La Sinistra riformista:
cosa può ottenere e cosa non farà mai
(adattato da un articolo di Adam Buick intitolato “Corbyn: what he can achieve and what he
could not have” apparso sul “Socialist
Standard”, n. 1355 del luglio 2017)
Introduzione
Nel 2017 alcuni politici progressisti europei, come per esempio Jeremy Corbyn
in Gran Bretagna, Jean-Luc Mélenchon in Francia e Sahra
Wagenknecht in Germania,
hanno dimostrato almeno una cosa: presentarsi alle elezioni politiche con un
programma che promette di tassare le multinazionali e i super-ricchi per
finanziare la sanità, l’edilizia popolare e l’istruzione non sempre causa
quell’emorragia di voti che tanti politologi-“guru” spesso prevedono. Molti,
inclusi vari parlamentari della stessa Sinistra, pensano che scendere in campo
oggi con un programma del genere sia un suicidio politico. Alla fine, tornando
all’esempio britannico, il programma è stato proprio uno dei fattori che ha
permesso al Partito Laburista di aumentare il numero dei suoi parlamentari di
30 unità e il voto popolare del 40%. Naturalmente né Corbyn, né Mélenchon, né la
Wagenknecht
hanno vinto, ma all’inizio si pensava che sarebbero stati letteralmente
polverizzati.
Le elezioni politiche del 2017 in Europa sono state nuovamente una
competizione per decidere quale gruppo di politici dovesse guidare l’azienda-paese,
ma questa volta per lo meno non è stata, come a volte accade, solo una gara tra
due o tre squadre tutte pronte a giurare che il loro partito sarebbe stato il
migliore a gestire il capitalismo così com’era. In effetti quest’anno è
avvenuta una certa competizione tra molti raggruppamenti che ancora proponevano
questo programma e pochi altri (per esempio i Laburisti britannici, La France
Insoumise, die Linke) che
sostenevano, al contrario, che avrebbero fatto importanti modifiche al
capitalismo. Che un numero crescente di persone si esprima contro lo stato
attuale delle cose è comunque sempre meglio che votare, senza entusiasmo o
cinicamente, come se si dovesse scegliere tra due marche di un detersivo più o
meno identico. Se la gente non fosse scontenta dello status quo e non sperasse in qualcosa di migliore allora le
prospettive del socialismo sarebbero davvero nulle.
Tuttavia
C’è una bella differenza tra essere in grado di
conquistare voti con un programma moderatamente di Sinistra volto a riformare
il capitalismo ed esser capaci poi di metterlo in pratica. Se, per esempio, il
Partito Laburista di Corbyn avesse avuto ancora più successo e fosse riuscito a
vincere effettivamente le elezioni, allora, alla luce di quanto dimostrato
dalle esperienze passate dei governi di Sinistra, avrebbe fallito a far
funzionare il capitalismo “nell’interesse
dei molti e non dei pochi”. E questo non perché i suoi ministri avrebbero
dato prova di esser incapaci o venduti, ma perché il capitalismo è un sistema
sociale basato, in modo rigoroso, sull’esclusione della maggioranza dalla
proprietà e dal controllo dei mezzi di produzione della ricchezza. Questi
appartengono a una minoranza che però usa la maggioranza per farli funzionare.
Sotto il capitalismo (in quanto sistema economico) la ricchezza è prodotta per
esser venduta sul mercato in vista di un profitto la cui origine sta nel lavoro
non pagato “dei molti” di cui si appropriano “i pochi”. Promettere di far
funzionare il sistema economico nell’interesse della maggioranza e non di una
minoranza, implicitamente assume che tale minoranza continui a esistere. Così
la Sinistra europea sta dicendo che sotto un ipotetico governo di Corbyn, di
Mélenchon o della Wagenknecht, “i pochi” rimarrebbero ai loro posti di
privilegio, ma un po’ del loro denaro verrebbe preso e usato a beneficio de “i
molti”. Il problema è che l’origine delle entrate de “i pochi” sta nel
profitto, e proprio la ricerca del profitto è ciò che guida il sistema
capitalista. Minacciando i profitti il sistema economico entrerebbe in stallo.
Un governo di Sinistra che tassasse i profitti semplicemente per migliorare la
vita de “i molti” si scontrerebbe con la legge economica fondamentale del
capitalismo: “niente profitti, niente produzione”.
Ci siamo già passati
Lo scenario tipico, confermato dalla Storia, di
un governo di Sinistra è questo: viene eletto e inizia ad applicare il suo
programma; scoppia una crisi economica; il governo reagisce facendo retromarcia
sulle sue riforme e accettando, in modo più o meno riluttante, che i profitti
abbiano il primo posto e poi agendo di conseguenza. Perde popolarità e
nell’elezione successiva, o viene sostituito, o viene rieletto con un programma
molto diverso: non più riforme radicali, ma soltanto “il male minore”.
Questo è il motivo per cui non possiamo essere
entusiasti di Corbyn, di Mélenchon o della Wagenknecht. Per quanto ragionevoli
e umani possano essere da vari punti di vista (e nonostante le ampie campagne
contro di loro, sono risultati essere certamente più ragionevoli e umani degli
altri politici), i loro programmi non sono realizzabili. Il capitalismo, semplicemente, non può esser
fatto funzionare in modo diverso da quello di un sistema che anteponga il
profitto alla gente. È il modo in cui opera e in cui deve operare.
Illusione
Ciò vuol dire che la politica e le elezioni
politiche sono in realtà basate su un’illusione: chi controlla il governo può
controllare il modo in cui funziona l’economia, mentre è esattamente l’opposto:
i governi devono adattare le loro politiche al modo in cui opera il
capitalismo. Così, alla fine, non importa quale gruppo di politici sia stato
eletto per formare un governo. Chiunque siano, qualunque cosa abbiano promesso,
dovranno sempre governare nei termini fissati dal capitalismo. In altre parole,
se la gente vota per migliorare la propria sorte sotto il capitalismo, sarà
frustrata dall’azione delle forze economiche stesse del capitalismo. Non è un
sistema che possa accettare la volontà democratica della gente, espressa per
esempio in un’elezione, di migliorare le proprie condizioni. I votanti propongono,
ma il capitalismo dispone. Questa è la base del detto: “cambiare il governo non
cambia nulla”.
L’aspirazione a migliorare le cose è molto
positiva, ma non può esser soddisfatta nell’ambito del capitalismo. Ciò che
serve a realizzare le speranze di chi ha votato a Sinistra non è la tassazione
de “i pochi” a vantaggio de “i molti”. È l’abolizione della divisione sociale
in “molti” e “pochi”, convertendo i mezzi di produzione della ricchezza dal
possesso (e dal vantaggio) de “i pochi”, alla proprietà comune di tutti per il
vantaggio di tutti. Ciò costituirebbe il quadro in cui riorientare la
produzione: dal raggiungimento del profitto al soddisfacimento dei bisogni
della gente. Non lo slogan riformista: “Il popolo prima dei profitti”, ma
quello rivoluzionario: “Il popolo, non i profitti”!
DC
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