La Teoria del Valore-Lavoro è una teoria nella scienza dell’economia politica per spiegare come la classe lavoratrice è sfruttata sotto il capitalismo e come la società capitalista opera. Questo articolo inoltre spiega fenomeni quali le retribuzioni, i prezzi e i profitti.
Perché la teoria del valore-lavoro è importante?
Il capitalismo è una tappa nello sviluppo della società umana caratterizzata dal monopolio di classe dei mezzi di produzione, con il lavoro retribuito e la produzione di merce.
La Teoria del Valore-Lavoro è fondamentale per una comprensione dell’economia del capitalismo perché il capitalismo è produzione di merce per eccellenza, e la Teoria del Valore-Lavoro fondamentalmente spiega che cosa stabilisce il valore di una merce. Un tempo c’erano teorie del valore rivali, ma ora l’economia accademica tende a negare la necessità di tale teoria. Tutto ciò di cui si ha bisogno, dicono, è la teoria del prezzo. Vedremo, tuttavia, che i prezzi non possono essere spiegati senza il ricorso al concetto del valore.
Alcune definizioni
La ricchezza è qualsiasi cosa di utile prodotta dal lavoro umano a partire dai materiali trovati in natura. Nella società capitalista, disse Marx, la ricchezza prende la forma di un’immensa accumulazione di merci.
Una merce è un articolo della ricchezza prodotta allo scopo di essere scambiata con altri articoli della ricchezza. Quindi la produzione della merce è un sistema economico dove la ricchezza è prodotta per la vendita, per il mercato. Nelle sue forme semplici esiste solo nelle periferie delle società che non producono merce dove la ricchezza è prodotta direttamente per l’uso, dai produttori per loro stessi o da una classe assoggettata per i loro padroni. All’inizio le merci venivano barattate, ma come prodotto – la produzione sviluppava un prodotto che veniva ad assumere un ruolo speciale: diventava l’equivalente universale, per il quale tutte le merci potevano essere scambiate e viceversa; diventava, in breve, denaro. Qui abbiamo un problema per la scienza dell’economia politica: che cosa determina le proporzioni per cui si scambia una merce per un’altra?
Che cos’hanno in comune tutte le merci
Una conclusione che possiamo redigere dal fatto che le merci si scambiano coerentemente l’una per l’altra in rapporti stabiliti è che tutte le merci devono condividere alcune caratteristiche in comune a un maggior o minor grado. Come articoli di ricchezza tutte le merci condividono due caratteristiche: esse sono utili e sono prodotti del lavoro umano. Quale di queste potrebbe fornire un modello? Alcuni hanno proposto l’utilità, ma la difficoltà qui è che lo stesso articolo può essere utile a un maggior o minor grado a una persona differente. L’utilità è una questione personale: una relazione personale tra la merce e il suo consumatore. Perciò l’utilità sarebbe variabile; un modello soggettivo e non ha potuto spiegare perché si scambiano dei prodotti coerentemente a rapporti stabili. Siamo quindi rimasti con le merci come prodotti del lavoro umano.
Diversamente dall’utilità, l’ammontare di lavoro incorporato in una merce può essere oggettivamente misurato: da quanto tempo ci vuole per farla, per esempio. Ad ogni modo, tutta la ricchezza, non solo le merci, condivide questa caratteristica di essere prodotti del lavoro umano. Ciò che vogliamo conoscere è come le merci differiscono dalle altre forme di ricchezza. La ricchezza, noi sappiamo, prende la forma di merci solamente sotto certe condizioni sociali, specificamente quando è prodotta per la vendita. Analogamente al lavoro (consumo di energia umana): sotto le stesse condizioni sociali esso diventa “valore”. Quindi il valore non è qualcosa che puoi trovare in proprietà fisiche o chimiche di una merce, dato che è una proprietà sociale, una relazione sociale. Tuttavia, come il valore esprime solamente se stesso nello scambio, come valore di scambio, questa relazione sociale appare come una relazione tra cose. Questo è ciò che sta dietro lo scritto di Marx riguardante il “feticismo delle merci”. Il prezzo è l’espressione monetaria del valore.
Il lavoro, dice la Teoria del Valore-Lavoro, è la base del valore. Ma come determina il lavoro il valore di una merce? Il valore di una merce, disse Marx, è determinato dall’ammontare del lavoro socialmente necessario in essa o, che è la stessa cosa, dall’ammontare del tempo di lavoro socialmente necessario speso nel produrla dall’inizio alla fine. Nota che la Teoria del Valore-Lavoro non dice che il valore di una merce è determinato dal reale ammontare di lavoro contenuto in essa. Ciò significherebbe che un lavoratore inefficiente creerebbe più valore di un lavoratore efficiente. Per socialmente necessario è inteso l’ammontare necessario per produrre, e riprodurre, una merce sotto condizioni lavorative medie, per es. produttività media, intensità di lavoro media. Per esempio, si prenda l’industria del carbone, partendo dal presupposto che la resa media sia circa 43 cwt. [2,1844 t] per uomo a turno e che ci siano approssimativamente 230 scavi in funzione. In alcune di questi la resa per turno sarà i suddetti 43 cwt. e in altri inferiore, ma il valore del carbone non è stabilito dal lavoro dei lavoratori negli scavi di uno o un altro tipo. Il suo valore è la media sociale portata alla luce dal mercato. Questo significa certamente che ciò che è socialmente necessario è continuamente scambiato. L’intero processo della produzione della merce carbone include anche il lavoro dei lavoratori fuori degli scavi, chi produce i materiali necessari per l’estrazione del carbone.
Sotto il capitalismo quasi ogni cosa è una merce, o prende la forma di una merce, è comprata e venduta. Questo requisito è necessario per controbattere l’argomento spesso avanzato contro la Teoria del Valore-Lavoro secondo cui alcune cose che sono comprate e vendute non sono prodotti del lavoro o sono venduti a prezzi piuttosto non proporzionati all’ammontare del lavoro incorporato in esse, per es. la terra e gli oggetti d’arte. La terra, sotto il capitalismo, ha un prezzo che, nella sua forma pura, è soltanto la capitalizzazione delle sua rendita. La terra non ha valore dal momento che non è il prodotto del lavoro umano. I dipinti e i pezzi d’antiquariato sono proprio prodotti del lavoro umano, ma non sono veramente merci perché non possono essere riprodotti; il concetto di “lavoro socialmente necessario” perciò non ha significato con riferimento a tali articoli. Un’obiezione sciocca è: perché un pezzo d’oro proveniente da un meteorite è di valore, quando non c’è lavoro incorporato in esso? In realtà, questa è una conferma della Teoria del Valore-Lavoro dato che il suo valore è come quello dell’oro prodotto sotto normali condizioni. Se l'oro dovesse cadere regolarmente dai cieli allora il relativo valore cadrebbe a ciò che è necessario per raccoglierlo.
La forza lavoro come una merce
Un’altra cosa che sotto il capitalismo prende la forma di una merce è la forza-lavoro (la capacità degli esseri umani di lavorare, l’energia umana). Effettivamente questo fatto è la base del capitalismo dato che presuppone la separazione dei produttori [lavoratori] dal possesso e il controllo dei mezzi e degli strumenti per produrre la ricchezza. Ma c’è una differenza molto importante tra la forza-lavoro e le altre merci. La forza-lavoro è incorporata negli esseri umani che possono pensare, agire e lottare per ottenere il miglior prezzo per ciò che stanno vendendo. Altrimenti il suo valore è stabilito come quello di altre merci: dall’ammontare del lavoro socialmente necessario speso nel crearla e ricrearla. Il lavoro speso nel creare la forza lavoro di un uomo è quello speso nel produrre il cibo, il vestiario, il rifugio e le altre cose necessarie per mantenerlo in uno stato idoneo per lavorare. Quindi il valore della forza lavoro di un uomo inesperto è uguale circa a quanto basta per mantenere lui e la sua famiglia vivi e lavoratori. Gli uomini esperti ricevono di più perché costano più lavoro per produrre e mantenere le loro abilità. Quando il lavoratore trova un datore di lavoro gli viene pagata una retribuzione, che è il prezzo che gli viene pagato per permettere al datore di lavoro di usare la sua forza lavoro per, diciamo, 8 ore. Le retribuzioni, quindi, sono uno speciale tipo di prezzo; sono l’espressione monetaria del valore della forza-lavoro.
Il lavoro non pagato
La forza-lavoro ha una caratteristica peculiare. Poiché la ricchezza può solamente essere prodotta dagli esseri umani applicando le loro energie mentali e fisiche ai materiali trovati in natura e poiché il lavoro (il consumo della forza-lavoro) è la base del valore, la forza-lavoro ha la proprietà di essere in grado di produrre e creare nuovo valore. Supponiamo che la forza-lavoro del nostro lavoratore valga 4 ore di lavoro al giorno. Dopo che egli ha lavorato 4 ore si ferma? Certamente no. Sotto il suo contratto deve lavorare per altre 4. Dato che sta lavorando nel proprio posto di lavoro che appartiene al datore di lavoro, con i propri strumenti, macchinari e materie prime che appartengono al datore di lavoro, ogni cosa che produce appartiene al proprio datore di lavoro. Quindi, in questo caso, il datore di lavoro ottiene 4 ore di lavoro gratuito. Questa è l’origine del suo profitto, che divide con i suoi creditori come interesse e con chi gli affitta la terra come rendita (terriera) (e con lo Stato come tasse). Perciò l’origine di ogni Rendita, Interesse e Profitto è il lavoro non pagato della classe lavoratrice.
Guardiamo dentro questo processo di sfruttamento un po’ più da vicino. Il primo punto da notare è che ha luogo sul punto della produzione. I lavoratori sono sfruttati sul lavoro. Quando un lavoratore riceve la sua paga (o salario, un altro nome per il prezzo della forza lavoro) è già stato sfruttato. Non può perciò essere sfruttato ancora da usurai, negozianti, proprietari terrieri o esattori delle tasse (benché certamente essi possano derubarlo e frodarlo, e lui loro, ma quello è un argomento differente). Il cosiddetto sfruttamento secondario è un mito.
Che cos’è il capitale?
Per Marx il capitale, come il valore, non è una cosa ma una relazione sociale; effettivamente esso è valore o piuttosto una raccolta di valori. Solamente sotto certe condizioni sociali i mezzi di produzione diventano capitale, specificamente, quando sono usati per sfruttare il lavoro retribuito per il plusvalore. Quindi troviamo Marx che descrive il processo di accumulazione del capitale come l’”autoespansione di valore”. Il capitale, nella sua forma pura, è capitale-moneta. Un capitalista investe il suo capitale, diciamo, nel produrre tessuti di cotone. Egli deve anticipare il suo capitale per acquistare una fabbrica, i macchinari tessili, il cotone grezzo, ecc., e anche acquistare la forza-lavoro. Il suo capitale può essere diviso in categorie. Il capitale fisso è costituito dagli edifici e dai macchinari che non sono completamente consumati nel processo di produzione; il capitale circolante è costituito dalle materie prime e dalla forza lavoro. Più importante dal punto di vista socialista è la divisione in capitale costante e variabile. Il capitale costante è quello investito negli edifici, nei macchinari e nelle materie prime. Nel processo di produzione il loro valore, o una parte del loro valore, è solamente trasferito al prodotto finito. Il capitale variabile è quello investito nella forza-lavoro ed è così chiamato perché questa è la parte del capitale che si espande. La forza lavoro non solo trasferisce il proprio valore ed è strumentale nel trasferire quello del capitale costante, ma crea anche nuovo valore. Vediamo quindi, che le macchine non creano valore. Tutto ciò che fanno, e questo solo quando messe in moto da esseri umani, è trasferire parte del loro proprio valore (esso stesso certamente una passata creazione del lavoro di esseri umani) al prodotto finito. Perfino i contabili capitalisti riconoscono questo: la parte del costo di un prodotto che mettono a svalutazione è per coprire il valore trasferito dagli edifici e dai macchinari.
Il saggio di sfruttamento
Abbiamo visto prima che parte della giornata lavorativa viene spesa nel produrre l’equivalente della forza-lavoro consumata, e il resto nel produrre plusvalore per il capitalista. La prima parte della giornata lavorativa Marx la chiamò lavoro necessario (da non confondersi con il “lavoro socialmente necessario”) e la seconda pluslavoro. Stiamo parlando qui in termini di parti della giornata. Ciò non deve essere preso letteralmente altrimenti si fa l’errore dell’economista che ai tempi di Marx si oppose alla limitazione della giornata lavorativa proposta con il Ten Hour Bill [manifesto delle dieci ore] sulla base che tutti i profitti venissero fatti nell’ultima ora! Infatti, il plusvalore viene prodotto in ogni momento in cui i lavoratori sono al lavoro.
Marx chiamò il rapporto tra il pluslavoro e il lavoro necessario (che è uguale al rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile) saggio di plusvalore, o saggio di sfruttamento (p/v). È ovviamente nell’interesse del capitalista aumentare la proporzione di pluslavoro rispetto al lavoro necessario. Ci sono due modi in cui ciò può essere fatto. Il primo è con l’allungamento della giornata lavorativa stessa. Il plusvalore aggiuntivo così prodotto è chiamato plusvalore assoluto. L’altro modo per aumentare il saggio di pluslavoro rispetto al lavoro necessario è ridurre il lavoro necessario. Il modo più grezzo per fare questo è ridurre il tenore di vita dei lavoratori riducendo le retribuzioni, cosa che certamente i datori di lavoro faranno sempre se possono. Ma lo stesso risultato, di ridurre la proporzione del lavoro necessario, avverrà se la produttività viene aumentata cosicché, per esempio, il tempo di lavoro necessario per la produzione degli articoli di cui i lavoratori hanno bisogno è diminuito e il loro prezzo cala, con la conseguente riduzione del valore della forza-lavoro senza ridurre il tenore di vita dei lavoratori. Il plusvalore aggiuntivo così prodotto è chiamato plusvalore relativo.
Definire il valore di una merce
Come influiscono le complicazioni della produzione capitalista sul valore di una merce? Il valore di ogni unità di tessuti di cotone prodotta sarà composto del valore delle materie prime, del valore dei macchinari trasferito, del valore della forza lavoro e del plusvalore, ossia il valore della merce = c + v + p, dove c è la parte del capitale costante totale (C) trasferito al prodotto. Il saggio di profitto è P/(C + V). Il valore di una merce è stabilito dall’ammontare del lavoro socialmente necessario incorporato in essa dall’inizio alla fine, non solo nella fase finale della sua produzione. Quindi è inesatto dire che i lavoratori agricoli producono cibo o che i lavoratori in fabbriche di automobili producono automobili. La produzione sotto il capitalismo è un processo sociale in cui ogni lavoratore prende parte. Un’importante conseguenza logica di ciò è: la classe capitalista nel complesso sfrutta la classe lavoratrice nel complesso. Il lavoratore non viene sfruttato soltanto dal suo particolare datore di lavoro, ma dall’intera classe dei capitalisti.
Perché il prezzo non è sempre uguale al valore
Può sorprendere, dopo tutto quello che è stato detto riguardo le merci che si scambiano in proporzioni stabilite a seconda dei loro valori, che venga detto che sotto il capitalismo le merci non sono vendute ai loro valori. Ma questo è veramente il caso. Questo è il motivo per cui è importante capire che la Teoria del Valore-Lavoro non è una mera teoria del prezzo. Ci sono due semplici ragioni per cui il prezzo e il valore possono differire: i prezzi fluttuano con la domanda e l’offerta, e con il monopolio, una merce sarà venduta al di sopra del suo valore (o, con sovvenzioni, al di sotto del suo valore). La terza ragione è più complicata ma deve essere compresa se si vogliono capire i funzionamenti osservabili del capitalismo, per es. ciò che sta dietro le politiche dei prezzi dei commerci. Quelli che decidono sui prezzi, non sanno qual è il valore, e non ne hanno bisogno. Come si comportano, allora?
Abbiamo detto che il capitale anticipato può essere diviso in constante e variabile e che è soltanto il capitale variabile che aumenta per creare il plusvalore. Marx chiamò il rapporto C/V composizione organica del capitale. Dato lo stesso saggio di sfruttamento (p/v) in tutte le industrie, se tutte le merci sono vendute al loro valore ciò significherebbe che il più alto saggio di profitto sarebbe fatto nelle industrie tecnicamente in ritardo, a lavoro intensivo. Ma è così? Per niente; la tendenza è piuttosto per il capitale di ottenere più o meno lo stesso saggio di profitto dovunque sia investito.
Come riconciliare una teoria del valore del lavoro con il possedere una media dei profitti fu un problema che confuse Adam Smith e Ricardo. Ma Marx lo risolse nell’unica maniera possibile: abbandonando il presupposto che tutte le merci siano vendute ai loro valori. I critici hanno chiamato ciò la “grande contraddizione” nel lavoro di Marx, ma non è niente del genere. Come abbiamo visto la produzione e la circolazione capitalista è un processo sociale: ogni individuo capitalista non sfrutta soltanto i suoi propri dipendenti, ma l’intera classe capitalista sfrutta l’intera classe lavoratrice. Ogni capitalista impiega tanti lavoratori che producono tanto plusvalore. Invece di andare al capitalista individuale questo plusvalore va, per così dire, in un fondo comune dal quale esso è diviso con il resto del plusvalore tra tutti i capitalisti in concordanza con quanto capitale hanno investito. (Questo spiega perché, per inciso, una fabbrica completamente automatizzata farebbe ancora un profitto). Si considerino le conseguenze di ciò sui prezzi. Diciamo che p/v è il 100 per cento e che ci sono tre settori con differenti composizioni organiche:
Senza avere una media dei profitti, B è il settore più proficuo, ma con una media abbiamo:
Marx chiamò questo prezzo di vendita, che è composto dal costo più il saggio medio di profitto, prezzo di produzione. Ciò, di fatto, è come operano i commerci ed è considerato dall’economia accademica (da chi, come Marx fece notare, soltanto adotta un punto di vista da uomo d’affari degli eventi economici) come sufficiente. Ma non è così. È tutto molto ben divulgato con disinvoltura riguardo al prezzo che viene stabilito al costo più il “profitto normale”. Ma che cos’è il profitto normale? Qualcosa di stabilito per consuetudine! Questo è solo ciò che sembra essere. Solo la Teoria del Valore-Lavoro, con il suo concetto di valore e plusvalore, basata sul lavoro, può spiegare perché il saggio “normale” di profitto è, diciamo, il 10 per cento piuttosto che il 15 per cento.
(Traduzione da www.worldsocialism.org)
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