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martedì 3 aprile 2018

Capitalismo di Stato sovietico?


Storia di un’idea

Capitalismo di Stato sovietico?

di W. Jerome e A. Buick
(con postilla di R. Mondolfo)


La differenza fra il sistema sovietico e il sistema sociale dell’Europa occidentale e del Nord America sembra così marcata da giustificare una etichetta distintiva; e l’etichetta che è stata adottata per un sistema di proprietà statale dei principali mezzi di produzione è «socialismo». L’ampio accordo, tuttavia, non nasconde divergenze radicali di svariate gradazioni d’opinioni, che rifiutano di applicare la denominazione «socialismo» al sistema sovietico. Ma fra gli stessi dissenzienti non c’è accordo riguardo alla definizione che dovrebbe applicarsi. Il fine di questo saggio è considerare la storia di quella definizione che descrive l’Unione Sovietica come una società capitalista di Stato. Questa teoria è stata sostenuta da tre diversi gruppi ben distinti ideologicamente: 1) i marxisti ortodossi; 2) i «comunisti dei consigli»; 3) i leninisti dissidenti.

I Marxisti ortodossi

Riuscirà probabilmente una sorpresa per la maggior parte dei lettori apprendere che è la scuola di lingua inglese del marxismo tradizionale, derivante dalla Federazione socialdemocratica di Hyndman, e rappresentata dal piccolo Partito Socialista di Gran Bretagna (SPGB) e dagli ancor minori partiti fratelli dei paesi di lingua inglese (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Stati Uniti) quella che ha, senza esitazione, affermato che la rivoluzione bolscevica ha portato ad una società capitalista di Stato. Il SPGB si oppose alla guerra del 1914-18, e perciò approvò decisamente l’azione anti-imperialista dei bolscevichi russi, pur condannando la tattica leninista (che riteneva opportunista) sollecitante i lavoratori inglesi a sostenere il Partito laburista. Il SPGB riteneva che il partito bolscevico fosse formato da socialisti intenzionati ad introdurre un sistema di proprietà sociale. Tuttavia il SPGB predisse che questo tentativo sarebbe fallito per la mancanza di un requisito fondamentale per il socialismo, cioè l’esistenza di un’industria moderna e di un proletariato con mentalità socialista. Lenin stesso ammetteva che la proprietà sociale era fuori questione in Russia finché il capitalismo non avesse portato ad un alto sviluppo della produzione sociale. Egli si riferiva all’attività del settore nazionalizzato dell’economia (che era solo un piccolo settore a quel tempo) come ad una forma di capitalismo di Stato. Il SPGB citò Lenin su questo punto, ma ciò non bastava a definire il sistema sociale della Russia sovietica come capitalismo di Stato. La maggior parte della società russa, come Lenin ammetteva, consisteva in un classico sistema di rapporti capitalistici, ben noto in occidente, che coesisteva con una produzione contadina semifeudale e perfino con attività prefeudali di pastorizia e caccia. Poiché il SPGB credeva che lo sviluppo del capitalismo fosse una premessa necessaria al socialismo, esso non condannò Lenin e i bolscevichi. Tuttavia insistette nell’affermare che la Unione Sovietica non era una società socialista, e, inoltre, nel sostenere che il «dominio di una minoranza — sia pure minoranza marxista — non è socialismo». Fu solo nel periodo 1929-30 che cominciò ad applicare il termine capitalismo di Stato alla URSS, quando Stalin collettivizzò l’agricoltura e organizzò una produzione pianificata di merci sotto il controllo dello Stato. In Germania, diversamente dalla Gran Bretagna, i socialisti marxisti avevano un largo seguito e favorevoli prospettive per giungere a posizioni di governo. Dal 1918 il SPD era dunque partito di governo, e l’atteggiamento del suoi dirigenti di fronte al governo bolscevico era determinato più da considerazioni politiche immediate che da una analisi teorica. Perfino Karl Kautsky, la guida ideologica della socialdemocrazia tedesca (sebbene membro dell’opposizione formata dal Partito Socialista Indipendente nel 1918), non tentò alcuna particolare analisi economica della società sovietica. Tuttavia in vari suoi scritti di critica ai bolscevichi si riferì all’Unione Sovietica come a una società di capitalismo di Stato. In Terrorismo e comunismo egli dice: «il capitalismo industriale, lungi dall’essere un sistema privato, è diventato ora un capitalismo di Stato» «Oggi (…) ambedue, stato e burocrazia capitalista, sono fusi in un unico sistema». Tuttavia questo concetto non venne elaborato più a lungo; evidentemente Kautsky considerava la Russia matura solo per l’abolizione dei rapporti feudali della terra, ma non per l’abolizione del capitalismo. Entrambi, Kautsky ed i bolscevichi, credevano che la proprietà statale dei mezzi di produzione e un sistema di retribuzione mediante salario fossero compatibili col socialismo. Essi concordavano altresì nel ritenere che sebbene una società senza salariati e senza Stato possa essere possibile nel futuro, gli sforzi immediati dovessero essere diretti a fini meno ambiziosi. Kautsky e i bolscevichi non erano invece d’accordo sui mezzi adatti ad ottenere questo obiettivo minore. Molte critiche kautskiane al regime instaurato dai bolscevichi erano fondate sul fatto che la loro azione repressiva negava la democrazia politica, e senza democrazia politica la classe lavoratrice non poteva controllare la macchina economica a cui era soggetta, per cui era lasciata nella stessa posizione in cui si trovava in qualsiasi paese capitalista. Di fatto, i lavoratori russi erano in una situazione peggiore di quella del lavoratori di quei paesi dove prevaleva qualche forma di democrazia politica. Più tardi Kautsky parlò di Lenin «che usava il potere statale per la creazione del suo capitalismo di Stato». Egli spiegava che la Russia potrebbe diventare socialista «solo quando il popolo espropri gli espropriatori». «Un cambiamento nelle relazioni formali di proprietà non basta per stabilire il socialismo, perché occorre anche il controllo democratico dello Stato da parte del lavoratori. Mancando questo, i lavoratori si trovano, rispetto al problema del controllo del mezzi di produzione, nella stessa situazione che ha di fronte a sé il lavoratore nei paesi capitalisti». Per Kautsky il controllo democratico del mezzi di produzione attraverso il potere politico era la differenza essenziale fra socialismo e capitalismo di Stato. In scritti ulteriori erano usati da lui altri termini, ma la sua critica rimase sostanzialmente la stessa. Un altro eminente teorico, l’austriaco Otto Bauer, in linea con la tradizione critica marxista nei confronti della rivoluzione bolscevica, affermava che la mancanza di forti e vitali istituzioni democratiche in Russia, così come la sua arretratezza economica, impedivano il raggiungimento del socialismo. Ma a differenza di Kautsky, Bauer prevedeva una graduale maturazione e democratizzazione del regime sovietico. Egli riteneva che il programma di industrializzazione dei bolscevichi avrebbe condotto a una «razionalizzazione economica». Questa a sua volta avrebbe portato alla conseguenza che Bauer credeva derivante dallo sviluppo economico: la democrazia politica. Così egli si aspettava che il regime sovietico divenisse più democratico: «dal dittatoriale capitalismo di Stato sorgerà un ordinamento socialista della società». In certo senso il capitalismo di Stato russo stava costruendo il socialismo. Bauer credeva che la transizione dal capitalismo di Stato al socialismo non avrebbe richiesto una rivoluzione politica, e quindi si opponeva al veemente incitamento di Kautsky per una nuova rivoluzione russa contro i bolscevichi. Al pari di Kautsky, Bauer non usò sempre gli stessi termini nell’analisi dell’URSS come forma di capitalismo. Occasionalmente egli usò il termine «socialismo dispotico». I socialdemocratici tedeschi ed austriaci si opponevano ai bolscevichi a causa delle caratteristiche dittatoriali del loro potere. Quando definivano il regime sovietico «quale capitalismo di Stato», era più per motivi politici che economici. A differenza del SPGB e degli altri partiti socialisti, i socialdemocratici tedeschi non pensavano che il sistema della retribuzione mediante salario, la moneta e lo Stato fossero incompatibili col socialismo. Per i socialdemocratici tedeschi, socialismo significava il controllo democratico delle forze produttive di una società altamente industrializzata. Inoltre la rivalutazione del significato del sistema socio-economico sovietico negli anni ‘30 accentuava la distinzione fra il capitalismo tradizionale e la società sovietica. Nel 1940 l’eminente teorico socialdemocratico Rudolf Hilferding pubblicò una critica della teoria del capitalismo di Stato dell’URSS, nel periodico di lingua russa di New York, Socialist Courier. Hilferding indicava come segno distintivo del capitalismo un’economia di mercato, nella quale i prezzi sono il risultato di un minimo di concorrenza fra i diversi proprietari dei mezzi di produzione. Questa concorrenza «in ultima analisi dà origine alla legge del valore», e determina che cosa e quanto è prodotto. «Un’economia di Stato, tuttavia, elimina precisamente l’autonomia della legge economica... Non è più il prezzo, ma una commissione statale pianificatrice che determina la produzione». Hilferding definiva l’Unione Sovietica come una nuova organizzazione economica né capitalista, né socialista, come una economia di Stato totalitario. L’economia nazista tedesca e quella fascista italiana eran specie meno sviluppate di questo genere.