Il nostro movimento è per il socialismo rivoluzionario, marxista.
Ma se venisse meno la fondatezza della critica economica di Marx al
principio di funzionamento del capitalismo, verrebbe forse meno la fondatezza
delle ragioni della nostra lotta? No, per almeno tre motivi.
1. La teoria del
valore-lavoro non è completamente stravolta, ha ancora una funzione per
la lotta di classe. L’idea che sia proprio il lavoro a valorizzare il
prodotto, Marx la prende dai suoi predecessori Smith e Ricardo. Quello che Marx
aggiunge alla teoria classica del valore è il concetto di “lavoro astratto”. “Astratto”
in quanto ridotto ad unità, semplificato e semplificabile. È il tempo di lavoro
che il capitalista acquista come qualsiasi altra merce, ed è interesse del
capitalista estrarre da questo tempo la capacità di trasformare un insieme di
elementi qualsiasi (materiali e/o immateriali) in un prodotto finito (e vendibile),
sia quest’ultimo una merce fisica oppure un servizio. È quindi interesse del capitalista
estrarre più capacità possibile da questa forza-lavoro (chiamata così in quanto
vista come una merce specialissima). Di conseguenza il lavoro trasferito
dall’uomo a una merce non si esaurisce nel consumo della merce stessa, ma si
trasferisce quando tale merce è utilizzata, a sua volta, nella produzione di
altri beni. Per esempio, il lavoro cristallizzato nel fabbricare un manico di
legno (che naturalmente ingloba il lavoro di aver trasformato un albero in liste
di legno) con una testa di metallo (che già contiene il lavoro di estrazione e di
forgiatura del metallo) viene trasferito in parte nel prodotto derivante
dall’uso di quello stesso martello (come tecnologia), senza il quale l’uomo
avrebbe dovuto utilizzare le mani nude, incidendo negativamente sulla
produttività di una sua ora di lavoro. Le merci quindi non escono dal nulla, il
lavoro umano dà origine a tutte le merci, e questo non si può semplicemente
ignorare (o nascondere sotto la generica etichetta di “costo di produzione”)
come fa certa economia “borghese” accademica. In linea di principio ogni merce
è composta da quote di lavoro astratto (che vanno indietro nel tempo, di mezzo
di produzione in mezzo di produzione, fino all’origine del primo manufatto coinvolto,
anche se molto indirettamente, nella produzione della merce in questione). In
termini generali, i valori delle merci, ovvero la quantità di “capitale costante”
(costi dei mezzi di produzione e delle materie prime) più il capitale variabile
(costo della manodopera in salari) più il plusvalore (valore del tempo di
lavoro non retribuito), non sono necessariamente uguali ai loro
prezzi di produzione. Questo non perché i prezzi siano determinati dalla
domanda e dall’offerta, dato che, come argutamente già Marx osserva, domanda e
offerta alterano il prezzo di produzione originale (dando vita al prezzo di
mercato), ma non lo determinano. Ma perché i prezzi nel sistema reale, e non
semplificato, sono difficilmente determinabili. Quindi Marx viene attaccato per
aver iper-semplificato il problema e aver sostenuto che c’è proporzionalità, a
livello di sistema, tra la somma del tempo speso a produrre le merci (e questo
deve includere anche le quote di lavoro trasferito da merce a merce e la quota
di lavoro non pagato al lavoratore, che costituisce il plusvalore) e la somma
dei prezzi di produzione; e che, anche se le merci fossero vendute semplicemente
al loro prezzo di produzione il capitalista ne trarrebbe comunque un profitto,
in quanto il plusvalore sarebbe già contenuto nel valore della merce prodotta.
Marx quindi diceva una cosa semplice: il profitto deriva dal lavoro non pagato
al lavoratore! Ma questo è ancora vero? Sì, lo è! E lo sarà fin quando il
capitalista spingerà i salari al ribasso, muoverà la produzione dove la forza
lavoro costa meno e fin quando l’educazione della forza lavoro la valorizzerà, rendendola
però più cara. Tutti questi segnali ci fanno intendere che il profitto è
generato sulle spalle di chi lavora. Nonostante la teoria del valore-lavoro
non sia da buttare, questa non può essere però accettata ciecamente. Vi sono
diverse correnti di pensiero, sia all’interno che all’esterno del marxismo, che
hanno criticato tale teoria. Spesso dovendo sacrificarne degli aspetti
importanti. Dove la teoria del valore-lavoro di Marx soffre, e il problema
della trasformazione ne è un esempio, è nel rapportare il valore di scambio di
una merce al suo prezzo di produzione. Il valore del lavoro come definito nella
teoria classica non é uguale al tempo di lavoro impegato per produrre una merce.
2. L’apporto
probabilmente più importante di Marx prima che si concentrasse su quella che in
privato, scrivendo ad Engels, chiamò la “merda economica”, fu il concetto di “materialismo
storico”. Questa visione del mondo e delle cose è fondamentale per la presa di
coscienza della classe lavoratrice. Il materialismo storico consiste nel vedere
la storia dei rapporti umani come, in ultima istanza, il frutto dei rapporti
socio-economici. Ovvero il fatto che l’uomo si adatta, adattando. Per poter
avere successo l’uomo si adatta al pianeta adattandolo però alle sue necessità;
e lo adatta lavorando in società. La società ha sviluppato dei rapporti
economici e questi influenzano i rapporti tra uomini. Con questa visione si può
presto vedere che l’umanità sotto il capitalismo è divisa in classi: quelli che
producono, i lavoratori, e quelli che dicono di produrre solo perché posseggono
i mezzi di produzione, i padroni. I padroni sono pochi e detengono la maggior
parte della ricchezza, i lavoratori sono la maggioranza e se perdono il lavoro
(prima o poi, dipendentemente dal loro grado di opulenza) sono nei guai.
3. Marxismo vuol
dire anche lotta al riformismo. Marx ed Engels furono molto chiari in merito e
stabilirono una corrente politica socialista rivoluzionaria. Il capitalismo,
che pur ha fatto avanzare la civiltà umana, è fallace, crea disparità e
sfruttamento, va per questo rivoluzionato. Ma non può essere cambiato mediante
riforme in quanto queste preservano il sistema capitalista. Anche mettendo
in discussione la teoria del valore-lavoro di Marx ciò non giustificherebbe
l’abbandono della corrente rivoluzionaria propria di Marx ed Engels per la
quale il WSM non è disposto a scendere a nessun compromesso. Il capitalismo non
può essere riformato perché è la sua natura l’assoggettare una classe a scapito
di un’altra. La divisione del lavoro, l’esistenza delle classi sociali, il
denaro devono essere tutti aboliti e questo non è possibile semplicemente riformando
il capitalismo.
Per queste ragioni Marx non può essere messo in soffitta.
Certo non si può pretendere che la sua analisi economica, da lui stesso
riconosciuta come una semplificazione della realtà, possa avere una validità assoluta;
ciò nonostante è ancora un ottimo esempio di come concepire il capitalismo,
ovvero come un sistema che: ha una fine, è squilibrato, è soggetto a
crisi cicliche, eleva il profitto in modo esponenziale e, facendo ciò, è a
vantaggio di pochissimi e a discapito della maggioranza.
Marx non può andare in soffitta almeno fino a quando
esisterà una classe lavoratrice mondiale sfruttata.
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