giovedì 22 luglio 2010

Su Pomigliano

Pubblichiamo tre lettere che a nostro parere destrivono bene la situazione di Pomigliano.

Pomigliano: l’arroganza, l'infamia, la vergogna!

Fiat di Pomigliano d’Arco (NA). Firmato l’accordo che segna lo spartiacque delle “nuove relazioni industriali”. D’ora in avanti ogni impresa potrà arrogarsi il diritto di ricattare i propri lavoratori (quelli rimasti): o accettate le mie piattaforme o chiudo.

Dopo aver ricevuto, da governi di ogni colore, sovvenzioni pubbliche a iosa, appoggi politici di ogni tipo, incentivi, ruffianismi sindacali di ogni provenienza, la Fiat mette una pietra tombale ai Contratti Collettivi di Lavoro e al diritto di sciopero.

Più turni di lavoro, meno pause, più straordinari obbligatori, limitazione del diritto di sciopero e del pagamento della malattia. Un pacchetto da prendere tutto insieme o da lasciare.

Operai coinvolti: 5.200 come dipendenti diretti, 10.000 dell’indotto.

Il tutto in nome della “competitività”, facendo arrivare dalla Polonia la Nuova Panda (250.000 auto annue da produrre, contro le attuali 45.000 di altre gamme).

Se vuoi lavorare devi essere un robot (vedi WCM, o “Nuova Metrica del lavoro”) e devi produrre “come un orologio svizzero”, secondo Sergio Marchionne, AD Fiat.Per Governo e Industriali, parola di Tremonti, “è finito il conflitto tra capitale e lavoro“.

Sarebbe invece il caso di dire che il capitale schiaccia sempre di più il lavoro; ma non pretendiamo che parlino tanto chiaro da Associazioni di Sfruttatori e da politici che sono da sempre sul loro libro paga.

Per i sindacati firmatari dell’ennesimo accordo infame ai danni dei lavoratori che dicono di rappresentare (CISL, UIL, UGL, FISMIC), si tratta di “un accordo sensato e innovativo”. Parola di Raffaele Bonanni, segretario nazionale CISL. Ormai sono decenni che queste sigle sono le capofila della svendita premeditata di tutte le conquiste operaie di fine anni ’60-inizio anni ’70. Fosse dipeso da loro, e dagli accordi che ci hanno fatto ingoiare, l’Italia non dovrebbe avere praticamente disoccupazione. Sono stati regalati infatti ai padroni salari, licenziamenti, straordinari, flessibilità selvaggia del lavoro, produttività… e chi più ne ha ne metta… In cambio di cosa? Di una massa crescente di disoccupati e precari, in ogni settore.

Ma anche i “sinistri” devono essere totalmente chiamati a rispondere del loro collaborazionismo. Altro che CGIL “sindacato d’opposizione”! Opposizione a cosa? Epifani, dall’inizio di questa vicenda, ha detto chiaramente che prima di tutto vengono gli investimenti… mettendo così nei guai la FIOM, la quale, pur disposta a ingoiare la cosiddetta “riorganizzazione del lavoro” (= + sfruttamento), dovrà ora prendere atto dell’esito scontato del referendum tra i lavoratori ricattati, e limitarsi a salvarsi l’anima con la mancata apposizione della firma all’accordo. La CGIL è ormai anch’essa un carrozzone parlamentare che non può difendere in nulla i lavoratori dal forsennato attacco padronale nella crisi.

I lavoratori possono risalire la china contando solo sulle proprie forze; collegandosi tra realtà di lotta, formando comitati di sciopero nelle aziende, coordinando iniziative comuni con i loro compagni di classe e d’impresa, in Europa e nel mondo. Nel caso della Fiat, con i lavoratori polacchi, innanzitutto. Nella lettera che riportiamo nel retro un gruppo di lavoratori della FIAT di Tichy denuncia l’opera di divisione e ricatto della FIAT sui lavoratori polacchi e italiani. E concludono:

“E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere."

L’unione e la lotta internazionale dei lavoratori è l’unica soluzione per non farsi schiacciare dai padroni, dai politicanti borghesi di ogni colore, dai burocrati dei sindacati collaborazionisti e statali, per preparare il futuro della nostra classe.

Combat – Commissione Lavoro


Lettera dei lavoratori FIAT di Tychy (Polonia)
ai lavoratori di Pomigliano d’Arco (Italia)
(Tychy, 13 giugno 2010)

La FIAT gioca molto sporco con i lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend).

A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.

Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

È chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.

Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.

Lavoratori, è ora di cambiare!


“Un episodio di meravigliosa sussidiarietà" (M. Sacconi)

Il ministro Sacconi, inebriato dal sole di Santa Margherita Ligure e non sopportando più di tanto il vino frizzante, ha parlato in relazione alla proposta Fiat di Pomigliano di “meravigliosa sussidiarietà”, ignorando che il termine, in senso etimologico, significa “portare aiuto” (sussidium afferre) e che la sussidiarietà può essere “verticale” (il rapporto Stato Regione Provincia Comune) oppure “orizzontale” (riguardante il rapporto pubblico privato nei servizi) ma che non c’entra un cazzo nelle relazioni industriali. In ogni caso c’entri o meno la sussidiarietà e il vinello frizzante confindustriale, il caso Pomigliano va inquadrato in quella che ormai si palesa come una mondializzazione senza veli e senza copertura ideologica: cessione di diritti in cambio di lavoro, di questo si tratta e poiché in cambio di quello si cedono diritti acquisiti con fatica in passato quel lavoro (salariato) assume di fatto vestigia servili. Del resto politici, analisti, industriali e giornalisti compiacenti non hanno ormai più remore nel dire apertamente che il problema non è quello (non lo è mai stato) di far crescere i salari e le condizioni di lavoro nei paesi “emergenti”, ma quello di far scendere i nostri al loro livello. L’obiettivo dichiarato è dunque allineare progressivamente salari e condizione di lavoro nei paesi europei a quelli. È qui quindi, in questo snodo di storia contemporanea, che la vertenza di Pomigliano assume un valore simbolico e non solo di svolta: o si accettano le condizioni imposte da Fiat - che va ricordato è indisponibile a qualsiasi forma di trattativa – erodendo finanche il margine “riformistico” posto dalla Fiom e dunque si ridisegnano i rapporti di forza a vantaggio del padronato, più di quanto non lo siano già oggi, oppure si scende in lotta e ci si ribella aprendo una strada che nessuno può sapere dove potrebbe portare. Va ammesso che davanti alla prospettiva di restare senza lavoro in una città e in una regione in cui la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è molto alta, la maggioranza dei lavoratori di Pomigliano sarà probabilmente orientata ad accettare le condizione imposte da Fiat, condizioni che vorremmo ricordare sono durissime e in deroga al contratto nazionale. Tra le altre, allo scopo di utilizzare gli impianti 24 ore su 24 e 6 giorni alla settimana, sabato compreso, i lavoratori dovranno lavorare su tre turni giornalieri di otto ore. L’ultima mezz’ora sarà dedicata alla refezione (il che significa non toccare cibo per almeno otto ore) l’azienda potrà richiedere 80 ore di straordinario a testa (due settimane in più di lavoro l’anno) senza accordo sindacale. Le pause saranno ridotte da 40 a 30 minuti, ma soprattutto, è questo uno degli aspetti più odiosi richiesti da Fiat, le eventuali perdite di produzione a causa di interruzione delle forniture (caso abbastanza frequente quando la componentistica proviene da tutt’altre aziende a chilometri di distanza) dovranno essere recuperate o nella mezz’ora di fine turno (giusto quello della refezione) o nei giorni di riposo individuale, in deroga al contratto nazionale. Una parte poi del documento Fiat è dedicata alla cosiddetta “metrica lavorativa”, ovvero al metodo di determinare i movimenti che un operaio deve compiere per effettuare una certa operazione e i tempi in cui la deve fare, insomma un sistema computerizzato e meccanizzato atto a spremere fino all’ultima goccia il lavoro vivo perché nulla di ciò che produce valore vada sprecato. Inoltre, nel documento, con un atto gravissimo di arroganza, si chiede alla componente sindacale che non ha ancora accettato la proposta di accordo di istruire i lavoratori nella rinuncia allo sciopero, togliendogli così di fatto l’unica modalità di resistenza e negando sul piano formale un diritto costituzionale. Siamo dunque, come si diceva, a una svolta: se in Polonia o in qualunque altro luogo un operaio lavora accettando condizioni di sfruttamento durissime, non si capisce perché le case automobilistiche in concorrenza fra loro debbano rinunciare a imporre queste condizioni. Le stesse modalità sono portate avanti dalla Volkswagen, dalla Toyota o dalla General Motors.

Ne più né meno. Che fare? Effettivamente sembra non ci siano alternative.

Per ora le notizie che ci giungono dicono di una resistenza della Fiom, ma isolata politicamente e dalla stessa C.G.I.L. Per quanto e come potranno resistere? Autorevoli commentatori in nome della “responsabilità” dicono che “realisticamente” non ci sono alternative, che l’accordo deve essere accettato, pena la responsabilità che non ci siano gli investimenti da parte di Fiat. I lavoratori incalzati da una giornalista sul che cosa faranno nel caso in cui la Fiat dovesse rimanere in Polonia a produrre, hanno, del tutto comprensibilmente, “balbettato”. A domanda rispondevano con domanda, elusivi, chiedevano senso di responsabilità all’azienda, si appellavano all’etica, facevano “tenerezza”, una scena straziante, però del tutto comprensibile per chi sa bene che il lavoro (salariato) è maledizione ma anche fonte di sopravvivenza, (“pochi maledetti e subito”), e comprensibile a chi arriva da quel mondo, un mondo fatto di gente che spesso non ha coscienza della propria forza, del fatto che il capitalismo potrebbe scomparire dall’oggi al domani se solo i lavoratori, tutti i lavoratori lo volessero e visto quello che il capitalismo, da decenni, ha ormai da offrire a tutte le latitudini: briciole di lavoro salariato da accettare a qualunque condizione.

Forse però è giunto il momento di dire a quei lavoratori, con tutto il rispetto da parte di chi un lavoro ce l’ha, che non rimane loro che lottare, con le modalità e le forme che loro e solo loro riterranno più opportune, senza chiedere niente a nessuno e rivolgendosi solo a chi si trova nelle loro stesse condizioni (i loro compagni polacchi nella fattispecie).

Si tratta di uno scontro più avanzato rispetto al caso della Inse a Milano e più drammatico: lì hanno trovato un padrone interessato a rilevare l’azienda. A Pomigliano nessuno farà l’investimento se non la Fiat a quelle condizioni.

Prendere o lasciare. In questo caso i lavoratori non hanno che da perdere le loro catene. E allora diciamo con rispetto a quei lavoratori “prendetevela la fabbrica, occupatela” altro che il campo da calcio che il dott. Marchionne ci vorrebbe costruire!

Alfio Colombo

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