Che cos’è il saggio di profitto?
Il saggio di profitto misura il ritorno sul capitale investito in un dato periodo ed è solitamente espresso come una percentuale. Così, se un investimento di capitale di 100.000 euro circola in un anno e il profitto è 20.000 euro, allora il saggio di profitto è 20.000/100.000, ossia il 20 per cento l’anno.
Se un capitalista si trovasse a partire da zero dovrebbe usare un po’ dei suoi 100.000 euro per acquistare gli edifici industriali e per attrezzarli con le macchine. Dovrebbe poi acquistare le materie prime e pagare affinché la corrente elettrica alimenti le macchine. Infine dovrebbe usare un po’ del suo capitale per assumere i lavoratori e pagare le loro retribuzioni. Partiamo dal presupposto che la fabbrica, le macchine, le materie prime e la corrente elettrica gli costino 80.000 euro e che il suo conto delle retribuzioni arrivi a 20.000 euro.
La composizione organica del capitale
Marx isolò il capitale investito nell’assumere i lavoratori perché, essendo l’esercizio della forza lavoro l’unica sorgente di nuovo valore, questa era la parte del capitale che aumentava per fornire gratuitamente al capitalista un profitto, o plusvalore, in questo caso di 20.000 euro. Marx chiamò questa parte capitale variabile (v). L’altra parte investita nella fabbrica, nelle macchine, ecc. era in ugual modo essenziale alla produzione, ma il suo valore veniva solamente trasferito al prodotto finale senza alcuna variazione nella sua grandezza. Per questo motivo Marx lo chiamò capitale costante (cc). Ci sono varie relazioni tra il capitale totale (C) e i suoi componenti:
p/C oppure p/(cc + v) è il saggio di profitto
p/v è il saggio di plusvalore
cc/v è la composizione organica del capitale
La composizione organica del capitale esprime in termini di valore la relazione tecnica tra gli apparati produttivi e il numero di lavoratori necessari per metterli in funzione, ciò che gli economisti accademici chiamerebbero grado d’intensità del capitale.
La caduta del saggio di profitto
Partiremo dal presupposto che nel secondo anno il nostro capitalista reinvesta tutti i suoi 20.000 euro di profitto. Se non ci sono stati progressi tecnici li dividerebbe come in precedenza, usando 16.000 euro come nuovo capitale costante e 4.000 euro come nuovo capitale variabile. Partendo dal presupposto che il saggio di plusvalore sia invariato al 100 per cento, il suo profitto sarà 24.000 euro in quell’anno e il saggio di profitto 24.000/120.000, ancora il 20 per cento.
Ma presupponiamo che ci siano stati progressi tecnici e che abbia avuto bisogno di usare solo 1.000 euro come nuovo capitale variabile e perciò abbia potuto usare 19.000 euro come nuovo capitale costante (questo è solo un esempio; stiamo presupponendo qui in modo non realistico un saggio di progresso tecnico veloce). La composizione organica del capitale totale salirebbe ma, con il saggio di plusvalore che rimane lo stesso, il saggio di profitto calerebbe a 21.000/120.000 ossia il 17,5 per cento.
Perciò, per quanto il progresso tecnico alzi la composizione organica del capitale esso riduce il saggio di profitto. Poiché la forza lavoro è l’unica fonte del plusvalore e poiché l’ammontare del plusvalore dipende dall’ammontare del capitale variabile, se la quota di v nel capitale totale cala (e se p/v rimane costante) allora il saggio di profitto deve calare. Questo spettro del saggio di profitto che cala come lo stock di capitale costante cresce preoccupò gli economisti classici Adam Smith e Ricardo e i loro successori come John Stuart Mill. Essi previdero che, se ciò fosse continuato, il sistema capitalista motivato dal profitto avrebbe presto raggiunto uno stato di stagnazione cronica.
Perché così lentamente?
Marx affrontò il problema da un punto di vista diverso. Volle conoscere perché il calo nel saggio di profitto era stato in pratica così lento. Ci devono essere, dedusse, delle influenze che agiscono contro e, usando la teoria del valore del lavoro, fu in grado nel XIV Capitolo del III Volume de Il Capitale di trovare quelle che devono essere queste influenze. Ora, che cosa significa il progresso tecnico oltre a una crescente intensità del capitale? Sicuramente un aumento nella produttività dal momento che le macchine sostituiscono la forza muscolare umana. Applicato all’industria che produce macchine ciò significherebbe che più macchine potrebbero essere prodotte in un dato periodo di tempo in modo che il valore di ognuna di esse calerebbe. Marx chiamò questo effetto “ridurre il prezzo degli elementi del capitale costante”. L’economia accademica lo chiama “risparmio di capitale”.
Aumentare la produttività nelle industrie che producono i beni consumati dai lavoratori ha un effetto simile sul capitale variabile. Infatti accorciando il tempo durante il quale il lavoratore riproduce il valore della sua forza lavoro, che è l’unica parte della giornata lavorativa che il capitalista deve pagare, aumenterà l’ammontare del plusvalore (ciò non significa necessariamente un declino nei tenori di vita dei lavoratori, come spiegato nell’articolo “Retribuzioni Relative”). Il saggio di plusvalore può anche essere innalzato con l’incremento dell’intensità di lavoro, con l’allungamento della giornata lavorativa e anche riducendo le retribuzioni al di sotto del loro valore. La competizione per i posti di lavoro inoltre terrà giù le retribuzioni e così limiterà quanto il capitalista deve investire come capitale variabile.
Questo – il ridurre il prezzo degli elementi del capitale costante e l’innalzamento del saggio di plusvalore – fu la spiegazione di Marx riguardo al perché il saggio di profitto tendeva a calare solo lentamente. Egli accettò il punto vista degli economisti classici secondo cui il saggio stava calando ma ciò previsto come una tendenza lenta e di lungo periodo. Non credeva che il saggio di profitto stesse sempre calando dato che talvolta le contro-tendenze potevano essere le più forti.
Il saggio di profitto può anche essere innalzato riducendo il periodo in cui il capitale (o parte di esso) viene fatto circolare. Nel nostro esempio i 100.000 euro sono circolati in un anno; se ciò fosse ridotto a sei mesi l’ammontare del profitto diventerebbe 40.000 euro e il saggio di profitto il 40 per cento l’anno. Lo sviluppo delle istituzioni commerciali e finanziarie indipendentemente dall’imprese industriali – e l’introduzione del lavoro a turni e di altre forme di “razionalizzazione” – tende ad accorciare il periodo del giro d’affari e così a innalzare il saggio di profitto annuale.
Come il saggio di profitto si muove anche nel lungo periodo non può essere previsto dalla pura teoria. Questo movimento dipende da quale delle influenze sul lavoro si dimostra essere la più forte in ogni particolare tempo o in ogni particolare periodo, un fatto che può solo essere scoperto con ricerche empiriche. Alcuni tentativi sono stati fatti per calcolare che cosa è successo nei passati cento anni, ma i risultati sono contrastanti. È stato suggerito che la composizione organica del capitale ha smesso di aumentare circa nel 1920 a causa delle invenzioni del “risparmio di capitale”.
Poiché la teoria di Marx della tendenza del saggio di profitto a calare ha avuto l’intenzione di descrivere un lento processo che diventerebbe evidente solo nel lungo periodo, essa non può essere usata per spiegare le crisi periodiche. L’inizio di una crisi è, tuttavia, spesso collegata con una caduta nel saggio di profitto mentre le retribuzioni aumentano molto rapidamente – ma a una caduta causata da un calo a breve termine nel saggio di plusvalore piuttosto che da cambiamenti a lungo termine nelle composizioni organiche del capitale.
È vero che Marx discute (Capitolo XV) le crisi in collegamento con il saggio di profitto calante, ma con lo scopo di spiegare la loro importanza come una tendenza d’opposizione. Dal momento che, durante una depressione, il valore del capitale costante si svaluta considerevolmente, mentre alcuni dei suoi elementi (macchinari, merce in magazzino) sono spesso fisicamente distrutti. Dire che le crisi aiutino a bilanciare la tendenza a lungo termine del saggio di profitto a calare è piuttosto differente dal dire (come fa John Strachey nel suo La Natura delle Crisi Capitalistiche) che le crisi sono causate da essa.
(Traduzione da www.worldsocialism.org)
Il saggio di profitto misura il ritorno sul capitale investito in un dato periodo ed è solitamente espresso come una percentuale. Così, se un investimento di capitale di 100.000 euro circola in un anno e il profitto è 20.000 euro, allora il saggio di profitto è 20.000/100.000, ossia il 20 per cento l’anno.
Se un capitalista si trovasse a partire da zero dovrebbe usare un po’ dei suoi 100.000 euro per acquistare gli edifici industriali e per attrezzarli con le macchine. Dovrebbe poi acquistare le materie prime e pagare affinché la corrente elettrica alimenti le macchine. Infine dovrebbe usare un po’ del suo capitale per assumere i lavoratori e pagare le loro retribuzioni. Partiamo dal presupposto che la fabbrica, le macchine, le materie prime e la corrente elettrica gli costino 80.000 euro e che il suo conto delle retribuzioni arrivi a 20.000 euro.
La composizione organica del capitale
Marx isolò il capitale investito nell’assumere i lavoratori perché, essendo l’esercizio della forza lavoro l’unica sorgente di nuovo valore, questa era la parte del capitale che aumentava per fornire gratuitamente al capitalista un profitto, o plusvalore, in questo caso di 20.000 euro. Marx chiamò questa parte capitale variabile (v). L’altra parte investita nella fabbrica, nelle macchine, ecc. era in ugual modo essenziale alla produzione, ma il suo valore veniva solamente trasferito al prodotto finale senza alcuna variazione nella sua grandezza. Per questo motivo Marx lo chiamò capitale costante (cc). Ci sono varie relazioni tra il capitale totale (C) e i suoi componenti:
p/C oppure p/(cc + v) è il saggio di profitto
p/v è il saggio di plusvalore
cc/v è la composizione organica del capitale
La composizione organica del capitale esprime in termini di valore la relazione tecnica tra gli apparati produttivi e il numero di lavoratori necessari per metterli in funzione, ciò che gli economisti accademici chiamerebbero grado d’intensità del capitale.
La caduta del saggio di profitto
Partiremo dal presupposto che nel secondo anno il nostro capitalista reinvesta tutti i suoi 20.000 euro di profitto. Se non ci sono stati progressi tecnici li dividerebbe come in precedenza, usando 16.000 euro come nuovo capitale costante e 4.000 euro come nuovo capitale variabile. Partendo dal presupposto che il saggio di plusvalore sia invariato al 100 per cento, il suo profitto sarà 24.000 euro in quell’anno e il saggio di profitto 24.000/120.000, ancora il 20 per cento.
Ma presupponiamo che ci siano stati progressi tecnici e che abbia avuto bisogno di usare solo 1.000 euro come nuovo capitale variabile e perciò abbia potuto usare 19.000 euro come nuovo capitale costante (questo è solo un esempio; stiamo presupponendo qui in modo non realistico un saggio di progresso tecnico veloce). La composizione organica del capitale totale salirebbe ma, con il saggio di plusvalore che rimane lo stesso, il saggio di profitto calerebbe a 21.000/120.000 ossia il 17,5 per cento.
Perciò, per quanto il progresso tecnico alzi la composizione organica del capitale esso riduce il saggio di profitto. Poiché la forza lavoro è l’unica fonte del plusvalore e poiché l’ammontare del plusvalore dipende dall’ammontare del capitale variabile, se la quota di v nel capitale totale cala (e se p/v rimane costante) allora il saggio di profitto deve calare. Questo spettro del saggio di profitto che cala come lo stock di capitale costante cresce preoccupò gli economisti classici Adam Smith e Ricardo e i loro successori come John Stuart Mill. Essi previdero che, se ciò fosse continuato, il sistema capitalista motivato dal profitto avrebbe presto raggiunto uno stato di stagnazione cronica.
Perché così lentamente?
Marx affrontò il problema da un punto di vista diverso. Volle conoscere perché il calo nel saggio di profitto era stato in pratica così lento. Ci devono essere, dedusse, delle influenze che agiscono contro e, usando la teoria del valore del lavoro, fu in grado nel XIV Capitolo del III Volume de Il Capitale di trovare quelle che devono essere queste influenze. Ora, che cosa significa il progresso tecnico oltre a una crescente intensità del capitale? Sicuramente un aumento nella produttività dal momento che le macchine sostituiscono la forza muscolare umana. Applicato all’industria che produce macchine ciò significherebbe che più macchine potrebbero essere prodotte in un dato periodo di tempo in modo che il valore di ognuna di esse calerebbe. Marx chiamò questo effetto “ridurre il prezzo degli elementi del capitale costante”. L’economia accademica lo chiama “risparmio di capitale”.
Aumentare la produttività nelle industrie che producono i beni consumati dai lavoratori ha un effetto simile sul capitale variabile. Infatti accorciando il tempo durante il quale il lavoratore riproduce il valore della sua forza lavoro, che è l’unica parte della giornata lavorativa che il capitalista deve pagare, aumenterà l’ammontare del plusvalore (ciò non significa necessariamente un declino nei tenori di vita dei lavoratori, come spiegato nell’articolo “Retribuzioni Relative”). Il saggio di plusvalore può anche essere innalzato con l’incremento dell’intensità di lavoro, con l’allungamento della giornata lavorativa e anche riducendo le retribuzioni al di sotto del loro valore. La competizione per i posti di lavoro inoltre terrà giù le retribuzioni e così limiterà quanto il capitalista deve investire come capitale variabile.
Questo – il ridurre il prezzo degli elementi del capitale costante e l’innalzamento del saggio di plusvalore – fu la spiegazione di Marx riguardo al perché il saggio di profitto tendeva a calare solo lentamente. Egli accettò il punto vista degli economisti classici secondo cui il saggio stava calando ma ciò previsto come una tendenza lenta e di lungo periodo. Non credeva che il saggio di profitto stesse sempre calando dato che talvolta le contro-tendenze potevano essere le più forti.
Il saggio di profitto può anche essere innalzato riducendo il periodo in cui il capitale (o parte di esso) viene fatto circolare. Nel nostro esempio i 100.000 euro sono circolati in un anno; se ciò fosse ridotto a sei mesi l’ammontare del profitto diventerebbe 40.000 euro e il saggio di profitto il 40 per cento l’anno. Lo sviluppo delle istituzioni commerciali e finanziarie indipendentemente dall’imprese industriali – e l’introduzione del lavoro a turni e di altre forme di “razionalizzazione” – tende ad accorciare il periodo del giro d’affari e così a innalzare il saggio di profitto annuale.
Come il saggio di profitto si muove anche nel lungo periodo non può essere previsto dalla pura teoria. Questo movimento dipende da quale delle influenze sul lavoro si dimostra essere la più forte in ogni particolare tempo o in ogni particolare periodo, un fatto che può solo essere scoperto con ricerche empiriche. Alcuni tentativi sono stati fatti per calcolare che cosa è successo nei passati cento anni, ma i risultati sono contrastanti. È stato suggerito che la composizione organica del capitale ha smesso di aumentare circa nel 1920 a causa delle invenzioni del “risparmio di capitale”.
Poiché la teoria di Marx della tendenza del saggio di profitto a calare ha avuto l’intenzione di descrivere un lento processo che diventerebbe evidente solo nel lungo periodo, essa non può essere usata per spiegare le crisi periodiche. L’inizio di una crisi è, tuttavia, spesso collegata con una caduta nel saggio di profitto mentre le retribuzioni aumentano molto rapidamente – ma a una caduta causata da un calo a breve termine nel saggio di plusvalore piuttosto che da cambiamenti a lungo termine nelle composizioni organiche del capitale.
È vero che Marx discute (Capitolo XV) le crisi in collegamento con il saggio di profitto calante, ma con lo scopo di spiegare la loro importanza come una tendenza d’opposizione. Dal momento che, durante una depressione, il valore del capitale costante si svaluta considerevolmente, mentre alcuni dei suoi elementi (macchinari, merce in magazzino) sono spesso fisicamente distrutti. Dire che le crisi aiutino a bilanciare la tendenza a lungo termine del saggio di profitto a calare è piuttosto differente dal dire (come fa John Strachey nel suo La Natura delle Crisi Capitalistiche) che le crisi sono causate da essa.
(Traduzione da www.worldsocialism.org)
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