giovedì 30 novembre 2017

Cento anni dalla rivoluzione della minoranza bolscevica in Russia: le critiche dei socialisti italiani e inglesi (Parte I)


Introduzione

Abbiamo in precedenza, anche se alquanto superficialmente, trattato della reazione degli intransigenti rivoluzionari di sinistra ovvero gli scissionisti comunisti di Livorno (21 gennaio 1921), con l'articolo di Gramsci "La Rivoluzione Contro il Capitale" pubblicato su “L'Avanti” il 24 novembre 1917, e la reazione di Bordiga su “L’Avanguardia” nel dicembre del 1917. Aggiungiamo qui alcuni dei loro commenti in merito agli attacchi critici dei socialisti unitari, ma non riporteremo nella loro completezza le analisi dei due marxisti sulle quali e sui quali molto è già stato scritto. Per completezza si dovrebbe anche analizzare la reazione di Giacinto Menotti Serrati, direttore de “L'Avanti” al tempo della rivoluzione d'ottobre, e leader di fatto della corrente a quel tempo maggioritaria all'interno del PSI, ovvero quella massimalista, rivoluzionaria, parlamentare. E della reazione un po’ tardiva degli anarchici italiani, come quella del vecchio Errico Malatesta, e dei suoi discepoli Luigi Fabbri e Armando Borghi. Tuttavia, queste meriterebbero una trattazione separata. Basti ricordare che Serrati si espresse sempre in favore di Lenin fino alla questione dalle 21 condizioni di ammissione alla Terza Internazionale che portarono alla scissione di Livorno nel 1921; mentre gli anarchici videro nel centralismo leninista una conferma della critica bakuniana al supposto “autoritarismo marxista”.  

 

Critica Sociale sul leninismo

Già il 6 novembre un dispaccio della Stefani annuncia il tentativo dei massimalisti russi di impadronirsi del potere in Russia, presa del potere che viene confermata l’8. Con l’articolo di Ing. dell’11 si incominciano ad avere le prime notizie sulla rivoluzione di Ottobre. Il gruppo parlamentare, notoriamente riformista, si esprime dapprima positivamente nei confronti della presa del potere di Lenin, come confermato dall’intervento alla Camera di Modigliani nel dicembre. Il corrispondente Ing. con i suoi ultimi articoli per “L’Avanti” sempre in dicembre delinea una presunta convergenza dei bolscevichi con i socialrivoluzionari e i menscevichi internazionalisti, la quale viene smentita dalla agenzia Stefani con un dispaccio del 22 gennaio, dichiarando lo scioglimento dell’Assemblea Costituente. Nonostante con una certa cautela, le prime aperte critiche al bolscevismo appaiono tra le file dei socialisti unitari. 

    
Nel primo numero di gennaio del 1918 di “Critica Sociale”, compare un articolo di Claudio Treves, firmatosi “Very-Well”, riportando un articolo di Julius Martov, leader dei menscevichi internazionalisti, il quale lo aveva indirizzato il 16 di dicembre a un giornale francese. Questo articolo era già stato pubblicato da “L’Avanti” il 25 dicembre accompagnato dal commento di Serrati a sostegno di Lenin.
Qui Martov sottolinea il:
“carattere utopistico del movimento leninista, che cerca [di] introdurre il collettivismo in una Russia arretrata economicamente, contro la volontà della maggioranza del popolo, con la forza armata dei soldati, stanchi della guerra e pronti a sostenere qualsiasi partito che prometta la pace immediata.
Il nuovo Governo si vede così obbligato ad usare il terrore contro la maggioranza del popolo, ostile ad una dittatura militare. Ne risultano persecuzioni arbitrarie, la soppressione della libertà di stampa e di riunione. Parecchi socialisti sono stati messi in carcere…
Attualmente Lenin e Trotzky rifiutano di riconoscere la sovranità della Costituente, la cui maggioranza è composta di socialisti non massimalisti. Per ottenere una maggioranza leninista, parecchi membri della Costituente furono arrestati, compresa tutta la minoranza borghese.
Ecco perché la minoranza marxista della classe operaia è obbligata a tenersi lontana da questa pretesa dittatura proletaria ed a lottare contro questo regime del terrore, che con la guerra civile fra operai e contadini metterà capo fatalmente al trionfo della controrivoluzione.
Finché la maggioranza della classe operaia non abbia obbligato il Partito di Lenin a rinunziare alla dittatura ed a riconoscere il suffragio universale, per formare un Governo di coalizione fra tutti [i] partiti socialisti russi, di sinistra o di destra, la situazione resterà minacciosa.” 
Claudio Treves commentava cautamente di aver già messo in guardia dai tempi di Zimmerwald sulla differenza che correva tra il pensiero di Lenin e il marxismo ortodosso. Poi riferendosi all’articolo di Gramsci sopra citato, critica ironizzando, sull’idea che:
“i decreti di Lenin superano la storia, cioè sorvolano i periodi della evoluzione della proprietà. Coi decreti si salta a piè pari l’era borghese industriale, si passa dalla economia patriarcale agraria al collettivismo! … Qui ci pare chiarissimo che non si abiura più soltanto il Capitale, ma financo il Manifesto.
Poi con cautela Treves giustifica quasi “l’azione di Lenin”, la quale:
“Forse… risponde ad uno stato caotico di necessità storica contingente, e non aspira per nulla a costituire regola universale di trasformazione socialista”.
Ammonendo al contempo che:
tale azione è fortemente contestata dai marxisti di Zimmerwald come Martoff ed Axelrod. [e] Un gruppo di 109 socialisti rivoluzionari…”.
Poi Treves consiglia che:
“Nulla sarebbe più insano che impegnare il socialismo occidentale per il socialismo di Lenin contro il socialismo dei socialisti rivoluzionari della Costituente.
Già intuendo il futuro ideale ruolo da moderatore della nuova internazionale:
“Dicesi che Lenin e Trotzky alla Costituente intendano rispondere con la Convezione. Guai alla rinascente Internazionale se parteggiasse e desse all’una o all’altra istituzione la palma del Socialismo ”.
Lenin secondo Treves potrebbe essere ancora nel giusto condizionato dalla singolarità russa:
“Lenin professa il marxismo di Martoff e di Axelrod; se se ne scosta, così grandemente nell’azione, deve essere per effetto di circostanze, a noi mal note, le quali, se pure, in ipotesi, porterebbero in Russia – contro Martoff – giustificare Lenin, non giustificherebbero mai … i leninisti di Europa…”.

In quel periodo Claudio Treves, come del resto molti altri, si trovano a commentare le trattative della pace separata tra Russia dei Soviet e Germania a Brest-Litovsk, e se in un primo momento elogia il rifiuto dei delegati russi nel firmarla poi con gli altri del gruppo parlamentare si ritrova a condannarla seppur giustificando in qualche mondo i rivoluzionari russi messi alle strette.
 
In aprile, sempre del 1918, “Very-Well” esce con una altro articolo sulla questione russa intitolato “Menscevichi contro Bolscevichi”. Qui riporta l’Appello del Congresso straordinario del Partito Socialista Democratico Operaio Russo Unificato a tutta l’Internazionale, a tutti i partiti socialisti dei Paesi belligeranti e neutri. Treves riassume le note salienti dell’Appello nella critica ai metodi e non ai fini dei bolscevichi:
 “l’accusa, troppo provata, di terroristica tirannia… e l’accusa, anche quella non dubbia, di avere i bolscevichi portato il principio sacrosanto dell’autodecisione dei popoli fino al più sfrenato individualismo di gruppi sovrani, d’onde la guerra interna dei nuovi staterelli e la via parta alla Germania per qualunque intervento pacificatore (!). Qui lo spirito un po’ romantico dell’anarchismo bakunista e blanquista prese fatalmente il sopravvento nella politica bolscevica, soffocando e distruggendo ogni squisito senso marxistico di organicità socialista.”
L’Appello riportato integralmente su “Critica Sociale” contiene passaggi molto interessanti, quali:
“Avendo promessa la dittatura del proletariato e dei contadini più poveri, Lenin e Trotzky hanno in realtà fondato un regime di dittatura personale sopra tutta la democrazia … I bolscevichi hanno realizzato il cosiddetto controllo operaio sulla produzione, cioè a dire l’usurpazione e l’amministrazione delle aziende commerciali da parte degli operai stessi di ciascuna azienda. Essi hanno chiamato questo provvedimento una tappa verso il socialismo. In verità essi non hanno che distrutta la vita industriale, commerciale ed economica. Tutto il Paese è minacciato del pericolo formidabile della disoccupazione, della fame e della rovina completa di tutta la vita sociale. Durante la lotta contro il potere precedente, i bolscevichi, in nome delle idee anarchiche federaliste, hanno contribuito alla dissoluzione della Russia in una serie di Distretti isolati, ed ora essi fanno la guerra a quegli stessi Distretti autonomi i quali rifiutano di sottomettersi ala loro dittatura. Così la guerra civile provocata dai bolscevichi in seno alla democrazie per forzarla a riconoscere il loro potere ed a servirlo, e durante la quale essi hanno bombardato Mosca ed eccitati i soldati ad azioni sanguinarie, è attualmente una guerra dei Distretti e delle singole nazionalità tra di loro ed è un colpo mortale per l’infelice Paese …
Trotzky ha dichiarato che la libertà della stampa è un ‘pregiudizio borghese’, che ‘fino alla realizzazione completa del Socialismo’, la stampa borghese deve essere abolita; non solo si proibirono i giornali borghesi, ma anche i socialisti e si riempirono le carceri di detenuti sottomessi ai trattamenti più terribili: insulti e minacce da parte dei soldati, dei marinai, della guardia rossa continuamente a ciò eccitata …
I bolscevichi han fatto propri tutti i metodi dell’antica polizia czarista: hanno introdotto la polizia segreta, le perquisizioni notturne, le imboscate nelle case, gli interrogatori capziosi e persino l’estorsione dei costituiti mediate la minaccia della fucilazione immediata ...
Insomma questa dittatura sedicente socialista, con la sua parodia di legislazione socialista, sta screditando l’idea stessa del Socialismo e distruggendo coi suoi metodi di dominio le nuove basi di una Repubblica democratica russa …
Noi, socialisti democratici russi, ci rivolgiamo ai socialisti di tutto il mondo per chiedere loro di salvare la Rivoluzione russa, che è la nostra causa comune. Noi vi proponiamo di convocare immediatamente una Conferenza socialista internazionale a fine di organizzare una pressione internazionale del proletariato su tutti i Governi imperialisti per conchiudere una pace veramente generale e democratica in luogo dell’accordo separato che sta per essere concluso fra i bolscevichi e gli imperialisti tedeschi e che minaccia del più grave pericolo, non soltanto la Russia, ma tutto il mondo civile.”

Anche Bordiga interviene in questa polemica con una serie di articoli pubblicati su “L’Avanti” nel febbraio del 1918, commentando gli articoli di Treves, “Lenin, Martoff… e noi”; e di Gramsci “La rivoluzione contro il Capitale”.  Bordiga scrive:
Se anche si volesse limitare tutto il ‘comunismo critico’, dottrina della emancipazione del proletariato che il proletariato stesso elabora di continuo e ‘rappresenta’ nella storia, alle risultanze cui giungevano Marx ed Engels all’epoca del Manifesto, potremmo sempre ricordare che essi ritenevano possibile la rivoluzione comunista nella Germania del 1847, socialmente e politicamente quasi feudale ed ancora in attesa della rivoluzione borghese … Perché dunque negare alla Russia del 1917 le condizioni tecnico-economiche della Germania del 1848, perché cavillare sulle condizioni politiche della conquista proletaria del paese, quando il successo ne prova all’evidenza la maturità? (…)”.

A contrastare le denunce di Martov, dei menscevichi e dei socialrivoluzionari c’è l’appello dei bolscevichi ai socialisti europei redatto da Maksim M. Litvinov, ambasciatore bolscevico a Londra, pubblicato da “L’Avanti” il 25 agosto, che sottolinea l’appoggio delle masse a favore dei bolscevichi.

Anche Turati in un articolo commemorativo per la scomparsa di Plechanov nel giungo del 1918, coglie l’occasione per commentare la svolta presa dalla Russia con la rivoluzione i Ottobre, scrivendo:
“il giorno auspicato che la rivoluzione in Russia parve aprisse alfine un adito alla realizzazione iniziale dell’idea per la quale egli aveva così duramente lottato e sofferto, quel giorno stesso quell’uomo vide le sorti del suo Paese infilare una via tutta diversa, vide l’utopismo antico riprendere ad un tratto il disopra e si vide abbandonato e rinnegato dal movimento a cui aveva consacrato tutto se stesso.”

A questa lettera di Turati replica Serrati su “L’Avanti” in Scampoli-Giorgio Plekanoff dove ancora in difesa del colpo di Stato bolscevico spiega:
 “il marxismo di  Plekanoff non volle riconoscere la possibilità immediata della repubblica comunista in Russia. Il fattismo di Lenin e Trotsky ci dà da sette mesi la repubblica in atto. E Turati vorrebbe che crepasse la repubblica sociale piuttosto che confessare che la sua logica e quella di Plekanoff hanno preso un granchio secco.”

Intanto, nel settembre 1918 al XV Congresso di Roma, Turati si trova ancora coinvolto nella polemica sull’indipendenza nazionale. La polemica verte sulla posizione dei socialisti unitari di collaborazionismo del gruppo parlamentare e sulla difesa dei confini nazionali dall’invasione austro-tedesca. In merito alla difesa nazionale, Turati dimostra come gli stette stretta la posizione in apparenza antimilitarista del PSI di “neutralità assoluta”, col suo celebre “né aderire né sabotare”. Antimilitarista proclamato, Turati però, probabilmente, memore dello spirito irredentista della generazione che lo aveva preceduto, si espresse a favore della difesa dei confini nazionali, e si giustificò dicendo che tutto il gruppo parlamentari era solidale, e che l’invasione tedesca avrebbe danneggiato molto i proletari e le sue future rivendicazioni socialiste “se il dominio dell’elmo chiodato e dello junkerismo” si fosse consolidato. “L’indipendenza nazionale è un vantaggio, una forza, una necessità”. Fa menzione alla repubblica dei “Soviety” affermando che “a parole” l’instaurazione della repubblica dei Soviet “non fa una grinza, ma poi, sul terreno dell’azione i cosiddetti ‘coefficienti di riduzione’ si impongono ... bisogna pure agire secondo determinate norme e regole, rassegnarsi a dati adattamenti, accettare pel meno peggio, date transizioni …”.

Al XV Congresso anche Modigliani solleva aperte critiche nei confronti di Lenin e dei bolscevichi, riaffermando il ruolo chiave dei menscevichi e dei socialrivoluzionari nel preparare la rivoluzione russa e mette in guardia dall’improvvisare un’azione rivoluzionaria in Italia.

In ottobre dello stesso anno viene pubblicato un resoconto di Junior intitolato “Il Terrore”, precedentemente pubblicato su “L’Avanti”. Questo andava a confermare quello che era già stato riportato da Martov subito dopo il colpo di stato bolscevico.
“Trotzky … proclamò la necessità di ripetere in Russia il ‘Terrore’ della Rivoluzione francese … La pena di morte fu francamente introdotta alla fine di febbraio.
… L’ironia della storia volle che fossero proprio questi pretesi ‘Comunisti’ i più inesorabili repressori delle offese alla proprietà privata. È un po’ nella tradizione del popolo russo – vissuto sempre in regime di violenza … ‘rasprava’, cioè la punizione immediata senza garanzie di giudizio … Toccava alla rivoluzione di legalizzare questi metodi inumani e sommari … Lo stesso Lenin, … il 18 novembre, una settimana dopo il colpo di Stato, aveva diramato un dispaccio circolare ai soldati, operai e contadini, quanto dire a tutta la popolazione, nel quale diceva: <> …
Così l’atmosfera s’impregna di violenza …
E la Conferenza, che rappresentava centomila operai delle Officine Pietrogradesi, votava questa dichiarazione: << Nelle strade e nelle case, di giorno e di notte, gli assassini si succedono. E non sono solo i banditi che uccidono o sono uccisi. Sono gli agenti responsabili del Governo dei Soviet, che, sotto il pretesto di opporsi alla controrivoluzione, ammazzano cittadini pacifici, operai, contadini, studenti, soldati, senza giudizi, senza istruttorie, tranquillamente, a sangue freddo, in nome nostro, in nome del proletariato rivoluzionario! Or noi, rappresentanti della classe operaia, dichiariamo davanti al Paese che questi massacri sono una vergogna per la Rivoluzione e per il Socialismo. Noi separiamo con indignazione la nostra responsabilità da questi abomini, e invitiamo tutti gli operai, tutti gli onesti, ad unirsi alla nostra protesta, invocando un pubblico giudizio contro i colpevoli …>>
I bolscevichi … che, sotto gli Czar, condannavano gli attentati ‘individuali’, predicano ora quotidianamente il ‘Terrore rosso della massa’ (krassny massovy terror) come mezzo per imporre la volontà della classe operaia alla borghesia; e questo Terrore conduce ai massacri di Sebastopoli, dove i marinai, in due giorni, uccisero nella prigione 400 supposti capitalisti; a quelli di Rostow, dove 1000 fucilazioni seguirono la sconfitta di Kornilof; a quelli di Kiew, dove a centinaia i cosacchi (gaidamaki) ucraini, gli ufficiali e gli allievi ufficiali erano fucilati …
Come l’anacronismo storico, che pretende improvvisare il socialismo d’un colpo in un ambiente quasi medievale, analfabeta e uscito ieri di schiavitù, non può condurre che alla bancarotta del Socialismo e a nuove violente ripartizione individualistiche anziché alla socializzazione della proprietà, così, nelle stesse condizioni, la anticipata e impossibile ‘dittatura del proletariato’ non può condurre che ai vani massacri. Nel suo opuscolo dell’ottobre scorso: ‘Potranno i Bolscevichi mantenersi al potere?’ Scriveva lo stesso Lenin: << La Russia, dopo la Rivoluzione del 1905, fu governata da 130.000 proprietari di terre (pomiesciki); e mi dicono che i 240.000 [affiliati] al partito bolscevico non potranno governare la Russia!>>, Il paragone fra il regime di Stolypin e quello di Lenin, ahimè! Non è che troppo vero!”


A seguire nello stesso numero di Ottobre, “Critica Sociale” propone la lettura del pamphlet, ancora inedito in l’Italia, di Karl Kautsky “Democrazia e Dittatura (A proposito della dittatura bolscevica in Russia)”:
 “Per noi la lotta di classe proletaria conduce alla emancipazione del proletariato, … Per emanciparsi, il proletariato de[v]e contare su se stesso, non già attendere l’aiuto di altre classi sociali. Ma, per sviluppare le proprie forze intellettuali e le proprie capacità organizzative, gli è indispensabile un regime democratico. …
Se in tutti questi casi il trionfo della democrazia non dà, i risultati desiderabili, questo dimostra non già l'inutilità del regime democratico, ma soltanto l’immaturità del proletariato, o delle condizioni sociali, nelle quali si svolge la sua lotta.
… ‘La violenza - scrive Marx nel Capitale - è la levatrice di ogni vecchia società, che stia per partorirne una nuova’. Qui non si allude alle uccisioni e ai massacri ma alla forza concentrata e organizzata nello Stato, di cui la classe vincitrice deve impossessarsi.
Ma ogni partito democratico, il socialista compreso, nuocerebbe a sé e alla causa del proletariato, se, essendo una minoranza che s'impadronì del potere per favore dì circostanze, fortuite, si sforzasse di mantenerlo contro la volontà della maggioranza, in onta ai principi democratici.
… I blanquisti, … , vagheggiavano la dittatura, non di una persona, ma di una minoranza.
Marx ed Engels, pur subendo agli inizi la influenza del blanquismo, presero però a, criticarlo. … Nella ultima edizione della nota prefazione alla ‘Lotta delle classi in Francia’, Engels dichiara le conclusioni a cui egli e Marx erano alla fine arrivati: << Il tempo delle rivoluzioni, compiute coll'impossessamento improvviso del potere ad opera di piccole minoranze coscienti, a capo di masse inconsapevoli, è definitivamente passato. Trattandosi di un radicale riordinamento dell'assetto sociale, sono le masse che devono esse stesse parteciparvi, ed essere in grado di intendere a che cosa debbano prestare il loro concorso. Questo ci ha [insegnato] la Storia dell'ultimo cinquantennio>>”

Nel dicembre del 1918 in occasione della riunione delle rappresentanze socialiste e sindacali indetta dalla direzione del Partito a Bologna, nell’ordine del giorno, Turati ribadisce il suo scetticismo verso la rivoluzione bolscevica:
che la Repubblica Socialista possa ovunque crearsi e consolidarsi con un atto istantaneo e prodigioso di volontà da parte di esigue minoranze, malgrado la ostilità e l’incoscienza del maggior numero, e senza che ne siano gradualmente apprestate le condizioni obbiettive, tecniche, economiche, e morali, e soprattutto la capacità e gli organismi proletari che ne assicurino il durevole funzionamento, svaluta e rende impossibile l’azione di conquista di tali condizioni, e distrugge quindi la possibilità della stessa effettuazione massimalista del socialismo”.

In questa occasione Turati conferma però la chiara tendenza a volere esaltare il ruolo delle riforme del sistema capitalista; una tra tutte, quella della “universalizzazione del suffragio, che ha in se tutti i poteri costituenti”, aggiungendo che tali
riforme … costituiscono la grande e solida scala, per la quale soltanto il proletariato può, senza inganni e senza delusioni, raggiungere realmente la propria emancipazione, la soppressione delle classi e del dominio di classe, la giustizia e l’eguaglianza supreme del socialismo”.


Un interessante dibattito si apre nel gennaio del 1919 su “Critica Sociale”, grazie ad una pessima lettera di un pessimo Arturo Labriola (da non confondere con il rispettabilissimo Antonio), indirizzata a Turati, in cui dopo un passato da sindacalista rivoluzionario e massone, Arturo Labriola, si riscopre “leninista doc”. Oltre alla risposta di Turati questa lettera innesca la risposta di Rodolfo Mondolfo da cui poi a sua volta scaturirà la risposta di Gramsci e Bordiga. Riportiamo qui, in primis, Turati al quale la lettera è indirizzata.   
“Per noi, per i lettori comuni, … , il Marx delle tremende filippiche, contro Papa Michele (Bakunine - 'che era un po', mutatis mutandis, il Lenin de' suoi tempi), rappresentava il socialismo che, per lui e con lui, aveva cessato di essere utopismo - utopismo di pensiero o, peggio, utopismo di fatti - per diventare il ‘socialismo scientifico’ ”
e ironizzando sull’interpretazione di Arturo Labriola, Turati aggiunge:
“Orbene, tutto questo non sarebbe dunque che leggenda! Ecco infatti un Marx diventato l'ajo di Lenin, il teorico di un socialismo precapitalistico, di una dittatura proletaria quasi senza proletariato, di un Comunismo del domani nel perdurante Medio Evo, e in cui la deficienza delle condizioni materiali e tecniche della sua esistenza può essere compensata - dice Labriola - << da un eccesso in altro senso, nel senso morale ...>>
Ma l’argomento capitale di Arturo Labriola ci sembra un argomento ... di forza maggiore. Che cosa poteva fare - egli chiede - il povero Lenin (Labriola veramente scrive: il proletariato russo; ma la correzione è necessaria) costretto dalle circostanze a prendere il potere? Poteva egli rinunciarvi e mandare alla cuccia il proletariato, o magari fargli rimettere la museruola? …
il proletariato, se è immaturo, non ha alcun interesse ad assumersi il potere direttamente, per fare, senza competenza, il gestore d'affari più delle altre classi che della propria.
… Ma forse, caro Labriola, la cagione profonda del nostro dissenso è, a frugar bene, altrove da dove la cerchiamo. È nel fatto - non impennarti! - che tu hai creduto e forse credi ancora nella guerra. In fondo, se bene ci ripensi, è tutto un problema. Noi non crediamo nella guerra: né nella guerra barbara, né in quella ... civile. Non crediamo neppure in Montecarlo. Detestiamo i salti nel buio.
- soprattutto perché inutili - e ci rifiutiamo di salutare in essi il ‘fatto’ che trionfa e la ‘storia’ che passa.

Come già menzionato anche Rodolfo Mondolfo volle replicare ad Arturo Labriola con una serie di articoli intitolati “Leninismo e Marxismo” dal febbraio 1919 al maggio. Chiamando in causa il celebre articolo di Gramsci “La rivoluzione contro il Capitale” (del dicembre 1917):
 “… non ha forse qui fra noi ‘L’Avanti!’ presentata ed esaltata l’azione dei leninisti siccome la rivoluzione contro il Capitale? L’iniziale maiuscola non significava certo in questo caso un imprevisto rispetto verso la privata detenzione dei mezzi di produzione e di scambio, ma voleva designare l’opera massima di Carlo Marx, la sua teoria della storia e della rivoluzione.
… Tutta la storia de la vita umana per lui [Marx] è rovesciamento della praxis, vale a dire è un moto dialettico, per il quale le condizioni esistenti suscitano e stimolano le forze che debbono rivolgersi contro di esse per superarle, ma, d’altra parte, l'attività superatrice non può operare se non sulla base delle condizioni esistenti: per tal modo le condizioni reali hanno una duplice funzione di impulso e di limite alle aspirazioni, alle volontà e all’azione e degli uomini.
… Ecco la teoria marxistica, delle epoche rivoluzionarie, che, non si saprebbe meglio esprimere, se non ricorrendo alle classiche parole della prefazione alla Critica dell'Economia politica, nella quale è condensato il succo essenziale di tutto il marxismo.
<< A un certo punto del loro sviluppo le forze produttive della società entrano in conflitto con i rapporti di produzione fin allora esistenti, ossia con rapporti di proprietà, nel cui àmbito quelle forze si erano mosse. Allora tali rapporti sociali, che sin qui erano stati favorevoli allo sviluppo delle forze di produzione, si tramutano in loro ostacoli. Subentra allora un'era di rivoluzione sociale.>>
La rivoluzione dunque, secondo Marx, insorge quando lo sviluppo trova un arresto al suo procedere … Marx ha voluto anche determinare quali condizioni siano necessarie perché si compia una rivoluzione, …
<< Una formazione sociale (egli prosegue) non tramonta prima che siano sviluppate tutte le forze produttive, che essa è capace di dare; e nuovi rapporti sociali non si sostituiscono ai vecchi, prima che le loro condizioni materiali di esistenza non si siano schiuse precisamente in seno all'antica società >>.
Ecco, preciso e reciso, il pensiero di Marx: nella storia anche, anzi sopra tutto quando si tratti di rivoluzione, non c'è posto per azioni e creazioni arbitrarie; …
Lenin quindi ha lasciato, e non poteva altrimenti, che tutta la massa dei nuovi piccoli proprietari, che costituisce pure l'enorme maggioranza della popolazione russa (c'è chi dice i nove decimi), restasse estranea al regime socialista, dal quale anzi forse i piccoli proprietari d'oggi sono più distanti che non fosse il proletariato rurale di ieri. L'azione del leninismo rimane pertanto grandemente limitata, restringendosi alle città e alle industrie; e, poiché le città dipendono per la sussistenza dalla campagna, il regime socialista, che forma le isole nel persistente mar della proprietà privata, si trova costretto a fare i conti col regime di questa, e, ad adattarsi alle sue esigenze, e a subire tutto l'impero delle leggi, economiche proprie degli scambi commerciali, col rapporto fra la domanda e l'offerta, e le oscillazioni nel valore della moneta, e via dicendo.
Le aziende socializzate pertanto non debbono preoccupassi soltanto della intensità della produzione per corrispondere ai bisogni degli associati, ma anche del costo della produzione, perché gli associati debbono produrre merci per lo scambio con i contadini, dai quali, dipendono per il nutrimento.
Delle aziende industriali, le più importanti (non tutte) sono state socializzate; ma con quali risultati? L'Economist di Londra e Luigi Einaudi, che ci offrono qualche dato, non avran certo simpatie per i Soviety e per Lenin ; ma la Pravda, che ne è l'organo ufficiale, dava il consuntivo di fabbriche socializzate, in cui la produzione di merci, vendute poi per 3 milioni di rubli, ne era costata 4; e Muchanoff, che è un delegato del Soviet, dichiarava che la produzione, delle fabbriche socializzate dà in media un valore che raggiunge soltanto una metà o un terzo del costo di produzione … Le cause? ...  Non sappiamo né possiamo dire: certo però si tratta di uno stato di cose, che soltanto artificiosamente e con mezzi violenti può esser mantenuto, e non certo per un tempo indefinito.
Tanto più che gli effetti si fan già risentire direttamente sullo stesso proletariato. Giacché il Governo leninista, che spende due o tre per aver uno, colma il vuoto con la fabbricazione continua della carta-moneta, il cui valore quindi, precipita in guisa, che non è sufficiente a farvi fronte l'aumento dei salari agli operai. E, quando gli operai tendono per ciò ad emigrare dalle città, in cui sono le fabbriche, ai luoghi ove il costo della vita è minore, il Governo di Lenin si trova costretto, per il funzionamento delle fabbriche, a proibire agli operai di emigrare dalle città senza permesso del Soviet.
Simili fatti possono ben giustificare i più gravi dubbi sul beneficio che la causa del socialismo, sia per trarre nell'avvenire dall'esperimento leninista, e sulla sua riuscita durevole in Russia. Una rivoluzione può trionfare ad un solo patto: di rappresentare una somma di benessere maggiore di quella data dal vecchio regime, per una massa più vasta che non fosse quella che nel precedente assetto sociale trovava il suo vantaggio.”
Rodolfo Mondolfo conclude questo primo articolo con un passo molto interessante tratto da “Guerra dei contadini” di Engels:
“<< Il peggio che possa capitare al capo di un partito estremo è il venir costretto ad assumere il potere quando il movimento non è ancor maturo per il dominio della classe ch'esso rappresenta e per l'attuazione delle misure che la signoria di questa classe richiede. Quel ch'esso può fare non dipende dallo sua volontà, ma dal punto che i contrasti di classi hanno raggiunto e dal grado di sviluppo delle condizioni materiali d'esistenza, della produzione e dal traffico, sulle quali si fondano i conflitti di classe. Quel ch'esso deve fare, quel che il 'suo partito chiede da lui, nemmen questo dipende dalla sua volontà, ma non dipende nemmeno dal grado di sviluppo della lotta di classe; esso è legato alle sue dottrine, al suo programma, i quali, a loro volta, non originano dai conflitti delle classi in quel dato momento e dallo stato più o meno casuale della produzione e del traffico, ma dalla sua maggiore o minore intelligenza e penetrazione dei risultati del movimento politico e sociale. Esso si trova così preso in un insolubile dilemma: quel ch'esso può fare, contrasta con tutta la sua condotta precedente, coi suoi principi e con gl’immediati interessi del suo partito; e ciò che esso deve fare non è attuabile.... Chi capita in una tale disgraziata posizione è irrimediabilmente perduto >>.”


Nei numeri di aprile e maggio dello stesso anno, Rodolfo Mondolfo prosegue con un articolo intitolato “Leninismo e Socialismo” dove entra nel merito di come i bolscevichi, rifacendosi a racconti di Gor’kij, stavano attuando la rivoluzione del sistema economico e se questa fosse effettivamente conciliabile con il Socialismo:
“La coscienza socialista (universalistica) non s'improvvisa con decreti o con predicazioni, là dove sia mancata la proletarizzazione industriale, che, sola, è capace di far sentire al proletariato - attraverso la formazione graduale e progressiva di una coscienza unitaria di classe - la sua universalità e internazionalità. In una comunità chiusa come il mir, sia pure a regime interno comunistico, la coscienza che si forma è particolaristica, il mir è come una famiglia più vasta, che ha però, di fronte alle altre famiglie, interessi suoi particolari, che non si fondono e non s'unificano nella visione di tutto un mondo umano.
Qui abbiamo, nel mir della regione dell'Obi, una comunità che, appropriandosi dei mezzi di produzione comuni, nella mancanza assoluta di quella coscienza universalistica, che solo nel proletariato industriale può trovare le condizioni attive della sua formazione, sfrutta le altre comunità circostanti. Ma l'accumulazione di danaro, che si compie da una comunità, tende a romperla e a generare la sete individuale di appropriazione, e il passaggio a più tipica forma di economia capitalistica … Socialismo significa abolizione della divisione delle classi e della soggezione economica di uomini ad uomini: sotto tale rispetto esso rappresenta la più radicale e completa rivendicazione di libertà. Ma il concetto di libertà, che esso rivendica, non è puramente negativo (soppressione di ogni residuo di schiavitù dell'uomo all'uomo); ma è eminentemente positivo (conquista delle condizioni, per le quali l'uomo può sentirsi veramente libero … Kurt Eisner, si è trovato a svolgere la sua azione in un paese immensamente più progredito che non Lenin: la Baviera, industrialmente sviluppata, era infinitamente più matura che non la Russia, ‘per così gran parte immersa ancora in uno stato precapitalistico’. Ebbene, ecco come parla Kurt Eisner, nel dettare, il 15 novembre 1918, il Programma del Governo: << Noi riteniamo necessario di non lasciar dubbi intorno ai nostri immutati scopi socialisti. Dichiariamo però apertamente e pubblicamente, che ci pare in un tempo nel quale la produzione sembra esausta, il trapasso immediato delle industrie in mano di tutta da società. Non si può socializzare quando non c'è nulla da socializzare. È opinione di Carlo Marx che la produzione debba passare nelle mani di tutta la società quando le forze produttive si sono di tanto sviluppate, che il capitalismo viene per esse a costituire un troppo ristretto limite, una soffocazione.
D'altra parte a noi sembra impossibile di introdurre in un unico territorio nazionale l'organizzazione sociale del lavoro e della produzione ... Ma noi siamo altrettanto convinti che anche adesso ... lo spirito socialista possa fertilmente operare >>. ... Quando invece il condottiero si chiama Lenin, afferma e tenta l'attuazione immediata del programma massimalista. … In condizioni di economia non ancora giunta al completo sviluppo dell'industrialismo e, più ancora, in economia ancora arretrata, l'accumulazione capitalistica ha precisamente questa funzione di sviluppo … Tutto ciò non è sfuggito neppure alla mente di Lenin, che è pur uomo di pensiero e di dottrina: << sarebbe un errore enorme (egli diceva nel maggio 1917 al Congresso dei contadini) credere che una trasformazione così grandiosa della vita di una Nazione possa esser fatta d'un tratto. No: un compito siffatto impone un lavoro enorme; esso esige da ogni contadino ed operaio decisione ed energia ed uno sforzo pertinace nel suo lavoro >> … Tanto più grave il caso, in quanto si presenta anche l'altra condizione, prospettata da Kurt Eisner, della introduzione in un unico territorio nazionale (sia pur vastissimo) della organizzazione sociale del lavoro e della produzione. La Russia, che ha con un decreto aboliti i suoi debiti con d'estero, non può sperare dall'estero aiuto e fornimento di merci in cambio delle sue immense ricchezze potenziali, se non offre le garanzie, cui i ereditari non sono disposti a rinunciare. Ed ecco il caratteristico messaggio di Cicerin ai Governi dell'Intesa: <> … Cicerin tenta di conciliare l'Inconciliabile, il capitalismo con l'abolizione delle classi, il salariato col socialismo. Non ci toccate il regime sociale della Russia sovietista, dice; egli ma è nella sua riserva il pudore della femmina che si offre, domandando che si rispetti la sua verginità.”

In fine Rodolfo Mondolfo aggiunge in una postilla conclusiva una dichiarazione di Lenin riportata da “L’Avanti” il 23 aprile, dove lo stesso Lenin ammette
“<< che il Socialismo non può essere realizzato che nella misura in cui il capitalismo internazionale ne avrà sviluppate le premesse materiali e tecniche su una scala immensa e su basi scientifiche…>>”,
praticamente concordando con la critica dei vari Rodolfo Mondolfo, Treves, Turati e altri socialisti unitari in Italia e i vari Kautsky, Martov, Rosa Luxemburg, e il SPGB, all’estero. Riferendosi a Marx e a Kautsky, Rodolfo Mondolfo ammicca cheNatura non facit saltus, dicevan gli antichi”.

Intanto nel maggio viene pubblicato da “L’Avanti” l’appello del governo sovietico a firma di Čičerin e Zinov’ev all’Intesa che aveva deciso di riconoscere il governo controrivoluzionario di Kolčak. 

Il 15 maggio sempre del ’19 su “L'Ordine Nuovo”, compare un’aggressiva replica di Gramsci “Leninismo e marxismo di Rodolfo Mondolfo”. Qui Gramsci è così caustico che risulta fuori luogo. Protegge ciecamente la rivoluzione Russa, non considerando che neanche il suo leader ci crede più.
Accusa Rodolfo Mondolfo di essere eccessivamente rigido, formale e pedante:
il suo amore per la rivoluzione è amore grammaticale. Egli interroga e si indispone per le risposte. Domanda: Marx? Gli si risponde: Lenin. Ciò non è scientifico, poveri noi, non può soddisfare il senso filologico dell'erudito e dell'archeologo. E con una serietà cattedratica che intenerisce, il Mondolfo boccia, boccia, boccia: zero in grammatica, zero in scienza comparata, zero nella prova pratica di magistero.”
Gramsci poi si dilunga sull’interpretazione errata di Mondolfo della novella di Gor’kij, opponendo a Mondolfo un contro-argomento leggermente superficiale. Gramsci chiude però con grande stile giornalistico a denotare il suo idealismo di fondo:
Il Mondolfo ha rimproverato ai tedeschi la schiavitù dello spirito. Ahimè, quanti papi infallibili tiranneggiano la coscienza degli uomini liberi e inaridiscono in loro ogni sorgente di umanità.”
La replica di Bordiga al articolo di Rodolfo Mondolfo, “Leninismo e marxismo” viene rilasciata sul “Soviet” in marzo. Bordiga identifica nella prima guerra mondiale la prova che il capitalismo avesse raggiunto il livello di progresso e in particolare al limite della propria capacità produttiva tale da giustificare la rivoluzione sociale. All’osservazione di Mondolfo che il governo dei Soviet non avesse introdotto un sistema socialista, non avesse collettivizzato la terra, e non fosse in grado di produrre a costi di produzione di beni che ne giustifichino il valore, Bordiga replica che:
La differenza sta in ciò: che nel primo caso sottrae ricchezza alla massa dei consumatori italiani in maggioranza proletari, per riversarla nelle tasche dei farmers americani; nel secondo procede alla espropriazione indiretta di quella parte dei contadini russi, che ne è suscettibile, a vantaggio degli operai. Ma ripetiamo, sono condizioni transitorie ...”. 
Infine in ottobre del 1919 ebbe luogo il XVI Congresso del PSI a Bologna dove Turati si trovò a doversi schierare con uno dei suoi storici avversari, l’intransigente Costantino Lazzari, segretario del partito. Entrambi rigettavano l’uso della violenza in Russia. Dall’’altra parte c’era la maggioranza massimalista parlamentarista rappresentata da Giacinto Menotti Serrati, Nicola Bombacci, che divenne il nuovo segretario di partito; proponeva la riscrittura del programma di partito in uno più comunista rivoluzionario. Più a sinistra gli intransigenti astensionisti di Bordiga, che accettavano come i massimalisti, i metodi della rivoluzione bolscevica, ma divergevano su alcuni punti tattici, uno tra tutti l’uso del parlamento. Riportiamo, stralci del discorso tenuto da Turati durante quel Congresso:  
Felice giovinezza, per la quale, dopo oltre un quarto di secolo, ci si ritrova qui a ribalbettare gli stessi identici discorsi che facemmo a Milano nel 1891, alla Sala Sivori di Genova nel 1892, a Reggio Emilia nel 1893. Nel Partito Socialista, come a tavola, evidentemente non si invecchia. A giustificare il preteso antagonismo fra rivoluzionarismo e riformismo, si diceva allora, si ripete oggi, che i riformisti si contentano delle piccole riforme, mentre i rivoluzionari vogliono solo le grandi! Quali sono le piccole riforme? Quali le grandi? Confesso di non raccapezzarmi. Io conosco soltanto le riforme utili, le inutili, talvolta le dannose, ma, se sono riforme socialiste, tutte, a tempo e luogo, sono da coltivarsi …
Si dice ancora, la differenza e nel modo della conquista. Per i rivoluzionari le riforme si strappano colla paura agli avversati … i riformisti invece vorrebbero ficcarci il loro naso e farle essi stessi. Io penso che le riforme largite dagli avversari, sia pure sotto l’incubo della paura, saranno sempre le loro riforme, non saranno le nostre
Sul terreno dell’attuazione, ciò che oggi si battezza massimalismo suppone il popolo maturo, e quindi lo incita alla sovversione violenta e immediata dello Stato, per la rivoluzione economica, alla sostituzione del Soviet al Parlamento e rigetta in un canto, come armi superate, tutti i principi, i metodi, gli organismi, che da trent’anni lavorammo ad affermare, a conquistare, a perfezionare. Questo massimalismo non è altro che l’apologia e l’esaltazione della violenza … non è che la ripetizione ad litteram della discussione che facemmo al Congresso di Genova 28 anni or sono. Gli anziani lo ricordano, per i giovani sarà forse opportuno rievocare.
Allora, nel 1892, si presentava quasi identica la stessa odierna situazione. Mutati appena alcuni nomi, ed aggiunti i nuovi ingredienti, che oggi ci forniscono le rivoluzioni russa ed ungherese e l’ultima guerra, il fondo e sempre quello. Anche allora vi erano tre correnti che si disputavano il campo.
Da un lato un partito anarchico, schiettamente bakunista, che proclamava l’astensione dalle urne, la inutilità, la corruzione e l’inganno del suffragio e dei Parlamenti, l’incapacità della borghesia a darci qualunque seria e concludente riforma, l’assurdo del volersi servire di quelli, che sono organi e strumenti di oppressione di classe, sia pure in maschera democratica, per preparare il socialismo, e quindi la necessità della violenza popolare che attacchi, esclusivamente dal di fuori, gli istituti economici borghesi. Chi ha l’abilità di tagliare un capello in quattro potrà trovare che fra il Galleani d’allora e la corrente attualmente impersonata nell’ing. Bordiga vi sia qualche differenza. Per mio conto sul terreno pratico a me non riesce di vederla.
C’era poi, come v’è oggi, una corrente, anch’essa anarcheggiante, ma al tempo stesso elezionista, per la quale il Parlamento era bensì una porcheria, però si doveva lottare per entrarci, perché le elezioni e la tribuna parlamentare e la tessera ferroviaria e la immunità parlamentare sono per sempre un ottimo mezzo di propaganda. Quello che allora era il cosiddetto ‘Partito operaio’, è diventato, con poche modificazioni, la maggioranza di questo Congresso … Naturalmente il Partito operaio era ‘operaista’: poneva la blouse al di sopra della casacca di panno. I cosiddetti intellettuali erano appena tollerati. Qui vi sono troppi avvocati e professori e piccoli borghesi perché quel criterio possa avere la stessa prevalenza.
E v’era in fine, come oggi vi è, il Partito Socialista ... trascinammo quel Partito operaio … [del] quale Costantino Lazzari è ancora fra noi la testimonianza vivente … verso la conquista del potere, verso una molto più alta comprensione di concetti politici nazioni e internazionali, insomma verso il socialismo. Ne uscì, per allora quel programmino, che trovate ancora sulla tessera del Partito, al quale Lazzari si aggrappa con così mirabile tenacia …
Quel programma, caro Lazzari, è oggi molto invecchiato, come noi pur troppo … quel socialismo che si reggeva su due gambe, una gamba economica ed una politica, oggi appare una concezione alquanto ridicola …
Ed ora tutto questo dovrebbe andare per aria, tutta questa esperienza sarebbe stata una pura perdita! Una nuova rivelazione s’è fatta improvvisamente, come per prodigio. Al socialismo si sostituisce il comunismo, affinché di tanto travaglio non rimanga neppure il nome ed il ricordo alla elevazione della classe proletaria che, via via, secondo le leggi naturali, come più acquista di compattezza, di capacità, di valore, e impara a farsi valere, a improntare di sé l’evoluzione storica, a instaurare nello Stato e nella nazione e nei rapporti internazionali la grande e vera democrazia, quella del Lavoro, con le armi dell’intelligenza, della civiltà, della liberta più sconfinata, si sostituisce un gretto ideale di violenza armata e brutale, la cosiddetta dittatura del proletariato, che esclude d’un sol colpo, della vita sociale tutte le altre capacità, tutti gli latri contributi, tutte le altre classi, e la stessa grande maggioranza dei lavoratori, onde è chiaro che in realtà essa non sarebbe, non potrebbe essere, per lunghissimo tempo, che la dittatura di alcuni uomini sul proletariato, ossia la dittatura contro lo stesso proletariato! E il Partito e la classe sarebbero annegati nella fazione!”. Turati continua, entrando nel merito del sovietismo, anticipando anche critiche che vedremo apparire nello Standard. “Siamo in una fase rivoluzionaria. In Russia, in Ungheria, avemmo già la dittatura del proletariato. L’esempio dell’Ungheria, veramente, non sembra molto incoraggiante: e anche della Russia, chi non si contenti del comunismo sulla carta, sarebbe prudente rinviare ogni giudizio a quando l’esperimento sarà un po’ meglio conosciuto …
Il Soviet! Ecco una parola taumaturgica che fa grande impressione sulla folla [interruzione di Martelli] – Il Soviet è cosa da ridere forse?
[Voce] – Evviva il Soviet!
[applausi calorosi],
[interruzione di Leone] – Lo grida uno che conosce il socialismo, Evviva il Soviet! [applausi e rumori vivaci],
[riprende la parola Turati] – Caro interruttore, non ho detto ne viva ne muoia [grande tumulto, il Presidente interviene] Parli Turati, il quale spiegherà la frase che ha dato motivo a questo tumulto
[altra interruzione] – E cambi sistema [nuovo e più forte tumulto],
[esclamazione di Bordiga] – Signori unitari, congratulazioni pel bel risultato!! … [Turati] – Francamente, potete pensare sul serio che io non senta un rispetto profondo verso la rivoluzione russa? Dovrei semplicemente essere un idiota! In Italia sono stato io il primo ad avere l’onore di ricevere i rappresentanti dei Soviety russi a Milano e di pronunciare in quell’occasione parole – che certo nessuno di voi poté disapprovare – di saluto e di augurio alla rivoluzione russa …
Io dicevo semplicemente che, secondo il mio concetto, il Soviet – equivalente russo del vocabolo italiano Consiglio – non è essenzialmente altra cosa … che la nostra associazione operaia, e il complesso dei Soviety, o Soviet centrale, è in qualche modo la nostra Confederazione generale del Lavoro, a cui la rivoluzione politica ha accordato uno speciale riconoscimento e più ampi poteri. Se domani … il nostro attuale Consiglio superiore del Lavoro diverrà una più grande organizzazione elettiva … e munita di poteri legislativi, ecco che, in qualche modo, noi avemmo il nostro Soviet centrale. Vero è che noi non escludiamo da esso la rappresentanza degli elementi … borghesi... ripudiamo il voto … contro … i contadini, … alla base del nostro Soviet preferiamo le organizzazioni anziché il voto atomistico dei disorganizzati e degli stessi krumiri, che il metodo della elezione di quarto e quinto grado ripugna alla nostra psicologia democratica e antidittatoria … la ingenua credenza che essi [fenomeni che avvengono in Russia] possano trasportarsi di peso in Italia, non [dimostra] altro che l’assoluta mancanza di ogni senso critico e storico. In Italia il congegno pesante e tutto meccanico dei Soviety non durerebbe una settimana, sarebbe rovesciato dagli stessi operai e contadini, ben lontani dalla fatalistica e mistica rassegnazione di poveri mugicchi. … noi abbiamo oggi la grande arma del suffragio universale …
[interruzione di una Voce] – Il suffragio ai soli proletari!
[Turati] – Spetterà e si potrà dare ai soli proletari, quando la borghesia avrà esaurito il suo compito … Altrimenti … scimmieggeremmo Lenin, il quale, in condizioni terribilmente tragiche, si trovò nella necessità, o si poter lusingare, di abolire teoricamente la borghesia – quel quasi nulla di borghesia che esisteva nella Russia degli Czar – ma poi è costretto a rivolgersi agli altri Stati d’Europa e invocare che gli siano mandati dei borghesi, degli ingegneri, dei tecnici pagati borghesissimamente, che gli siano mandati dei quattrini, dei capitali, prodigando in compenso ogni sorta di concessioni, offrendo in pegno il Paese, perché non può far a meno del capitalismo, visto che il vero e completo socialismo, … in Russia e lontano un carro di refe da ogni possibilità di essere anche soltanto iniziato …
Appelliamoci alle statistiche, amici! La statistica non ha preconcetti! Quanti sono i borghesi che votano in Italia, che potranno votare domani? Su 22 o 23 milioni di futuri elettori, saranno 2 o 3 milioni. Otto o nove decimi degli lettori sono proletariato autentico, cioè a dir operai industriali, lavoratori dei campi, lavoratori del mare, piccoli impiegati … o voi credete al suffragio universale, alla capacità e alla coscienza delle masse … o voi credete … che manchi ancora la coscienza politica a gran parte di quelle masse … e allora come instaurerete una dittatura del proletariato che non sia contro la grande maggioranza del proletariato? ... ho ospitato un articolo di un socialista rivoluzionario russo, che era stato fino a pochi giorni prima redattore e corrispondente de “L’Avanti!”, il nostro ottimo e ben noto compagno Vassily Soukhomline [Suchomlin Vasilij Ivanovič], articolo che metteva in luce alcuni aspetti foschi del leninismo... Considerare il proletariato come un orbetto, a cui si debba sistematicamente celare la verità e di cui sia lecito bourrer le crâne con ogni sorta di panzane, impedendogli di formarsi un giudizio proprio, mi è sempre parso una mancanza di rispetto ed un tradimento al proletariato medesimo
[interruzioni, rumori vivaci]
[esclama Zanetta] – Fate come la stampa borghese. È infernale il sistema!
[esclama Bordiga] – Come quell’altro rinnegato di Labriola
[Modigliani ed altri scattano contro il palchetto ove sono raggruppati gli astensionisti, Succede un pandemonio grandissimo. Nella sala i battibecchi sono vivacissimi] …
[Turati] – … Io volevo parlare della Russia come la vedo, con tutto il rispetto con cui vedo la tragica situazione della Russia … Noi consideriamo con illimitato rispetto quei tragici avvenimenti, ma constatiamo che lo scacco toccato alla rivoluzione in Ungheria, e che probabilmente … non risparmierà neppure la Russia, è la conseguenza prevedibile ed inevitabile della sventura di aver voluto, o, poniamo pure, di aver dovuto, per fatalità di circostanza, forse superiore alla volontà degli uomini, passare improvvisamente da un regime zaristico, tirannico, da un regime di miseria e da uno stadio economico semifeudale e medioevale, al cosiddetto bolscevismo, cioè ad un regime di preteso socialismo, alla cui effettuazione mancano talune delle condizioni essenziali … la miseria, il terrore, la mancanza di ogni libero consenso … e infine la pretesa irrazionale di forzare l’evoluzione economica … ha portato e porterà … lo scoraggiamento di qualsiasi attività produttiva e avvererà questo paradosso: che un paese così vasto, ricco di tutte le risorse … per avergli imposto una rivoluzione ad oltranza per la quale e manifestatamente immaturo dovrà varcare attraverso una infinita odissea di dolori, forse di ritorni verso il passato, e nel miglior caso dovrà soffrire, per l’adattamento necessario al nuovo regime, decenni di patimenti e di povertà, mentre fin d’ora è costretto a crear una immensa macchina militaristica, quale non ha alcun altro Stato, e che è un permanente pericolo per qualunque presente o futura democrazia! … La violenza è l’argomento centrale. L’appello alla violenza – di cui ha parlato ieri il Lazzari, ampiamente – è, in fondo, la caratteristica del programma che noi combattiamo. Noi non abbiamo mai ceduto alle virtù taumaturgiche della violenza.
… mi basti citarvi la celebre prefazione del 1895 di Engels … alle ‘Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850’ nella quale egli ripudiava interamente quella teoria sulla opportunità, anzi la possibilità, della violenza … dopo aver lamentato l’enorme salasso di sangue … della Comune parigina aveva constatato, onde … si ebbe per parecchi decenni l’anemia e l’arresto di ogni movimento proletario … : << Comprende ora il lettore [prosegue Engels] per quale motivo le classi dominanti ci vogliono ad ogni costo trascinare colà, dove il fucile spara e fende la sciabola? … Comprende ora il lettore perché ci si accusa ora di vigliaccheria, quando non scendiamo senz’altro nelle strade, dove siamo in precedenza sicuri della sconfitta? E perché con tanta insistenza si invoca da noi, che abbiamo una buona volta da prestarci a far la parte di carne da cannone? Questi signori vanno sciupando i loro inviti e le loro provocazioni. No, non siamo così grulli! >>. Se scrivesse oggi in Italia – povero Federico Engels! – pur troppo dovrebbe correggere e scrivere ‘no non eravamo così grulli’ … dove si tratta della completa trasformazione dell’organismo sociale, è necessario avere con se le masse, le masse contadine sovratutto, già consce …

Oh! Io non nego la violenza sporadica. Essa può ben avvenire, non lo nega neanche Lazzari. Non è il caso di provocarla, ma potrebbe scoppiare spontanea, e potremmo, nostro malgrado, trovarci a doverne limitare i danni o tentare anche di cavarne qualche frutto... Ma, quando invece si pretende adoperarla per miracolose improvvisazioni socialiste, la violenza non è altro che il suicidio del proletariato … ”

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