Storia di un’idea
Capitalismo di Stato sovietico?
di W. Jerome e A. Buick
(con postilla di R. Mondolfo)
La
differenza fra il sistema sovietico e il sistema sociale dell’Europa
occidentale e del Nord America sembra così marcata da giustificare una
etichetta distintiva; e l’etichetta che è stata adottata per un sistema di
proprietà statale dei principali mezzi di produzione è «socialismo». L’ampio
accordo, tuttavia, non nasconde divergenze radicali di svariate gradazioni
d’opinioni, che rifiutano di applicare la denominazione «socialismo» al sistema
sovietico. Ma fra gli stessi dissenzienti non c’è accordo riguardo alla
definizione che dovrebbe applicarsi. Il fine di questo saggio è considerare la
storia di quella definizione che descrive l’Unione Sovietica come una società
capitalista di Stato. Questa teoria è stata sostenuta da tre diversi gruppi ben
distinti ideologicamente: 1) i marxisti ortodossi; 2) i «comunisti dei consigli»;
3) i leninisti dissidenti.
I Marxisti ortodossi
Riuscirà
probabilmente una sorpresa per la maggior parte dei lettori apprendere che è la
scuola di lingua inglese del marxismo tradizionale, derivante dalla Federazione
socialdemocratica di Hyndman, e rappresentata dal piccolo Partito Socialista di
Gran Bretagna (SPGB) e dagli ancor minori partiti fratelli dei paesi di lingua
inglese (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Stati Uniti) quella che ha,
senza esitazione, affermato che la rivoluzione bolscevica ha portato ad una società
capitalista di Stato. Il SPGB si oppose alla guerra del 1914-18, e perciò approvò
decisamente l’azione anti-imperialista dei bolscevichi russi, pur condannando la
tattica leninista (che riteneva opportunista) sollecitante i lavoratori inglesi
a sostenere il Partito laburista. Il SPGB riteneva che il partito bolscevico
fosse formato da socialisti intenzionati ad introdurre un sistema di proprietà
sociale. Tuttavia il SPGB predisse che questo tentativo sarebbe fallito per la
mancanza di un requisito fondamentale per il socialismo, cioè l’esistenza di
un’industria moderna e di un proletariato con mentalità socialista. Lenin
stesso ammetteva che la proprietà sociale era fuori questione in Russia finché il
capitalismo non avesse portato ad un alto sviluppo della produzione sociale.
Egli si riferiva all’attività del settore nazionalizzato dell’economia (che era
solo un piccolo settore a quel tempo) come ad una forma di capitalismo di Stato.
Il SPGB citò Lenin su questo punto, ma ciò non bastava a definire il sistema sociale
della Russia sovietica come capitalismo di Stato. La maggior parte della società
russa, come Lenin ammetteva, consisteva in un classico sistema di rapporti
capitalistici, ben noto in occidente, che coesisteva con una produzione
contadina semifeudale e perfino con attività prefeudali di pastorizia e caccia.
Poiché il SPGB credeva che lo sviluppo del capitalismo fosse una premessa necessaria
al socialismo, esso non condannò Lenin e i bolscevichi. Tuttavia insistette
nell’affermare che la Unione Sovietica non era una società socialista, e,
inoltre, nel sostenere che il «dominio di una minoranza — sia pure minoranza
marxista — non è socialismo». Fu solo nel periodo 1929-30 che cominciò ad
applicare il termine capitalismo di Stato alla URSS, quando Stalin collettivizzò
l’agricoltura e organizzò una produzione pianificata di merci sotto il
controllo dello Stato. In Germania, diversamente dalla Gran Bretagna, i
socialisti marxisti avevano un largo seguito e favorevoli prospettive per
giungere a posizioni di governo. Dal 1918 il SPD era dunque partito di governo,
e l’atteggiamento del suoi dirigenti di fronte al governo bolscevico era
determinato più da considerazioni politiche immediate che da una analisi teorica.
Perfino Karl Kautsky, la guida ideologica della socialdemocrazia tedesca
(sebbene membro dell’opposizione formata dal Partito Socialista Indipendente
nel 1918), non tentò alcuna particolare analisi economica della società
sovietica. Tuttavia in vari suoi scritti di critica ai bolscevichi si riferì
all’Unione Sovietica come a una società di capitalismo di Stato. In Terrorismo e comunismo egli dice: «il
capitalismo industriale, lungi dall’essere un sistema privato, è diventato ora
un capitalismo di Stato» «Oggi (…) ambedue, stato e burocrazia capitalista,
sono fusi in un unico sistema». Tuttavia questo concetto non venne elaborato più
a lungo; evidentemente Kautsky considerava la Russia matura solo per
l’abolizione dei rapporti feudali della terra, ma non per l’abolizione del
capitalismo. Entrambi, Kautsky ed i bolscevichi, credevano che la proprietà
statale dei mezzi di produzione e un sistema di retribuzione mediante salario
fossero compatibili col socialismo. Essi concordavano altresì nel ritenere che
sebbene una società senza salariati e senza Stato possa essere possibile nel futuro,
gli sforzi immediati dovessero essere diretti a fini meno ambiziosi. Kautsky e
i bolscevichi non erano invece d’accordo sui mezzi adatti ad ottenere questo
obiettivo minore. Molte critiche kautskiane al regime instaurato dai bolscevichi
erano fondate sul fatto che la loro azione repressiva negava la democrazia
politica, e senza democrazia politica la classe lavoratrice non poteva
controllare la macchina economica a cui era soggetta, per cui era lasciata
nella stessa posizione in cui si trovava in qualsiasi paese capitalista. Di
fatto, i lavoratori russi erano in una situazione peggiore di quella del
lavoratori di quei paesi dove prevaleva qualche forma di democrazia politica. Più
tardi Kautsky parlò di Lenin «che usava il potere statale per la creazione del
suo capitalismo di Stato». Egli spiegava che la Russia potrebbe diventare
socialista «solo quando il popolo espropri gli espropriatori». «Un cambiamento nelle
relazioni formali di proprietà non basta per stabilire il socialismo, perché
occorre anche il controllo democratico dello Stato da parte del lavoratori.
Mancando questo, i lavoratori si trovano, rispetto al problema del controllo
del mezzi di produzione, nella stessa situazione che ha di fronte a sé il
lavoratore nei paesi capitalisti». Per Kautsky il controllo democratico del
mezzi di produzione attraverso il potere politico era la differenza essenziale
fra socialismo e capitalismo di Stato. In scritti ulteriori erano usati da lui
altri termini, ma la sua critica rimase sostanzialmente la stessa. Un altro
eminente teorico, l’austriaco Otto Bauer, in linea con la tradizione critica
marxista nei confronti della rivoluzione bolscevica, affermava che la mancanza
di forti e vitali istituzioni democratiche in Russia, così come la sua arretratezza
economica, impedivano il raggiungimento del socialismo. Ma a differenza di
Kautsky, Bauer prevedeva una graduale maturazione e democratizzazione del
regime sovietico. Egli riteneva che il programma di industrializzazione dei
bolscevichi avrebbe condotto a una «razionalizzazione economica». Questa a sua
volta avrebbe portato alla conseguenza che Bauer credeva derivante dallo
sviluppo economico: la democrazia politica. Così egli si aspettava che il
regime sovietico divenisse più democratico: «dal dittatoriale capitalismo di
Stato sorgerà un ordinamento socialista della società». In certo senso il capitalismo
di Stato russo stava costruendo il socialismo. Bauer credeva che la transizione
dal capitalismo di Stato al socialismo non avrebbe richiesto una rivoluzione
politica, e quindi si opponeva al veemente incitamento di Kautsky per una nuova
rivoluzione russa contro i bolscevichi. Al pari di Kautsky, Bauer non usò
sempre gli stessi termini nell’analisi dell’URSS come forma di capitalismo.
Occasionalmente egli usò il termine «socialismo dispotico». I socialdemocratici
tedeschi ed austriaci si opponevano ai bolscevichi a causa delle
caratteristiche dittatoriali del loro potere. Quando definivano il regime sovietico
«quale capitalismo di Stato», era più per motivi politici che economici. A
differenza del SPGB e degli altri partiti socialisti, i socialdemocratici
tedeschi non pensavano che il sistema della retribuzione mediante salario, la
moneta e lo Stato fossero incompatibili col socialismo. Per i socialdemocratici
tedeschi, socialismo significava il controllo democratico delle forze
produttive di una società altamente industrializzata. Inoltre la rivalutazione
del significato del sistema socio-economico sovietico negli anni ‘30 accentuava
la distinzione fra il capitalismo tradizionale e la società sovietica. Nel 1940
l’eminente teorico socialdemocratico Rudolf Hilferding pubblicò una critica
della teoria del capitalismo di Stato dell’URSS, nel periodico di lingua russa
di New York, Socialist Courier.
Hilferding indicava come segno distintivo del capitalismo un’economia di mercato,
nella quale i prezzi sono il risultato di un minimo di concorrenza fra i
diversi proprietari dei mezzi di produzione. Questa concorrenza «in ultima
analisi dà origine alla legge del valore», e determina che cosa e quanto è prodotto.
«Un’economia di Stato, tuttavia, elimina precisamente l’autonomia della legge
economica... Non è più il prezzo, ma una commissione statale pianificatrice che
determina la produzione». Hilferding definiva l’Unione Sovietica come una nuova
organizzazione economica né capitalista, né socialista, come una economia di
Stato totalitario. L’economia nazista tedesca e quella fascista italiana eran
specie meno sviluppate di questo genere.