giovedì 8 febbraio 2018

Convergenza “Socialista” e il World Socialist Movement: due poli diametralmente opposti!

Un piccolo partito di recente formazione, noto con il nome di “Convergenza Socialista” (CS), usa impropriamente la corretta definizione di “socialismo”. Questa è stata presa dal vecchio e glorioso Socialist Party of Great Britain (SPGB), attivo fin dal 1904. L’uso improprio di una definizione giusta crea due pericoli, ovvero: quello di passare per un partito che vuole davvero il socialismo, quando invece è altrimenti. E quello di associare in qualche modo il proprio nome al SPGB e quindi al World Socialist Movement (WSM). Questi due rischi noi del WSM non li possiamo correre e, quindi, non solo prendiamo le distanze dalla linea politica revisionista e riformista di CS, ma evidenziamo qui di seguito anche le principali differenze che ci dividono in modo diametrale.
Il SPGB nasce dalla rottura della Socialist Democratic Federation (SDF), appunto nel 1904. La SDF ebbe una nobile origine: fondata da Henry Hyndman nel 1881, vide socialisti del calibro di William Morris, Eleanor Marx e del suo partner Edward Aveling tra i propri membri. Hyndman, già a suo tempo plagiario di Marx (il quale per questo troncò con lui ogni rapporto), era un uomo politico eclettico che guidava il partito in modo autoritario e personale entrando fin da subito in conflitto con molti membri socialisti, tra i quali quelli celebri appena citati. Proprio questi ultimi andarono a formare la Socialist League, una scissione accolta con piacere da Engels, il quale anch’egli poco tollerava Hyndman, ma che, mancando di massa critica, non ebbe il seguito sperato. Proprio per la condotta personalistica e le posizioni revisioniste, riformiste e scioviniste di Hyndman, alcuni membri della sinistra della SDF di Londra andarono successivamente a formare il SPGB. Un partito che da allora non accettò mai più una leadership di partito, né alcuna sorta di riformismo.
Il SPGB e i suoi partiti fratelli, che formano il WSM, ovvero il Socialist Party of Canada, il World Socialist Party of the United States, il World Socialist Party (Ireland), il World Socialist Party (New Zealand) e il World Socialist Party of India, funzionano in modo totalmente democratico e senza alcuna leadership.
La loro intransigenza nei confronti di ogni tipo di revisionismo e di riformismo, allora già incipienti nelle grandi socialdemocrazie della Seconda Internazionale, valse loro il nomignolo di “impossibilisti”. Questo termine (un po’ ironico) fu coniato proprio dai partiti membri della Seconda Internazionale, tra i quali troviamo anche il Partito Socialista Italiano, per indicare coloro i quali pensavano che fosse impossibile partecipare a governi di coalizione con i partiti borghesi “progressisti” (dopo l’affaire Millerand del 1899) e, più in generale, riformare il capitalismo per condurlo gradualmente verso il socialismo.
Invero, Marx ed Engels pensavano che un programma “minimo” di riforme, spontaneamente sollevato dal movimento dei lavoratori stesso, avrebbe aiutato la costruzione di un movimento rivoluzionario socialista globale nel quale la classe lavoratrice sarebbe organizzata come un corpo unico, ma non lo concepivano come strumento per riformare il capitalismo. Tuttavia l’adozione di un programma minimo risultò nella corruzione della natura dei vari partiti social-democratici. Quindi il WSM, nonostante accetti di partecipare alle elezioni politiche, rifiuta categoricamente il programma “minimo”: il suo solo programma è il Socialismo. Come Marx ed Engels, anche il WSM vede i sindacati come organizzazioni di lavoratori occupate, nel migliore dei casi, nella lotta quotidiana di miglioramento delle condizioni lavorative. I sindacati non si occupano del movimento socialista come non si occupano del socialismo. “L’essere membro del WSM non preclude l’attività nei sindacati [anzi], tuttavia ogni membro deve riconoscere i gravi limiti della lotta difensiva dei sindacati sotto il regime capitalista”.


Queste posizioni pongono il SPGB insieme ai socialisti libertari anarchici e ai cosiddetti “comunisti di sinistra” (ovvero la “Sinistra Comunista” olandese e tedesca, detta anche “dei Consigli”, e la “Frazione della Sinistra Comunista” italiana e francese). Però a differenza di tutti questi, il SPGB (e quindi il WSM) non si affidano alle supposte proprietà taumaturgiche di un’insurrezione rivoluzionaria violenta (Bordiga, Malatesta), né a un’amministrazione dell’economia operata da consigli di fabbrica o da soviet territoriali (Korsch, Pannekoek), né da minoranze intellettuali illuminate (Lenin, Trockij). Il nostro intendimento della politica è semplice ma ambizioso al contempo: “la collettività sociale deve organizzare e amministrare se stessa”. Questo poi è proprio il socialismo! E se lo strumento elettorale può essere usato per raggiungerlo pensiamo che in questo non ci sia nulla di male.
Come illustrato di recente nella nostra analisi del colpo di stato bolscevico dell’ottobre del 1917 (http://socialismo-mondiale.blogspot.it/), il fatto che la critica del SPGB e la critica dei riformisti italiani (e non solo italiani) abbiano degli elementi comuni, non è a causa di un rilassamento dei principi anti-riformisti del SPGB, ma dipende dal fatto che la rivoluzione russa (e, in particolare, la presa del potere bolscevica) aveva evidenziato degli ovvi elementi in contraddizione con la visione materialista dell’evoluzione storico-sociale. Questi si possono riassumere in due punti: (1) condizioni socio-economiche non mature in Russia per instaurare il socialismo (inoltre un singolo paese non possiede le risorse naturali necessarie per realizzare il socialismo); (2) disaccordo sull’intendimento dell’espressione “dittatura del proletariato”; da una parte i bolscevichi per una minoranza illuminata di rivoluzionari di professione regolata da una rigida disciplina di stampo militare, dall’altra una concezione di presa del potere politico ed economico da parte della maggioranza dei lavoratori, ormai divenuti convinti socialisti, tra i quali, ovviamente, anche i membri del SPGB.


Il SPGB era (ed è) per il partito inteso come organizzazione della maggioranza dei lavoratori e vedeva (e vede) la possibilità d’instaurazione del socialismo per via democratica (anche, ma non solo, elettorale) soltanto quando tale maggioranza sarà parte attiva in questa gigantesca trasformazione sociale grazie al suo elevato livello di coscienza di classe. Citando un articolo scritto nel 1920 sul Socialist Standard (organo del SPGB), diciamo:

Finché i lavoratori concorderanno con il capitalismo, voteranno dei capitalisti al parlamento. Quando concorderanno col socialismo, o con ‘la volontà di avere il socialismo’, ci manderanno dei socialisti.”
Torniamo ora a CS. È un partito che dice di rifarsi alla ormai defunta tradizione del socialismo storico italiano: “L’idea della ‘convergenza socialista’ (scrive il suo Segretario Nazionale, Dott. Manuel Santoro) presupponeva una grande prova di pluralismo delle idee, trasparenza dei metodi e democrazia interna”, riferendosi alla situazione nel Cile di Allende all’inizio degli anni ‘70. Citando poi la definizione corretta di socialismo, ovvero un “sistema della società che si basa sulla proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi e degli strumenti di produzione e di distribuzione della ricchezza da parte e nell’interesse dell’intera comunità”, Santoro si mette apparentemente sulla buona strada. Ci accorgiamo presto, però, che per arrivare al socialismo CS ci propina una combinazione di formule revisioniste-riformiste basate sul capitalismo di stato alle quali il nostro movimento si oppone apertamente fin dal 1904.
Quali sarebbero poi queste formule nel programma di CS?
Secondo le macro-linee guida di CS, questa si propone:
La nazionalizzazione delle risorse naturali e dei servizi di base, incluso quello bancario; piena ed equa ridistribuzione della ricchezza; la piena rappresentatività nelle istituzioni affinché nazionalizzazione equivalga a socializzazione e non sia un processo in mano a pochi.”
Parlare di nazionalizzazione è fuorviante, in quanto implica il concetto di capitalismo di stato su base nazionale. Affinché la nazionalizzazione equivalga alla socializzazione questa deve essere almeno su scala globale e comunque se continua ad esistere uno stato, non si può parlare di socializzazione. Inoltre è incompleto parlare di risorse, servizi di base e di ricchezza. Quello che ogni movimento socialista che sia davvero tale dovrebbe avere come obbiettivo primario è la realizzazione di un sistema sociale basato sulla proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi e degli strumenti per la produzione e la distribuzione delle ricchezze da parte e nell’interesse dell’intera comunità mondiale. Proprietà comune non è proprietà statale. La proprietà statale è solamente la proprietà da parte della classe capitalista nel suo complesso, invece che di capitalisti individuali, e il governo quindi dirige le imprese statali per servire la classe capitalista (estratto da “Obiettivi e Principi del WSM”).
Poi CS propone 10 punti:
Contro la povertà, contro la crisi economica, per la creazione di un “Nuovo Stato Sociale”, ossia uno stato sociale che consenta ai cittadini la possibilità di guadagnare l’indispensabile per vivere dignitosamente.”
Essere contro la povertà è un sentimento universalmente nobile; essere contro la crisi economica è un sentimento squisitamente piccolo-borghese se questa poi la si vuol risolvere creando un improbabile capitalismo di stato che dia la possibilità ai cittadini di guadagnare, anche se (come dice CS) soltanto l’indispensabile per vivere. Si tratta di una visione molto grama e distorta degli obiettivi che contraddice il fatto che CS dice di essere per il socialismo, ovvero per la socializzazione della ricchezza, in quanto intesa come mezzi di produzione, e prodotto sociale.
Il socialismo è infatti un sistema socio-economico che funziona sul libero accesso a beni e servizi, quindi senza denaro, e dunque il concetto di “guadagno” non trova alcuna giustificazione ad esistere.
Una conferma che “Convergenza Socialista” è in realtà una “Convergenza Statalista” è il quinto punto che ribadisce il ruolo dello stato come erogatore e controllore dei servizi essenziali. Questo non è molto diverso da quello che c’era nell’Unione Sovietica decenni fa. La menzione alla Banca di Stato, poi, ci riporta al discorso che questo non è vero socialismo, ma, al massimo, un controllo centralizzato dell’economia capitalista.
Il punto finale è un’apoteosi del “nazionalismo di sinistra”, con tutta la sua retorica. Ovvero rafforzare i valori borghesi, illuminati certo, ma non troppo diversi da quelli che attualmente ispirano la classe dirigente del paese.
Poi CS s’imbarca in un dettagliato programma riformista focalizzando la sua attenzione su questa o quella legge da cambiare per migliorare le cose. Ancora neanche l’ombra del vero socialismo...
Ecco, è importante sottolineare che essere per il socialismo non vuol dire rinunciare alla lotte sindacali e aspettare che il socialismo arrivi come un evento messianico. Il WSM, quindi, vede le lotte politico-sindacali come una necessità temporanea per migliorare le condizioni di vita della classe lavoratrice, ma non per instaurare il socialismo. Concetto questo esplicitato da Marx già nel 1865 nel suo famosissimo pamphlet “Salario, prezzo e profitto”:   
«Nello stesso tempo la classe lavoratrice, indipendentemente dalla servitù generale che è legata al sistema del lavoro salariato, non deve esagerare a se stessa il risultato finale di questa lotta quotidiana. Non deve dimenticare che essa lotta contro gli effetti, ma non contro le cause di questi effetti; che essa può soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la direzione; che essa applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia. Perciò essa non deve lasciarsi assorbire esclusivamente da questa inevitabile guerriglia, che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale o dai mutamenti del mercato. Essa deve comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe lavoratrice, genera nello stesso tempo le condizioni materiali e le forme sociali necessarie per una ricostruzione economica della società. Invece della parola d'ordine conservatrice: “Un equo salario per un'equa giornata di lavoro”, i lavoratori devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: “Soppressione del sistema del lavoro salariato”».
Concludiamo questo scritto ribadendo la totale estraneità del WSM (e quindi del SPGB) alla linea politica di Convergenza Socialista che sarebbe più correttamente da chiamare, fatta salva la buona fede dei suoi militanti, “Convergenza Riformista”.  A questo proposito invitiamo iscritti e simpatizzanti a CS ad approfondire la nostra critica al riformismo con la lettura dell’apposito opuscolo (www.worldsocialism.org/spgb/pamphlets/market-system-must-go) e della breve appendice qui in basso.



APPENDICE

 Un dilemma per Convergenza Socialista: Marx o Keynes?

Un punto cruciale dell’analisi di ogni movimento politico riformista (come CS) che però si richiami esplicitamente al socialismo, sta nello svelare le sue intime contraddizioni: se è vero che accetta la definizione di socialismo del SPGB (tant'è che la riporta più e più volte sul suo sito), allora perché la sua rubrica teorica (“L’ Ideologia Socialista”) è quasi interamente di matrice keynesiana?
È noto che Keynes non voleva il socialismo, ma, all’opposto, un utopico capitalismo "ben temperato" con piena occupazione e interventi pubblici anche in deficit, ma solo quando strettamente necessari. Infatti odiava Marx e si definiva un "liberale". Poi i socialdemocratici e i laburisti hanno aggiunto all’economia keynesiana il concetto di "stato sociale" inteso come un eclettico trait d’union tra la politica e le forze sindacali.
Comunque sia, teoricamente Keynes è stato alquanto sopravvalutato nel periodo ’40-’70 dello scorso secolo e oggi gli economisti teorici più seri sanno bene che il noto modellino IS-LM e i suoi derivati più recenti fanno acqua dappertutto e non spiegano correttamente fenomeni macroscopici come quelli inflattivi (la stagflazione, la violazione della curva di Phillips e altro ancora). Gli scritti del Prof. Vittorangelo Orati sull’argomento sono un esempio di raro acume e di non comune onestà intellettuale che i militanti di CS dovrebbero sicuramente prendere come modello delle loro analisi economiche.
Ovviamente i nostri interlocutori potrebbero rispondere che ibridazioni tra socialismo e keynesismo sono possibili e fiorirono a iosa negli anni '50-'70, come, ad esempio, la famosa Agathotopia di Meade che loro sembrano apprezzare particolarmente. A questo punto, allora, si deve entrare un poco di più sul piano teorico e ripetere ciò che il vero marxismo (ossia scevro dalla vulgata socialdemocratica nonché da quella leninista-togliattiana) ha sempre sostenuto:
1) le nazionalizzazioni non sono per nulla un passo avanti verso il socialismo, né nei paesi in via di sviluppo, né in quelli già sviluppati.
2) Il capitalismo non può esser fatto funzionare nell'interesse generale dei lavoratori tramite azioni politiche esterne (anche se animate dalle migliori intenzioni): se il saggio di profitto locale si abbassa troppo per via della tassazione, della riduzione dell’orario di lavoro o con altre “riforme di struttura”, allora l’economia del paese entra in crisi e alla fine tali riforme vengono prontamente rimosse mediante instabilità politiche più o meno scontate.
3) Non esiste quindi un percorso di riforme basato su elementi di tassazione, nazionalizzazione, cooperazione, cogestione e programmazione (le famose 5 "oni" della socialdemocrazia europea del secolo scorso) che conduca gradualmente al socialismo.
4) Lo stesso è vero, con grande scorno per tutti i leninisti e i trotzkisti, anche se le nazionalizzazioni e le conseguenti pianificazioni economiche avvengono in maniera rapida e totale a seguito di eventi insurrezionali cosiddetti “comunisti”.
4) L'unica alternativa è quindi la vera rivoluzione socialista operata al livello mondiale da una maggioranza cosciente di lavoratori che abolisca democraticamente il capitalismo aprendo la strada al libero accesso ai consumi e al lavoro su base rigorosamente volontaria. Ciò definisce appunto il socialismo nel senso marxista del termine.

I militanti di CS se ne facciano una ragione e si volgano al socialismo autentico, abbandonando soluzioni ormai logore e screditate come quelle socialdemocratiche, keynesiane o meno che siano.

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