domenica 7 gennaio 2018

Elezioni politiche 2018



La Sinistra riformista:
cosa può ottenere e cosa non farà mai


(adattato da un articolo di Adam Buick intitolato “Corbyn: what he can achieve and what he could not have” apparso sul “Socialist Standard”, n. 1355 del luglio 2017)

Introduzione

Nel 2017 alcuni politici progressisti europei, come per esempio Jeremy Corbyn in Gran Bretagna, Jean-Luc Mélenchon in Francia e Sahra Wagenknecht  in Germania, hanno dimostrato almeno una cosa: presentarsi alle elezioni politiche con un programma che promette di tassare le multinazionali e i super-ricchi per finanziare la sanità, l’edilizia popolare e l’istruzione non sempre causa quell’emorragia di voti che tanti politologi-“guru” spesso prevedono. Molti, inclusi vari parlamentari della stessa Sinistra, pensano che scendere in campo oggi con un programma del genere sia un suicidio politico. Alla fine, tornando all’esempio britannico, il programma è stato proprio uno dei fattori che ha permesso al Partito Laburista di aumentare il numero dei suoi parlamentari di 30 unità e il voto popolare del 40%. Naturalmente né Corbyn, né Mélenchon, né la Wagenknecht hanno vinto, ma all’inizio si pensava che sarebbero stati letteralmente polverizzati.
Le elezioni politiche del 2017 in Europa sono state nuovamente una competizione per decidere quale gruppo di politici dovesse guidare l’azienda-paese, ma questa volta per lo meno non è stata, come a volte accade, solo una gara tra due o tre squadre tutte pronte a giurare che il loro partito sarebbe stato il migliore a gestire il capitalismo così com’era. In effetti quest’anno è avvenuta una certa competizione tra molti raggruppamenti che ancora proponevano questo programma e pochi altri (per esempio i Laburisti britannici, La France Insoumise, die Linke) che sostenevano, al contrario, che avrebbero fatto importanti modifiche al capitalismo. Che un numero crescente di persone si esprima contro lo stato attuale delle cose è comunque sempre meglio che votare, senza entusiasmo o cinicamente, come se si dovesse scegliere tra due marche di un detersivo più o meno identico. Se la gente non fosse scontenta dello status quo e non sperasse in qualcosa di migliore allora le prospettive del socialismo sarebbero davvero nulle.

Tuttavia

C’è una bella differenza tra essere in grado di conquistare voti con un programma moderatamente di Sinistra volto a riformare il capitalismo ed esser capaci poi di metterlo in pratica. Se, per esempio, il Partito Laburista di Corbyn avesse avuto ancora più successo e fosse riuscito a vincere effettivamente le elezioni, allora, alla luce di quanto dimostrato dalle esperienze passate dei governi di Sinistra, avrebbe fallito a far funzionare il capitalismo “nell’interesse dei molti e non dei pochi”. E questo non perché i suoi ministri avrebbero dato prova di esser incapaci o venduti, ma perché il capitalismo è un sistema sociale basato, in modo rigoroso, sull’esclusione della maggioranza dalla proprietà e dal controllo dei mezzi di produzione della ricchezza. Questi appartengono a una minoranza che però usa la maggioranza per farli funzionare. Sotto il capitalismo (in quanto sistema economico) la ricchezza è prodotta per esser venduta sul mercato in vista di un profitto la cui origine sta nel lavoro non pagato “dei molti” di cui si appropriano “i pochi”. Promettere di far funzionare il sistema economico nell’interesse della maggioranza e non di una minoranza, implicitamente assume che tale minoranza continui a esistere. Così la Sinistra europea sta dicendo che sotto un ipotetico governo di Corbyn, di Mélenchon o della Wagenknecht, “i pochi” rimarrebbero ai loro posti di privilegio, ma un po’ del loro denaro verrebbe preso e usato a beneficio de “i molti”. Il problema è che l’origine delle entrate de “i pochi” sta nel profitto, e proprio la ricerca del profitto è ciò che guida il sistema capitalista. Minacciando i profitti il sistema economico entrerebbe in stallo. Un governo di Sinistra che tassasse i profitti semplicemente per migliorare la vita de “i molti” si scontrerebbe con la legge economica fondamentale del capitalismo: “niente profitti, niente produzione”.

Ci siamo già passati

Lo scenario tipico, confermato dalla Storia, di un governo di Sinistra è questo: viene eletto e inizia ad applicare il suo programma; scoppia una crisi economica; il governo reagisce facendo retromarcia sulle sue riforme e accettando, in modo più o meno riluttante, che i profitti abbiano il primo posto e poi agendo di conseguenza. Perde popolarità e nell’elezione successiva, o viene sostituito, o viene rieletto con un programma molto diverso: non più riforme radicali, ma soltanto “il male minore”.
Questo è il motivo per cui non possiamo essere entusiasti di Corbyn, di Mélenchon o della Wagenknecht. Per quanto ragionevoli e umani possano essere da vari punti di vista (e nonostante le ampie campagne contro di loro, sono risultati essere certamente più ragionevoli e umani degli altri politici), i loro programmi non sono realizzabili.  Il capitalismo, semplicemente, non può esser fatto funzionare in modo diverso da quello di un sistema che anteponga il profitto alla gente. È il modo in cui opera e in cui deve operare.

Illusione

Ciò vuol dire che la politica e le elezioni politiche sono in realtà basate su un’illusione: chi controlla il governo può controllare il modo in cui funziona l’economia, mentre è esattamente l’opposto: i governi devono adattare le loro politiche al modo in cui opera il capitalismo. Così, alla fine, non importa quale gruppo di politici sia stato eletto per formare un governo. Chiunque siano, qualunque cosa abbiano promesso, dovranno sempre governare nei termini fissati dal capitalismo. In altre parole, se la gente vota per migliorare la propria sorte sotto il capitalismo, sarà frustrata dall’azione delle forze economiche stesse del capitalismo. Non è un sistema che possa accettare la volontà democratica della gente, espressa per esempio in un’elezione, di migliorare le proprie condizioni. I votanti propongono, ma il capitalismo dispone. Questa è la base del detto: “cambiare il governo non cambia nulla”.
L’aspirazione a migliorare le cose è molto positiva, ma non può esser soddisfatta nell’ambito del capitalismo. Ciò che serve a realizzare le speranze di chi ha votato a Sinistra non è la tassazione de “i pochi” a vantaggio de “i molti”. È l’abolizione della divisione sociale in “molti” e “pochi”, convertendo i mezzi di produzione della ricchezza dal possesso (e dal vantaggio) de “i pochi”, alla proprietà comune di tutti per il vantaggio di tutti. Ciò costituirebbe il quadro in cui riorientare la produzione: dal raggiungimento del profitto al soddisfacimento dei bisogni della gente. Non lo slogan riformista: “Il popolo prima dei profitti”, ma quello rivoluzionario: “Il popolo, non i profitti”!

DC