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giovedì 22 agosto 2019

Dobbiamo davvero mettere Marx in soffitta?

Il nostro movimento è per il socialismo rivoluzionario, marxista. Ma se venisse meno la fondatezza della critica economica di Marx al principio di funzionamento del capitalismo, verrebbe forse meno la fondatezza delle ragioni della nostra lotta? No, per almeno tre motivi. 

1.    La teoria del valore-lavoro non è completamente stravolta, ha ancora una funzione per la lotta di classe. L’idea che sia proprio il lavoro a valorizzare il prodotto, Marx la prende dai suoi predecessori Smith e Ricardo. Quello che Marx aggiunge alla teoria classica del valore è il concetto di “lavoro astratto”. “Astratto” in quanto ridotto ad unità, semplificato e semplificabile. È il tempo di lavoro che il capitalista acquista come qualsiasi altra merce, ed è interesse del capitalista estrarre da questo tempo la capacità di trasformare un insieme di elementi qualsiasi (materiali e/o immateriali) in un prodotto finito (e vendibile), sia quest’ultimo una merce fisica oppure un servizio. È quindi interesse del capitalista estrarre più capacità possibile da questa forza-lavoro (chiamata così in quanto vista come una merce specialissima). Di conseguenza il lavoro trasferito dall’uomo a una merce non si esaurisce nel consumo della merce stessa, ma si trasferisce quando tale merce è utilizzata, a sua volta, nella produzione di altri beni. Per esempio, il lavoro cristallizzato nel fabbricare un manico di legno (che naturalmente ingloba il lavoro di aver trasformato un albero in liste di legno) con una testa di metallo (che già contiene il lavoro di estrazione e di forgiatura del metallo) viene trasferito in parte nel prodotto derivante dall’uso di quello stesso martello (come tecnologia), senza il quale l’uomo avrebbe dovuto utilizzare le mani nude, incidendo negativamente sulla produttività di una sua ora di lavoro. Le merci quindi non escono dal nulla, il lavoro umano dà origine a tutte le merci, e questo non si può semplicemente ignorare (o nascondere sotto la generica etichetta di “costo di produzione”) come fa certa economia “borghese” accademica. In linea di principio ogni merce è composta da quote di lavoro astratto (che vanno indietro nel tempo, di mezzo di produzione in mezzo di produzione, fino all’origine del primo manufatto coinvolto, anche se molto indirettamente, nella produzione della merce in questione). In termini generali, i valori delle merci, ovvero la quantità di “capitale costante” (costi dei mezzi di produzione e delle materie prime) più il capitale variabile (costo della manodopera in salari) più il plusvalore (valore del tempo di lavoro non retribuito), non sono necessariamente  uguali ai loro prezzi di produzione. Questo non perché i prezzi siano determinati dalla domanda e dall’offerta, dato che, come argutamente già Marx osserva, domanda e offerta alterano il prezzo di produzione originale (dando vita al prezzo di mercato), ma non lo determinano. Ma perché i prezzi nel sistema reale, e non semplificato, sono difficilmente determinabili. Quindi Marx viene attaccato per aver iper-semplificato il problema e aver sostenuto che c’è proporzionalità, a livello di sistema, tra la somma del tempo speso a produrre le merci (e questo deve includere anche le quote di lavoro trasferito da merce a merce e la quota di lavoro non pagato al lavoratore, che costituisce il plusvalore) e la somma dei prezzi di produzione; e che, anche se le merci fossero vendute semplicemente al loro prezzo di produzione il capitalista ne trarrebbe comunque un profitto, in quanto il plusvalore sarebbe già contenuto nel valore della merce prodotta. Marx quindi diceva una cosa semplice: il profitto deriva dal lavoro non pagato al lavoratore! Ma questo è ancora vero? Sì, lo è! E lo sarà fin quando il capitalista spingerà i salari al ribasso, muoverà la produzione dove la forza lavoro costa meno e fin quando l’educazione della forza lavoro la valorizzerà, rendendola però più cara. Tutti questi segnali ci fanno intendere che il profitto è generato sulle spalle di chi lavora. Nonostante la teoria del valore-lavoro non sia da buttare, questa non può essere però accettata ciecamente. Vi sono diverse correnti di pensiero, sia all’interno che all’esterno del marxismo, che hanno criticato tale teoria. Spesso dovendo sacrificarne degli aspetti importanti. Dove la teoria del valore-lavoro di Marx soffre, e il problema della trasformazione ne è un esempio, è nel rapportare il valore di scambio di una merce al suo prezzo di produzione. Il valore del lavoro come definito nella teoria classica non é uguale al tempo di lavoro impegato per produrre una merce.

2.    L’apporto probabilmente più importante di Marx prima che si concentrasse su quella che in privato, scrivendo ad Engels, chiamò la “merda economica”, fu il concetto di “materialismo storico”. Questa visione del mondo e delle cose è fondamentale per la presa di coscienza della classe lavoratrice. Il materialismo storico consiste nel vedere la storia dei rapporti umani come, in ultima istanza, il frutto dei rapporti socio-economici. Ovvero il fatto che l’uomo si adatta, adattando. Per poter avere successo l’uomo si adatta al pianeta adattandolo però alle sue necessità; e lo adatta lavorando in società. La società ha sviluppato dei rapporti economici e questi influenzano i rapporti tra uomini. Con questa visione si può presto vedere che l’umanità sotto il capitalismo è divisa in classi: quelli che producono, i lavoratori, e quelli che dicono di produrre solo perché posseggono i mezzi di produzione, i padroni. I padroni sono pochi e detengono la maggior parte della ricchezza, i lavoratori sono la maggioranza e se perdono il lavoro (prima o poi, dipendentemente dal loro grado di opulenza) sono nei guai.

3.    Marxismo vuol dire anche lotta al riformismo. Marx ed Engels furono molto chiari in merito e stabilirono una corrente politica socialista rivoluzionaria. Il capitalismo, che pur ha fatto avanzare la civiltà umana, è fallace, crea disparità e sfruttamento, va per questo rivoluzionato. Ma non può essere cambiato mediante riforme in quanto queste preservano il sistema capitalista. Anche mettendo in discussione la teoria del valore-lavoro di Marx ciò non giustificherebbe l’abbandono della corrente rivoluzionaria propria di Marx ed Engels per la quale il WSM non è disposto a scendere a nessun compromesso. Il capitalismo non può essere riformato perché è la sua natura l’assoggettare una classe a scapito di un’altra. La divisione del lavoro, l’esistenza delle classi sociali, il denaro devono essere tutti aboliti e questo non è possibile semplicemente riformando il capitalismo.  

Per queste ragioni Marx non può essere messo in soffitta. Certo non si può pretendere che la sua analisi economica, da lui stesso riconosciuta come una semplificazione della realtà, possa avere una validità assoluta; ciò nonostante è ancora un ottimo esempio di come concepire il capitalismo, ovvero come un sistema che: ha una fine, è squilibrato, è soggetto a crisi cicliche, eleva il profitto in modo esponenziale e, facendo ciò, è a vantaggio di pochissimi e a discapito della maggioranza. 
Marx non può andare in soffitta almeno fino a quando esisterà una classe lavoratrice mondiale sfruttata. 

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