Un piccolo partito di recente formazione, noto con il
nome di “Convergenza Socialista” (CS), usa impropriamente la corretta definizione
di “socialismo”. Questa è stata presa dal vecchio e glorioso Socialist Party of Great Britain (SPGB),
attivo fin dal 1904. L’uso improprio di una definizione giusta crea due pericoli,
ovvero: quello di passare per un partito che vuole davvero il socialismo,
quando invece è altrimenti. E quello di associare in qualche modo il proprio
nome al SPGB e quindi al World Socialist Movement
(WSM). Questi due rischi noi del WSM non li possiamo correre e, quindi, non
solo prendiamo le distanze dalla linea politica revisionista e riformista di CS,
ma evidenziamo qui di seguito anche le principali differenze che ci dividono in
modo diametrale.
Il SPGB nasce dalla rottura della Socialist Democratic Federation (SDF), appunto nel 1904. La SDF
ebbe una nobile origine: fondata da Henry Hyndman nel 1881, vide socialisti del
calibro di William Morris, Eleanor Marx e del suo partner Edward Aveling tra i propri
membri. Hyndman, già a suo tempo plagiario di Marx (il quale per questo troncò con
lui ogni rapporto), era un uomo politico eclettico che guidava il partito in
modo autoritario e personale entrando fin da subito in conflitto con molti
membri socialisti, tra i quali quelli celebri appena citati. Proprio questi
ultimi andarono a formare la Socialist
League, una scissione accolta con piacere da Engels, il quale anch’egli
poco tollerava Hyndman, ma che, mancando di massa critica, non ebbe il seguito
sperato. Proprio per la condotta personalistica e le posizioni revisioniste,
riformiste e scioviniste di Hyndman, alcuni membri della sinistra della SDF di
Londra andarono successivamente a formare il SPGB. Un partito che da allora non
accettò mai più una leadership di partito, né alcuna sorta di riformismo.
Il SPGB e i suoi partiti fratelli, che formano il WSM, ovvero
il Socialist Party of Canada, il World Socialist Party of the United States,
il World Socialist Party (Ireland), il
World Socialist Party (New Zealand) e
il World Socialist Party of India,
funzionano in modo totalmente democratico e senza alcuna leadership.
La loro intransigenza nei confronti di ogni tipo di
revisionismo e di riformismo, allora già incipienti nelle grandi socialdemocrazie
della Seconda Internazionale, valse loro il nomignolo di “impossibilisti”.
Questo termine (un po’ ironico) fu coniato proprio dai partiti membri della
Seconda Internazionale, tra i quali troviamo anche il Partito Socialista
Italiano, per indicare coloro i quali pensavano che fosse impossibile
partecipare a governi di coalizione con i partiti borghesi “progressisti” (dopo
l’affaire Millerand del 1899) e, più
in generale, riformare il capitalismo per condurlo gradualmente verso il socialismo.
Invero, Marx ed Engels
pensavano che un programma “minimo” di riforme, spontaneamente sollevato dal
movimento dei lavoratori stesso, avrebbe aiutato la costruzione di un movimento
rivoluzionario socialista globale nel quale la classe lavoratrice sarebbe organizzata
come un corpo unico, ma non lo concepivano come strumento per riformare il
capitalismo. Tuttavia l’adozione di un programma minimo risultò nella
corruzione della natura dei vari partiti social-democratici. Quindi il WSM, nonostante
accetti di partecipare alle elezioni politiche, rifiuta categoricamente il
programma “minimo”: il suo solo programma è il Socialismo. Come Marx ed Engels,
anche il WSM vede i sindacati come organizzazioni di lavoratori occupate, nel
migliore dei casi, nella lotta quotidiana di miglioramento delle condizioni
lavorative. I sindacati non si occupano del movimento socialista come non si
occupano del socialismo. “L’essere membro del WSM non preclude l’attività nei
sindacati [anzi], tuttavia ogni membro deve riconoscere i gravi limiti della
lotta difensiva dei sindacati sotto il regime capitalista”.
Queste posizioni pongono il SPGB insieme ai socialisti libertari
anarchici e ai cosiddetti “comunisti di sinistra” (ovvero la “Sinistra
Comunista” olandese e tedesca, detta anche “dei Consigli”, e la “Frazione della
Sinistra Comunista” italiana e francese). Però a differenza di tutti questi, il
SPGB (e quindi il WSM) non si affidano alle supposte proprietà taumaturgiche di
un’insurrezione rivoluzionaria violenta (Bordiga, Malatesta), né a un’amministrazione
dell’economia operata da consigli di fabbrica o da soviet territoriali (Korsch, Pannekoek), né da minoranze
intellettuali illuminate (Lenin, Trockij). Il nostro intendimento della politica è semplice ma ambizioso
al contempo: “la collettività sociale deve organizzare e amministrare
se stessa”. Questo poi è proprio il socialismo! E se lo strumento
elettorale può essere usato per raggiungerlo pensiamo che in questo non ci sia
nulla di male.
Come illustrato di recente
nella nostra analisi del colpo di stato bolscevico dell’ottobre del 1917 (http://socialismo-mondiale.blogspot.it/), il fatto che la critica del
SPGB e la critica dei riformisti italiani (e non solo italiani) abbiano degli
elementi comuni, non è a causa di un rilassamento dei principi anti-riformisti
del SPGB, ma dipende dal fatto che la rivoluzione russa (e, in particolare, la
presa del potere bolscevica) aveva evidenziato degli ovvi elementi in contraddizione
con la visione materialista dell’evoluzione storico-sociale. Questi si possono
riassumere in due punti: (1) condizioni socio-economiche non mature in Russia
per instaurare il socialismo (inoltre un singolo paese non possiede le risorse
naturali necessarie per realizzare il socialismo); (2) disaccordo
sull’intendimento dell’espressione “dittatura del proletariato”; da una parte i
bolscevichi per una minoranza illuminata di rivoluzionari di professione
regolata da una rigida disciplina di stampo militare, dall’altra una concezione
di presa del potere politico ed economico da parte della maggioranza dei lavoratori,
ormai divenuti convinti socialisti, tra i quali, ovviamente, anche i membri del
SPGB.
Il SPGB era (ed è) per il partito
inteso come organizzazione della maggioranza dei lavoratori e vedeva (e vede)
la possibilità d’instaurazione del socialismo per via democratica (anche, ma
non solo, elettorale) soltanto quando tale maggioranza sarà parte attiva in
questa gigantesca trasformazione sociale grazie al suo elevato livello di
coscienza di classe. Citando un articolo scritto nel 1920 sul Socialist
Standard (organo del SPGB), diciamo:
“Finché i lavoratori
concorderanno con il capitalismo, voteranno dei capitalisti al parlamento. Quando
concorderanno col socialismo, o con ‘la volontà di avere il socialismo’, ci
manderanno dei socialisti.”
Torniamo ora a CS. È un partito che dice di rifarsi alla
ormai defunta tradizione del socialismo storico italiano: “L’idea della ‘convergenza socialista’ (scrive il suo Segretario
Nazionale, Dott. Manuel Santoro) presupponeva
una grande prova di pluralismo delle idee, trasparenza dei metodi e democrazia
interna”, riferendosi alla situazione nel Cile di Allende all’inizio degli
anni ‘70. Citando poi la definizione corretta di socialismo, ovvero un “sistema
della società che si basa sulla proprietà comune e sul controllo democratico
dei mezzi e degli strumenti di produzione e di distribuzione della ricchezza da
parte e nell’interesse dell’intera comunità”, Santoro si mette apparentemente sulla buona strada. Ci accorgiamo
presto, però, che per arrivare al socialismo CS ci propina una combinazione di
formule revisioniste-riformiste basate sul capitalismo di stato alle quali il
nostro movimento si oppone apertamente fin dal 1904.
Quali sarebbero poi queste
formule nel programma di CS?
Secondo le macro-linee guida di
CS, questa si propone:
“La nazionalizzazione delle risorse naturali e dei servizi di base, incluso
quello bancario; piena ed equa ridistribuzione della ricchezza; la piena
rappresentatività nelle istituzioni affinché nazionalizzazione equivalga a
socializzazione e non sia un processo in mano a pochi.”
Parlare di nazionalizzazione è
fuorviante, in quanto implica il concetto di capitalismo di stato su base nazionale.
Affinché la nazionalizzazione equivalga alla socializzazione questa deve essere
almeno su scala globale e comunque se continua ad esistere uno stato, non si
può parlare di socializzazione. Inoltre è incompleto parlare di risorse,
servizi di base e di ricchezza. Quello che ogni movimento socialista che sia
davvero tale dovrebbe avere come obbiettivo primario è la realizzazione di un sistema sociale basato sulla
proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi e degli strumenti per la
produzione e la distribuzione delle ricchezze da parte e nell’interesse
dell’intera comunità mondiale. Proprietà
comune non è proprietà statale. La proprietà statale è solamente la proprietà
da parte della classe capitalista nel suo complesso, invece che di capitalisti
individuali, e il governo quindi dirige le imprese statali per servire la
classe capitalista (estratto da “Obiettivi e Principi del WSM”).
Poi CS propone 10 punti:
Contro la povertà, contro la crisi economica, per la creazione di un “Nuovo
Stato Sociale”, ossia uno stato sociale che consenta ai cittadini “la possibilità di guadagnare l’indispensabile per vivere dignitosamente.”
Essere contro la povertà è un sentimento universalmente nobile; essere
contro la crisi economica è un sentimento squisitamente piccolo-borghese se
questa poi la si vuol risolvere creando un improbabile capitalismo di stato che
dia la possibilità ai cittadini di guadagnare, anche se (come dice CS) soltanto
l’indispensabile per vivere. Si tratta di una visione molto grama e distorta degli
obiettivi che contraddice il fatto che CS dice di essere per il socialismo,
ovvero per la socializzazione della ricchezza, in quanto intesa come mezzi di
produzione, e prodotto sociale.
Il socialismo è infatti un sistema socio-economico che funziona sul
libero accesso a beni e servizi, quindi senza denaro, e dunque il concetto di “guadagno”
non trova alcuna giustificazione ad esistere.
Una conferma che “Convergenza Socialista” è in realtà una “Convergenza
Statalista” è il quinto punto che ribadisce il ruolo dello stato come erogatore
e controllore dei servizi essenziali. Questo non è molto diverso da quello che c’era
nell’Unione Sovietica decenni fa. La menzione alla Banca di Stato, poi, ci
riporta al discorso che questo non è vero socialismo, ma, al massimo, un
controllo centralizzato dell’economia capitalista.
Il punto finale è un’apoteosi del “nazionalismo di sinistra”, con tutta
la sua retorica. Ovvero rafforzare i valori borghesi, illuminati certo, ma non
troppo diversi da quelli che attualmente ispirano la classe dirigente del
paese.
Poi CS s’imbarca in un
dettagliato programma riformista focalizzando la sua attenzione su questa o
quella legge da cambiare per migliorare le cose. Ancora neanche l’ombra del
vero socialismo...
Ecco, è importante sottolineare che essere per il socialismo
non vuol dire rinunciare alla lotte sindacali e aspettare che il socialismo
arrivi come un evento messianico. Il WSM, quindi, vede le lotte
politico-sindacali come una necessità temporanea per migliorare le condizioni
di vita della classe lavoratrice, ma non per instaurare il socialismo. Concetto
questo esplicitato da Marx già nel 1865 nel suo famosissimo pamphlet “Salario, prezzo
e profitto”:
«Nello stesso tempo la classe lavoratrice,
indipendentemente dalla servitù generale che è legata al sistema del lavoro
salariato, non deve esagerare a se stessa il risultato finale di questa lotta
quotidiana. Non deve dimenticare che essa lotta contro gli effetti, ma non
contro le cause di questi effetti; che essa può soltanto frenare il movimento
discendente, ma non mutarne la direzione; che essa applica soltanto dei
palliativi, ma non cura la malattia. Perciò essa non deve lasciarsi assorbire
esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente
dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato. Essa deve
comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla
classe lavoratrice, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e
le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società.
Invece della parola d'ordine conservatrice: “Un equo salario per un'equa giornata di
lavoro”, i lavoratori devono scrivere sulla loro bandiera il
motto rivoluzionario: “Soppressione del sistema del lavoro
salariato”».
Concludiamo questo scritto ribadendo la totale estraneità
del WSM (e quindi del SPGB) alla linea politica di Convergenza Socialista che
sarebbe più correttamente da chiamare, fatta salva la buona fede dei suoi
militanti, “Convergenza Riformista”. A
questo proposito invitiamo iscritti e simpatizzanti a CS ad approfondire la
nostra critica al riformismo con la lettura dell’apposito opuscolo (www.worldsocialism.org/spgb/pamphlets/market-system-must-go)
e della breve appendice qui in basso.
APPENDICE
Un dilemma per Convergenza Socialista: Marx o
Keynes?
Un punto cruciale dell’analisi di ogni movimento politico riformista (come CS) che però si richiami esplicitamente al socialismo, sta nello svelare le sue intime contraddizioni: se è vero che accetta la definizione di socialismo del SPGB (tant'è che la riporta più e più volte sul suo sito), allora perché la sua rubrica teorica (“L’ Ideologia Socialista”) è quasi interamente di matrice keynesiana?
È noto che Keynes non voleva
il socialismo, ma, all’opposto, un utopico capitalismo "ben
temperato" con piena occupazione e interventi pubblici anche in deficit,
ma solo quando strettamente necessari. Infatti odiava Marx e si definiva un "liberale".
Poi i socialdemocratici e i laburisti hanno aggiunto all’economia keynesiana il
concetto di "stato sociale" inteso come un eclettico trait d’union tra la politica e le forze
sindacali.
Comunque sia, teoricamente
Keynes è stato alquanto sopravvalutato nel periodo ’40-’70 dello scorso secolo
e oggi gli economisti teorici più seri sanno bene che il noto modellino IS-LM e i suoi derivati più recenti fanno
acqua dappertutto e non spiegano correttamente fenomeni macroscopici come
quelli inflattivi (la stagflazione, la violazione della curva di Phillips e
altro ancora). Gli scritti del Prof. Vittorangelo Orati sull’argomento sono un
esempio di raro acume e di non comune onestà intellettuale che i militanti di
CS dovrebbero sicuramente prendere come modello delle loro analisi economiche.
Ovviamente i nostri
interlocutori potrebbero rispondere che ibridazioni tra socialismo e keynesismo
sono possibili e fiorirono a iosa negli anni '50-'70, come, ad esempio, la
famosa Agathotopia di Meade che loro sembrano
apprezzare particolarmente. A questo punto, allora, si deve entrare un poco di
più sul piano teorico e ripetere ciò che il vero marxismo (ossia scevro dalla
vulgata socialdemocratica nonché da quella leninista-togliattiana) ha sempre
sostenuto:
1) le nazionalizzazioni non
sono per nulla un passo avanti verso il socialismo, né nei paesi in via di
sviluppo, né in quelli già sviluppati.
2) Il capitalismo non può
esser fatto funzionare nell'interesse generale dei lavoratori tramite azioni
politiche esterne (anche se animate dalle migliori intenzioni): se il saggio di
profitto locale si abbassa troppo per via della tassazione, della riduzione
dell’orario di lavoro o con altre “riforme di struttura”, allora l’economia del
paese entra in crisi e alla fine tali riforme vengono prontamente rimosse
mediante instabilità politiche più o meno scontate.
3) Non esiste quindi un percorso
di riforme basato su elementi di tassazione,
nazionalizzazione, cooperazione, cogestione e programmazione (le famose 5 "oni" della socialdemocrazia
europea del secolo scorso) che conduca gradualmente al socialismo.
4) Lo stesso è vero, con
grande scorno per tutti i leninisti e i trotzkisti, anche se le nazionalizzazioni e le conseguenti
pianificazioni economiche avvengono in maniera rapida e totale a seguito di
eventi insurrezionali cosiddetti “comunisti”.
4) L'unica alternativa è
quindi la vera rivoluzione socialista operata al livello mondiale da una
maggioranza cosciente di lavoratori che abolisca democraticamente il
capitalismo aprendo la strada al libero
accesso ai consumi e al lavoro su
base rigorosamente volontaria. Ciò definisce appunto il socialismo nel
senso marxista del termine.
I militanti di CS se ne
facciano una ragione e si volgano al socialismo autentico, abbandonando
soluzioni ormai logore e screditate come quelle socialdemocratiche, keynesiane
o meno che siano.
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