Introduzione
Abbiamo in
precedenza, anche se alquanto superficialmente, trattato della reazione degli
intransigenti rivoluzionari di sinistra ovvero gli scissionisti comunisti di
Livorno (21 gennaio 1921), con l'articolo di Gramsci "La Rivoluzione
Contro il Capitale" pubblicato su “L'Avanti” il 24 novembre 1917, e la
reazione di Bordiga su “L’Avanguardia” nel dicembre del 1917. Aggiungiamo qui
alcuni dei loro commenti in merito agli attacchi critici dei socialisti unitari,
ma non riporteremo nella loro completezza le analisi dei due marxisti sulle
quali e sui quali molto è già stato scritto. Per completezza si dovrebbe anche
analizzare la reazione di Giacinto Menotti Serrati, direttore de “L'Avanti” al
tempo della rivoluzione d'ottobre, e leader di fatto della corrente a quel
tempo maggioritaria all'interno del PSI, ovvero quella massimalista,
rivoluzionaria, parlamentare. E della reazione un po’ tardiva degli anarchici
italiani, come quella del vecchio Errico Malatesta, e dei suoi discepoli Luigi
Fabbri e Armando Borghi. Tuttavia, queste meriterebbero una trattazione
separata. Basti ricordare che Serrati si espresse sempre in favore
di Lenin fino alla questione dalle 21 condizioni di ammissione alla Terza
Internazionale che portarono alla scissione di Livorno nel 1921; mentre gli
anarchici videro nel centralismo leninista una conferma della critica bakuniana
al supposto “autoritarismo marxista”.
Critica Sociale sul leninismo
Già il 6
novembre un dispaccio della Stefani annuncia il tentativo dei massimalisti russi
di impadronirsi del potere in Russia, presa del potere che viene confermata
l’8. Con l’articolo di Ing. dell’11 si incominciano ad avere le prime notizie
sulla rivoluzione di Ottobre. Il gruppo parlamentare, notoriamente riformista,
si esprime dapprima positivamente nei confronti della presa del potere di
Lenin, come confermato dall’intervento alla Camera di Modigliani nel dicembre.
Il corrispondente Ing. con i suoi ultimi articoli per “L’Avanti” sempre in
dicembre delinea una presunta convergenza dei bolscevichi con i
socialrivoluzionari e i menscevichi internazionalisti, la quale viene smentita
dalla agenzia Stefani con un dispaccio del 22 gennaio, dichiarando lo
scioglimento dell’Assemblea Costituente. Nonostante con una certa cautela, le
prime aperte critiche al bolscevismo appaiono tra le file dei socialisti
unitari.
Nel primo
numero di gennaio del 1918 di “Critica Sociale”, compare un articolo di Claudio
Treves, firmatosi “Very-Well”, riportando un articolo di Julius Martov, leader
dei menscevichi internazionalisti, il quale lo aveva indirizzato il 16 di
dicembre a un giornale francese. Questo articolo era già stato pubblicato da
“L’Avanti” il 25 dicembre accompagnato dal commento di Serrati a sostegno di
Lenin.
Qui Martov
sottolinea il:
“carattere
utopistico del movimento leninista, che cerca [di] introdurre il
collettivismo in una Russia arretrata economicamente, contro la volontà della
maggioranza del popolo, con la forza armata dei soldati, stanchi della guerra e
pronti a sostenere qualsiasi partito che prometta la pace immediata.
Il nuovo
Governo si vede così obbligato ad usare il terrore contro la maggioranza del
popolo, ostile ad una dittatura militare. Ne risultano persecuzioni arbitrarie,
la soppressione della libertà di stampa e di riunione. Parecchi socialisti sono
stati messi in carcere…
Attualmente
Lenin e Trotzky rifiutano di riconoscere la sovranità della Costituente, la cui
maggioranza è composta di socialisti non massimalisti. Per ottenere una
maggioranza leninista, parecchi membri della Costituente furono arrestati,
compresa tutta la minoranza borghese.
Ecco perché
la minoranza marxista della classe operaia è obbligata a tenersi lontana da
questa pretesa dittatura proletaria ed a lottare contro questo regime del
terrore, che con la guerra civile fra operai e contadini metterà capo
fatalmente al trionfo della controrivoluzione.
Finché la
maggioranza della classe operaia non abbia obbligato il Partito di Lenin a
rinunziare alla dittatura ed a riconoscere il suffragio universale, per formare
un Governo di coalizione fra tutti [i] partiti
socialisti russi, di sinistra o di destra, la situazione resterà minacciosa.”
Claudio
Treves commentava cautamente di aver già messo in guardia dai tempi di
Zimmerwald sulla differenza che correva tra il pensiero di Lenin e il marxismo
ortodosso. Poi riferendosi all’articolo di Gramsci sopra citato, critica ironizzando,
sull’idea che:
“i decreti
di Lenin superano la storia, cioè sorvolano i periodi della evoluzione della proprietà.
Coi decreti si salta a piè pari l’era borghese industriale, si passa dalla
economia patriarcale agraria al collettivismo! … Qui ci pare chiarissimo che
non si abiura più soltanto il Capitale, ma financo il Manifesto”.
Poi con
cautela Treves giustifica quasi “l’azione
di Lenin”, la quale:
“Forse…
risponde ad uno stato caotico di necessità storica contingente, e non aspira
per nulla a costituire regola universale di trasformazione socialista”.
Ammonendo al contempo che:
“tale azione è
fortemente contestata dai marxisti di Zimmerwald come Martoff ed Axelrod. [e]
Un gruppo di 109 socialisti
rivoluzionari…”.
Poi Treves
consiglia che:
“Nulla
sarebbe più insano che impegnare il socialismo occidentale per il socialismo di
Lenin contro il socialismo dei socialisti rivoluzionari della Costituente.”
Già
intuendo il futuro ideale ruolo da moderatore della nuova internazionale:
“Dicesi che
Lenin e Trotzky alla Costituente intendano rispondere con la Convezione.
Guai alla rinascente Internazionale se parteggiasse e desse
all’una o all’altra istituzione la palma del Socialismo ”.
Lenin
secondo Treves potrebbe essere ancora nel giusto condizionato dalla singolarità
russa:
“Lenin
professa il marxismo di Martoff e di Axelrod; se se ne scosta, così grandemente
nell’azione, deve essere per effetto di circostanze, a noi mal note, le quali,
se pure, in ipotesi, porterebbero in Russia – contro Martoff – giustificare
Lenin, non giustificherebbero mai … i leninisti di Europa…”.
In quel
periodo Claudio Treves, come del resto molti altri, si trovano a commentare le
trattative della pace separata tra Russia dei Soviet e Germania a Brest-Litovsk,
e se in un primo momento elogia il rifiuto dei delegati russi nel firmarla poi
con gli altri del gruppo parlamentare si ritrova a condannarla seppur
giustificando in qualche mondo i rivoluzionari russi messi alle strette.
In aprile,
sempre del 1918, “Very-Well” esce con una altro articolo sulla questione russa
intitolato “Menscevichi contro Bolscevichi”. Qui riporta l’Appello del
Congresso straordinario del Partito Socialista Democratico Operaio Russo Unificato
a tutta l’Internazionale, a tutti i partiti socialisti dei Paesi belligeranti e
neutri. Treves riassume le note salienti dell’Appello nella critica ai metodi e non ai fini dei bolscevichi:
“l’accusa, troppo provata, di terroristica
tirannia… e l’accusa, anche quella non dubbia, di avere i bolscevichi portato
il principio sacrosanto dell’autodecisione dei popoli fino al più
sfrenato individualismo di gruppi sovrani, d’onde la guerra interna dei nuovi staterelli
e la via parta alla Germania per qualunque intervento pacificatore (!).
Qui lo spirito un po’ romantico dell’anarchismo bakunista e blanquista
prese fatalmente il sopravvento nella politica bolscevica, soffocando e
distruggendo ogni squisito senso marxistico di organicità socialista.”
L’Appello
riportato integralmente su “Critica Sociale” contiene passaggi molto
interessanti, quali:
“Avendo
promessa la dittatura del proletariato e dei contadini più poveri, Lenin e
Trotzky hanno in realtà fondato un regime di dittatura personale sopra tutta la
democrazia … I bolscevichi hanno realizzato il cosiddetto controllo operaio
sulla produzione, cioè a dire l’usurpazione e l’amministrazione delle aziende
commerciali da parte degli operai stessi di ciascuna azienda. Essi hanno
chiamato questo provvedimento una tappa verso il socialismo. In verità essi non
hanno che distrutta la vita industriale, commerciale ed economica. Tutto il
Paese è minacciato del pericolo formidabile della disoccupazione, della fame e
della rovina completa di tutta la vita sociale. Durante la lotta contro il
potere precedente, i bolscevichi, in nome delle idee anarchiche federaliste, hanno
contribuito alla dissoluzione della Russia in una serie di Distretti isolati,
ed ora essi fanno la guerra a quegli stessi Distretti autonomi i quali
rifiutano di sottomettersi ala loro dittatura. Così la guerra civile provocata
dai bolscevichi in seno alla democrazie per forzarla a riconoscere il loro
potere ed a servirlo, e durante la quale essi hanno bombardato Mosca ed eccitati
i soldati ad azioni sanguinarie, è attualmente una guerra dei Distretti e delle
singole nazionalità tra di loro ed è un colpo mortale per l’infelice Paese …
Trotzky ha
dichiarato che la libertà della stampa è un ‘pregiudizio borghese’, che ‘fino
alla realizzazione completa del Socialismo’, la stampa borghese deve essere
abolita; non solo si proibirono i giornali borghesi, ma anche i socialisti e si
riempirono le carceri di detenuti sottomessi ai trattamenti più terribili:
insulti e minacce da parte dei soldati, dei marinai, della guardia rossa
continuamente a ciò eccitata …
I
bolscevichi han fatto propri tutti i metodi dell’antica polizia czarista: hanno
introdotto la polizia segreta, le perquisizioni notturne, le imboscate nelle
case, gli interrogatori capziosi e persino l’estorsione dei costituiti mediate
la minaccia della fucilazione immediata ...
Insomma
questa dittatura sedicente socialista, con la sua parodia di legislazione
socialista, sta screditando l’idea stessa del Socialismo e distruggendo coi
suoi metodi di dominio le nuove basi di una Repubblica democratica russa …
Noi,
socialisti democratici russi, ci rivolgiamo ai socialisti di tutto il mondo per
chiedere loro di salvare la Rivoluzione russa, che è la nostra causa comune.
Noi vi proponiamo di convocare immediatamente una Conferenza socialista internazionale
a fine di organizzare una pressione internazionale del proletariato su tutti i
Governi imperialisti per conchiudere una pace veramente generale e democratica
in luogo dell’accordo separato che sta per essere concluso fra i bolscevichi e
gli imperialisti tedeschi e che minaccia del più grave pericolo, non soltanto
la Russia, ma tutto il mondo civile.”
Anche
Bordiga interviene in questa polemica con una serie di articoli pubblicati su
“L’Avanti” nel febbraio del 1918, commentando gli articoli di Treves, “Lenin,
Martoff… e noi”; e di Gramsci “La rivoluzione contro il Capitale”. Bordiga scrive:
“Se anche si
volesse limitare tutto il ‘comunismo critico’, dottrina della emancipazione del
proletariato che il proletariato stesso elabora di continuo e ‘rappresenta’
nella storia, alle risultanze cui giungevano Marx ed Engels all’epoca del Manifesto,
potremmo sempre ricordare che essi ritenevano possibile la rivoluzione
comunista nella Germania del 1847, socialmente e politicamente quasi feudale ed
ancora in attesa della rivoluzione borghese … Perché dunque negare alla Russia
del 1917 le condizioni tecnico-economiche della Germania del 1848, perché
cavillare sulle condizioni politiche della conquista proletaria del paese,
quando il successo ne prova all’evidenza la maturità? (…)”.
A contrastare le denunce di Martov, dei
menscevichi e dei socialrivoluzionari c’è l’appello dei bolscevichi ai
socialisti europei redatto da Maksim M. Litvinov, ambasciatore bolscevico a
Londra, pubblicato da “L’Avanti” il 25 agosto, che sottolinea l’appoggio delle
masse a favore dei bolscevichi.
Anche Turati in un articolo
commemorativo per la scomparsa di Plechanov nel giungo del 1918, coglie
l’occasione per commentare la svolta presa dalla Russia con la rivoluzione i
Ottobre, scrivendo:
“il giorno
auspicato che la rivoluzione in Russia parve aprisse alfine un adito alla
realizzazione iniziale dell’idea per la quale egli aveva così duramente lottato
e sofferto, quel giorno stesso quell’uomo vide le sorti del suo Paese infilare
una via tutta diversa, vide l’utopismo antico riprendere ad un tratto il
disopra e si vide abbandonato e rinnegato dal movimento a cui aveva consacrato
tutto se stesso.”
A questa
lettera di Turati replica Serrati su “L’Avanti” in Scampoli-Giorgio Plekanoff dove ancora in difesa del colpo di Stato
bolscevico spiega:
“il marxismo di Plekanoff non volle riconoscere la
possibilità immediata della repubblica comunista in Russia. Il fattismo di
Lenin e Trotsky ci dà da sette mesi la repubblica in atto. E Turati vorrebbe
che crepasse la repubblica sociale piuttosto che confessare che la sua logica e
quella di Plekanoff hanno preso un granchio secco.”
Intanto, nel settembre 1918 al XV Congresso di Roma, Turati
si trova ancora coinvolto nella polemica sull’indipendenza nazionale. La
polemica verte sulla posizione dei socialisti unitari di collaborazionismo del gruppo
parlamentare e sulla difesa dei confini nazionali dall’invasione austro-tedesca.
In merito alla difesa nazionale, Turati dimostra come gli stette stretta la
posizione in apparenza antimilitarista del PSI di “neutralità assoluta”, col suo celebre “né aderire né sabotare”. Antimilitarista proclamato, Turati però, probabilmente,
memore dello spirito irredentista della generazione che lo aveva preceduto, si
espresse a favore della difesa dei confini nazionali, e si giustificò dicendo
che tutto il gruppo parlamentari era solidale, e che l’invasione tedesca
avrebbe danneggiato molto i proletari e le sue future rivendicazioni socialiste
“se il dominio dell’elmo chiodato e dello
junkerismo” si fosse consolidato. “L’indipendenza
nazionale è un vantaggio, una forza, una necessità”. Fa menzione alla
repubblica dei “Soviety” affermando
che “a parole” l’instaurazione della
repubblica dei Soviet “non fa una grinza,
ma poi, sul terreno dell’azione i cosiddetti
‘coefficienti di riduzione’ si impongono ... bisogna pure agire secondo
determinate norme e regole, rassegnarsi a dati adattamenti, accettare pel meno
peggio, date transizioni …”.
Al XV Congresso anche Modigliani solleva aperte critiche
nei confronti di Lenin e dei bolscevichi, riaffermando il ruolo chiave dei
menscevichi e dei socialrivoluzionari nel preparare la rivoluzione russa e
mette in guardia dall’improvvisare un’azione rivoluzionaria in Italia.
In ottobre dello stesso anno viene pubblicato un
resoconto di Junior intitolato “Il Terrore”, precedentemente pubblicato su “L’Avanti”.
Questo andava a confermare quello che era già stato riportato da Martov subito
dopo il colpo di stato bolscevico.
“Trotzky … proclamò
la necessità di ripetere in Russia il ‘Terrore’ della Rivoluzione francese … La
pena di morte fu francamente introdotta alla fine di febbraio.
… L’ironia
della storia volle che fossero proprio questi pretesi ‘Comunisti’ i più
inesorabili repressori delle offese alla proprietà privata. È un po’ nella tradizione
del popolo russo – vissuto sempre in regime di violenza … ‘rasprava’, cioè
la punizione immediata senza garanzie di giudizio … Toccava alla rivoluzione di
legalizzare questi metodi inumani e sommari … Lo stesso Lenin, … il 18
novembre, una settimana dopo il colpo di Stato, aveva diramato un dispaccio
circolare ai soldati, operai e contadini, quanto dire a tutta la popolazione,
nel quale diceva: <> …
Così l’atmosfera
s’impregna di violenza …
E la
Conferenza, che rappresentava centomila operai delle Officine Pietrogradesi,
votava questa dichiarazione: << Nelle strade e nelle case, di giorno e di
notte, gli assassini si succedono. E non sono solo i banditi che uccidono o
sono uccisi. Sono gli agenti responsabili del Governo dei Soviet, che,
sotto il pretesto di opporsi alla controrivoluzione, ammazzano cittadini pacifici,
operai, contadini, studenti, soldati, senza giudizi, senza istruttorie,
tranquillamente, a sangue freddo, in nome nostro, in nome del proletariato
rivoluzionario! Or noi, rappresentanti della classe operaia, dichiariamo
davanti al Paese che questi massacri sono una vergogna per la Rivoluzione e per
il Socialismo. Noi separiamo con indignazione la nostra responsabilità da
questi abomini, e invitiamo tutti gli operai, tutti gli onesti, ad unirsi alla
nostra protesta, invocando un pubblico giudizio contro i colpevoli …>>
I
bolscevichi … che, sotto gli Czar, condannavano gli attentati ‘individuali’,
predicano ora quotidianamente il ‘Terrore rosso della massa’ (krassny
massovy terror) come mezzo per imporre la volontà della classe operaia alla
borghesia; e questo Terrore conduce ai massacri di Sebastopoli, dove i marinai,
in due giorni, uccisero nella prigione 400 supposti capitalisti; a quelli di
Rostow, dove 1000 fucilazioni seguirono la sconfitta di Kornilof; a quelli di
Kiew, dove a centinaia i cosacchi (gaidamaki) ucraini, gli ufficiali e
gli allievi ufficiali erano fucilati …
Come
l’anacronismo storico, che pretende improvvisare il socialismo d’un colpo in un
ambiente quasi medievale, analfabeta e uscito ieri di schiavitù, non può
condurre che alla bancarotta del Socialismo e a nuove violente ripartizione
individualistiche anziché alla socializzazione della proprietà, così, nelle
stesse condizioni, la anticipata e impossibile ‘dittatura del proletariato’ non
può condurre che ai vani massacri. Nel suo opuscolo dell’ottobre scorso: ‘Potranno
i Bolscevichi mantenersi al potere?’ Scriveva lo stesso Lenin: << La
Russia, dopo la Rivoluzione del 1905, fu governata da 130.000 proprietari di
terre (pomiesciki); e mi dicono che i 240.000 [affiliati] al partito
bolscevico non potranno governare la Russia!>>, Il paragone fra il regime
di Stolypin e quello di Lenin, ahimè! Non è che troppo vero!”
A seguire nello stesso numero di Ottobre, “Critica Sociale”
propone la lettura del pamphlet, ancora inedito in l’Italia, di Karl Kautsky
“Democrazia e Dittatura (A proposito della dittatura bolscevica in Russia)”:
“Per noi la lotta di classe
proletaria conduce alla emancipazione del proletariato, … Per emanciparsi, il proletariato de[v]e contare su se stesso, non già attendere l’aiuto
di altre classi sociali. Ma, per sviluppare le proprie forze intellettuali e le
proprie capacità organizzative, gli è indispensabile un regime democratico. …
Se in tutti questi casi il trionfo della democrazia non dà, i risultati
desiderabili, questo dimostra non già l'inutilità del regime democratico,
ma soltanto l’immaturità del proletariato, o delle condizioni sociali, nelle
quali si svolge la sua lotta.
… ‘La violenza - scrive Marx nel Capitale - è la levatrice di ogni
vecchia società, che stia per partorirne una nuova’. Qui non si allude alle
uccisioni e ai massacri ma alla forza concentrata e organizzata nello Stato, di
cui la classe vincitrice deve impossessarsi.
… Ma ogni partito democratico, il socialista compreso, nuocerebbe a sé e
alla causa del proletariato, se, essendo una minoranza che s'impadronì del
potere per favore dì circostanze, fortuite, si sforzasse di mantenerlo contro
la volontà della maggioranza, in onta ai principi democratici.
… I blanquisti, … , vagheggiavano la dittatura, non di una persona, ma di
una minoranza.
Marx ed Engels, pur subendo agli inizi la influenza del blanquismo, presero
però a, criticarlo. … Nella ultima edizione della nota prefazione alla ‘Lotta
delle classi in Francia’, Engels dichiara le conclusioni a cui egli e Marx
erano alla fine arrivati: << Il tempo delle rivoluzioni, compiute
coll'impossessamento improvviso del potere ad opera di piccole minoranze
coscienti, a capo di masse inconsapevoli, è definitivamente passato.
Trattandosi di un radicale riordinamento dell'assetto sociale, sono le masse
che devono esse stesse parteciparvi, ed essere in grado di intendere a che cosa
debbano prestare il loro concorso. Questo ci ha [insegnato] la Storia dell'ultimo cinquantennio>>”
Nel dicembre del 1918 in occasione della riunione delle
rappresentanze socialiste e sindacali indetta dalla direzione del Partito a
Bologna, nell’ordine del giorno, Turati ribadisce il suo scetticismo verso la
rivoluzione bolscevica:
“che la Repubblica Socialista possa ovunque
crearsi e consolidarsi con un atto istantaneo e prodigioso di volontà da parte
di esigue minoranze, malgrado la ostilità e l’incoscienza del maggior numero, e
senza che ne siano gradualmente apprestate le condizioni obbiettive, tecniche,
economiche, e morali, e soprattutto la capacità e gli organismi proletari che
ne assicurino il durevole funzionamento, svaluta e rende impossibile l’azione
di conquista di tali condizioni, e distrugge quindi la possibilità della
stessa effettuazione massimalista del socialismo”.
In questa occasione Turati conferma però la chiara
tendenza a volere esaltare il ruolo delle riforme del sistema capitalista; una
tra tutte, quella della “universalizzazione
del suffragio, che ha in se tutti i poteri costituenti”, aggiungendo che
tali
“riforme … costituiscono la grande e solida
scala, per la quale soltanto il proletariato può, senza inganni e senza delusioni,
raggiungere realmente la propria emancipazione, la soppressione delle classi e
del dominio di classe, la giustizia e l’eguaglianza supreme del socialismo”.
Un interessante dibattito si apre nel gennaio del 1919 su
“Critica Sociale”, grazie ad una pessima lettera di un pessimo Arturo Labriola
(da non confondere con il rispettabilissimo Antonio), indirizzata a Turati, in
cui dopo un passato da sindacalista rivoluzionario e massone, Arturo Labriola, si
riscopre “leninista doc”. Oltre alla risposta di Turati questa lettera innesca
la risposta di Rodolfo Mondolfo da cui poi a sua volta scaturirà la risposta di
Gramsci e Bordiga. Riportiamo qui, in
primis, Turati al quale la lettera è indirizzata.
“Per noi, per i lettori comuni, … , il Marx delle tremende filippiche,
contro Papa Michele (Bakunine - 'che era un po', mutatis mutandis, il
Lenin de' suoi tempi), rappresentava il socialismo che, per lui e con lui,
aveva cessato di essere utopismo - utopismo di pensiero o, peggio, utopismo di
fatti - per diventare il ‘socialismo scientifico’ ”
e ironizzando sull’interpretazione di Arturo Labriola,
Turati aggiunge:
“Orbene, tutto questo non sarebbe dunque che leggenda! Ecco infatti un Marx
diventato l'ajo di Lenin, il teorico di un socialismo precapitalistico, di una
dittatura proletaria quasi senza proletariato, di un Comunismo del domani nel
perdurante Medio Evo, e in cui la deficienza delle condizioni materiali e
tecniche della sua esistenza può essere compensata - dice Labriola - << da un eccesso in
altro senso, nel senso morale ...>>
Ma l’argomento capitale di Arturo Labriola ci sembra un argomento ... di
forza maggiore. Che cosa poteva fare - egli chiede - il povero Lenin (Labriola
veramente scrive: il proletariato russo; ma la correzione è necessaria)
costretto dalle circostanze a prendere il potere? Poteva egli rinunciarvi e
mandare alla cuccia il proletariato, o magari fargli rimettere la museruola? …
il proletariato, se è immaturo, non ha alcun interesse ad assumersi il
potere direttamente, per fare, senza competenza, il gestore d'affari più delle
altre classi che della propria.
… Ma forse, caro Labriola, la cagione profonda del nostro dissenso è, a
frugar bene, altrove da dove la cerchiamo. È nel fatto - non impennarti! - che
tu hai creduto e forse credi ancora nella guerra. In fondo, se bene ci
ripensi, è tutto un problema. Noi non crediamo nella guerra: né nella guerra
barbara, né in quella ... civile. Non crediamo neppure in Montecarlo.
Detestiamo i salti nel buio.
- soprattutto perché inutili - e ci rifiutiamo di salutare in essi il
‘fatto’ che trionfa e la ‘storia’ che passa.
Come già menzionato anche Rodolfo Mondolfo volle
replicare ad Arturo Labriola con una serie di articoli intitolati “Leninismo e
Marxismo” dal febbraio 1919 al maggio. Chiamando in causa il celebre articolo
di Gramsci “La rivoluzione contro il Capitale” (del dicembre 1917):
“… non
ha forse qui fra noi ‘L’Avanti!’ presentata ed esaltata l’azione dei leninisti
siccome la rivoluzione contro il Capitale? L’iniziale maiuscola non
significava certo in questo caso un imprevisto rispetto verso la privata
detenzione dei mezzi di produzione e di scambio, ma voleva designare l’opera
massima di Carlo Marx, la sua teoria della storia e della rivoluzione.
… Tutta la storia de la vita umana per lui [Marx] è rovesciamento della praxis, vale a
dire è un moto dialettico, per il quale le condizioni esistenti suscitano e
stimolano le forze che debbono rivolgersi contro di esse per superarle, ma, d’altra
parte, l'attività superatrice non può operare se non sulla base delle
condizioni esistenti: per tal modo le condizioni reali hanno una duplice
funzione di impulso e di limite alle aspirazioni, alle volontà e all’azione e
degli uomini.
… Ecco la teoria marxistica, delle epoche rivoluzionarie, che, non
si saprebbe meglio esprimere, se non ricorrendo alle classiche parole della
prefazione alla Critica dell'Economia politica, nella quale è condensato
il succo essenziale di tutto il marxismo.
<< A un certo punto del loro sviluppo le forze produttive della
società entrano in conflitto con i rapporti di produzione fin allora esistenti,
ossia con rapporti di proprietà, nel cui àmbito quelle forze si erano mosse.
Allora tali rapporti sociali, che sin qui erano stati favorevoli allo sviluppo
delle forze di produzione, si tramutano in loro ostacoli. Subentra allora
un'era di rivoluzione sociale.>>
La rivoluzione dunque, secondo Marx, insorge quando lo sviluppo trova un
arresto al suo procedere … Marx ha voluto anche determinare quali condizioni
siano necessarie perché si compia una rivoluzione, …
<< Una formazione sociale (egli prosegue) non tramonta prima che
siano sviluppate tutte le forze produttive, che essa è capace di dare; e nuovi
rapporti sociali non si sostituiscono ai vecchi, prima che le loro condizioni
materiali di esistenza non si siano schiuse precisamente in seno all'antica
società >>.
Ecco, preciso e reciso, il pensiero di Marx: nella storia anche, anzi sopra
tutto quando si tratti di rivoluzione, non c'è posto per azioni e creazioni
arbitrarie; …
Lenin quindi ha lasciato, e non poteva altrimenti, che tutta la massa dei
nuovi piccoli proprietari, che costituisce pure l'enorme maggioranza della
popolazione russa (c'è chi dice i nove decimi), restasse estranea al regime
socialista, dal quale anzi forse i piccoli proprietari d'oggi sono più distanti
che non fosse il proletariato rurale di ieri. L'azione del leninismo rimane
pertanto grandemente limitata, restringendosi alle città e alle industrie; e,
poiché le città dipendono per la sussistenza dalla campagna, il regime socialista, che forma le isole nel
persistente mar della proprietà privata, si trova costretto a fare i conti col
regime di questa, e, ad adattarsi alle sue esigenze, e a subire tutto l'impero
delle leggi, economiche proprie degli scambi commerciali, col rapporto fra la
domanda e l'offerta, e le oscillazioni nel valore della moneta, e via dicendo.
Le aziende socializzate pertanto non debbono preoccupassi soltanto della
intensità della produzione per corrispondere ai bisogni degli associati, ma
anche del costo della produzione, perché gli associati debbono produrre merci
per lo scambio con i contadini, dai quali, dipendono per il nutrimento.
Delle aziende industriali, le più importanti (non tutte) sono state
socializzate; ma con quali risultati? L'Economist di Londra e Luigi Einaudi,
che ci offrono qualche dato, non avran certo simpatie per i Soviety e per Lenin
; ma la Pravda, che ne è l'organo ufficiale, dava il consuntivo di fabbriche
socializzate, in cui la produzione di merci, vendute poi per 3 milioni di
rubli, ne era costata 4; e Muchanoff, che è un delegato del Soviet, dichiarava
che la produzione, delle fabbriche socializzate dà in media un valore che
raggiunge soltanto una metà o un terzo del costo di produzione … Le cause? ... Non
sappiamo né possiamo dire: certo però si tratta di uno stato di cose, che
soltanto artificiosamente e con mezzi violenti può esser mantenuto, e non certo
per un tempo indefinito.
Tanto più che gli effetti si fan già risentire direttamente sullo stesso
proletariato. Giacché il Governo leninista, che spende due o tre per aver uno,
colma il vuoto con la fabbricazione continua della carta-moneta, il cui valore
quindi, precipita in guisa, che non è sufficiente a farvi fronte l'aumento dei
salari agli operai. E, quando gli operai tendono per ciò ad emigrare dalle
città, in cui sono le fabbriche, ai luoghi ove il costo della vita è minore, il
Governo di Lenin si trova costretto, per il funzionamento delle fabbriche, a
proibire agli operai di emigrare dalle città senza permesso del Soviet.
Simili fatti possono ben giustificare i più gravi dubbi sul beneficio che
la causa del socialismo, sia per trarre nell'avvenire dall'esperimento
leninista, e sulla sua riuscita durevole in Russia. Una rivoluzione può
trionfare ad un solo patto: di rappresentare una somma di benessere maggiore di
quella data dal vecchio regime, per una massa più vasta che non fosse quella
che nel precedente assetto sociale trovava il suo vantaggio.”
Rodolfo Mondolfo conclude questo primo articolo con un
passo molto interessante tratto da
“Guerra dei contadini” di Engels:
“<< Il peggio che possa capitare al capo di un partito estremo è il
venir costretto ad assumere il potere quando il movimento non è ancor maturo
per il dominio della classe ch'esso rappresenta e per l'attuazione delle misure
che la signoria di questa classe richiede. Quel ch'esso può fare non dipende
dallo sua volontà, ma dal punto che i contrasti di classi hanno raggiunto e dal
grado di sviluppo delle condizioni materiali d'esistenza, della produzione e
dal traffico, sulle quali si fondano i conflitti di classe. Quel ch'esso deve
fare, quel che il 'suo partito chiede da lui, nemmen questo dipende dalla sua
volontà, ma non dipende nemmeno dal grado di sviluppo della lotta di classe;
esso è legato alle sue dottrine, al suo programma, i quali, a loro volta, non
originano dai conflitti delle classi in quel dato momento e dallo stato più o
meno casuale della produzione e del traffico, ma dalla sua maggiore o minore intelligenza
e penetrazione dei risultati del movimento politico e sociale. Esso si trova
così preso in un insolubile dilemma: quel ch'esso può fare, contrasta con tutta
la sua condotta precedente, coi suoi principi e con gl’immediati interessi del
suo partito; e ciò che esso deve fare non è attuabile.... Chi capita in
una tale disgraziata posizione è irrimediabilmente perduto >>.”
Nei numeri di aprile e maggio dello stesso anno, Rodolfo
Mondolfo prosegue con un articolo intitolato
“Leninismo e Socialismo” dove entra
nel merito di come i bolscevichi, rifacendosi a racconti di Gor’kij, stavano
attuando la rivoluzione del sistema economico e se questa fosse effettivamente
conciliabile con il Socialismo:
“La coscienza socialista (universalistica) non s'improvvisa con decreti o
con predicazioni, là dove sia mancata la proletarizzazione industriale, che,
sola, è capace di far sentire al proletariato - attraverso la formazione
graduale e progressiva di una coscienza unitaria di classe - la sua universalità
e internazionalità. In una comunità chiusa come il mir, sia pure a regime
interno comunistico, la coscienza che si forma è particolaristica, il mir è
come una famiglia più vasta, che ha però, di fronte alle altre famiglie,
interessi suoi particolari, che non si fondono e non s'unificano nella visione
di tutto un mondo umano.
Qui abbiamo, nel mir della regione dell'Obi, una comunità che,
appropriandosi dei mezzi di produzione comuni, nella mancanza assoluta di
quella coscienza universalistica, che solo nel proletariato industriale può
trovare le condizioni attive della sua formazione, sfrutta le altre comunità
circostanti. Ma l'accumulazione di danaro, che si compie da una comunità, tende
a romperla e a generare la sete individuale di appropriazione, e il passaggio a
più tipica forma di economia capitalistica … Socialismo significa abolizione
della divisione delle classi e della soggezione economica di uomini ad uomini:
sotto tale rispetto esso rappresenta la più radicale e completa rivendicazione
di libertà. Ma il concetto di libertà, che esso rivendica, non è puramente
negativo (soppressione di ogni residuo di schiavitù dell'uomo all'uomo); ma è
eminentemente positivo (conquista delle condizioni, per le quali l'uomo può
sentirsi veramente libero … Kurt Eisner, si è trovato a svolgere la sua azione
in un paese immensamente più progredito che non Lenin: la Baviera, industrialmente
sviluppata, era infinitamente più matura che non la Russia, ‘per così gran
parte immersa ancora in uno stato precapitalistico’. Ebbene, ecco come parla
Kurt Eisner, nel dettare, il 15 novembre 1918, il Programma del Governo:
<< Noi riteniamo necessario di non lasciar dubbi intorno ai nostri
immutati scopi socialisti. Dichiariamo però apertamente e pubblicamente, che ci
pare in un tempo nel quale la produzione sembra esausta, il trapasso immediato
delle industrie in mano di tutta da società. Non si può socializzare quando non
c'è nulla da socializzare. È opinione di Carlo Marx che la produzione debba
passare nelle mani di tutta la società quando le forze produttive si sono di
tanto sviluppate, che il capitalismo viene per esse a costituire un troppo
ristretto limite, una soffocazione.
D'altra parte a noi sembra impossibile di introdurre in un unico territorio
nazionale l'organizzazione sociale del lavoro e della produzione ... Ma noi
siamo altrettanto convinti che anche adesso ... lo spirito socialista possa
fertilmente operare >>. ... Quando invece il condottiero si chiama Lenin,
afferma e tenta l'attuazione immediata del programma massimalista. … In
condizioni di economia non ancora giunta al completo sviluppo
dell'industrialismo e, più ancora, in economia ancora arretrata, l'accumulazione
capitalistica ha precisamente questa funzione di sviluppo … Tutto ciò non è
sfuggito neppure alla mente di Lenin, che è pur uomo di pensiero e di dottrina:
<< sarebbe un errore enorme (egli diceva nel maggio 1917 al
Congresso dei contadini) credere che una trasformazione così grandiosa della
vita di una Nazione possa esser fatta d'un tratto. No: un compito
siffatto impone un lavoro enorme; esso esige da ogni contadino ed
operaio decisione ed energia ed uno sforzo pertinace nel suo lavoro >>
… Tanto più grave il caso, in quanto si presenta anche l'altra condizione,
prospettata da Kurt Eisner, della introduzione in un unico territorio nazionale
(sia pur vastissimo) della organizzazione sociale del lavoro e della
produzione. La Russia, che ha con un decreto aboliti i suoi debiti con
d'estero, non può sperare dall'estero aiuto e fornimento di merci in cambio
delle sue immense ricchezze potenziali, se non offre le garanzie, cui i
ereditari non sono disposti a rinunciare. Ed ecco il caratteristico messaggio
di Cicerin ai Governi dell'Intesa: <> … Cicerin tenta
di conciliare l'Inconciliabile, il capitalismo con l'abolizione delle classi,
il salariato col socialismo. Non ci toccate il regime sociale della Russia
sovietista, dice; egli ma è nella sua riserva il pudore della femmina che si
offre, domandando che si rispetti la sua verginità.”
In fine Rodolfo Mondolfo aggiunge in una postilla
conclusiva una dichiarazione di Lenin riportata da “L’Avanti” il 23 aprile,
dove lo stesso Lenin ammette
“<< che il Socialismo non può essere realizzato che nella misura in
cui il capitalismo internazionale ne avrà sviluppate le premesse materiali e
tecniche su una scala immensa e su basi scientifiche…>>”,
praticamente concordando con la critica dei vari Rodolfo
Mondolfo, Treves, Turati e altri socialisti unitari in Italia e i vari Kautsky,
Martov, Rosa Luxemburg, e il SPGB, all’estero. Riferendosi a Marx e a Kautsky,
Rodolfo Mondolfo ammicca che “Natura non facit saltus, dicevan
gli antichi”.
Intanto nel maggio viene pubblicato da “L’Avanti”
l’appello del governo sovietico a firma di Čičerin e Zinov’ev all’Intesa che
aveva deciso di riconoscere il governo controrivoluzionario di Kolčak.
Il 15 maggio sempre del ’19 su “L'Ordine Nuovo”, compare
un’aggressiva replica di Gramsci “Leninismo
e marxismo di Rodolfo Mondolfo”. Qui Gramsci è così caustico che risulta fuori
luogo. Protegge ciecamente la rivoluzione Russa, non considerando che neanche
il suo leader ci crede più.
Accusa
Rodolfo Mondolfo di essere eccessivamente rigido, formale e pedante:
“il suo amore per
la rivoluzione è amore grammaticale. Egli interroga e si indispone per le
risposte. Domanda: Marx? Gli si risponde: Lenin. Ciò non è scientifico, poveri
noi, non può soddisfare il senso filologico dell'erudito e dell'archeologo. E
con una serietà cattedratica che intenerisce, il Mondolfo boccia, boccia,
boccia: zero in grammatica, zero in scienza comparata, zero nella prova pratica
di magistero.”
Gramsci poi
si dilunga sull’interpretazione errata di Mondolfo della novella di Gor’kij,
opponendo a Mondolfo un contro-argomento leggermente superficiale. Gramsci
chiude però con grande stile giornalistico a denotare il suo idealismo di fondo:
“Il Mondolfo ha
rimproverato ai tedeschi la schiavitù dello spirito. Ahimè, quanti papi
infallibili tiranneggiano la coscienza degli uomini liberi e inaridiscono in
loro ogni sorgente di umanità.”
La replica
di Bordiga al articolo di Rodolfo Mondolfo, “Leninismo e marxismo” viene rilasciata sul “Soviet” in marzo.
Bordiga identifica nella prima guerra mondiale la prova che il capitalismo
avesse raggiunto il livello di progresso e in particolare al limite della
propria capacità produttiva tale da giustificare la rivoluzione sociale.
All’osservazione di Mondolfo che il governo dei Soviet non avesse introdotto un
sistema socialista, non avesse collettivizzato la terra, e non fosse in grado
di produrre a costi di produzione di beni che ne giustifichino il valore,
Bordiga replica che:
“La differenza sta
in ciò: che nel primo caso sottrae ricchezza alla massa dei consumatori
italiani in maggioranza proletari, per riversarla nelle tasche dei farmers
americani; nel secondo procede alla espropriazione indiretta di quella parte
dei contadini russi, che ne è suscettibile, a vantaggio degli operai. Ma
ripetiamo, sono condizioni transitorie ...”.
Infine in ottobre del 1919 ebbe luogo il XVI Congresso
del PSI a Bologna dove Turati si trovò a doversi schierare con uno dei suoi
storici avversari, l’intransigente Costantino Lazzari, segretario del partito.
Entrambi rigettavano l’uso della violenza in Russia. Dall’’altra parte c’era la
maggioranza massimalista parlamentarista rappresentata da Giacinto Menotti
Serrati, Nicola Bombacci, che divenne il nuovo segretario di partito; proponeva
la riscrittura del programma di partito in uno più comunista rivoluzionario. Più
a sinistra gli intransigenti astensionisti di Bordiga, che accettavano come i
massimalisti, i metodi della rivoluzione bolscevica, ma divergevano su alcuni
punti tattici, uno tra tutti l’uso del parlamento. Riportiamo, stralci del
discorso tenuto da Turati durante quel Congresso:
“Felice giovinezza, per la quale, dopo oltre
un quarto di secolo, ci si ritrova qui a ribalbettare gli stessi identici
discorsi che facemmo a Milano nel 1891, alla Sala Sivori di Genova nel 1892, a
Reggio Emilia nel 1893. Nel Partito Socialista, come a tavola, evidentemente
non si invecchia. A giustificare il preteso antagonismo fra rivoluzionarismo e
riformismo, si diceva allora, si ripete oggi, che i riformisti si contentano
delle piccole riforme, mentre i rivoluzionari vogliono solo le grandi! Quali
sono le piccole riforme? Quali le grandi? Confesso di non raccapezzarmi. Io
conosco soltanto le riforme utili, le inutili, talvolta le dannose, ma, se sono
riforme socialiste, tutte, a tempo e luogo, sono da coltivarsi …
Si dice ancora, la differenza e nel modo della conquista. Per i
rivoluzionari le riforme si strappano colla paura agli avversati … i riformisti
invece vorrebbero ficcarci il loro naso e farle essi stessi. Io penso che le
riforme largite dagli avversari, sia pure sotto l’incubo della paura, saranno
sempre le loro riforme, non saranno le nostre …
Sul terreno dell’attuazione, ciò che oggi si battezza massimalismo suppone
il popolo maturo, e quindi lo incita alla sovversione violenta e immediata
dello Stato, per la rivoluzione economica, alla sostituzione del Soviet al
Parlamento e rigetta in un canto, come armi superate, tutti i principi, i
metodi, gli organismi, che da trent’anni lavorammo ad affermare, a conquistare,
a perfezionare. Questo massimalismo non è altro che l’apologia e l’esaltazione
della violenza … non è che la ripetizione ad litteram della discussione
che facemmo al Congresso di Genova 28 anni or sono. Gli anziani lo ricordano,
per i giovani sarà forse opportuno rievocare.
Allora, nel 1892, si presentava quasi identica la stessa odierna
situazione. Mutati appena alcuni nomi, ed aggiunti i nuovi ingredienti, che
oggi ci forniscono le rivoluzioni russa ed ungherese e l’ultima guerra, il fondo
e sempre quello. Anche allora vi erano tre correnti che si disputavano il
campo.
Da un lato un partito anarchico, schiettamente bakunista, che proclamava
l’astensione dalle urne, la inutilità, la corruzione e l’inganno del suffragio
e dei Parlamenti, l’incapacità della borghesia a darci qualunque seria e
concludente riforma, l’assurdo del volersi servire di quelli, che sono organi e
strumenti di oppressione di classe, sia pure in maschera democratica, per
preparare il socialismo, e quindi la necessità della violenza popolare che
attacchi, esclusivamente dal di fuori, gli istituti economici borghesi. Chi ha l’abilità
di tagliare un capello in quattro potrà trovare che fra il Galleani d’allora e
la corrente attualmente impersonata nell’ing. Bordiga vi sia qualche
differenza. Per mio conto sul terreno pratico a me non riesce di vederla.
C’era poi, come v’è oggi, una corrente, anch’essa anarcheggiante, ma al
tempo stesso elezionista, per la quale il Parlamento era bensì una porcheria, però
si doveva lottare per entrarci, perché le elezioni e la tribuna parlamentare e
la tessera ferroviaria e la immunità parlamentare sono per sempre un ottimo
mezzo di propaganda. Quello che allora era il cosiddetto ‘Partito operaio’, è
diventato, con poche modificazioni, la maggioranza di questo Congresso …
Naturalmente il Partito operaio era ‘operaista’: poneva la blouse al di sopra
della casacca di panno. I cosiddetti intellettuali erano appena tollerati. Qui
vi sono troppi avvocati e professori e piccoli borghesi perché quel criterio
possa avere la stessa prevalenza.
E v’era in fine, come oggi vi è, il Partito Socialista ... trascinammo quel
Partito operaio … [del] quale Costantino
Lazzari è ancora fra noi la testimonianza vivente … verso la conquista del
potere, verso una molto più alta comprensione di concetti politici nazioni e
internazionali, insomma verso il socialismo. Ne uscì, per allora quel
programmino, che trovate ancora sulla tessera del Partito, al quale Lazzari si aggrappa
con così mirabile tenacia …
Quel programma, caro Lazzari, è oggi molto invecchiato, come noi pur troppo
… quel socialismo che si reggeva su due gambe, una gamba economica ed una
politica, oggi appare una concezione alquanto ridicola …
Ed ora tutto questo dovrebbe andare per aria, tutta questa esperienza
sarebbe stata una pura perdita! Una nuova rivelazione s’è fatta
improvvisamente, come per prodigio. Al socialismo si sostituisce il comunismo, affinché
di tanto travaglio non rimanga neppure il nome ed il ricordo alla elevazione
della classe proletaria che, via via, secondo le leggi naturali, come più
acquista di compattezza, di capacità, di valore, e impara a farsi valere, a
improntare di sé l’evoluzione storica, a instaurare nello Stato e nella nazione
e nei rapporti internazionali la grande e vera democrazia, quella del Lavoro,
con le armi dell’intelligenza, della civiltà, della liberta più sconfinata, si
sostituisce un gretto ideale di violenza armata e brutale, la cosiddetta
dittatura del proletariato, che esclude d’un sol colpo, della vita sociale
tutte le altre capacità, tutti gli latri contributi, tutte le altre classi, e
la stessa grande maggioranza dei lavoratori, onde è chiaro che in realtà essa
non sarebbe, non potrebbe essere, per lunghissimo tempo, che la dittatura di
alcuni uomini sul proletariato, ossia la dittatura contro lo stesso
proletariato! E il Partito e la classe sarebbero annegati nella fazione!”. Turati
continua, entrando nel merito del sovietismo,
anticipando anche critiche che vedremo apparire nello Standard. “Siamo in una fase rivoluzionaria. In Russia,
in Ungheria, avemmo già la dittatura del proletariato. L’esempio dell’Ungheria,
veramente, non sembra molto incoraggiante: e anche della Russia, chi non si
contenti del comunismo sulla carta, sarebbe prudente rinviare ogni giudizio a
quando l’esperimento sarà un po’ meglio conosciuto …
Il Soviet! Ecco una parola taumaturgica che fa grande impressione
sulla folla [interruzione di Martelli] – Il Soviet è cosa da ridere forse?
[Voce] – Evviva il Soviet!
[applausi
calorosi],
[interruzione di
Leone] – Lo grida uno che conosce il
socialismo, Evviva il Soviet! [applausi e rumori vivaci],
[riprende la parola
Turati] – Caro interruttore, non ho detto
ne viva ne muoia … [grande tumulto, il Presidente interviene]
Parli Turati, il quale spiegherà la frase
che ha dato motivo a questo tumulto
[altra interruzione]
– E cambi sistema [nuovo e più forte
tumulto],
[esclamazione di
Bordiga] – Signori unitari,
congratulazioni pel bel risultato!! … [Turati] – Francamente, potete pensare sul serio che io non senta un rispetto
profondo verso la rivoluzione russa? Dovrei semplicemente essere un idiota! In
Italia sono stato io il primo ad avere l’onore di ricevere i rappresentanti dei
Soviety russi a Milano e di pronunciare in quell’occasione parole – che
certo nessuno di voi poté disapprovare – di saluto e di augurio alla
rivoluzione russa …
Io dicevo semplicemente che, secondo il mio concetto, il Soviet –
equivalente russo del vocabolo italiano Consiglio – non è essenzialmente altra
cosa … che la nostra associazione operaia, e il complesso dei Soviety, o
Soviet centrale, è in qualche modo la nostra Confederazione generale del
Lavoro, a cui la rivoluzione politica ha accordato uno speciale riconoscimento
e più ampi poteri. Se domani … il nostro attuale Consiglio superiore del Lavoro
diverrà una più grande organizzazione elettiva … e munita di poteri
legislativi, ecco che, in qualche modo, noi avemmo il nostro Soviet
centrale. Vero è che noi non escludiamo da esso la rappresentanza degli
elementi … borghesi... ripudiamo il voto … contro … i contadini, … alla base
del nostro Soviet preferiamo le organizzazioni anziché il voto
atomistico dei disorganizzati e degli stessi krumiri, che il metodo
della elezione di quarto e quinto grado ripugna alla nostra psicologia
democratica e antidittatoria … la ingenua credenza che essi [fenomeni
che avvengono in Russia] possano
trasportarsi di peso in Italia, non [dimostra] altro che l’assoluta mancanza di ogni senso critico e storico. In
Italia il congegno pesante e tutto meccanico dei Soviety non durerebbe una
settimana, sarebbe rovesciato dagli stessi operai e contadini, ben lontani
dalla fatalistica e mistica rassegnazione di poveri mugicchi. … noi
abbiamo oggi la grande arma del suffragio universale …
[interruzione di
una Voce] – Il suffragio ai soli
proletari!
[Turati] – Spetterà e si potrà dare ai soli
proletari, quando la borghesia avrà esaurito il suo compito … Altrimenti …
scimmieggeremmo Lenin, il quale, in condizioni terribilmente tragiche, si trovò
nella necessità, o si poter lusingare, di abolire teoricamente la borghesia –
quel quasi nulla di borghesia che esisteva nella Russia degli Czar – ma poi è
costretto a rivolgersi agli altri Stati d’Europa e invocare che gli siano
mandati dei borghesi, degli ingegneri, dei tecnici pagati borghesissimamente,
che gli siano mandati dei quattrini, dei capitali, prodigando in compenso ogni
sorta di concessioni, offrendo in pegno il Paese, perché non può far a meno del
capitalismo, visto che il vero e completo socialismo, … in Russia e lontano un
carro di refe da ogni possibilità di essere anche soltanto iniziato …
Appelliamoci alle statistiche, amici! La statistica non ha preconcetti!
Quanti sono i borghesi che votano in Italia, che potranno votare domani? Su 22
o 23 milioni di futuri elettori, saranno 2 o 3 milioni. Otto o nove decimi
degli lettori sono proletariato autentico, cioè a dir operai industriali,
lavoratori dei campi, lavoratori del mare, piccoli impiegati … o voi credete al
suffragio universale, alla capacità e alla coscienza delle masse … o voi
credete … che manchi ancora la coscienza politica a gran parte di quelle masse …
e allora come instaurerete una dittatura del proletariato che non sia contro la
grande maggioranza del proletariato? ... ho ospitato un articolo di un
socialista rivoluzionario russo, che era stato fino a pochi giorni prima
redattore e corrispondente de “L’Avanti!”, il nostro ottimo e ben noto
compagno Vassily Soukhomline [Suchomlin Vasilij Ivanovič], articolo che metteva in luce alcuni aspetti foschi del leninismo...
Considerare il proletariato come un orbetto, a cui si debba sistematicamente
celare la verità e di cui sia lecito bourrer le crâne con ogni sorta di
panzane, impedendogli di formarsi un giudizio proprio, mi è sempre parso una
mancanza di rispetto ed un tradimento al proletariato medesimo
[interruzioni,
rumori vivaci]
[esclama Zanetta] – Fate come la stampa borghese. È infernale
il sistema!
[esclama Bordiga] – Come quell’altro rinnegato di Labriola
[Modigliani ed
altri scattano contro il palchetto ove sono raggruppati gli astensionisti,
Succede un pandemonio grandissimo. Nella sala i battibecchi sono vivacissimi] …
[Turati] – … Io volevo parlare della Russia come la
vedo, con tutto il rispetto con cui vedo la tragica situazione della Russia … Noi
consideriamo con illimitato rispetto quei tragici avvenimenti, ma constatiamo
che lo scacco toccato alla rivoluzione in Ungheria, e che probabilmente … non risparmierà
neppure la Russia, è la conseguenza prevedibile ed inevitabile della sventura
di aver voluto, o, poniamo pure, di aver dovuto, per fatalità di circostanza,
forse superiore alla volontà degli uomini, passare improvvisamente da un regime
zaristico, tirannico, da un regime di miseria e da uno stadio economico
semifeudale e medioevale, al cosiddetto bolscevismo, cioè ad un regime di
preteso socialismo, alla cui effettuazione mancano talune delle condizioni
essenziali … la miseria, il terrore, la mancanza di ogni libero consenso … e
infine la pretesa irrazionale di forzare l’evoluzione economica … ha portato e
porterà … lo scoraggiamento di qualsiasi attività produttiva e avvererà questo
paradosso: che un paese così vasto, ricco di tutte le risorse … per avergli
imposto una rivoluzione ad oltranza per la quale e manifestatamente immaturo
dovrà varcare attraverso una infinita odissea di dolori, forse di ritorni verso
il passato, e nel miglior caso dovrà soffrire, per l’adattamento necessario al
nuovo regime, decenni di patimenti e di povertà, mentre fin d’ora è costretto a
crear una immensa macchina militaristica, quale non ha alcun altro Stato, e che
è un permanente pericolo per qualunque presente o futura democrazia! … La
violenza è l’argomento centrale. L’appello alla violenza – di cui ha parlato
ieri il Lazzari, ampiamente – è, in fondo, la caratteristica del programma che
noi combattiamo. Noi non abbiamo mai ceduto alle virtù taumaturgiche della
violenza.
… mi basti citarvi la celebre prefazione del 1895 di Engels … alle ‘Lotte
di classe in Francia dal 1848 al 1850’ nella quale egli ripudiava interamente
quella teoria sulla opportunità, anzi la possibilità, della violenza … dopo
aver lamentato l’enorme salasso di sangue … della Comune parigina aveva
constatato, onde … si ebbe per parecchi decenni l’anemia e l’arresto di ogni
movimento proletario … : << Comprende ora il lettore [prosegue
Engels] per quale motivo le classi
dominanti ci vogliono ad ogni costo trascinare colà, dove il fucile spara e fende
la sciabola? … Comprende ora il lettore perché ci si accusa ora di vigliaccheria,
quando non scendiamo senz’altro nelle strade, dove siamo in precedenza sicuri
della sconfitta? E perché con tanta insistenza si invoca da noi, che abbiamo
una buona volta da prestarci a far la parte di carne da cannone? Questi signori
vanno sciupando i loro inviti e le loro provocazioni. No, non siamo così
grulli! >>. Se scrivesse oggi in Italia – povero Federico Engels! – pur
troppo dovrebbe correggere e scrivere ‘no non eravamo così grulli’ … dove
si tratta della completa trasformazione dell’organismo sociale, è necessario
avere con se le masse, le masse contadine sovratutto, già consce …
Oh! Io non nego la violenza sporadica. Essa può ben avvenire, non lo nega neanche
Lazzari. Non è il caso di provocarla, ma potrebbe scoppiare spontanea, e
potremmo, nostro malgrado, trovarci a doverne limitare i danni o tentare anche
di cavarne qualche frutto... Ma, quando invece si pretende adoperarla per
miracolose improvvisazioni socialiste, la violenza non è altro che il suicidio
del proletariato … ”
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