INTRODUZIONE
HENRYK GROSSMAN E LA TRASFORMAZIONE MARXIANA
DEI VALORI IN PREZZI
Henryk Grossman, o
anche “Grossmann” alla tedesca (Cracovia, 14 aprile 1881 – Lipsia, 24 novembre
1950) è stato un importante economista di scuola marxista, forse il più
rilevante a cavallo delle due guerre mondiali. Prima cittadino austriaco
(studiò infatti a Vienna con Carl Grünberg) e poi polacco, insegnò presso
Libera Università di Varsavia dal 1922 al 1925. Costretto all’esilio in quanto
militante comunista, riparò in Germania dove si unì al prestigioso Istituto per
le Ricerche Sociali di Francoforte. Qui ebbe come colleghi, tra gli altri, ancora
il suo mentore Carl Grünberg, insieme ai più famosi Horkheimer e Pollock.
Emigrato nel 1933 a Parigi, poi a Londra e infine nel 1937 a New York, rimase
abbastanza isolato dagli altri membri del suo istituto a causa della loro
evoluzione filosofica dal marxismo verso posizioni di tipo
analitico-positivista. Accettò poi, nel 1949, una cattedra di economia politica
a Lipsia (nella neonata Repubblica Democratica Tedesca), morendo però appena un
anno dopo.
Grossman
è noto al vasto pubblico soprattutto per il suo famoso e controverso saggio sulla
teoria delle crisi e la caduta tendenziale del saggio di profitto, pubblicato
con il titolo “Das Akkumulations- und Zusammenbruchsgesetz des kapitalistischen
Systems” (nella versione italiana: “Il crollo del capitalismo. La
legge dell'accumulazione e del crollo del sistema capitalista”)
proprio nel 1929, alla vigilia della cosiddetta Grande Depressione. Questo
fatto segnò la fortuna, ma anche in un certo modo la condanna, dell’opera che
venne immediatamente strumentalizzata dall’Internazionale Comunista (in pieno “Terzo
Periodo”) a fini meramente propagandistici, piuttosto che venir analizzata con
cura e rigore scientifico. Uno studio più serio del metodo economico grossmaniano
e della sua lettura de “Il Capitale” di
Marx avverrà soltanto in ambienti molto minoritari ad opera dello studioso e
militante comunista anti-bolscevico Paul Mattick (cfr. “The permanent crisis - Henryk Grossman’s interpretation
of Marx’s theory of capitalist accumulation”, International Council Correspondence, vol. I, n. 2, pp. 1-20, Nov. 1934).
Pochi
sanno però che Grossman ha anche fornito contributi molto importanti in
svariati altri campi dell’economia politica e della storia del pensiero
economico. Attualmente l’accurato lavoro di Rick Kuhn, il biografo di Grossman
[cfr. “Henryk Grossman and the Recovery
of Marxism” (University of Illinois Press, Urbana & Chicago, 2007)] sta
riportando gradualmente alla luce l’opera di questo studioso quasi dimenticato.
Per esempio, uno dei campi d’indagine di Grossman fu quello della cosiddetta
“trasformazione marxiana dei valori in prezzi”, un argomento appena abbozzato
nel III libro de “Il Capitale”, ma che
diverrà estremamente importante nella lunghissima diatriba che opporrà la
scuola neo-ricardiana a quella marxista nel periodo tra gli anni ’60 e gli anni
’90 del XX secolo. Ebbene, nell’articolo incompleto (e quindi non pubblicato)
del 1930 che riportiamo qui sotto: “Per la conclusione
della controversia sul calcolo dei valori e dei prezzi nel sistema marxiano”, Grossman
riassume in modo magistrale tutta la critica dell’economia accademica al
marxismo dall’uscita del III libro de “Il
Capitale” ad opera di Engels (1894) fino alla Prima Guerra Mondiale, non
limitandosi a smontare uno ad uno gli argomenti degli economisti “borghesi” e dei
“socialisti revisionisti”, ma non lesinando neppure pesanti “tirate d’orecchi”
ai più eminenti marxisti “ortodossi” della II Internazionale, come Kautsky,
Hilferding, Luxemburg e Bauer.
Fino
a qui nessun problema; anzi l’articolo sembra l’antefatto di un altro lavoro: “La
trasformazione dei valori nei prezzi in Marx e il problema delle crisi ”
(pubblicato nel 1932 e presente in questo sito alla pagina http://socialismo-mondiale.blogspot.com/2016/02/la-trasformazione-dei-valori-nei-prezzi_47.html)
concernente tematiche simili e dedicato alla critica esplicita della Luxemburg,
di Bauer e di Bukharin per ciò che riguarda la loro (supposta) imperfetta
comprensione delle tematiche del III libro de “Il Capitale”. Lo sforzo didattico di Grossmann è notevole e la
lettura di questo testo incompiuto risulta agevole fino a quando non tratta di
Tugan-Baranovsky e di Bortkiewicz. Lì comincia ad esprimere giudizi non sempre
condivisibili e talora anche un po’ oscuri. A puro titolo di esempio,
elenchiamo cinque punti particolarmente delicati:
1) Il fatto che Tugan-Baranovsky inizi la sua analisi della trasformazione dai prezzi e Marx, al contrario, dai valori, non ha molta importanza in un modello lineare input-output, a differenza di quello che afferma Grossman che invece interpreta questa scelta come una discrepanza metodologica fondamentale. Allo stesso modo, il passaggio dai cinque settori produttivi di Marx ai tre di Tugan-Baranovsky e Bortkiewicz è scarsamente rilevante tranne che, ma questo Grossmann non lo nota, per troppo rigida separazione tra consumi frugali dei lavoratori e consumi di lusso dei capitalisti (come notato acutamente, per esempio, da V. V. Kalyuzhnyi).
2) La possibilità che tutti i prezzi di un modello di riproduzione semplice possano esser riferiti all'oro (si tratta della “parità aurea” in vigore ai tempi di Marx) e che l'oro stesso abbandoni il suo valore-lavoro per un prezzo di produzione, in quanto parte del settore industriale III (ossia quello della fabbricazione di beni di lusso per capitalisti) dotato di una precisa composizione organica, non è cruciale come pensa Grossmann. Anzi è possibile superare direttamente e molto agevolmente il problema come mostrato nei punti 3 e 4 qui di seguito.
3) Infatti
l'equazione di Steedman (che generalizza i risultati di Tugan-Baranovsky e di Bortkiewicz
a un modello con numero qualsiasi di settori industriali) lascia inespresso il
cosiddetto "numeraire" dei prezzi, una sorta di costante di scala
arbitraria. Bortkiewicz, nel suo saggio critico, la fissa imponendo che il
prezzo dell’oro sia pari ad 1 unità per definizione. Ma Grossmann lo contesta sostenendo
che in questo modo sarebbe ovvio che la somma di tutti prezzi, P, non sia più uguale alla somma di
tutti i valori, W, come sostenuto
invece da Marx nel III libro de "Il
Capitale".
4) Tuttavia, come si diceva, essendo il "numeraire" totalmente arbitrario, non è questo il problema del metodo marxiano di trasformazione rispetto alle critiche di Tugan-Baranovsky e di Bortkiewicz. Il vero problema è nel tasso medio di profitto, r, che nei due modelli risulta realmente diverso. Ora, se Π è la somma di tutti i profitti, allora si ha che il tasso medio di profitto, r [definito semplicemente come r= Π/(P-Π)] non coincide nei due casi. I due modi di trasformare i valori nei prezzi danno due grandezze di r diverse e non conciliabili. Questa difficoltà non è risolvibile ragionando sul prezzo dell'oro perché r, per costruzione, non dipende per nulla dal "numeraire", in quanto quest’ultimo agisce allo stesso modo su Π e su P. Si noti che r nella teoria marxista è una quantità cruciale in quanto rappresenta proprio la molla degli investimenti di capitale, e la sua supposta caduta tendenziale gioca il ruolo che ben conosciamo nell’interpretazione grossmaniana della teoria economica marxista.
5) Ma allora perché Tugan-Baranovsky e Bortkiewicz sostengono la loro superiorità rispetto a Marx? Perché il modello di Marx di riproduzione semplice con i prezzi non è stazionario (a differenza dell’analogo modello per i valori), mentre il loro lo è! La non-stazionarietà non appare un dettaglio lieve nei modelli input-output: significa che il mercato non è mai, come si suol dire, "clear", ovvero ci sono merci invendute, richieste non soddisfatte e denaro non speso. È proprio quello che per una certa scuola (il cosiddetto "disproporzionalismo") scatena episodicamente le crisi economiche. Inoltre Marx stesso nel II libro de "Il Capitale", dove già parla di riproduzione semplice (ma per i valori, non per i prezzi), ha ben chiara l’importanza della stazionarietà e la rivendica, addirittura condensandola in una nota formula per il modello a due soli settori produttivi. Tuttavia va anche citato un recente approccio agli schemi di riproduzione semplice, la “Temporal Single System Interpretation” (1980-1984), che contesta esplicitamente il ruolo della stazionarietà.
In
conclusione, invitando il lettore a confrontarsi direttamente con il testo di
Grossman in questione, dobbiamo notare come il famoso economista polacco non
riesca a venire realmente a capo delle critiche di Bortkiewicz a Marx. Anzi,
pochi anni dopo nel 1932, Grossman tornerà sull’argomento in una serie di
appunti sparsi (raccolti da un suo studente di Francoforte) e si cimenterà
anche con l’opera della Moszkowska [“Das Marxsche System” (1929)] che ribadisce le idee bortkiewiciane approfondendole. Ebbene,
anche in questo caso il lavoro (“Il
problema del tasso medio di profitto nella moderna teoria economica”) verrà
abbandonato in fase iniziale e non vedrà mai la luce. Per un’efficace critica
marxista dell’approccio neo-ricardiano alla trasformazione dei valori in prezzi
bisognerà attendere il periodo 1980-1982 con la nascita della “Nuova
Interpretazione” ad opera di eminenti studiosi quali Duménil e Foley.
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