Questa seconda
parte, che si chiuderà con i commenti di Bordiga sulla Rivoluzione di Ottobre
in Russa, rivela degli aspetti interessanti. Una prima posizione sulla
leadership. Bordiga si esprime chiaramente contro un movimento guidato da pochi
capi. Questo è confermato anche dal suo commento in merito al lavoro di Lenin e
Trotskij dove Bordiga scrive sia puerile
attribuire meriti o demeriti a soli due uomini. Nonostante non fosse
direttamente coinvolto nella Conferenza di Zimmerwald, organizzata
principalmente dai socialisti Italiani, svizzeri e russi, Bordiga commenta sul
fallimento della Seconda Internazionale, nella quale egli ancora un po’ di
speranze riservava, dettato dall’ingresso in guerra della Francia e della
Germania con il bene placito dei partiti socialisti di queste due nazioni, e
separatamente formula una sua idea sulla questione nazionale distinguendo le
guerre di unificazione nazionale da quelle imperialiste. Secondo Bordiga
l’identità culturale, non combacia con il concetto di nazione che ha lo Stato
borghese, il quale si cura degli interessi economici e non del rispetto
dell’identità culturale. Infine Bordiga chiaramente esalta l’uso della violenza
rigettando la rivoluzione legalitaria dei riformisti.
Nel marzo e nell’aprile
del 1913 “L’Avanguardia” pubblica una
serie di articoli di Bordiga intitolati “Per
la concezione teoria del socialismo” … qui Bordiga esprime chiaramente la
sua visione politica che se da un lato è marxista rivoluzionaria dall’altro ha
del sapore fortemente di azionismo anarchico: non dobbiamo essere filosofi ma uomini d’azione … il proletariato è ancora alla ricerca del
suo programma e non lo troverà definitivamente che dopo una lunga serie di
lotte e inevitabili errori commessi nell’azione. Il pensiero socialista si era messo con Marx al di fuori della
filosofia. Il marxismo pone in luce il rapporto di causalità che fa derivare dal
fatto economico trasportando nella scienza economica l’origine della scienza
sociale. Il socialismo è e deve
essere materialista. Noi abbiamo un
programma di fatto: l’abolizione della proprietà privata e del regime del
salariato. Ci si deve guardare dagli
inganni del pensiero borghese e particolarmente delle forme idealistiche
che vogliono distrarre l’attenzione del
proletariato da quei problemi economici che esso tende a risolvere con la
soppressione violenta del dominio di classe. Il nostro pensiero di
rivoluzionari è un grande atto di sincerità, contro tutto il pensiero politico
della borghesia che è falsificazione e speculazione. Engels diceva che le basi
della scienza del socialismo erano gettate, e ora non restava che da
svilupparle nei dettagli… Può il pensiero proletario assumersi il carico enorme
di questo sviluppo teorico completo? Ecco il problema, secondo Bordiga la
risposta era negativa. Faremmo nuovamente
dipendere l’azione proletaria dall’intellettualismo borghese, sosteneva. Il
Bordiga di questi primi anni era quindi per l’azione.
“Per la cultura socialista” è un articolo uscito su “L’Avanguardia” nel luglio del 1913,
dove Bordiga commenta l’opera di Albert e Duchene “Il socialismo rivoluzionario” e la prefazione fattane da Mussolini
sull’“Avanti”. Vi sono degli elementi
interessanti in questo articolo. In primis Bordiga è un po’ deluso dal poco
tempo dedicato da Mussolini alla prefazione. Quindi, c’è un passaggio sulla
critica al pensiero anarchico e sindacalista. Secondo Bordiga troppo spesso
questi (gli anarchici e i sindacalisti) sono criticati dal punto di vista
riformista, ovvero, rigettandone la violenza e ispirandosi invece alla
rivoluzione legalitaria. Invece per Bordiga le deficienze del movimento
anarchico e sindacalista stavano proprio nel come volevano raggiungere lo scopo
rivoluzionario, gli anarchici troppo astratti e i sindacalisti troppo
semplicisti nel credere che il sindacato basti a tutto. In più Bordiga
dissentiva dagli autori sul fatto che il Marxismo sia fatalista. Il marxismo non limita la portata della
rivoluzione ai soli fatti economici ma stabilisce solo un rapporto di causalità
che a noi pare innegabile, tra la questione economica e la questione sociale
nel solo intento di trovare più facilmente le vie risolutive della seconda.
Poi sulla tattica parlamentare, sempre in questo articolo, si trovava un
elemento chiave di quello che sarà il pensiero del Bordiga futuro. Egli concordava
con la critica ai motivi sballati dell’astensionismo anarchico, e riconosceva
la critica di Albert e Duchene all’azione parlamentare in quanto soffocatrice di
ogni altra attività. Bordiga commenta –
non può negarsi che i fatti sembrano dargli ragione – ma per Bordiga a
questo punto si tratta di vedere se il
parlamentarismo giova o no al programma massimo del socialismo. Pochi anni
più tardi la sua risposta sarà no e la giustificazione sarà la medesima di
Albert e Duchene, e da qui il suo astensionismo. Già nel novembre del 1913
Bordiga usciva con delle considerazioni sulla battaglia elettorale appena
conclusasi. E’ infatti indiscutibile che
le conquiste del Socialismo, dalle massime alle immediate, devono essere opera
di grandi masse che si siano formata una coscienza collettiva dei propri
interessi e del proprio divenire e siano convinte che, per garantirli ed
affermarli efficacemente, non debbono abdicare la tutela nelle mani di pochi
dirigenti; come non debbono chiedere aiuti di sorta alla classe economicamente
avversa. Il Partito Socialista deve coltivare e diffondere questa coscienza
collettiva… Nessuno può negare la verità dell’osservazione che l’uomo costretto
al lavoro manuale è propenso a delegare ad altri, agli intellettuali, la
gestione e quindi il dominio della vita sociale. Anche le masse quasi coscienti
di una qualsiasi finalità tendono ad affidarne la realizzazione ad un uomo o a
pochi uomini, che seguono poi troppo ciecamente… Vogliamo dedurne che nelle
attuali condizioni ogni forma di azione di classe – non le sole elezioni, ma
anche l’azione sindacale e perfino la rivolta di piazza – presenta il rischio
che le masse rinunzino all’effettivo controllo dei propri interessi e lo
affidino ad un certo numero di “capi”. Bordiga allora non era contrario
alle elezioni, ma già vedeva con che facilità nelle lotte elettorali si perdeva di vista ogni scopo che non sia
il risultato numerico. Da “Democrazia
e Socialismo” è chiaro che per Bordiga le elezioni erano una buona
occasione per fare propaganda nelle
piazze ove si vuole anche nei seggi di consiglieri comunali e provinciali, o di
deputati, ma nulla di più.
Al XIV Congresso
Nazionale del PSI di Ancona aprile del 1914 Bordiga tenne la relazione politica
della Direzione e sul socialismo meridionale. Fece un discorso sulla tattica
del Partito nelle elezioni ammnistrative. Anche in questo caso Bordiga si batté
per una politica di intransigenza assoluta contro ogni tipo di coalizione con i
partiti borghesi anche per il Sud Italia, contro i blocchisti. E nonostante le
condizioni speciali del Sud Italia, invitava il PSI ad affrontare la questione
ammnistrativa con una direttiva unitaria,
e a fare dei comuni socialisti un’arma contro lo Stato capitalista e borghese. Il
7 giugno del 1914 in onore della festa dello Statuto Albertino (carta
costituzionale della monarchia sabauda) sempre ad Ancona fu organizzata una
manifestazione presenziata da repubblicani ed anarchici dove accorse una folla
numerosa. I carabinieri aprirono il fuoco sulla folla accorsa uccidendo tre
persone. I lavoratori di tutta Italia risposero a questo atto di violenza con
dimostrazioni di piazza, i capi del sindacato, Confederazione Generale del
Lavoro (CGdL), socialisti riformisti, furono costretti a proclamare lo sciopero
generale. L’epilogo di questa insurrezione fu tipica della storia italiana come
commentò Bordiga negli anni 60. Ma il 12
giugno, quando già i poteri statali e la borghesia sbigottivano, la CGdL rese
loro uno dei suoi innumerevoli servigi; ordinò la fine dello sciopero generale.
Era fresca la tradizione anarchica e
sindacalista soreliana, secondo cui il sindacato ha per sua funzione l’azione
diretta e violenta e il partito quella legale. Bordiga fu colpito
personalmente dalla reazione del governo, ma non spenderà mai una parola sulla
sua vicenda personale. Fu in fatti licenziato dalle Ferrovie dello Stato dove
lavorava come ingegnere per aver partecipato alla dimostrazione di Napoli. In
quei giorni, il 25 giugno, pubblicò in merito un ordine del giorno breve su “Il Socialista” dove salutava i
rivoltosi a nome della Sezione Napoletana del PSI.
Nel già citato “Democrazia e Socialismo” uscito il
luglio del 1914 su “Il Socialista” si
intende come Bordiga si riferisca alla democrazia borghese e quindi si intende
la sua frase che il socialismo si affermò
come solenne denunzia del fallimento storico della formola democratica, e degli
inganni che questa conteneva. E argutamente scrive – La democrazia [aggiunta nostra: borghese] vede nel sistema rappresentativo il mezzo per risolvere ogni problema
di interesse collettivo; noi vediamo in esso la maschera di una oligarchia
sociale, che si avvale dell’inganno dell’uguaglianza politica per mantenere
oppressi i lavoratori. – e ancora più interessante questo altro concetto
che – il socialismo è nel campo amministrativo per la massima
autonomia locale –. Altro passaggio fondamentale presente in questa serie
di articoli è quello su cosa voglia dire essere socialista… vuol dire ritenere oggi, in base all’esame
delle condizioni economiche sociali presenti, possibile un’azione di classe
tendente a distruggere il capitalismo per sostituirvi un nuovo ordinamento
sociale. Agire da socialisti, significa dare opera a che la coscienza di una
tale possibilità si diffonda in un numero sempre maggiore di proletari, con la
maggiore simultaneità possibile nei diversi paesi e nelle diverse nazioni. Chi, pur riconoscendo che la distruzione del
capitalismo sarà una belle cosa, non ritiene giunto il momento di agire in tal
senso, ma crede opportuno prima risolvere ben altri problemi, non è un
socialista. Sempre in questa serie di articoli poi Bordiga delinea una tesi
municipalista, vicina a quella sostenuta da Mussolini sull’“Avanti”. Secondo Bordiga non si poteva saltare lo stadio della
solidarietà dei lavoratori nella loro città, ovvero nei loro Comuni, ma il
ruolo del Partito era sempre di propaganda,
proselitismo e di preparazione all’urto finale delle classi.
“In tema di neutralità: al posto nostro”
esce sull’“Avanti” nell’agosto del
1914, dove percepisce da subito una di quelle che definisce correnti pericolose ovvero un sentimento di simpatia per la Triplice
Intesa, giustificando non solo, ma esaltando l’atteggiamento dei socialisti
francesi fino a sostenere che i socialisti italiani dovrebbero accorrere a
battersi in difesa della Francia. Questa anche se in sordina fu poi la
linea presa da Mussolini. Mentre per Bordiga il concetto di patria era per
definizione anti-socialista e non poteva esistere nessuna guerra di difesa. Poi
nel settembre, dalle pagine de “Il
Socialista”, si riferì apertamente all’atteggiamento di Mussolini in “L’Avanti e la guerra”. In questo articolo
criticava l’ambiguità della linea data da Mussolini nei confronti della guerra,
nonostante ci tenesse a precisare la sua stima per il direttore dell’Avanti,
concludendo con – il Partito deve
rendersi sempre più autonomo delle singole persone: e lo stesso Mussolini lo ha
tante volte sostenuto! – A seguire vi fu la pubblicazione del manifesto
della Direzione e del Gruppo parlamentare del PSI contro la guerra, del quale
Mussolini ne rivendicò la paternità. Fino ad arrivare al famoso articolo di
Mussolini sulla neutralità attiva ed operante
che spingerà il Partito a dimetterlo da direzione dell’“Avanti”. Bordiga rispose al famoso articolo di Mussolini, con un
editoriale su “Il Socialista”, “Per l’antimilitarismo attivo ed operante”,
dove definiva quelle di Mussolini, balorde esagerazioni. Qui Bordiga però si
trovava in una posizione poco lineare – Il
concetto di neutralità ha per soggetto non i socialisti, ma lo Stato. Noi
vogliamo che lo Stato resti neutrale nella guerra, assolutamente, fino all’ultimo,
checché avvenga. Per ottenere ciò noi agiamo su di esso, contro di esso, nel
campo e coi mezzi della lotta di classe. Da questa non vogliamo disarmare. La
nostra guerra è permanete. – Quando poi Mussolini dal suo nuovo giornale
interventista, contro le sue stesse posizioni di pochi mesi prima, incominciò
ad attaccare il PSI, Bordiga da “Il
Socialista” lanciò l’appello di boicottarlo. In fine nel dicembre del 1914
si concluse la vicenda Mussolini socialista, che per i continui attacchi al PSI
venne espulso dallo stesso; Bordiga sempre da “Il Socialista” riportò soddisfatto la notizia, e rimarcò che le condanne contro i traditori sono senza
appello.
Un’altra serie di
articoli apparvero su “L’Avanguardia”
intitolati “Il socialismo di ieri dinanzi
alla guerra di oggi”. Qui vi sono diversi spunti molto interessanti: la guerra … è certo una distruzione di
capitali, ma alla borghesia intesa come classe, più che il possesso materiale
dei capitali, interessa la conservazione dei rapporti giuridici che le consentono
di vivere sul lavoro della grande maggioranza. Questi rapporti, interni alle
nazioni, consistono nel diritto di monopolizzare gli strumenti di lavoro, che a
loro volta sono frutto di altro lavoro della classe proletaria. Quindi per il proletariato la guerra è
disastrosa sotto ogni rapporto mentre per la borghesia ne vede intaccata la sua
ricchezza materiale, ma conservati e forse rafforzati i rapporti potenziali per
ricostruirla, poiché la lotta di classe si assopisce e si spegne nell’esaltazione
nazionale. Gli Stati moderni con il loro regime di democrazia mantengono quindi in schiavitù economica la
classe dei lavoratori che può essere mobilitata in 24 ore sul fronte essendo la
democrazia borghese di fatto la miglior tirannide, insiste Bordiga. In più egli
notava che un moto rivoluzionario avrebbe sempre maggiore possibilità di
successo in tempo di pace che alla vigilia della guerra. Bordiga il quale
riservava ancora qualche fiducia nella Seconda Internazionale dei lavoratori,
constatò il vero insuccesso del Socialismo nell’adesione dei partiti socialisti
nazionali, di Francia e Germania, alla guerra. I capi di questi Partiti spesso
per la loro maggior cultura, borghese intende Bordiga, hanno troppi legami con
le ideologie borghesi e si sentono più rappresentati della Nazione che dal
Socialismo. Il Socialismo deve quindi
rimettere su più salde basi l’azione antimilitarista, rivedere in senso più
rivoluzionario la sua azione parlamentare…. Sulla questione nazionale, poi
sviluppa la nozione che le guerre ora venivano fatte dagli Stati e non dalle
Nazioni. Distingue quindi le guerre
di unificazione nazionale da quelle imperialiste. E anche la scusa, ancora in
voga oggi per altro, di diffondere la
democrazia con le baionette, per Bordiga è ovviamente una scusa borghese.
Sul principio di nazionalità pubblica anche un articolo sull’“Avanti” nel gennaio del 1915. La sua
posizione in merito è interessante se si mette nel contesto della polemica tra
la Luxemburg e Lenin, che Bordiga al tempo ignorava. Bordiga fa qualche
riferimento a Zimmerwald, ma non vi partecipò direttamente. Poi in netto
contrasto con i riformisti di sinistra, dichiara – Pacifismo? No. Noi siamo fautori della violenza. Siamo ammiratori
della violenza cosciente di chi insorge contro l’oppressione del più forte, o
della violenza anonima della massa che si rivolta per la libertà... Ma la
violenza legale, ufficiale, disciplinata all’arbitrio di autorità,… questa
violenza… ci fa schifo e ribrezzo –
Bordiga prese
come riferimento Karl Liebknecht per il suo discorso al Reichstag il 2 dicembre
1914 contro l’aumento dei crediti di guerra approvati dalla socialdemocrazie
tedesca. Citando più volte Karl Liebknecht per le sue parole contro il
militarismo e contro la guerra. Bordiga riallacciò esplicitamente il suo
antimilitarismo a quello internazionale proprio di Karl Liebknecht, dei
deputati socialisti russi, dei compagni serbi, del riformista Independent
Labour Party d’Inghilterra (probabilmente riferendosi ad un Articolo dell’Avanti di J Bruce Glasier, che si
riferiva al pacifismo di Keir Hardie all’interno del Partito Labourista) e
dell’anarchico Sébastien Faure in Francia. Quindi chiaramente senza tenere in
considerazione la loro linea politica, ma solo il loro antimilitarismo. Il caso
Frederich Adler, esponente socialista internazionalista austriaco che uccise in
un atto anarchico il Primo Ministro Austriaco Stürgkh, suscitò reazioni
contrastanti tra i socialisti anche estremisti. Vi era chi condannava questo
tipo di atti e chi lo giustificava come atto di esasperazione. Bordiga si
schierò con questi ultimi. Fedele alla
dottrina socialista internazionale, commenta Bordiga, interprete sicuro, come il suo fratello ideale Carlo Liebknecht, della
vera tattica proletaria, si dette alla battaglia contro la borghesia e l’imperialismo
nel suo paese. Federico Adler è nostro, rivendicava Bordiga.
Sulla rivoluzione
Russa ci limiteremo ad analizzare qui agli articoli scritti nel 1917, in quanto
il pensiero bordighiano post-leninista necessiterebbe una trattazione a parte. Bordiga
scrisse una serie di articoli dal titolo “La
rivoluzione Russa nell’interpretazione socialista” su “L’Avanguardia” proprio nel 17. Bordiga riconosceva che la
rivoluzione russa fosse un fenomeno in atto da già 50 anni. Ma a differenza dal
primo commento di Gramsci, il quale pur sostenendo la rivoluzione senza riserve
ne individuava le contraddizioni con il pensiero marxiano, Bordiga commentò che
nonostante potesse sembrare che l’applicazione più rigorosa (interessante
notare che Bordiga ne critichi il rigore)
delle linee del sistema marxistico si adattassero male ad un paese
arretrato politicamente, dal punto di vista borghese, come la Russia, qui si era formato un forte Partito
socialista marxista – forse il più ortodosso del mondo – riferendosi
soprattutto alla frazione bolscevica. Infatti aggiunse, qualche riga dopo, l’estrema (la corrente bolscevica) è la più genuina … vuole la pace, rifiuta
la collaborazione anche transitoria di classe, e invoca la presa del potere per
attuare il Programma Comunista. Ma notava d’altro canto, come molti altri
socialisti, che i metodi socialisti mal si applicavano ad un paese maggiormente
costituito da immense masse contadine. Bordiga concludendo in dicembre questa
serie di articoli commentava sul trionfo massimalista, utilizzando la
terminologia più consona al socialismo italiano, intendendo però la frazione
maggioritaria, ovvero bolscevica. Finalmente
il governo è rovesciato, scriveva Bordiga, ed il Soviet in cui gli estremisti sono diventati l’enorme maggioranza
assume il potere. Mentre scriviamo,
fra la ridda di notizie contradditorie e tendenziose che giungono a noi, si
comprende che i socialisti lavorano all’attuazione di un programma dalle linee
semplici e grandiose – quello stesso del Manifesto dei Comunisti – cioè la
espropriazione dei privati detentori dei mezzi di produzione, mentre procedono
logicamente e conseguentemente a liquidare la guerra. Un quadro più
dettagliato viene riportato nell’articolo del 16 dicembre “Il caos” su “L’Avanguardia”.
Qui commentava Bordiga che Lenin e
Trotskij con tutti i massimalisti, in quanto sarebbe puerile attribuire tutto
…a due persone, potranno essere giudicati i salvatori della Russia proletaria
od i traditori della civiltà mondiale. Non possono essere imputati di non
sapere che cosa vogliono, di non avere un programma preciso e di non attuarlo
con piena coscienza dei mezzi e delle responsabilità. Il caos non è dunque in
Russia, dove le cose si vanno assestando.
Il Bordiga pre-Lenin aveva quindi già un’idea molto chiara
di socialismo rivoluzionario marxista, era intransigente, impossibilista per
molti aspetti, con una propensione però per l’attivismo, talvolta anarcoide,
esaltando l’uso della violenza, si veda il suo commento su caso Adler e post-Lenin
per il centralismo blanquista, dai quali non possiamo che prendere le distanze.
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