionalizzazione
e pianificazione più democrazia politica sia uguale a socialismo, mentre nazionalizzazione
e pianificazione meno democrazia sia uguale a capitalismo di Stato. <o:p></o:p></span></div>
<h1 style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">I Comunisti dei consigli <o:p></o:p></span></b></h1>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Volgiamoci
ora alla seconda, maggiore categoria di teorici dell’ala sinistra, che
considerano l’economia sovietica come capitalismo di Stato, cioè ai «comunisti
dei Consigli». I comunisti dei consigli non si consideravano seguaci di Lenin, né
erano legati con alcuna fazione del partito bolscevico di Russia. Poiché essi
derivano le loro posizioni da Marx, pur non considerandosi seguaci di alcuni
degli eminenti suoi interpreti, come Kautsky, Lenin, Trotsky, etc., potrebbero
esser considerati marxisti tradizionali. Questo ravvicinamento non sarebbe del
tutto inesatto, tuttavia ci sono parecchie differenze fra i comunisti dei consigli
e gli altri marxisti tradizionali. La prima è il loro antico collegamento col
movimento anarchico e il successivo accordo con gli anarchici su molti punti di
tattica. La seconda sarebbe la loro temporanea adesione alla Terza
Internazionale ed ai partiti comunisti dei rispettivi paesi. Infine il loro
particolare entusiasmo per i Soviet o consigli dei lavoratori, come mezzo per
effettuare la rivoluzione sociale (mezzo preferibile allo stato, alle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">trade unions</i> e ai partiti politici), li distingue
dai marxisti tradizionali che non condividono tale entusiasmo. L’origine dei
comunisti dei consigli è stata ricondotta al gruppo di Herman Gorter ed Anton Pannekoek
prima del 1914; questi marxisti olandesi erano stati originariamente membri del
partito social democratico del lavoro (SDAP), che aveva antichi legami col
movimento anarchico; infatti il fondatore della socialdemocrazia olandese, Domela
Nieuwenhuis, diventò poi definitivamente anarchico. Quando il SDAP procedette
in direzione riformista, un gruppo di sinistra, compresi Gorter e Pannekoek,
formò un’organizzazione separata, il Partito socialdemocratico, che, quando scoppiò
la guerra, denunciò i socialisti favorevoli alla guerra come traditori dei principii
socialisti. Essi salutarono la rivoluzione bolscevica come un movimento anti-imperialista
della classe lavoratrice e furono attratti verso i Soviet come spontanea
istituzione di lavoratori immune dalla degenerazione dei partiti politici e
delle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">trade unions</i>. Questi marxisti
olandesi, con gruppi affini tedeschi e inglesi, si raccolsero nel partito
comunista. L’insoddisfazione per la tattica voluta dal Comintern e la
disapprovazione delle misure repressive dei bolscevichi, così come la
soffocazione della rivolta di Kronstadt, li indusse a lasciare il Comintern. In
Germania la maggioranza del Partito comunista concorse a formare il Partito
comunista dei lavoratori (KAPD). Dapprima Lenin tentò di guadagnare questi
dissenzienti alle sue vedute, ma quando questo tentativo fallì, egli pubblicò
il suo saggio «L’estremismo malattia infantile del comunismo» contro di loro. Herman
Gorter rispose con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lettera aperta al compagno
Lenin</i>. Pannekoek poi criticò la filosofia di Lenin nel suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lenin come filosofo</i>. II movimento
comunista dei Consigli era composto di piccoli gruppi in Germania, Olanda, Gran
Bretagna, Francia, Belgio e Stati Uniti; Karl Korsch, eminente comunista tedesco,
si legò a questo movimento. Esso si opponeva alle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Trade Unions</i> come appendice della Stato che spinge i lavoratori
l’uno contro l’altro, condannavano l’attività parlamentare come un’impostura
che incoraggiava le illusioni riformiste, ritenevano che la rivoluzione dovesse
implicare la formazione di consigli di lavoratori che guadagnassero l’appoggio
della classe lavoratrice, ponessero fine alla dominazione capitalista e giungessero
ad amministrare l’industria sotto la guida di un’autorità centrale
pianificatrice. Movendo dall’ammissione di Lenin che si stava sviluppando in
Russia un capitalismo di Stato, i comunisti dei consigli venivano alla conclusione
che il capitalismo di Stato bolscevico era puramente e semplicemente un altro
tipo di capitalismo. Le relazioni del lavoro salariato col capitale rimanevano
le stesse: «il fine leninista, di un capitalismo di Stato sotto il controllo
del lavoratori, ha invece escluso interamente i lavoratori; ciò che è rimasto è
il capitalismo di Stato».<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Herman
Gorter vedeva nella presa bolscevica del potere una tentata rivoluzione
socialista, ma fallita a causa della resistenza dei contadini. La necessità di
guadagnare l’appoggio contadino portò i bolscevichi a compromettere la loro
posizione fin dal principio: per esempio, con l’approvare la divisione della
terra in piccoli poderi tenuti dai contadini come proprietà private. Tuttavia
Gorter considerava misure quali la nazionalizzazione dell’industria, la distribuzione
di beni di consumo senza moneta, e la istituzione del consigli di lavoratori
come «proletarie e comuniste»; ma quando il malcontento contadino forzò i
bolscevichi ad abbandonare queste misure ed a introdurre la nuova politica
economica (NEP) «il comunismo svani come un fantasma e il capitalismo
riapparve». Gorter condannava la «dittatura di partito» e il«dispotismo
burocratico» bolscevico, e si riferiva al sistema che si andava sviluppando
come a un «capitalismo di Stato». Egli dissentiva dal consiglio di Lenin di
collaborare con i socialdemocratici in occidente in un fronte unico, tuttavia giustificò
il fallimento dei bolscevichi perché «voi dovevate battere in ritirata posto
che la rivoluzione europea non si è realizzata». La responsabilità reale dei bolscevichi
fu quella di introdurre un programma e una tattica controrivoluzionaria nel
movimento proletario mondiale. Il gruppo di gran lunga più numeroso dei
comunisti dei consigli fu il Partito Comunista dei Lavoratori di Germania. Il loro
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Manifesto della Quarta Internazionale Comunista</i>
dichiarava che la rivoluzione russa comprendeva in realtà due rivoluzioni.
Nelle grandi città rappresentava un cambiamento dal capitalismo al socialismo;
nelle campagne rappresentava un cambiamento dal feudalesimo al capitalismo.
Questa contraddizione si era da ultimo risolta in favore del capitalismo. I
bolscevichi erano costretti a riconoscere la proprietà privata, quindi la
tassazione, e infine la produzione capitalistica basata sul profitto. Lo Stato
e la macchina economica erano controllati dalla burocrazia, il cui personale consisteva
di commercianti, di ex ufficiali del vecchio regime, etc., perché costoro
possedevano i necessari requisiti di istruzione e di esperienza amministrativa.
Così cominciava un antagonismo fra il governo sovietico e il proletariato. La
fame e la disperata necessità di merci estere significava che i bolscevichi
dovevano arrivare a molti compromessi col capitalismo internazionale. Essi
erano costretti a compiere una rivoluzione borghese. Il capitalismo crea la
divisione di classi nella società, gli antagonismi di classe e la lotta di
classe fra borghesia e proletariato. «L’introduzione del capitalismo in Russia,
come è ora avviata dal governo sovietico, deve essere accompagnata dalla stessa
divisione di classi, dalla stessa lotta di classe». Anton Pannekoek rilevava
che la nuova classe dominante che sorgeva nell’URSS non era una nuova
borghesia, giacché i suoi membri non possedevano i mezzi di produzione
individualmente come la borghesia, ma collettivamente. Era più esatto definire
la nuova classe dominante una burocrazia, e il sistema «capitalismo di Stato anziché
privato». <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Karl
Korsch credeva che il passaggio in tutto il mondo dal capitalismo privato della
concorrenza al capitalismo pianificato monopolistico o statale, fosse
inevitabile e irreversibile. I comunisti dei consigli oggi superstiti argomentano
che la destalinizzazione rappresenta un trasferimento del potere dai burocrati
del partito ai dirigenti del vertice politico, economico e militare. <o:p></o:p></span></div>
<h1 style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">I leninisti dissidenti <o:p></o:p></span></b></h1>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Volgiamoci
ora alla terza maggiore tendenza di coloro che applicano all’URSS la teoria del
capitalismo di Stato, cioè i leninisti dissidenti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Nel
1918 una frazione che ebbe vita breve, i cui membri i definivano come «comunisti
proletari» e che comprendeva Bukharin, Radek, Ossinsky ed altri, pubblicava un
foglio d’opposizione, Kommunist, in cui dichiarava che la repubblica sovietica
minacciava di evolvere nella direzione del capitalismo di Stato. Questa
posizione provocò una replica decisa da parte di Lenin, il quale rispondeva che
il capitalismo di Stato sarebbe stato comunque un progresso rispetto alle
condizioni preesistenti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">La
frazione presto si sciolse, ma i suoi presagi restarono nella mente di molti
bolscevichi, e quando nel 1921 il partito fu di nuovo forzato dalle circostanze
a battere in ritirata e introdurre la Nuova Politica Economica (NEP), le vedute
della sinistra bolscevica riapparvero. Dei molti e diversi piccoli gruppi di
questo periodo, alcuni ritenevano che la Russia sovietica avesse cominciato a
muoversi nella direzione del capitalismo di Stato. Questi gruppi, uno del quali
era legato con la KAPD, furono soppressi e vari dei loro membri, compreso Anton
Ciliga, furono inviati in Siberia. Altri andarono in esilio. Per vari aspetti
questi bolscevichi di sinistra si avvicinavano agli anarchici e ai sindacalisti.
Boris Souvarine e Victor Serge possono essere considerati di questa tendenza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Dopo
la morte di Lenin, la lotta per il potere fra i suoi successor implicò una
critica del cammino lungo il quale il partito stava conducendo il paese.
Zinoviev portò nella controversia il concetto di capitalismo di Stato. Egli
distingueva il «capitalismo di Stato in uno Stato proletario» dal capitalismo
di Stato in un paese borghese, dove il controllo statale resta nelle mani della
borghesia. Questa distinzione era stata adottata anche da Lenin.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Zinoviev
sosteneva che, in mancanza di un’espansione della rivoluzione mondiale, la
Russia si sarebbe spinta sempre più a svilupparsi in una direzione capitalista.
Il suo argomentare si imperniava sulle relazioni fra operai e direzione. L’industria
statale nell’Unione Sovietica non era socialista, ma capitalista di Stato. Il
socialismo significa, più che la nazionalizzazione dell’industria, un
cambiamento fondamentale nelle relazioni fra uomo ed uomo. L’industria di Stato
e sfruttatrice come l’industria privata. II socialismo implica un cambiamento
nelle relazioni fra lavoratori e direzione industriale; i lavoratori devono
avere il controllo della direzione. Nuove vie, diceva Zinoviev, devono trovarsi
per difendere i lavoratori russi contro lo sfruttamento dello Stato russo. Anche
Kamenev, si riferiva al capitalismo di Stato in Russia. Al quattordicesimo
Congresso del Partito la questione della definizione leninista del capitalismo
di Stato venne alla ribalta. La maggioranza accolse l’interpretazione che Lenin
pensasse che l’industria nazionalizzata dell’URSS fosse già di tipo socialista,
ma che, in quanto lo Stato incoraggiava l’esistenza di milioni di contadini
interessati alla produzione per il mercato, e in quanto lo Stato offriva concessioni
a capitalisti stranieri e locali, stava incoraggiando con ciò il capitalismo e quindi
poteva chiamarsi «capitalismo di Stato». <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Ciò
era naturalmente in contrasto diretto con l’opinione di Zinoviev, che la stessa
industria nazionalizzata era un capitalismo di Stato, dato che i lavoratori non
potevano scegliere i dirigenti. Altro argomento riguardo al carattere di
capitalismo di Stato dell’Unione Sovietica era usato dai seguaci del comunista
italiano Amadeo Bordiga. Costoro negavano che, in una fase data dello sviluppo
economico, il socialismo potesse essere stabilito attraverso il progresso del
capitalismo di Stato. Il partito bolscevico conquistò il potere in una
rivoluzione proletaria, ma Lenin riconobbe che fino a quando la rivoluzione non
si fosse prodotta anche altrove, egli non aveva altra scelta che contare sul
capitalismo privato e il capitalismo di Stato per sviluppare la società russa.
Lo sviluppo capitalista portava al vertice una nuova classe di capitalisti che
erano in grado di liquidare lo Stato operaio stabilito da Lenin. I salari degli
amministratori implicavano una forma velata di plusvalore; un’altra forma era l’interesse
sulle obbligazioni di Stato. L’economia dello Stato russo era soggetta alle
stesse leggi di sviluppo di ogni altra società capitalistica. A differenza dai bolscevichi
di sinistra e dai trotskysti, i bordighiani rifiutavano di sostenere che lo «stato
operaio» stabilito da Lenin fosse una forma economica degenerata a causa
dell’avvento del capitalismo di Stato. Lo «Stato operaio» era per essi un
esperimento politico tendente a realizzare il socialismo in un paese arretrato,
nella speranza che i paesi avanzati volessero compiere una rivoluzione che
rendesse possibile quel tentativo. La Russia era passata da un capitalismo
semifeudale a un capitalismo di Stato, mentre la struttura politica rimaneva
nelle mani di un partito originariamente legato al socialismo, ma costretto
dalle circostanze a sostituire questo legame con un compromesso col capitalismo
di Stato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Altro
comunista dissidente che sosteneva vedute analoghe era lo iugoslavo Anton
Ciliga. Egli scorgeva tre sistemi sociali in conflitto: capitalismo di Stato,
capitalismo privato e socialismo. Questi tre sistemi rappresentavano tre
classi: la burocrazia, la borghesia (comprendente i contadini agiati) e il proletariato.
Tanto Stalin quanto Trotsky «avevano bisogno di spacciare lo Stato come se
fosse uno Stato “operaio”, la dittatura burocratica sul proletariato come
dittatura proletaria, la vittoria del capitalismo di Stato tanto sul
capitalismo privato che sul socialismo come vittoria di quest’ultimo... Abbiamo
mostrato con abbondanti particolari che il sistema presente in Russia ha
conservato tutte le caratteristi che essenziali del capitalismo: produzione di
merci, salari, mercato di scambio, moneta, profitto e perfino ripartizione del profitti
fra i burocrati nella forma di alti stipendi, privilegi, e così via». Anche la
Lega comunista iugoslava applicò talvolta l’etichetta di «capitalismo di Stato»
all’URSS durante le sue dispute con Mosca. Tuttavia, dato che le analisi
titoiste della struttura sociale sovietica oscillarono grandemente a seconda
delle esigenze della politica estera di Belgrado, è impossibile considerare questa
definizione intellettualmente seria. È interessante notare che, nella presente
disputa cino-sovietica, la stessa Jugoslavia è stata denominata un capitalismo
di Stato, e che a volte i cinesi sembrano riferirsi anche all’URSS in questo
stesso modo. I seguaci di Leone Trotsky hanno dato luogo ad un gran numero di
gruppi distinti, molti dei quali adottarono la tesi del capitalismo di Stato
per quanto concerne la natura sociale dell’URSS. Benché Trotsky considerasse il
capitalismo di Stato (cioè la completa proprietà statale dei mezzi di
produzione nell’interesse del capitale) possibile teoricamente, egli rifiutava
di applicare questa formula all’Unione Sovietica. Egli credeva che la proprietà
nazionalizzata, conservata nella Russia di Stalin, rappresentasse un progresso
sopra la proprietà individuale e delle grandi imprese di altri paesi. L’URSS
era uno stato operaio degenerato, ma che doveva essere «difeso» contro aggressioni
esterne. Tuttavia le difficoltà di applicare queste vedute conducevano a una
riconsiderazione della «questione russa» ed alla graduale separazione di
diversi gruppi dai trotskisti ortodossi. Nel 1939 una frazione
dell’organizzazione trotskista, il Partito socialista dei lavoratori dell’USA,
guidata da Max Schachtman, formò il Partito dei lavoratori. La maggioranza di
questo partito sosteneva che l’URSS era una società collettivista burocratica,
mentre una frazione minoritaria, guidata da F. Forest (nome letterario di Raya Dunayevskaya
a da J. Johnson (nome letterario di C.L.R. James), la riteneva una società
capitalista di Stato. Nel 1947 questo gruppo si unì al SWP, ma lo lasciò di
nuovo nel 1951. Essi ora diffondono un periodico chiamato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">News and Letters</i> (Notizie e lettere) edito da Raya Dunayevskaya,
che fu la prima a condurre un’analisi particolareggiata di una certa ampiezza
sul significato e la funzione del capitalismo di Stato nell’URSS. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">In
Gran Bretagna si produsse uno sviluppo simile. Un trotskista inglese di nome
Worral espose una analisi della economia capitalista di Stato sovietica in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Left </i>nel 1939, ed un altro trotskista
inglese, Tony Cliff, pubblicò nel 1955 <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stalinist
Russia</i> (ripubblicato nel 1964 come: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Russia:
a Marxist Analysis</i>) in cui si faceva un’analisi particolareggiata dell’URSS
come capitalismo di Stato. Entrambi, Cliff e la Dunayevskaya, vedono l’URSS sottoposta
alle stesse leggi di sviluppo delle società occidentali. In questo sviluppo la
legge del valore, l’accumulazione del capitale, la mancanza di correlazione fra
produzione di beni strumentali e produzione di beni di consumo, la caduta del
saggio del profitto, la disoccupazione e tutte le altre contraddizioni del
capitalismo sono inesorabilmente collegati fra loro. Come la maggioranza dei
marxisti ortodossi, essi vedono l’assenza di democrazia politica come una differenza
essenziale fra socialismo e sistema sovietico. Tuttavia, a differenza dei
comunisti e dei bordighiani, i trotskisti sostengono che Lenin stabilì un
sistema distinto tanto dal capitalismo quanto dal socialismo, cioè uno Stato
operaio, che essi ritengono una forma di transizione sul cammino del socialismo,
ma che, disgraziatamente, non raggiunse mai la sua meta. Questa posizione causò
dissensi nelle file europee dei leninisti dissidenti. Il giornale <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Socialisme ou Barbarie</i> insorse contro
l’idea che la Unione Sovietica sia uno Stato operaio. I redattori di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Socialisme on Barbarie</i> pur considerando
la rivoluzione bolscevica come una rivoluzione proletaria, attribuiscono a
Lenin ed alla introduzione di una direzione personale unica la responsabilità
di aver sparso il seme della degenerazione. È il potere dei lavoratori comuni
di scegliere i loro dirigenti, quello che è considerato specialmente significativo.
Senza questo potere, i lavoratori cadono sotto il dominio della classe dirigente.
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">All’infuori
dei tre principali punti d’arrivo della teoria del capitalismo di Stato
nell’Unione Sovietica, indicati più sopra, c’è tutto un vasto assortimento di
adesioni individuali a questo concetto da parte di commentatori che si
estendono largamente su tutto l’arco politico. Solo uno di essi, Henry Pachter,
ha recato un contributo originale alla teoria. Per lui la differenza fra una
economia socialista e qualsiasi altra è «il divorzio della produzione dalla classe
capitalistica o proprietaria». In una economia socialista i beni entrano nei
fondi di consumo della società e sono distribuiti ed usati a seconda dei
bisogni, senza altro fine, quale la massimizzazione del profitto, mentre sotto
un sistema di capitalismo di stato, quale si è imposto in URSS, le relazioni di
proprietà governano ancora i calcoli economici. Il sistema di equazioni
rappresentante i rapporti fra compratori e venditori deve essere ancora
bilanciato. Come afferma Pachter: «in un regime di scarsità, beni e servizi
hanno prezzi che sono determinati dai costi di produzione (...) quale che sia il
loro sistema di equazioni, esso deve comportare una soluzione simultanea, il
servizio dev’essere pagato; il capitale dev’essere ammortizzato e deve produrre
interesse; anche se la produzione può essere nazionalizzata, i rapporti di
proprietà governano ancora tutti i calcoli economici».<o:p></o:p></span></div>
<h1 style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Conclusione <o:p></o:p></span></b></h1>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Nella
serie di interpretazioni del capitalismo di Stato nell’Unione Sovietica, vi
sono due punti d’arrivo fondamentali. Uno ritiene che esiste capitalismo dove i
lavoratori non possono controllare il meccanismo economico che governa le loro
vite. Quindi un sistema di proprietà statale senza democrazia pratica significa
capitalismo di Stato. L’altro punto d’arrivo ritiene che il capitalismo, cioè il
sistema sociale fondato sul capitale, significa società basata sul salario, sulla
moneta, sui prezzi e sulla proprietà privata sostenuta dal potere statale. La
differenza fra le due maniere di trattare la questione si riferisce al significato
fondamentale di capitalismo e socialismo nell’età moderna. Poiché la nostra
presentazione vuol essere principalmente una storia della teoria del
capitalismo di Stato sovietico, non abbiamo discusso il merito di questa teoria
nelle sue varie versioni. A questo punto è opportuno considerare il punto di vista
di Milovan Gilas. Dapprima egli accetta la teoria, ma poi avvertì che questa
definizione era causa di confusione, perché la nuova classe dirigente occupava
una posizione differente dall’antica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Egli
ammette che sotto il regime sovietico «le relazioni sociali somigliano al
capitalismo di Stato» e che i governanti si comportano come se stessero
attuando un sistema di capitalismo di Stato; ma sottolinea che la classe
dominante nel regime sovietico è una nuova classe, «prima sconosciuta alla
storia». Nonostante la sua osservazione che la proprietà è nient’altro che il diritto
al profitto e al controllo, egli conclude: «se si definiscono i benefici di
classe con questo diritto, gli Stati comunisti hanno visto, in ultima analisi,
la nascita di una nuova forma di proprietà o di una nuova classe dominante e
sfruttatrice».<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La sua conclusione non ha bisogno di
esplicitazione. Se proprietà è uguale a controllo, a se i burocrati controllano
la proprietà di stato, allora essi sono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">de
facto</i> proprietari. Forse per «profitto» Gilas pensa ai «dividendi», nel
senso di una ripartizione formale del profitto. Tuttavia se il profitto è
considerato nel senso marxistico di plusvalore, e se i burocrati estraggono o
consumano il plusvalore attraverso il sistema di mercato, allora essi sono
capitalisti nel senso marxista tradizionale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">L’esitazione
di Gilas fa risaltare una difficoltà concernente le teorie del capitalismo di
Stato. Se le relazioni nell’Unione Sovietica sono le stesse di quelle delle
classiche società capitalistiche (lavoro salariato di fronte a capitale), in
cui i lavoratori sono costretti dalla necessità economica a vendere ai
proprietari dei mezzi di produzione la loro forza-lavoro in cambio di salario,
tuttavia la classe dominante sovietica ha una posizione legale differente da
quella dei capitalisti. Nei paesi comunisti tutti i burocrati hanno un reddito
costituito da retribuzione. Per acquistare questo reddito essi, come qualsiasi
lavoratore, vendono la loro forza lavoro. Quindi, a prima vista, i burocrati
sembrano essere soltanto lavoratori, non differenti sotto questo rispetto
fondamentale, dagli altri salariati. Dunque? Abbiamo forse un sistema
capitalista e relazioni sociali capitalistiche, ma non una classe capitalistica
legalmente distinta dalle altre classi? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">I
sostenitori della teoria del capitalismo di Stato potrebbero dire che è vero
che, legalmente, i burocrati non posseggono individualmente tale posizione.
Tuttavia è la sostanza, non la forma, che è decisiva, e le forme legali non
sempre riflettono la sostanza. Nel medioevo la nobiltà non era proprietaria dei
mezzi di produzione (terra). Essa non aveva un titolo di proprietà basato sul
feudo, ma un usufrutto; cioè non poteva alienare la terra (mediante lascito,
vendita, etc.) ma solo usarla. Il diritto dei nobili a controllare la terra era
subordinato all’adempimento dei loro doveri verso i loro superiori feudali. Il clero
superiore era parte della classe dominante, e molti membri del clero avevano più
ricchezza e potenza che il nobile laico. Tuttavia papi, vescovi, abati, etc. non
erano proprietari secondo un loro diritto proprio. Piuttosto essi controllavano
le organizzazioni corporative — diocesi, abbazie, etc. — che disponevano del
titolo di proprietà. In maniera simile, si argomenta, i burocrati dell’URSS
formano una classe dominante. Col controllare il potere politico che possiede la
proprietà, essi, in effetti, controllano la proprietà: la burocrazia di Stato
possiede lo Stato come proprietà privata. Il concetto di una classe dominante che
non possiede titolo legale alla proprietà che controlla non è così
inconcepibile come può apparire a prima vista. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">W. Jerome e A. Buick<br style="mso-special-character: line-break;" />
<!--[if !supportLineBreakNewLine]--><br style="mso-special-character: line-break;" />
<!--[endif]--><o:p></o:p></span></div>
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin;"><br clear="all" style="mso-special-character: line-break; page-break-before: always;" />
</span>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<h1 style="text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="color: windowtext; font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Postilla<o:p></o:p></span></b></h1>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">di Rodolfo Mondolfo <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Gli
autori di questa rassegna storica delle vane correnti socialiste, che han
considerato il regime sorto dalla rivoluzione russa come un capitalismo di
Stato (ben diverso dalla vantata realizzazione del socialismo e delle sue
esigenze caratteristiche) han ricordato, fra gli altri, anche il ramo italiano
del marxismo tradizionale, rappresentato dalla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Critica Sociale</i>, affermante che la nazionalizzazione e pianificazione,
solo se associate alla democrazia politica, possono costituire il socialismo,
ma dissociate da essa costituiscono un capitalismo di Stato. Chiamati così in
causa personalmente da questo breve accenno alle discussioni critiche svolte in
questa rivista sul disputato argomento, sentiamo la necessità di un breve
commento all’interessante rassegna compiuta da Jerome e Buick, al fine di
mettere in maggior luce il punto che a noi pare essenziale a questo proposito. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Rileviamo
anzitutto che, pur nella diversità di orientamenti fra le tre correnti (dei
marxisti ortodossi, dei comunisti dei consigli e dei leninisti dissidenti), che
gli autori dello studio distinguono, l’interpretazione del regime sovietico
quale capitalismo di Stato è comunemente accolta — benché con motivazioni in
parte differenti, che tuttavia discendono essenzialmente da un riconoscimento
dello stesso Lenin, che gli autori giustamente segnalano. E non si tratta (come
pure taluno dei critici qui citati par credere) di una conseguenza dedotta
dalle concessioni che Lenin faceva al capitalismo privato con la NEP e con le
offerte al capitalismo straniero, ma della stessa funzione assunta dallo Stato
bolscevico, di compier esso quella accumulazione del capitale e quello sviluppo
industriale che in occidente era stato compiuto dalla borghesia, la cui
eliminazione operata dallo Stato sovietico, poneva questo nella necessità di
sostituirsi ad essa. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Ma
questa medesima considerazione portava la maggior parte degli assertori di un
capitalismo di Stato nella Russia sovietica ad una impostazione del problema
che riguardava l’economia in se stessa, nella sua realtà oggettiva per sé stante,
separata dalla considerazione degli uomini come soggetti umani, con i loro
problemi e le loro esigenze di umanità. Forse, fra tutti gli autori passati in
rassegna in questo studio storico di Jerome e Buick, quello che si è avvicinato
a questo aspetto umano del problema è stato il primo dei leninisti dissidenti,
Zinoviev, che dichiarava appunto di allacciarsi alle distinzioni leniniane
delle varie forme di capitalismo di Stato. Cito qui testualmente la sintesi del
pensiero di Zinoviev data dagli autori di questa rassegna storica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">«Il
suo argomentare (essi dicono) s’imperniava sulle relazioni fra operai e
direzione. L’industria di Stato nell’Unione Sovietica non era socialista, ma
capitalista di Stato. Il socialismo significa, più che la nazionalizzazione
dell’industria, un cambiamento fondamentale nelle relazioni fra uomo ed uomo.
L’industria di Stato e sfruttatrice come l’industria privata. Il socialismo
implica un cambiamento nelle relazioni fra lavoratori e direzione industriale;
lavoratori devono avere il controllo della direzione. Nuove vie, diceva Zinoviev,
devono trovarsi per difendere i lavoratori russi contro Io sfruttamento dello
Stato russo». <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Dobbiamo
porre nella meritata evidenza lo stretto vincolo che lega questa impostazione
di Zinoviev col problema che gli scritti giovanili di Marx collocavano alle
radici di ogni aspirazione ed esigenza socialista: il problema dell’uomo e del
lavoro alienati, il problema del superamento dell’alienazione. II socialismo si
trova agli antipodi di ogni alienazione dell’uomo e del lavoro; dove esista
simile alienazione si deve parlare di capitalismo che è appunto la negazione
dell’uomo e della sua umanità (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unmenschlichkeit</i>),
che il socialismo vuole superare (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">aufheben</i>)
nella negazione della negazione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Ora
da questo punto di vista, specialmente, deve esser guardato il problema della
classificazione dello stato sovietico in Russia e altrove. Non ci si deve porre
dall’angolo visuale dell’organizzazione economica considerata in se stessa e
nella formazione di una nuova classe (la classe dirigente dei burocrati) di cui
si è preoccupato specialmente Milovan Gilas. Impostando in questo senso la
questione, sorge il problema della differenza fra la classe dominante
burocratica nei paesi comunisti e la classe capitalistica in senso proprio. La
nuova classe ha il controllo dei mezzi di produzione nazionalizzati, ma non ne
ha la proprietà (con diritti di eredità, di vendita, etc.) che ne hanno i
capitalisti in regime di capitalismo privato; e per la sua sussistenza e per
tutti i privilegi e lussi di cui può usufruire dipende dal salario che ricevono
le sue prestazioni di opera. Sotto questo aspetto i burocrati sono anch’essi
lavoratori salariati (per quanto privilegiati) anziché capitalisti. Si può dire
bensì, con Gilas, che «la burocrazia di Stato possiede lo stato come proprietà
privata»; ma questo è vero della burocrazia come corpo collettivo, non dei
burocrati individualmente. Altrimenti si avrebbe il capitalismo privato, non il
capitalismo di Stato; il quale ultimo in certo senso potrebbe considerarsi un
capitalismo senza capitalisti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Ma
se sotto questo aspetto la designazione di capitalismo di Stato può presentare
problemi e difficoltà, ciò dipende dall’aver impostato la questione da un punto
di vista che non è il vero ed essenziale. Non è il problema della classe
dominante, dei burocrati, quello che deve stabilire la differenza ed
opposizione tra socialismo e capitalismo, ma è invece il problema della classe
dominante, del proletariato, del lavoro alienato e dell’umanità allenata,
quello decisivo in proposito. Ora l’alienazione del lavoro e dell’uomo vige in
pieno nella Russia bolscevica dominata da una dittatura onnipotente e
inesorabile, alla cui organizzazione non è aliena neppure l’imposizione del
lavoro forzato, e dove i consigli operai non hanno funzioni di tutela del lavoratori
e di conquista progressiva dei loro diritti, come accade invece nei paesi del
capitalismo privato, ma solo di strumento del dominio dello Stato sui
lavoratori individualmente e collettivamente. Perciò il perdurare
dell’autoestraniazione del lavoratore — più dura anzi e inesorabile che sotto
il capitalismo privato, perché tutta l’organizzazione del potere politico e la
forza dei suoi strumenti sono usate per dominare materialmente e spiritualmente
gli individui e le masse — ci obbliga a riconoscere al regime sovietico il
carattere di capitalismo di Stato. Impostato il problema sulla questione
decisiva, della situazione del proletariato lavoratore, che soggiace tuttora in
pieno (ancor più che nel capitalismo privato) all’alienazione del lavoro e
dell’uomo, la caratterizzazione dello Stato sovietico come capitalismo di Stato
non ammette più dubbi o restrizioni; e contro questo perdurare
dell’alienazione, appunto, insorge l’esigenza di rivendicazione dell’uomo, che
caratterizza il socialismo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Buenos Aires, <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Marzo 1967 <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Arial",sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%; mso-ansi-language: IT;">Rodolfo Mondolfo</span><span lang="IT" style="mso-ansi-language: IT;"><br style="mso-special-character: line-break;" />
<!--[if !supportLineBreakNewLine]--><br style="mso-special-character: line-break;" />
<!--[endif]--><o:p></o:p></span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-51909825381060068562018-03-12T13:25:00.000+01:002018-03-18T13:35:33.100+01:00Bitcoin: cosa ne penserebbe Marx?<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: left;">
<ul>
<li>di Cesco </li>
</ul>
</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Abbiamo
sentito di tutto in merito ai Bitcoin. C'è addirittura qualcuno che ha osato
affermare che i Bitcoin sarebbero un'alternativa alla struttura economico-politica
attuale e per questa ragione Marx li avrebbe apprezzati <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(‘Bitcoin and Marx’sTheory of History’, Kenny Spotz, Bitcoin Magazine
26, July 2014).</i> Poveri noi!<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Vediamo
allora se Marx avrebbe apprezzato i Bitcoin oppure no. I Bitcoin sono una
'criptomoneta', ovvero un mezzo digitale criptato di pagamento, sicuro, fino a
quando non viene “hackerato”, ovviamente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Secondo
Marx, la sola alternativa al capitalismo è una società basata sulla proprietà
comune dei mezzi di produzione e dei loro prodotti, una società senza profitto
e senza denaro, nemmeno quello criptato o non convenzionale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Marx
analizzò esaurientemente la natura e la funzione del denaro nel sistema
capitalista. Questa la si può trovare nella prima sezione del primo volume del Capitale.
Ripassiamone brevemente un paio di concetti. Qualsiasi cosa che ha
la proprietà di soddisfare un bisogno ha un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">valore
d'uso</i>, che è un'utilità, una particolare qualità. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Ma
quando guardiamo lo scambio di due cose e le loro qualità, per esempio due
sedie e 0,3 once d'oro, i loro valori d'uso non sono determinanti nello
scambio; ciò che conta è una quantità comune misurabile. Nello scambio, queste
due cose diventano merci e i loro valori diventano <i style="mso-bidi-font-style: normal;">valori di scambio</i>. Così nel nostro esempio, 2 e 0,3 sono i valori
di scambio. Però, se guardiamo questo scambio dal punto di vista dell'utilità, due
sedie dovrebbero essere più utili di 0,3 once d'oro (diciamo un anello d'oro).
Ma chi o cosa decide che due sedie valgano solo 0,3 once d'oro, piuttosto che
20 once o 0,1 once? Questo è determinato dal fatto che l'ammontare di lavoro
umano medio in una società, necessario per produrre due sedie e per estrarre
0,3 once d'oro, è il medesimo. Quindi, due sedie così come 0,3 once d'oro, si
possono scambiare, come con 8.000 mele, o quattro paia di scarpe. Ogni merce
quindi ha equivalenti, che riflettono il tempo medio di lavoro speso nel
produrle dall'inizio alla fine. Per convenzione, storicamente, la </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">forma generale di
equivalente </span></i><span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">era attribuita ai metalli preziosi, come l'oro e
l'argento, diventando così merce-denaro, come moneta, la quale in sé incarna uno standard di tempo di lavoro allo stesso modo e permette a tutte le altre
merci di essere a lei comparata. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Marx
riassume tutto questo in un chiaro esempio:<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Se le
merci avessero la parola, direbbero: il nostro valore d’uso può interessare
agli uomini. A noi, come cose, non interessa. Ma quello che, come cose, ci
interessa, è il nostro valore [di scambio].<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><span style="mso-tab-count: 1;"> </span>L’oro
[inteso come denaro]… funziona come misura generale dei valori [di scambio] <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Originariamente,
il denaro era una merce, i metalli preziosi (oro e argento), lo erano per le
loro proprietà di durevolezza nel tempo e divisibilità; il loro valore di
scambio era determinato dal loro peso. A un certo punto, per permettere scambi
di più piccola dimensione, altri metalli meno durevoli come il rame vennero
usati come monete, sostituendo l'oro o l'argento. Anche gli stessi oro e
argento erano soggetti all'usura del tempo, diventando il loro valore sempre
più convenzionale e sempre meno connesso al loro peso. Questo spianò la strada a
una moneta puramente convenzionale come le banconote. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">La
carta per sé ha un limitato valore di scambio, ma convenzionalmente le banconote
hanno valori di £20, £50, £100 etc. Ai tempi di Marx le banconote della Banca
d'Inghilterra erano ripagabili in oro. La Banca, alla quale era concesso dallo
Stato di stampare carta moneta, doveva avere il corrispettivo in riserve auree
nelle sue casseforti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Come
scritto da Marx, <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;"><span style="mso-tab-count: 1;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
monetazione, come pure la definizione di scala di misura dei prezzi, è compito
dello Stato. <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">Inoltre,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-tab-count: 1;"> </span><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; text-align: justify;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">La carta
è segno di valore, solo perché rappresenta quantità d’oro che sono pure
quantità di valori, come tutte le quantità di merci.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Uno
alla volta, i vari governi del mondo decisero di revocare la convertibilità
del loro conio in oro, facendone </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">moneta a corso legale <i style="mso-bidi-font-style: normal;">(fiat money)</i></span><span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fiat</i> significa in latino “lascia che sia”.
Che vuol dire: soldi senza obblighi di convertibilità. Quindi, oggigiorno, una
banca centrale, che stampa banconote per concessione statale, può creare soldi
dal nulla, aumentando le possibilità d'inflazione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Torniamo
quindi alla criptomoneta, e a come la giudicherebbe Marx.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">È
decisamente possibile creare criptomoneta dal nulla; è solo una questione di
convenzione. Per diventare una vera moneta, lo Stato deve riconoscerla e in
molti paesi, ma non in tutti, Bitcoin e altre criptovalute sono riconosciute
legalmente ma solo come valute private. È importante notare che gli inventori dei
Bitcoin hanno imposto un limite nel numero circolante (21 milioni) e questa
scarsità, assieme ad altri vantaggi, ha dato loro una certa popolarità. L'altro
principale vantaggio è che i Bitcoin garantiscono l'anonimato, ideale per chi è
interessato a evadere il fisco, al gioco d'azzardo e al riciclaggio. In più gli
acquisti non sono tassati. I Bitcoin non richiedono intermediari e quindi hanno
costi di trasferimento più bassi. Le imprese possono raccogliere capitali, con
i Bitcoin, senza essere valutate nella borsa valori ufficiale. Ad ogni modo,
questi vantaggi non spiegano la loro popolarità e loro rapido aumento di valore
azionario.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Il
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Chicago Mercantile Exchange</i>,
l'operatore di scambio di derivati più grande al mondo, sta considerando di
offrire la vendita di Bitcoin. Questo ha agevolato la bolla speculativa sui
Bitcoin anche più grande di quella del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“dot-com”</i>
della fine anni novanta. Mentre scriviamo questo articolo, nel dicembre 2017, i
Bitcoin valevano $15.500, nella loro fase discendente, da un picco di $18.000
circa. Quanto varranno domani, $10.000, $500, $1? Gli investitori compravano Bitcoin
perché contavano sul fatto che qualcun altro li ricomprasse da loro, e così
via. Contavano su un 'fesso più grosso' che li comprasse da loro, come
descritto nell'<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Economist</i> (1 novembre).
Chiaramente, nonostante quello che dice la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Bitcoin
community”,</i> questa non è una valuta adeguata per comprare beni quotidiani,
ma si è dimostrata ideale per una bolla speculativa, di sicuro non un passo
avanti verso il futuro dell'evoluzione umana. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; mso-margin-bottom-alt: auto; mso-margin-top-alt: auto; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">Marx
non penserebbe neanche che i Bitcoin siano una buona valuta, in quanto non
stabile come equivalente universale. Marx, allo stesso modo, non penserebbe che
neanche il dollaro o ogni altra </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">moneta a corso legale </span><span lang="IT" style="color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt;">siano
una buona forma di equivalente universale, in quanto fittiziamente sostenuti dallo
Stato e quando stampati in eccesso causa d'inflazione. Marx non penserebbe che
una moneta, invisibile perché digitale e criptata, sia intrinsecamente un passo
in avanti o che sia in grado di cambiare l'ordine sociale. Il capitalismo può
essere superato solo da un sistema dove i mezzi di produzione e i loro prodotti
diventino di comune proprietà dell'intera società, e l’accesso a questi ultimi
sia completamente libero. Una società dove l'oro non sarebbe la forma di
equivalente universale, come neanche nessun altro tipo di moneta. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 107%;">(Tradotto da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Socialist Standard”</i> n. 1362 Febbraio
2018 <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Bitcoin: What Would Marx Think?”)</i><o:p></o:p></span></div>
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-4829281039116805692018-02-08T13:39:00.000+01:002018-03-12T13:22:10.476+01:00Convergenza “Socialista” e il World Socialist Movement: due poli diametralmente opposti!<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Un piccolo partito di recente formazione, noto con il
nome di “Convergenza Socialista” (CS), usa impropriamente la corretta definizione
di “socialismo”. Questa è stata presa dal vecchio e glorioso <i>Socialist Party of Great Britain </i>(SPGB),
attivo fin dal 1904. L’uso improprio di una definizione giusta crea due pericoli,
ovvero: quello di passare per un partito che vuole davvero il socialismo,
quando invece è altrimenti. E quello di associare in qualche modo il proprio
nome al SPGB e quindi al <i>World Socialist Movement</i>
(WSM). Questi due rischi noi del WSM non li possiamo correre e, quindi, non
solo prendiamo le distanze dalla linea politica revisionista e riformista di CS,
ma evidenziamo qui di seguito anche le principali differenze che ci dividono in
modo diametrale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Il SPGB nasce dalla rottura della <i>Socialist Democratic Federation</i> (SDF), appunto nel 1904. La SDF
ebbe una nobile origine: fondata da Henry Hyndman nel 1881, vide socialisti del
calibro di William Morris, Eleanor Marx e del suo partner Edward Aveling tra i propri
membri. Hyndman, già a suo tempo plagiario di Marx (il quale per questo troncò con
lui ogni rapporto), era un uomo politico eclettico che guidava il partito in
modo autoritario e personale entrando fin da subito in conflitto con molti
membri socialisti, tra i quali quelli celebri appena citati. Proprio questi
ultimi andarono a formare la <i>Socialist
League</i>, una scissione accolta con piacere da Engels, il quale anch’egli
poco tollerava Hyndman, ma che, mancando di massa critica, non ebbe il seguito
sperato. Proprio per la condotta personalistica e le posizioni revisioniste,
riformiste e scioviniste di Hyndman, alcuni membri della sinistra della SDF di
Londra andarono successivamente a formare il SPGB. Un partito che da allora non
accettò mai più una leadership di partito, né alcuna sorta di riformismo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Il SPGB e i suoi partiti fratelli, che formano il WSM, ovvero
il <i>Socialist Party of Canada</i>, il <i>World Socialist Party of the United States</i>,
il <i>World Socialist Party (Ireland)</i>, il
<i>World Socialist Party (New Zealand)</i> e
il <i>World Socialist Party of India</i>,
funzionano in modo totalmente democratico e senza alcuna leadership.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">La loro intransigenza nei confronti di ogni tipo di
revisionismo e di riformismo, allora già incipienti nelle grandi socialdemocrazie
della Seconda Internazionale, valse loro il nomignolo di “impossibilisti”.
Questo termine (un po’ ironico) fu coniato proprio dai partiti membri della
Seconda Internazionale, tra i quali troviamo anche il Partito Socialista
Italiano, per indicare coloro i quali pensavano che fosse impossibile
partecipare a governi di coalizione con i partiti borghesi “progressisti” (dopo
l’<i>affaire</i> Millerand del 1899) e, più
in generale, riformare il capitalismo per condurlo gradualmente verso il socialismo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Invero, Marx ed Engels
pensavano che un programma “minimo” di riforme, spontaneamente sollevato dal
movimento dei lavoratori stesso, avrebbe aiutato la costruzione di un movimento
rivoluzionario socialista globale nel quale la classe lavoratrice sarebbe organizzata
come un corpo unico, ma non lo concepivano come strumento per riformare il
capitalismo. Tuttavia l’adozione di un programma minimo risultò nella
corruzione della natura dei vari partiti social-democratici. Quindi il WSM, nonostante
accetti di partecipare alle elezioni politiche, rifiuta categoricamente il
programma “minimo”: il suo solo programma è il Socialismo. Come Marx ed Engels,
anche il WSM vede i sindacati come organizzazioni di lavoratori occupate, nel
migliore dei casi, nella lotta quotidiana di miglioramento delle condizioni
lavorative. I sindacati non si occupano del movimento socialista come non si
occupano del socialismo. “L’essere membro del WSM non preclude l’attività nei
sindacati [anzi], tuttavia ogni membro deve riconoscere i gravi limiti della
lotta difensiva dei sindacati sotto il regime capitalista”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Queste posizioni pongono il SPGB insieme ai socialisti libertari
anarchici e ai cosiddetti “comunisti di sinistra” (ovvero la “Sinistra
Comunista” olandese e tedesca, detta anche “dei Consigli”, e la “Frazione della
Sinistra Comunista” italiana e francese). Però a differenza di tutti questi, il
SPGB (e quindi il WSM) non si affidano alle supposte proprietà taumaturgiche di
un’insurrezione rivoluzionaria violenta (Bordiga, Malatesta), né a un’amministrazione
dell’economia operata da consigli di fabbrica o da <i>soviet</i> territoriali (Korsch, Pannekoek), né da minoranze
intellettuali illuminate (Lenin, Trockij). <span style="background: white; color: #222222;">Il nostro intendimento della politica è semplice ma ambizioso
al contempo: “<i>la collettività sociale deve organizzare e amministrare
se stessa</i></span>”. Questo poi è proprio il socialismo! E se lo strumento
elettorale può essere usato per raggiungerlo pensiamo che in questo non ci sia
nulla di male.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Come illustrato di recente
nella nostra analisi del colpo di stato bolscevico dell’ottobre del 1917 (</span><a href="http://socialismo-mondiale.blogspot.it/"><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">http://socialismo-mondiale.blogspot.it/</span></a><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">), il fatto che la critica del
SPGB e la critica dei riformisti italiani (e non solo italiani) abbiano degli
elementi comuni, non è a causa di un rilassamento dei principi anti-riformisti
del SPGB, ma dipende dal fatto che la rivoluzione russa (e, in particolare, la
presa del potere bolscevica) aveva evidenziato degli ovvi elementi in contraddizione
con la visione materialista dell’evoluzione storico-sociale. Questi si possono
riassumere in due punti: (1) condizioni socio-economiche non mature in Russia
per instaurare il socialismo (inoltre un singolo paese non possiede le risorse
naturali necessarie per realizzare il socialismo); (2) disaccordo
sull’intendimento dell’espressione “dittatura del proletariato”; da una parte i
bolscevichi per una minoranza illuminata di rivoluzionari di professione
regolata da una rigida disciplina di stampo militare, dall’altra una concezione
di presa del potere politico ed economico da parte della maggioranza dei lavoratori,
ormai divenuti convinti socialisti, tra i quali, ovviamente, anche i membri del
SPGB. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Il SPGB era (ed è) per il partito
inteso come organizzazione della maggioranza dei lavoratori e vedeva (e vede)
la possibilità d’instaurazione del socialismo per via democratica (anche, ma
non solo, elettorale) soltanto quando tale maggioranza sarà parte attiva in
questa gigantesca trasformazione sociale grazie al suo elevato livello di
coscienza di classe. Citando un articolo scritto nel 1920 sul <i>Socialist
Standard</i> (organo del SPGB), diciamo:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">“<i>Finché i lavoratori
concorderanno con il capitalismo, voteranno dei capitalisti al parlamento. Quando
concorderanno col socialismo, o con ‘la volontà di avere il socialismo’, ci
manderanno dei socialisti.”</i></span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Torniamo ora a CS. È un partito che dice di rifarsi alla
ormai defunta tradizione del socialismo storico italiano: <i>“L’idea della ‘convergenza socialista’ </i>(scrive il suo Segretario
Nazionale, Dott. Manuel Santoro) <i>presupponeva
una grande prova di pluralismo delle idee, trasparenza dei metodi e democrazia
interna</i>”, riferendosi alla situazione nel Cile di Allende all’inizio degli
anni ‘70. Citando poi la definizione corretta di socialismo, ovvero un “<i>sistema
della società che si basa sulla proprietà comune e sul controllo democratico
dei mezzi e degli strumenti di produzione e di distribuzione della ricchezza da
parte e nell’interesse dell’intera comunità”, </i>Santoro si mette apparentemente sulla buona strada. Ci accorgiamo
presto, però, che per arrivare al socialismo CS ci propina una combinazione di
formule revisioniste-riformiste basate sul capitalismo di stato alle quali il
nostro movimento si oppone apertamente fin dal 1904. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Quali sarebbero poi queste
formule nel programma di CS?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Secondo le macro-linee guida di
CS, questa si propone:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">“<i>L</i></span><i><span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">a nazionalizzazione delle risorse naturali e dei servizi di base, incluso
quello bancario; piena ed equa ridistribuzione della ricchezza; la piena
rappresentatività nelle istituzioni affinché nazionalizzazione equivalga a
socializzazione e non sia un processo in mano a pochi.”</span></i><span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Parlare di nazionalizzazione è
fuorviante, in quanto implica il concetto di capitalismo di stato su base nazionale.
Affinché la nazionalizzazione equivalga alla socializzazione questa deve essere
almeno su scala globale e comunque se continua ad esistere uno stato, non si
può parlare di socializzazione. Inoltre è incompleto parlare di risorse,
servizi di base e di ricchezza. Quello che ogni movimento socialista che sia
davvero tale dovrebbe avere come obbiettivo primario è </span><b><i><span lang="IT" style="background: white; color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">la realizzazione di un sistema sociale basato sulla
proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi e degli strumenti per la
produzione e la distribuzione delle ricchezze da parte e nell’interesse
dell’intera comunità mondiale. </span></i></b><i><span lang="IT" style="background: white; color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Proprietà
comune non è proprietà statale. La proprietà statale è solamente la proprietà
da parte della classe capitalista nel suo complesso, invece che di capitalisti
individuali, e il governo quindi dirige le imprese statali per servire la
classe capitalista </span></i><span lang="IT" style="background: white; color: #222222; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">(estratto da “Obiettivi e Principi del WSM”).</span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;"><o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Poi CS propone 10 punti:<o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Contro la povertà, contro la crisi economica, per la creazione di un “Nuovo
Stato Sociale”, ossia uno stato sociale che consenta ai cittadini <i>“</i></span><i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT;">la possibilità di guadagnare l’indispensabile per vivere dignitosamente.”</span></i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Essere contro la povertà è un sentimento universalmente nobile; essere
contro la crisi economica è un sentimento squisitamente piccolo-borghese se
questa poi la si vuol risolvere creando un improbabile capitalismo di stato che
dia la possibilità ai cittadini di guadagnare, anche se (come dice CS) soltanto
l’indispensabile per vivere. Si tratta di una visione molto grama e distorta degli
obiettivi che contraddice il fatto che CS dice di essere per il socialismo,
ovvero per la socializzazione della ricchezza, in quanto intesa come mezzi di
produzione, e prodotto sociale.<o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Il socialismo è infatti un sistema socio-economico che funziona sul
libero accesso a beni e servizi, quindi senza denaro, e dunque il concetto di “guadagno”
non trova alcuna giustificazione ad esistere.<o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Una conferma che “Convergenza Socialista” è in realtà una “Convergenza
Statalista” è il quinto punto che ribadisce il ruolo dello stato come erogatore
e controllore dei servizi essenziali. Questo non è molto diverso da quello che c’era
nell’Unione Sovietica decenni fa. La menzione alla Banca di Stato, poi, ci
riporta al discorso che questo non è vero socialismo, ma, al massimo, un
controllo centralizzato dell’economia capitalista.<o:p></o:p></span></div>
<div style="line-height: 120%; margin-bottom: 18.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; vertical-align: baseline;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Il punto finale è un’apoteosi del “nazionalismo di sinistra”, con tutta
la sua retorica. Ovvero rafforzare i valori borghesi, illuminati certo, ma non
troppo diversi da quelli che attualmente ispirano la classe dirigente del
paese.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Poi CS s’imbarca in un
dettagliato programma riformista focalizzando la sua attenzione su questa o
quella legge da cambiare per migliorare le cose. Ancora neanche l’ombra del
vero socialismo... <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Ecco, è importante sottolineare che essere per il socialismo
non vuol dire rinunciare alla lotte sindacali e aspettare che il socialismo
arrivi come un evento messianico. Il WSM, quindi, vede le lotte
politico-sindacali come una necessità temporanea per migliorare le condizioni
di vita della classe lavoratrice, ma non per instaurare il socialismo. Concetto
questo esplicitato da Marx già nel 1865 nel suo famosissimo pamphlet “Salario, prezzo
e profitto”: <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">«<i><span style="background: ivory;">Nello stesso tempo la classe lavoratrice,
indipendentemente dalla servitù generale che è legata al sistema del lavoro
salariato, non deve esagerare a se stessa il risultato finale di questa lotta
quotidiana. Non deve dimenticare che essa lotta contro gli effetti, ma non
contro le cause di questi effetti; che essa può soltanto frenare il movimento
discendente, ma non mutarne la direzione; che essa applica soltanto dei
palliativi, ma non cura la malattia. Perciò essa non deve lasciarsi assorbire
esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente
dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato. Essa deve
comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla
classe lavoratrice, genera nello stesso tempo le <em><b>condizioni materiali</b></em> e
le <em><b>forme sociali</b></em><b> </b>necessarie per una ricostruzione economica della società.
Invece della parola d'ordine <em><b>conservatrice</b></em>: “<em>Un equo salario per un'equa giornata di
lavoro”</em>, i lavoratori devono scrivere sulla loro bandiera il
motto <em><b>rivoluzionario</b></em>: “<em>Soppressione del sistema del lavoro
salariato”</em>».</span><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">Concludiamo questo scritto ribadendo la totale estraneità
del WSM (e quindi del SPGB) alla linea politica di Convergenza Socialista che
sarebbe più correttamente da chiamare, fatta salva la buona fede dei suoi
militanti, “Convergenza Riformista”. A
questo proposito invitiamo iscritti e simpatizzanti a CS ad approfondire la
nostra critica al riformismo con la lettura dell’apposito opuscolo (<u><span style="color: #0070c0;">www.worldsocialism.org/spgb/pamphlets/market-system-must-go</span></u>)
e della breve appendice qui in basso.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: center;">
<b><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;">APPENDICE<o:p></o:p></span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: center;">
<b><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 120%;"> Un dilemma per Convergenza Socialista: Marx o
Keynes?<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif;"><br />
</span><span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">Un punto cruciale dell’analisi
di ogni movimento politico riformista (come CS) che però si richiami
esplicitamente al socialismo, sta nello svelare le sue intime contraddizioni:
se è vero che accetta la definizione di socialismo del SPGB (tant'è che la
riporta più e più volte sul suo sito), allora perché la sua rubrica teorica (“L’
Ideologia Socialista”) è quasi interamente di matrice keynesiana? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">È noto che Keynes non voleva
il socialismo, ma, all’opposto, un utopico capitalismo "ben
temperato" con piena occupazione e interventi pubblici anche in deficit,
ma solo quando strettamente necessari. Infatti odiava Marx e si definiva un "liberale".
Poi i socialdemocratici e i laburisti hanno aggiunto all’economia keynesiana il
concetto di "stato sociale" inteso come un eclettico <i>trait d’union </i>tra la politica e le forze
sindacali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">Comunque sia, teoricamente
Keynes è stato alquanto sopravvalutato nel periodo ’40-’70 dello scorso secolo
e oggi gli economisti teorici più seri sanno bene che il noto modellino <i>IS-LM </i>e i suoi derivati più recenti fanno
acqua dappertutto e non spiegano correttamente fenomeni macroscopici come
quelli inflattivi (la stagflazione, la violazione della curva di Phillips e
altro ancora). Gli scritti del Prof. Vittorangelo Orati sull’argomento sono un
esempio di raro acume e di non comune onestà intellettuale che i militanti di
CS dovrebbero sicuramente prendere come modello delle loro analisi economiche.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">Ovviamente i nostri
interlocutori potrebbero rispondere che ibridazioni tra socialismo e keynesismo
sono possibili e fiorirono a iosa negli anni '50-'70, come, ad esempio, la
famosa <i>Agathotopia</i> di Meade che loro sembrano
apprezzare particolarmente. A questo punto, allora, si deve entrare un poco di
più sul piano teorico e ripetere ciò che il vero marxismo (ossia scevro dalla
vulgata socialdemocratica nonché da quella leninista-togliattiana) ha sempre
sostenuto:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">1) le nazionalizzazioni non
sono per nulla un passo avanti verso il socialismo, né nei paesi in via di
sviluppo, né in quelli già sviluppati.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">2) Il capitalismo non può
esser fatto funzionare nell'interesse generale dei lavoratori tramite azioni
politiche esterne (anche se animate dalle migliori intenzioni): se il saggio di
profitto locale si abbassa troppo per via della tassazione, della riduzione
dell’orario di lavoro o con altre “riforme di struttura”, allora l’economia del
paese entra in crisi e alla fine tali riforme vengono prontamente rimosse
mediante instabilità politiche più o meno scontate.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">3) Non esiste quindi un percorso
di riforme basato su elementi di <b>tassazione,
nazionalizzazione, cooperazione, cogestione </b>e<b> programmazione</b> (le famose 5 "oni" della socialdemocrazia
europea del secolo scorso) che conduca gradualmente al socialismo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">4) Lo stesso è vero, con
grande scorno per tutti i leninisti e i trotzkisti, anche se le <b>nazionalizzazioni</b> e le conseguenti
pianificazioni economiche avvengono in maniera rapida e totale a seguito di
eventi insurrezionali cosiddetti “comunisti”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">4) L'unica alternativa è
quindi la vera rivoluzione socialista operata al livello mondiale da una
maggioranza cosciente di lavoratori che abolisca democraticamente il
capitalismo aprendo la strada al <b>libero
accesso ai consumi</b> e al l<b>avoro su
base rigorosamente volontaria</b>. Ciò definisce appunto il socialismo nel
senso marxista del termine.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 120%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 120%;">I militanti di CS se ne
facciano una ragione e si volgano al socialismo autentico, abbandonando
soluzioni ormai logore e screditate come quelle socialdemocratiche, keynesiane
o meno che siano.<o:p></o:p></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-2966690198296353192018-01-07T10:36:00.000+01:002018-01-07T19:43:45.169+01:00Elezioni politiche 2018<!--[if gte mso 9]><xml>
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<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 26.0pt; line-height: 115%;">La Sinistra riformista:</span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 26.0pt; line-height: 115%;">cosa può ottenere e cosa non farà mai</span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 26.0pt; line-height: 115%;"></span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">(adattato da un articolo di Adam Buick intitolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Corbyn: what he can achieve and what he
could not have”</i> apparso sul <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Socialist
Standard”</i>, n. 1355 del luglio 2017)</span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: 150%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto;">
<span style="background: yellow; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 15.0pt; line-height: 150%;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.0pt;">Introduzione</span></b></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Nel 2017 alcuni politici progressisti europei, come per esempio Jeremy Corbyn
in Gran Bretagna, Jean-Luc Mélenchon in Francia e <b><span style="background: white; border: none 1.0pt; font-family: "arial" , "sans-serif"; padding: 0cm;">Sahra
Wagenknecht</span></b><span style="background: white;"> in Germania</span>,
hanno dimostrato almeno una cosa: presentarsi alle elezioni politiche con un
programma che promette di tassare le multinazionali e i super-ricchi per
finanziare la sanità, l’edilizia popolare e l’istruzione non sempre causa
quell’emorragia di voti che tanti politologi-“guru” spesso prevedono. Molti,
inclusi vari parlamentari della stessa Sinistra, pensano che scendere in campo
oggi con un programma del genere sia un suicidio politico. Alla fine, tornando
all’esempio britannico, il programma è stato proprio uno dei fattori che ha
permesso al Partito Laburista di aumentare il numero dei suoi parlamentari di
30 unità e il voto popolare del 40%. Naturalmente né Corbyn, né Mélenchon, né la
<b><span style="background: white; border: none 1.0pt; font-family: "arial" , "sans-serif"; padding: 0cm;">Wagenknecht</span></b>
hanno vinto, ma all’inizio si pensava che sarebbero stati letteralmente
polverizzati. </span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Le elezioni politiche del 2017 in Europa sono state nuovamente una
competizione per decidere quale gruppo di politici dovesse guidare l’azienda-paese,
ma questa volta per lo meno non è stata, come a volte accade, solo una gara tra
due o tre squadre tutte pronte a giurare che il loro partito sarebbe stato il
migliore a gestire il capitalismo così com’era. In effetti quest’anno è
avvenuta una certa competizione tra molti raggruppamenti che ancora proponevano
questo programma e pochi altri (per esempio i Laburisti britannici, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">France
Insoumise</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">die Linke</i>) che
sostenevano, al contrario, che avrebbero fatto importanti modifiche al
capitalismo. Che un numero crescente di persone si esprima contro lo stato
attuale delle cose è comunque sempre meglio che votare, senza entusiasmo o
cinicamente, come se si dovesse scegliere tra due marche di un detersivo più o
meno identico. Se la gente non fosse scontenta dello <i style="mso-bidi-font-style: normal;">status quo</i> e non sperasse in qualcosa di migliore allora le
prospettive del socialismo sarebbero davvero nulle.</span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.0pt;">Tuttavia</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<b><span style="background: yellow; color: #ee1c24; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">C’è una bella differenza tra essere in grado di
conquistare voti con un programma moderatamente di Sinistra volto a riformare
il capitalismo ed esser capaci poi di metterlo in pratica. Se, per esempio, il
Partito Laburista di Corbyn avesse avuto ancora più successo e fosse riuscito a
vincere effettivamente le elezioni, allora, alla luce di quanto dimostrato
dalle esperienze passate dei governi di Sinistra, avrebbe fallito a far
funzionare il capitalismo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“nell’interesse
dei molti e non dei pochi”</i>. E questo non perché i suoi ministri avrebbero
dato prova di esser incapaci o venduti, ma perché il capitalismo è un sistema
sociale basato, in modo rigoroso, sull’esclusione della maggioranza dalla
proprietà e dal controllo dei mezzi di produzione della ricchezza. Questi
appartengono a una minoranza che però usa la maggioranza per farli funzionare.
Sotto il capitalismo (in quanto sistema economico) la ricchezza è prodotta per
esser venduta sul mercato in vista di un profitto la cui origine sta nel lavoro
non pagato “dei molti” di cui si appropriano “i pochi”. Promettere di far
funzionare il sistema economico nell’interesse della maggioranza e non di una
minoranza, implicitamente assume che tale minoranza continui a esistere. Così
la Sinistra europea sta dicendo che sotto un ipotetico governo di Corbyn, di
Mélenchon o della Wagenknecht, “i pochi” rimarrebbero ai loro posti di
privilegio, ma un po’ del loro denaro verrebbe preso e usato a beneficio de “i
molti”. Il problema è che l’origine delle entrate de “i pochi” sta nel
profitto, e proprio la ricerca del profitto è ciò che guida il sistema
capitalista. Minacciando i profitti il sistema economico entrerebbe in stallo.
Un governo di Sinistra che tassasse i profitti semplicemente per migliorare la
vita de “i molti” si scontrerebbe con la legge economica fondamentale del
capitalismo: “niente profitti, niente produzione”. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.0pt;">Ci siamo già passati</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Lo scenario tipico, confermato dalla Storia, di
un governo di Sinistra è questo: viene eletto e inizia ad applicare il suo
programma; scoppia una crisi economica; il governo reagisce facendo retromarcia
sulle sue riforme e accettando, in modo più o meno riluttante, che i profitti
abbiano il primo posto e poi agendo di conseguenza. Perde popolarità e
nell’elezione successiva, o viene sostituito, o viene rieletto con un programma
molto diverso: non più riforme radicali, ma soltanto “il male minore”. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Questo è il motivo per cui non possiamo essere
entusiasti di Corbyn, di Mélenchon o della Wagenknecht. Per quanto ragionevoli
e umani possano essere da vari punti di vista (e nonostante le ampie campagne
contro di loro, sono risultati essere certamente più ragionevoli e umani degli
altri politici), i loro programmi non sono realizzabili. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il capitalismo, semplicemente, non può esser
fatto funzionare in modo diverso da quello di un sistema che anteponga il
profitto alla gente. È il modo in cui opera e in cui deve operare.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.0pt;">Illusione</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">Ciò vuol dire che la politica e le elezioni
politiche sono in realtà basate su un’illusione: chi controlla il governo può
controllare il modo in cui funziona l’economia, mentre è esattamente l’opposto:
i governi devono adattare le loro politiche al modo in cui opera il
capitalismo. Così, alla fine, non importa quale gruppo di politici sia stato
eletto per formare un governo. Chiunque siano, qualunque cosa abbiano promesso,
dovranno sempre governare nei termini fissati dal capitalismo. In altre parole,
se la gente vota per migliorare la propria sorte sotto il capitalismo, sarà
frustrata dall’azione delle forze economiche stesse del capitalismo. Non è un
sistema che possa accettare la volontà democratica della gente, espressa per
esempio in un’elezione, di migliorare le proprie condizioni. I votanti propongono,
ma il capitalismo dispone. Questa è la base del detto: “cambiare il governo non
cambia nulla”.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt;">L’aspirazione a migliorare le cose è molto
positiva, ma non può esser soddisfatta nell’ambito del capitalismo. Ciò che
serve a realizzare le speranze di chi ha votato a Sinistra non è la tassazione
de “i pochi” a vantaggio de “i molti”. È l’abolizione della divisione sociale
in “molti” e “pochi”, convertendo i mezzi di produzione della ricchezza dal
possesso (e dal vantaggio) de “i pochi”, alla proprietà comune di tutti per il
vantaggio di tutti. Ciò costituirebbe il quadro in cui riorientare la
produzione: dal raggiungimento del profitto al soddisfacimento dei bisogni
della gente. Non lo slogan riformista: “Il popolo prima dei profitti”, ma
quello rivoluzionario: “Il popolo, non i profitti”!</span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none; text-align: justify; text-autospace: none;">
<br /></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.0pt; line-height: 115%;">DC</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Gian_Mariahttp://www.blogger.com/profile/00669611590645447413noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6443278226891337481.post-11116939794694264492017-12-14T07:58:00.000+01:002017-12-17T21:51:57.467+01:00Jahiliyya, l’uso politico dell’Islam<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In un precedente post <i>Stato
Islamico: una creatura del capitalismo petrolifero </i>(lunedì 8 febbraio 2016)
ho affrontato la questione medio orientale più dal punto di vista del fenomeno
coloniale e degli interessi che girano attorno al petrolio. In questo post ho
analizzato i motivi più interni che hanno determinato l’uso politico
dell’Islam. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Voglio iniziare questo breve approfondimento con una
citazione tratta dal volume I del Capitale di Marx: <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il
riflesso religioso del mondo reale può, in ogni caso, solo allora finalmente
svanire, quando le relazioni pratiche della vita quotidiana offriranno all’uomo
nient’altro che relazioni perfettamente intelligibili e razionali con il suo
prossimo e la natura.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La religione, quindi, colma un vuoto di razionalità, di
comprensione del mondo in cui viviamo. Molti confondono questo con il bisogno
umano d’introversione, di sensibilità, di spiritualità. La religione per secoli
ha assolto questa funzione, così come ha assolto una funzione didattica, etica
e morale. Questa determinazione di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato è
ancora oggi un elemento predominate in tutte le religioni. La religione ha
anche controllato la scienza, mischiando quindi la conoscenza di fenomeni certi,
con idee e credenze fantastiche o soltanto verosimili.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Marx in una frase spiega tutto questo dicendo, in pratica,
che quando gli uomini saranno in grado di spiegare i propri rapporti, tra uomo
e uomo, e quelli tra uomo e natura, la religione sarà cosa del passato. Questo
vorrà dire che l’educazione, l’etica e la morale saranno formalmente
determinate da leggi razionali. E questo è quello che in effetti il capitalismo
ha già iniziato a fare. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma allora perché oggigiorno ci ritroviamo a discutere di
religione e, in particolare, di Islam? </span><br />
<a name='more'></a><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il motivo è semplice, seguendo la definizione di Burak Gürel:
“<b><i>Islamismo</i></b><i> è una ideologia politica che attribuisce i
problemi socio-economici del mondo musulmano nell’era moderna all’alienazione dall’Islam
e a un ritorno alla <u>jahiliyya</u> [ignoranza]</i>”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È quindi una ragione politica che ci riporta a parlare di
religione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’islamismo è una forma di strumentalizzazione dell’Islam
per ragioni politiche (Guilain Denoeux). Sayyid Qutb, islamista egiziano,
sosteneva che il mondo musulmano stia vivendo nell’era della moderna <i>jahiliyya,</i> dove nuovi idoli, come
nazionalismo e socialismo, hanno rimpiazzato gli idoli del passato
pre-islamico.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma come può il concetto di <i>jahiliyya</i> attecchire nel mondo moderno? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">È bene spiegare in poche parole cosa si intenda con <i>jahiliyya</i>. <i>Jahiliyya </i>è il periodo che precede la venuta del profeta Maometto e
la sua codificazione religiosa nel Corano. La <i>jahiliyya </i>moderna secondo Syed Abul A'la Maududi è tutto ciò che l’Occidente
ha prodotto: secolarismo, nazionalismo, socialismo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma da cosa deriva questa
chiusura? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La risposta può essere trovata nella parabola della cultura araba. Una
grande civiltà che si è chiusa su se stessa troppo a lungo. </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La decadenza del Medio Oriente arabo (la Persia era già
decaduta e fu conquistata dagli arabi) fu principalmente determinata dalle </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">modificazioni geo-politiche (crociate, invasione mongola e un’oligarchia
molto retrograda), nonché dalla mancanza di risorse che potessero giustificare
una produzione energetica adeguata secondo i canoni del nascente capitalismo
mercantile, basato su acqua, vento, e vapore; e, dunque, facilitare</span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> il commercio. Un’altra importante osservazione è che il
mondo arabo non ha avuto, come invece l’Europa, monasteri col ruolo di
proteggere e promuovere l’agricoltura (Charles Issawi). Il commercio veniva
addirittura denigrato socialmente e relegato a minoranze religiose, come gli
ebrei e i cristiani. Secondo Charles Issawi la differenza tra il Medio Oriente
da un lato, e il Giappone e l’Europa dall’altro, è che questi ultimi hanno
avuto un vero e proprio feudalesimo e che questo fu la condizione preparatoria
per lo sviluppo capitalista. Il delegare il commercio a minoranze e
l’atteggiamento di superiorità della classe dominante araba hanno probabilmente
determinato questa mancanza, più che l’assenza di delega del potere secondo dei
canoni feudali. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In fine,
il declino orientale è stato acuito dallo sviluppo dell’Europa e dall’afflusso
di ricchezza portato dalla scoperta delle Americhe. Il Medio Oriente,
nonostante fosse difficile da attraversare per la mancanza di fiumi navigabili,
ha rappresentato un importante snodo commerciale; l’alternativa
circumnavigazione dell’Africa e la scoperta dell’America hanno determinato un
ulteriore fattore di declino. Già dal XIV secolo le industrie orientali non
erano più in grado di competere con quelle manifatturiere occidentali (Ashtor,
1977). Questo, associato con una chiusura culturale, ovvero con la spocchia della
classe dominante menzionata pocanzi, ne ha determinato l’arretratezza che ha
condizionato negativamente il suo ingresso nel sistema capitalista. </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La spocchia che la classe dominante musulmana aveva nei confronti delle
altre culture, giustificata forse all'apice della loro civiltà, è rimasta ed ha
generato una chiusura che, se da un lato le ha negato opportunità di sviluppo,
dall'altro ha creato un'ottima contro-cultura nei confronti di quella che stava
diventando egemonica, ovvero quella occidentale. Ecco come si giustifica il
perdurare del concetto di </span><i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">jahiliyya</span></i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">, ovvero il
considerare il sapere non islamico come ignoranza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ora, si dovrebbe parlare dei
danni del colonialismo occidentale su quelle terre e su popoli già fermi
culturalmente da secoli. Il processo coloniale è stato tanto intenso quanto
"breve", se ci si riferisce alla presenza fisica delle nazioni
europee. Si erano ormai venute a determinare le basi per uno sviluppo del
sistema capitalista. La manifattura non reggeva più la concorrenza delle
industrie europee e questo non ha fatto che catalizzare le tensioni sociali. Ma
come per la Sicilia, anche nel Medio Oriente e nel Nord Africa la mancanza di
una classe borghese matura ha determinato una sorta di adattamento “anarchico”
del potere. “Anarchico”, probabilmente, solo all'apparenza. Se si prende il
caso dei paesi più emblematici, Turchia, Iran, Egitto e Arabia Saudita, si può
notare come una sorta di nazionalismo abbia provato a mettere le varie economie
<i>on the</i> <i>capitalist track</i>, puntando sull'indipendenza. Con un'importante
differenza per l'Arabia Saudita che è nata più da un movimento feudale che da
uno liberale. In Turchia, Iran ed Egitto, invece, la rivoluzione industriale
aveva una veste secolare (ovvero laica). Per i secolaristi l'Islam era in
qualche modo segno del retaggio culturale del passato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il processo di modernizzazione del Medio Oriente può
essere riassunto con i Giovani Turchi nel 1908 e la repubblica turca di Mustafà
Kemal del 1924, la rivoluzione costituzionale iraniana del 1906, la rivoluzione
egiziana del 1919 e del 1952, nonché con la rivoluzione irachena del 1958. L’Islam
faceva parte del antico regime e per questo fu messo in secondo piano o
limitato. </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I secolaristi hanno assolto il
doppio ruolo di uscire dalla decadenza dell’Impero Ottomano e d’indipendenza dalle
potenze colonizzatrici; ci riferiamo anche al processo di liberazione
dell’Algeria, iniziato nel 1954 e durato fino al 1962. Una volta che i secolaristi non sono stati più
in grado di rappresentare la piccola e media borghesia emergenti: ecco allora
che movimenti islamisti hanno preso piede. </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il revival religioso non parte dal ‘79, ma il ‘79 è una
data emblematica per la vittoria dell’Ayatollah Khomeini in Iran. Si consideri
che i Fratelli Musulmani furono fondati all’inizio del XX secolo (Gamal Abdel Nasser
ne faceva addirittura parte!). Probabilmente è stato proprio il crollo
dell’Impero Ottomano che ha dato loro manforte. Poi abbiamo la nascita degli
insediamenti israeliani, la sconfitta dell’Egitto, la partizione della
Palestina, come elementi di estremizzazione. </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La classe media rurale si è
trovata tagliata fuori da questo sviluppo, mentre l'alta borghesia parlava
inglese, tedesco e francese. Con le sconfitte arabe causate dagli israeliani e
con la partizione della Palestina nel tardo secondo dopoguerra la classe media
rurale islamica ha colto l'occasione per sferrare un colpo alla classe
dominante secolarista. Quindi abbiamo l'emergere di figure alla Erbakan, Hassan
al-Banna, Khomeini, ecc. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="background: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Due altre peculiarità interessanti sono
il ruolo dei mamelucchi e la difficoltà di governare le popolazioni beduine. I
mamelucchi nascono come schiavi turchi addestrati quali guardie del corpo del
Califfo. Essendo vicini al potere però lo hanno spesso preso nelle loro mani.
Secondo Jean-Pierre Filiu i vari Nasser, Hafez-al Assad, Boumedine e Bendjedid,
sono “moderni mamelucchi”. Questo parallelo è interessante perché separa la
figura religiosa dal despota; nonostante che i mamelucchi non si opponessero
all’Islam. Filiu sostiene che i mamelucchi funzionarono come contro-società con
i loro codici e riti. Apparentemente questi si adattarono bene al concetto di <i>khassa</i> (élite) e <i>amma</i> (gente ordinaria). </span><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">A tutto questo va aggiunto l’ovvio ritardo industriale,
la scarsa competitività, gli strascichi coloniali e tanta instabilità dopo il
lento declino del impero Ottomano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Da aggiungere all’uso politico dell’Islam c’è addirittura
la sua funzione di antidoto per limitare l’ideologia marxista-leninista o,
comunque, idee e organizzazioni di sinistra e dei lavoratori in genere. Un
chiaro caso c’è in Turchia quando l’influenza crescente dei partiti islamisti, come
il Partito dell’Ordine Nazionale (MNP), il Partito di Salvezza Nazionale (MSP)
e il Partito del Benessere (RP), sembra essere dovuta anche alla strategia del
regime militare degli anni ‘80 di ridurre il seguito dei movimenti dei
lavoratori di sinistra, in combinazione con i crescenti investimenti dell’Arabia
Saudita nelle imprese islamiste. Non sembra esserci conflitto tra la morale
islamica e l’ideologia neoliberista, questo è ammesso dagli stessi leader
islamisti. Necmettin Erbakan, il predecessore di Recep Tayyip Erdoğan, primo
vero leader islamista turco del secondo dopoguerra, ammetteva che non ci fosse
contraddizione tra i principi islamici e la logica del libero mercato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ora, la cultura islamista fa
da taylorismo e mutuo soccorso al contempo, oltre ad avere una funzione
didattica e addirittura consumistica. Tutto ciò è capitalismo intendiamoci, e
in particolare, ora, neo-liberismo, ma islamico. E quindi se il lavoratore non
produce o spreca, è un peccato religioso, ma, in tutta coerenza con la morale
islamica, una parte del sovrappiù deve essere utilizzata per la società, per
promuovere scuole islamiche, per esempio. Non come in Occidente dove c’è il dio
denaro! Ovviamente emergono supermercati con prodotti puramente islamici,
vestiti islamici, carne islamica ecc. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Adesso, questo, aggiunto agli
interessi economici, al dominio occidentale e ai vari retaggi che ne
conseguono, genera anche un numero di disadattati facilmente manipolabili; piccoli
criminali che danno un senso alla loro vita sacrificandola per una causa.
Questo è comprensibilissimo se si “rivolta la frittata” (ossia s’inverte il
punto di vista). Si pensi per un attimo che in Medio Oriente si crede che sia
l’Occidente, in realtà, “l'unico” posto dove ci sia benessere, opportunità di
lavoro, ma anche una cultura incomprensibilmente ingiusta e perversa; si crede
anche che parte di questo benessere sia dovuto allo sfruttamento delle proprie
terre, e che, una volta arrivati lì dove c’è ricchezza e lavoro, ci si senta
sempre cittadini di “serie B”, additati come straccioni, e ladri di lavoro
degli autoctoni. Mentre questi emigranti, “occidentali” in Medio Oriente, si
sentono forti di una tradizione e una cultura di tutto rispetto. Insomma, è
abbastanza facile intuire come questo stato di cose possa generare, a dir poco,
risentimento, che quando è ben pilotato da organizzazioni criminali,
"terroristiche" o meno, può sfociare in episodi di violenza e in
massacri inauditi. Questa è un’altra faccia dell'uso politico della religione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma alla fine questo islamismo
a chi conviene? Ai lavoratori o ai padroni? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<u><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’uso
politico dell’islam conviene solo ed esclusivamente ai padroni!<o:p></o:p></span></u></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il paternalismo islamico: nel 1994 il MUSIAD (L’Associazione
Indipendente di Industriali e Imprenditori) pubblica un codice di comportamento
del lavoratore musulmano. Questo rigetta apertamente il modello di modernizzazione
secolarista, in quando ha fallito nel suo intento e provoca iniquità, ma
promuove la figura del l’uomo d’affari musulmano che segue la morale islamica.
Questi può arricchirsi ma solo da attività produttive, non da azzardo, speculazione,
competizione distruttiva, accaparramento. Il businessman islamico può essere
considerato un “calvinista islamico”, ovvero moderato, razionale, calcolatore, competitivo,
innovativo, utilitario, ma interessato al benessere della società. Il lavoratore deve lavorare sodo, evitare l’improduttività,
rispettare il datore di lavoro e non danneggiare i mezzi di produzione. Gli scioperi dei lavoratori sono brutalmente
criticati dalla classe dominante islamista perché disturbano l’armonia e la
produttività in quanto rendono pigri e inoperosi (Evren Hoşgör).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">In conclusione, quanto appena detto denota come
l’islamismo ora sia la cultura vincente della classe borghese dominate nel
Medio Oriente. La battaglia per il predominio sulla classe borghese secolarista
(laica), però, è ancora aperta. La classe borghese secolarista nel seguire l’Occidente
non ha portato il benessere sperato, mentre il blocco islamista o il
pan-islamismo, si veda il D8 (<i>Developing 8</i>:
Bangladesh, Egitto, Nigeria, Indonesia, Iran, Malesia, Pakistan e Turchia), è
una realtà concreta per l’ambiziosa classe dominate islamica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il capitalismo che sia islamico o cattolico, protestante
o laico, è contro la classe lavoratrice. E una cosa è certa: la guerra tra
lavoratori non può che giovare ai padroni. È ora di vedere la religione per
quello che è oggi, ovvero <i><u>jahiliyya</u>,
</i>ignoranza, propaganda, controllo delle masse,<i> “oppio dei popoli”</i> e tornare all’unità internazionale della classe
lavoratrice.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="line-height: 115%; text-align: justify;">
<i><span lang="IT" style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Lavoratori
di tutto il mondo unitevi! <o:p></o:p></span></i></div>
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