sabato 17 luglio 2010

Il capitalismo di Stato

Il quotidiano italiano "liberalsocialista" Avanti! ha pubblicato qualche anno fa un articolo su Bruno Rizzi (1901-1977) descrivendolo come "un socialista eretico". Non vorremmo dire che fu un socialista nel proprio senso della parola, ma diede un importante contributo alla discussione sulla natura dell'U.R.S.S., introducendo il concetto di una classe che possiede i mezzi di produzione collettivamente, come una classe, senza che i suoi membri individuali possiedano i titoli della proprietà legale a loro nome come nel capitalismo tradizionale.

Riproduciamo qui il capitolo III del suo libro del 1939, Il Collettivismo Burocratico, dove espone i suoi argomenti a riguardo. Noi piuttosto chiameremmo la passata U.R.S.S. "capitalismo di Stato" e senza dubbio la predizione di Rizzi che il mondo intero stesse rapidamente aprendosi verso il suo "collettivismo burocratico" risulta essere selvaggiamente errata. Tuttavia, come abbiamo detto, egli diede un importante contributo a una comprensione della passata U.R.S.S. come una società di classe, con una proprietà collettiva e una classe sfruttata lontanamente rimossa da qualsiasi cosa vagamente somigliante al socialismo - che deve essere una società democratica senza classi e senza stati.

LA PROPRIETÀ DI CLASSE

(Capitolo 3, Il Collettivismo Burocratico. Bruno Rizzi, 1939)

Dato che Trotzky conferisce un valore incommensurabile al fatto che la contraddizione non è passata dal dominio della ripartizione a quello della produzione, vien fatto di pensare che egli concepisca la produzione sovietica come di marca socialista. Ci sembra che questa volta ci sia ancora un'illusione ottica che non è dalla nostra parte.

Per il solo fatto che la proprietà è nazionalizzata e l'economia pianificata, si pensa che la produzione sia di una qualità sufficientemente socialista onde assicurarci il permanere dello “Stato Operaio”. In realtà tutto il sistema di produzione resta collettivo come nella organizzazione delle grandi imprese capitaliste, mentre la proprietà passa dalla forma privata a quella collettiva. Ne viene quindi che se le caratteristiche economiche sono le sole determinanti della natura dello Stato, per quanto riguarda l'U.R.S.S., noi siamo ridotti alle nazionalizzazioni ed ai piani statali.

Resta da vedere che cosa rappresenti effettivamente la nazionalizzazione della proprietà nell'U.R.S.S. e qui anche noi, senza avere la pretesa di essere marxisti ortodossi, ci permettiamo di esaminare il disotto dei fatti. Certamente essa è stata la prima misura rivoluzionaria decretata dalla classe operaia al potere nel fine della costruzione socialista, ma questa si è arrestata con la degenerazione staliniana ed è logico indagare che cosa sia socialmente diventata quella nazionalizzazione che doveva concludere in una socializzazione della proprietà. In un modo semplicista ci si dice che la proprietà è “nazionalizzata”. È ben poco per dei marxisti scientifici. Chi la dirige? Non certamente il proletariato, ma bensì la burocrazia sovietica. Tutti sono d'accordo su questo punto nel campo di Agramante, e Trotzky aggiunge che la ripartizione dei prodotti viene fatta in modo per cui la burocrazia si taglia la parte del leone. Noi ci domandiamo quale sorta di proprietà “nazionalizzata” sia questa, diretta in modo esclusivo da una classe che s'impossessa poi dei prodotti in modo altrettanto sfacciato di quello usato dalla vecchia borghesia. Negli effetti esiste in Russia una classe sfruttatrice che tiene in mano i mezzi di produzione e si contiene esattamente come una proprietaria di questi. Il suo possesso non è frazionato tra i suoi componenti ma, quest’ultimi, in blocco, come classe, sono i reali possessori di tutta la proprietà “nazionalizzata”.

Sembra che la proprietà dopo esser stata di tutti, quasi inesistente per gli uomini dell'epoca selvaggia ed esser passata poi alle comunità per trasformarsi quindi in proprietà privata, riassuma ora una forma collettiva nella veste di proprietà di classe.

La classe sfruttatrice in Russia è diventata proprietaria ed ha concretizzata la sua essenza giuridico-sociale. Per sfuggire all'assalto dei lavoratori essa li incanta con la “nazionalizzazione” della proprietà, come se ciò rappresentasse negli effetti una proprietà di tutti. Ciononostante essa ha paura e non può sviluppare il suo lavoro in un ambiente democratico; è, almeno momentaneamente, condannata a costruire uno Stato poliziesco.

Le forme di proprietà devono mettersi al passo col sistema di produzione e se la classe sfruttata non è all'altezza del suo compito storico, dal dissolvimento della classe dominante ne esce una nuova classe, chiamiamola storicamente parassitaria, che nello Stato poliziesco forse manifesta la condanna della Storia.

La contraddizione tra il modo di produzione e la forma della proprietà, proprie della società capitalista, viene quindi ad essere risolta nell'U.R.S.S. anche senza il raggiungimento del Socialismo e l'elevarsi del proletariato a classe dominante. Lo sfruttamento resta e passa soltanto dal dominio dell'uomo a quello della classe sulla classe. Lo sfruttamento umano sotto la spinta dell'ineluttabile sviluppo economico ha assunta una nuova forma. La proprietà da privata è diventata collettiva, ma di classe; in modo diverso noi non sapremmo definire questa proprietà “nazionale” che non è di tutti, questa proprietà che non è, né borghese, né proletaria, che non è privata, ma che non è neanche socialista.

Trotzky non riesce a concepire la nuova classe sfruttatrice in Russia, non riesce a concepire la progressiva polverizzazione della borghesia nel mondo, non intravede la determinazione sempre più rimarchevole della proprietà di classe non solo in Russia, ma anche nei paesi totalitari. Concepisce il mondo “come società borghese in disfacimento (pourissant)“.

Ben poca cosa per un marxista che pretende all'analisi scientifica. Da Mussolini a Labriola, da Tardieu a Wallace, tutta la letteratura di questo quarto di secolo non è che un'accusa ed un sarcasmo indirizzato alla vecchia società borghese. Il de profundis è stato cantato al capitalismo in tutte le lingue. A noi sembra che il compito dei marxisti “scientifici”, depositari della dialettica della lotta di classe, non sia quello di svignarsela con una definizione banale, ma consiste precisamente nel vedere qual è il movimento di classi che si avvera in questa epoca della fine del capitalismo, e di fissare, oltre le nuove forme di proprietà, i nuovi rapporti sociali. Vediamo così che il celebre “plus-valore” non è scomparso neanche in questo Stato-rebus che è l'Unione Sovietica, sulla qual cosa sono tutti d'accordo. Le discordanze sopravvengono quando si tratta d'individuare dove va a finire. Va forse alla borghesia inesistente? No. Va forse agli operai? Neppure poiché allora si avvererebbe il fatto che il Socialismo è in costruzione in un solo paese e precisamente in quello della “grande menzogna”. Dobbiamo forse pensare che il plus-valore va allo ”Stato Operaio”?

Per le ragioni sopraddette sarebbe il trionfo dello stalinismo di cui Trotzky è il primo nemico e se qualcuno volesse pretendere che il plus-valore è scomparso nel paese dei Soviet, bisognerebbe dedurne che anche la forza-lavoro non è più comperata ed allora il Socialismo sarebbe un fatto contro ogni evidenza.

In realtà non vi è che una risposta possibile ed ammissibile: il plus-valore passa alla nuova classe sfruttatrice: la burocrazia in blocco.

Quando si ammette che la società è in via di decomposizione, già significa che essa sta perdendo le sue caratteristiche economiche; ciò precisa che le caratteristiche peculiari della classe dominante scompaiono e la Società diviene un’altra. Il fenomeno compiuto, nel cosiddetto Stato Sovietico, si trova in via di formazione ovunque nel mondo. Quella proprietà di classe che in Russia è un fatto acquisito non risulta certamente registrata presso alcun notaio o in nessun catasto, ma la nuova classe sfruttatrice sovietica non ha bisogno di queste bagattelle, essa ha la forza dello Stato nelle mani e ciò vale ben più che le vecchie registrazioni giuridiche della borghesia. Essa salvaguardia la sua proprietà con le mitragliatrici del suo apparecchio d'oppressione onnipotente e non con documenti notarili.

Se per il fascismo, con i suoi concetti di collaborazione di classe e di Stato al di sopra delle classi, è sostenibile la tesi della proprietà nazionalizzata noi non comprendiamo come dei marxisti, anche se scientifici, se la possono cavare su questo punto. Per Marx e Lenin lo Stato è l'organo di oppressione della classe dominante; fin che esiste lo Stato permangono le classi; e la proprietà sotto l'egida dello Stato è negli effetti gestita dalla classe dominante a mezzo del suo apparecchio di dominio. Marxisticamente parlando, il concetto di proprietà nazionalizzata non ha senso, è antiscientifico e antimarxista. Per Marx la proprietà privata doveva divenire socialista e come tale l'intendeva, almeno in forma potenziale, anche nel periodo della dittatura proletaria. Seguendo la teoria marxista, dietro lo Stato c'è sempre la classe e se non fu preveduta la possibilità di una forma immediata di proprietà (la proprietà di classe), ciò dipende quasi certamente dal calcolo errato di una rapida scomparsa delle classi dopo che il proletariato avrebbe preso il potere. In realtà, anche durante la dittatura del proletariato, la proprietà assume il carattere di classe, appartiene ed è gestita dai burocrati, solo potenzialmente manifesta il suo carattere socialista. Che se poi la proprietà viene nazionalizzata in un regime non proletario, perde anche il suo carattere potenziale di proprietà socialista per restare unicamente proprietà di classe.

Nel caso dell'U.R.S.S., Stato ove la borghesia ha un peso sociale trascurabile, se l'organizzazione statale permane, ciò significa che almeno due classi devono essere ancora in vita ed efficienti. Se il buon senso si rifiuta di ritenere i lavoratori sovietici proprietari dei mezzi di produzione è logico pensare che la proprietà di questi appartenga effettivamente alla burocrazia. Altroché “commesso”; si tratta di un proprietario ben definito.

Molto probabilmente il fatto che non sia stata prevista una forma transitoria di proprietà tra quella privata e quella socialista sta alla base non solo della discordia nel campo di Agramante, ma anche della confusione politica ancora regnante nel mondo ove si valuta per Socialismo o Capitalismo l'operato di Stalin, Mussolini o Hitler mentre in realtà si tratta di Collettivismo Burocratico.

Nel campo di Agramante si fanno degli sforzi terribili per parare a queste logiche deduzioni.

Il luogotenente Naville chiedendosi di quale differenza si tratti tra la proprietà privata e la proprietà collettiva se solo una burocrazia può approfittarne di questa, risponde non esservi che una differenza di grado tra la proprietà privata capitalista e la gigantesca proprietà ”privata” della burocrazia.

Mirabolante trovata. La proprietà di svariati milioni di cittadini concepiti nel loro complesso sociale resterebbe ancora privata. Ma ci sa dire allora questo marxista scientifico che cosa intende per proprietà collettiva? E perché allora non resterebbe privata anche la proprietà di una società socialista, se è soltanto questione di grado? Forse che questo Solone scambia la Società Umana con una Società per azioni?

Le Società Umane vanno considerate in sintesi e non in somme. La proprietà privata è e resta tale finché con lo statizzarsi continuo non cambia le sue caratteristiche.

La legge dialettica di Hegel della trasformazione della quantità in qualità vale anche per la proprietà. La prima cristallizzazione della proprietà collettiva si identifica con la proprietà di classe anche se sotto l'egida del proletariato. Che i marxisti non l'abbiano previsto e non lo vedano, è un altro affare.

Se per Naville resta privata la proprietà delle statizzazioni fasciste, anche se questo processo sta per sommergere tutto il capitalismo, non vediamo per quale ragione non si debba considerare come privata anche la proprietà delle nazionalizzazioni sovietiche, dove il processo è completamente acquisito e la burocrazia ne è la grande beneficiaria. Seguendo il suo ragionamento questa deduzione è logica anche se errata. In realtà la nazionalizzazione dei mezzi di produzione nell'U.R.S.S. ha creato una forma di proprietà collettiva, ma di classe che risolve l'antagonismo capitalista della produzione collettiva e dell'appropriazione privata. Noi non usiamo due pesi e due misure nell'esame dei fatti sociali ed affermiamo che anche il profondo travaglio economico degli Stati Totalitari con le nazionalizzazioni ed i piani economici porta alla risoluzione dello stesso antagonismo con la conseguenza sociale dell'apparizione della proprietà di classe, del dominio della burocrazia, del polverizzamento della borghesia e della trasformazione dei proletari in sudditi di Stato.

Riferendosi alla burocrazia in genere, Naville continua: ”Che essa abbia o no dei titoli di proprietà, ed essa non ne ha, la burocrazia non può disporre (ripartire) liberamente, né di un capitale accumulato, né del plus-valore prodotto. Non si tratta per essa che di una proprietà capitalista privata, anche su scala di monopoli statali”.

A noi pare che la verità abbia proprio un senso contrario. La burocrazia sovietica in specie dispone dei capitali accumulati e ripartisce il plus-valore. Trotzky arriva a dire: “Ciò che non era se non una deformazione burocratica si appresta ora a divorare lo Stato Operaio senza lasciar nulla e a formare sulle rovine della proprietà nazionalizzata una nuova classe possidente”. Ed aggiungiamo noi: chi dirige l'economia? Chi appresta i piani quinquennali? Chi fissa i prezzi di vendita? Chi decreta le opere pubbliche, gli impianti industriali ecc. se non la burocrazia sovietica? E se la proprietà non fosse a disposizione di questa, per chi dunque è a disposizione e chi è incaricato della ripartizione del plus-valore? Forse la sepolta borghesia zarista, l’imperialismo mondiale od il proletariato russo? Naville non ci dà spiegazioni e continua: “Si tratta allora di una nuova forma di proprietà, dei rapporti stabiliti storicamente sulla base dell'appropriazione collettiva, ma a beneficio di una classe particolare, la burocrazia? In questo caso, bisognerebbe ammettere che la burocrazia gioisce del sistema come una classe capitalista, poiché si approprierebbe il plus-valore come un'impresa capitalista.”

Si, perbacco, proprio si tratta di questo, ma bisogna ammettere che la burocrazia gioisce del sistema della Società divisa in classi, non già come classe capitalista, ma burocratica e che si appropria del plus-valore non già come una impresa capitalista, ma come una classe sfruttatrice.

Al contrario, alla domanda che il Naville timidamente si pone egli risponde in questo modo: “La storia dimostra che il fenomeno della produzione e della appropriazione del plus-valore non è proprio limitato al capitalismo liberale o al monopolio privato. La rendita fondiaria e il plus-valore che esistevano all’epoca del feudalesimo hanno preso il loro senso con l'economia mercantile e poi con lo sviluppo industriale. Essi continuano ad esistere nell'U.R.S.S. malgrado i dinieghi di Stalin, Boukharin e della loro scuola. Solo essi sono nazionalizzati; e la differenza esenziale è qui. Se si vuole chiarire la natura della società sovietica attuale, bisogna evitare gli errori anche da questa parte.”

Messo al muro e nell'ineluttabile necessità di ammettere che il plus-valore “prende tutto il suo senso” anche nel Collettivismo Burocratico, il discepolo di Trotzky gira poco scientificamente l'ostacolo e sottolinea la posizione ambigua, antimarxista e reazionaria, per cui rendita fondiaria e plus-valore verrebbero nazionalizzate nella società sovietica. Vi riscontra anche una differenza essenziale.

Gli risponderemo con le parole del suo maestro che nella Rivoluzione Tradita così si esprimeva: “Non è contestabile che i marxisti, a cominciare da Marx stesso abbiano impiegato relativamente allo Stato Operaio i termini di proprietà “statale”, “nazionale” o “socialista” come dei sinonimi. A delle grandi scale storiche, questo modo di parlare non presentava degli inconvenienti. Ma esso diviene la sorgente di errori grossolani e di inganni allorché si tratta delle prime tappe non ancora assicurate dell'evoluzione della nuova società isolata ed in ritardo dal punto di vista economico sui paesi capitalisti.”

La proprietà privata, per divenire sociale, deve ineluttabilmente passare per la statizzazione, cosi come il bruco, per divenire farfalla deve passare per la crisalide. Ma la crisalide non è una farfalla. Delle miriadi di crisalidi periscono prima di trasformarsi in farfalle. La proprietà dello Stato non diviene quella del “popolo intero” che nella misura della scomparsa dei privilegi e delle distinzioni sociali, fase in cui lo Stato, per conseguenza, perde la sua ragione di essere. Detto altrimenti: la proprietà dello Stato diviene socialista via via che cessa di essere proprietà di Stato. Ma al contrario: più lo Stato sovietico si eleva al di sopra del popolo, più duramente egli si oppone come dilapidatore guardiano della proprietà e più chiaramente egli testimonia contro il carattere socialista della proprietà statizzata.

Non sembra quindi che in seguito ad una cosiddetta nazionalizzazione della proprietà, la rendita fondiaria ed il plus-valore risultino effettivamente nazionalizzati ossia di tutto il popolo. Differenze essenziali non ne esistono se non quella per cui non e più la borghesia la classe sfruttatrice e che incassa il plus-valore, ma è la burocrazia che si è aggiudicata questo onore.

Naville gioca sull'identità tra la proprietà nazionalizzata e proprietà socialista il che non ci sembra, né troppo scientifico, né troppo marxista. Era scusabile un tale errore ai tempi di Marx, ma non più ai discepoli ora che le previsioni del maestro, anche se non chiare, prendono sostanza sociale.

Se si vuol appurare “la natura della società sovietica attuale” bisogna proprio evitare degli errori anche da questa parte e sviscerare che cosa realmente rappresenta socialmente parlando, la proprietà nazionalizzata. D'accordo che questo lavoro deve essere fatto in modo scientifico, marxista se così meglio aggrada ai cavalieri d'Agramante. Noi non pretendiamo di averlo compiuto, ma solamente abbozzato.

Seguendo questa strada, anche l'avvento dello Stato Totalitario nel mondo risulterà un poco più chiaro a coloro che fin qui ci hanno dimostrata una totale incomprensione nei confronti del Fascismo ancora bollato quale salvatore e continuatore del capitalismo.

In questi regimi una nuova classe dirigente in formazione dichiara che il capitale è al servizio dello Stato. Fa seguire i fatti, fissa già in gran parte i prezzi delle merci ed i salari dei lavoratori, organizza su di un piano prestabilito l'economia nazionale.

Evidentemente la proprietà dei mezzi di produzione non è cosi semplice ad individuarsi come quella dei mezzi di consumo. Questi ultimi sono di uso personale, ma gli altri sono più fissi delle montagne. Non c'è alcun proprietario, né alcuna classe, né alcun Stato che se li possa collocare sulle spalle e trascinarli dove meglio gli piace. Niente da meravigliarsi quindi se si avverano momenti in cui è difficile determinarne la proprietà.

Per conto nostro, nell'U.R.S.S. i proprietari sono coloro che tengono la forza nelle mani: i burocrati. Sono coloro che dirigono l'economia così com’era normale tra i borghesi. Sono coloro che si appropriano dei profitti come è regolare presso tutte le classi sfruttatrici. Sono coloro che fissano i salari ed i prezzi di vendita delle merci: i burocrati ancora una volta.

Gli operai non hanno che fare con la direzione sociale, tanto meno con gli incassi del plus-valore e tanto peggio per quanto riguarda la difesa di questa strana proprietà “nazionalizzata”. Gli operai russi sono ancora degli sfruttati ed i burocrati sono i loro sfruttatori.

La proprietà nazionalizzata dalla Rivoluzione di Ottobre appartiene ora come un “tutto” alla classe che la dirige, la sfrutta e la salvaguardia: essa è proprietà di classe.

Col sistema di produzione collettivo integratosi durante l’evoluzione capitalista, la proprietà privata non poteva sfuggire alla collettivizzazione. La realtà è che la proprietà collettiva non si trova sotto la protezione della classe proletaria, ma bensì sotto quella di una nuova classe che nell’U.R.S.S. rappresenta un fatto sociale ormai compiuto, mentre negli Stati Totalitari è in via di formazione.

4 commenti:

  1. in cosa differisce dalla socialdemocrazia?

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  2. Tutte le imprese sono statali (non esiste la proprietà privata dei mezzi di produzione) e vi è una dittatura da parte dell’unico partito politico (quindi niente libertà di espressione e di organizzazione politica/sindacale).

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  3. Il Capitalismo di Stato teorizzato dalla socialdemocrazia non differiva da quello attuato dal Partito Bolscevico.

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  4. http://it.wikipedia.org/wiki/Socialdemocrazia

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