giovedì 22 luglio 2010

Socialismo, Comunismo, Leninismo, Keynesismo

In primo luogo la distinzione tra socialismo e comunismo è un concetto assente in Marx per una ragione molto semplice, tale distinzione è un’invenzione di Lenin. Ma non del Lenin prerivoluzione di ottobre. Tale distinzione infatti è assente nell’articolo dell’“Enciclopedia” su Marx scritto da Lenin alla vigilia della prima guerra mondiale (1914) dove parla solamente di socialismo. Lenin fa questa distinzione tra socialismo e comunismo nel testo “I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione” (1917), affermando che “il socialismo si deve inevitabilmente sviluppare… gradualmente in comunismo”. Egli si riferisce alla nota del manifesto (fine della seconda sezione), identificando il “socialismo” con la “prima fase del comunismo” di Marx (K. Marx, Critica al Programma di Gotha, 1875). L’idea del socialismo come transizione tra capitalismo e comunismo non si basa su testi di Marx (P. Chattopadhyay, Economic Content of Socialism in Lenin, is it the same as in Marx? 1991).
Chiarito questo punto il MSM ci tiene a precisare che Marx non ha dubbi sul fatto che in una società comunista o socialista “il capitale monetario sarà completamente eliminato e insieme con esso saranno eliminati i travestimenti che esso assume nelle operazioni (economiche).” (K. Marx, Il Capitale, vol. II capitolo 2).

La storia chiaramente mostra che il partito bolscevico rovesciò la borghesia russa (utilizzando la questione agraria e il malcontento dei soldati-marinai) diventando una forza dittatoriale. Tale dittatura non fu del proletariato (ovvero della classe dei lavoratori) ma sofferta dal proletariato (imposta ai lavoratori). Il partito formato da un’avanguardia di rivoluzionari di professione non è l’unico “difetto” del leninismo, ma un tratto delineante della sua indole borghese, come direbbe Rosa Luxembrug, “giacobina”. Tale concetto non arriva dalla filosofia marxista, la quale è dalla parte dei lavoratori, ma dalla filosofia borghese Černyševskiana. Lenin sostituisce un’oligarchia dominante con un'altra. Per il lavoratore russo nulla era cambiato dal punto di vista dell’assoggettazione al capitale. La cosa che cambiò veramente fu che con la scusa del socialismo, i lavoratori persero ogni sorta di potere contrattuale: “ogni interferenza diretta dei sindacati nella direzione delle fabbriche dev’essere considerata decisamente dannosa e non permissibile” (V. I. Lenin, Role and Functions of the Trade Unions Under The New Economic Policy, Decision Of The C.C., R.C.P.(B.), 1922) e ancor peggio ogni sorta di diritto umano.

Maestro degli slogan Lenin usò la spontaneità dei consigli (soviet) di cui diffidava per conservare il potere politico. Lenin inoltre adottò a pieno la visione errata della Seconda Internazionale secondo cui il socialismo è una sorta di capitalismo di Stato. Marx aveva parlato di “accentramento di credito nelle mani dello Stato per mezzo di una banca nazionale” (nazionalizzazione), ma questo non era il socialismo ma il passaggio dalla proprietà borghese alla proprietà “degli individui associati” (Manifesto del partito comunista, K. Marx e F. Engels, 1848). Lenin confondeva la proprietà borghese con la proprietà privata in generale. Ciò derivava dal fatto che dal punto di vista economico, quando si atteneva a Marx, Lenin non riusciva a concepire nulla più di quanto era stato già scritto. Lenin creò quindi un sistema centralizzato e burocratico dal quale Stalin ne uscì come una sua naturale creatura.

Per non parlare del fatto che Lenin si oppose aspramente ai marxisti che coerentemente ritenevano che un paese arretrato come quello russo non poteva saltare la fase capitalistica, riconoscendo poi con la NEP l’errore… “Noi…pensavamo di stabilire – direttamente comandato dallo stato proletario – lo stato di produzione e distribuzione dei prodotti su linee comuniste in un piccolo paese di contadini. La vita ha mostrato il nostro errore” (per la fonte vedi P. Chattopadhyay, Economic Content of Socialism in Lenin, is it the same as in Marx? 1991). Non considerando che quando interpellato sul merito da Vera Ivanovna Zassulich, Marx si era mostrato molto cauto, affermando che “l’inevitabilità storica di questo processo è quindi esplicitamente limitato ai paesi dell’Europa Occidentale […] L’analisi nel “Capitale” non contiene una sola prova – né a favore né contro la vitalità della comunità di villaggio. Ma lo studio speciale che ho condotto sull’argomento e per il quale ho fatto uso di materiale originale, mi ha dato la convinzione che questa comunità di villaggio è alla base della rinascita della società Russa.” (K. Marx, Lettera di Karl Marx a Vera Ivanovna Zassulich, 1881).
Per quanto riguarda il valore, quando i mezzi di produzione e di distribuzione della ricchezza diventano proprietà comune dei produttori socializzati la legge del valore perde di senso, “tutta l’economia o è regolata dalla legge del valore o non è regolata dalla legge del valore. Non è possibile dire con Stalin, per esempio, che la legge del valore regola la sfera del consumo ma non la sfera della produzione; la legge o regola l’intera economia o non ne regola neppure una parte” (P. Mattick, Marx e Keynes, i limiti dell’economia mista, 1972). Inoltre, in accordo con Marx, il MSM ritiene che il modo di distribuzione dipende dal modo di produzione.

Il MSM ribadisce che come il keynesismo non favorisce il passaggio dal capitalismo al socialismo dal punto di vista economico non lo favorisce neanche dal punto di vista sociale.
Il keynesismo mette gli interessi dell’economia borghese in generale davanti agli interessi dei singoli capitalisti. Lo Stato (borghese) è lo strumento attraverso il quale tale mediazione, economia generale-singolo capitalista, avviene. Il keynesismo è applicato dalla classe capitalista fin quando è in grado di assicurare la realizzazione di profitto.
Anche se Keynes ha elaborato la sua teoria per il capitalismo maturo (paesi economicamente sviluppati) tale teoria ha effetti anche sui precapitalismi e/o capitalismi sottosviluppati.
Nel capitalismo maturo lo Stato, mediante la tassazione, le imprese statali e il prestito, finanzia, con il debito pubblico, le opere pubbliche a spese del capitale privato. Tale interevento statale è atto a diminuire temporaneamente la disoccupazione e aumentare temporaneamente il consumo (domanda effettiva) rilanciando, nel migliore dei casi, temporaneamente l’economia. Il capitale privato in primis perde, finanziando il debito, ma in secundis, se l’economia si riattiva adeguatamente vince su due fronti, in quanto creditore e in quanto produttore. Ovviamente il keynesismo non si è rivelato, dal punto di vista capitalista, infallibile e per questo ha subito critiche e trasformazioni.
Comunque in linea di principio nei paesi sviluppati un intervento keynesiano vincente allontana temporaneamente i lavoratori di tali paesi dalla necessità di organizzarsi in classe al fine di lottare contro il capitale in crisi.
“Insistendo sul fatto che solo il volume e non la direzione della produzione si doveva sottoporre alla pianificazione statale, Keynes faceva intendere di non aver interesse a modificare gli esistenti rapporti di classe ma di voler solo rimuovere le tendenze pericolose nei periodi di crisi” (P. Mattick, Marx e Keynes, i limiti dell’economia mista, 1972).
Keynes non si occupa direttamente dei paesi economicamente sottosviluppati, egli ritiene che “la collettività sarà propensa a consumare la massima parte della produzione, cosicché basterà un volume molto modesto di investimento per assicurare un’occupazione piena” (J.M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936).
La disoccupazione nei paesi sottosviluppati non è però dovuta all’abbondanza di capitale ma alla sua scarsità quindi la teoria keynesiana non è pedissequamente applicabile. Gli investimenti di cui Keynes parla non sono una sua invenzione economica, ma sono frutto della tendenza naturale del capitalismo a investire capitale per ottenere più capitale.
Il capitale privato investito nei paesi sottosviluppati è generalmente estero e generalmente sottrae le risorse naturali da tali paesi. Anche le sovvenzioni, chiamati aiuti economici, che vanno nella costruzione di infrastrutture di questi paesi aiutano principalmente il capitale privato che si serve di tali infrastrutture.
A questo punto lo sviluppo di capitale nei paesi poveri viene ottenuto attraverso l’aumento della produzione che grazie all’intervento dello Stato (keynesianamente), il quale aumenta l’inflazione monetaria, tiene basso il consumo locale di tali prodotti e genera profitto nei paesi ricchi.
Questo amplia il divario tra i pochi ricchi e le masse di poveri che in questi paesi sottosviluppati è ancora più accentuato.
Se nei paesi sviluppati il keynesismo, finché funziona, imborghesisce i lavoratori, nei paesi sottosviluppati non crea le basi per un miglioramento delle masse povere le quali non hanno alcun potere contrattuale quindi alcuna possibilità di lottare convincentemente contro il capitale, nel loro caso classe dominante locale e capitale estero.
La ragione per la quale si ha il divario tra i movimenti dei lavoratori degli anni passati e quelli odierni non è il keynesismo ma la riduzione del potere contrattuale determinata dalla globalizzazione del mercato del lavoro.

Mattick, come il MSM, va oltre la critica dell’avanguardismo leninista, egli critica la mancanza dei seguenti concetti marxisti:

  1. “L’emancipazione della classe lavoratrice deve essere il lavoro della classe lavoratrice stessa”.
  2. La dittatura del proletariato non è la dittatura del Partito, com’era inteso da Lenin.
  3. Il socialismo è una società in cui i mezzi di produzione sono della società nel complesso (e non dello Stato/Partito), dove non ci sono classi sociali, quindi niente lavoro salariato, denaro e divisione del lavoro. Il socialismo non è quindi una fase (capitalismo di Stato) di passaggio dal capitalismo al comunismo.
  4. Democraticità del movimento dei lavoratori, che non è quindi gerarchico-centralizzato come quello bolscevico dove il leader è indiscusso e infallibile.
  5. Contro il culto della personalità, per un approccio scientifico e non dogmatico.
Di buono in Lenin c’è davvero poco e se si legge attentamente Mattick o gli scritti del Socialist Party of Great Britain (SPGB), si può notare chiaramente il riconoscimento soprattutto della sua battaglia contro il revisionismo della Seconda Internazionale.
Il MSM ha avuto origine dal SPGB, il quale esiste dal 1904 e deriva direttamente dal Social Democratic Federation (SDF) (1884), che annovera tra i suoi membri William Morris, Edward Aveling e Eleanor Marx.
La politica del MSM non è quella di “cancellare tutto”, ma sicuramente non quella di farsi corrompere dal giacobinismo piccolo borghese. Il MSM è dalla parte dei lavoratori e dei disoccupati che ogni giorno sono alla mercé del capitale. Il MSM ha una struttura democratica dove non esistono leader.

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