Abbiamo tradotto
questo recente articolo pubblicato sul Socialist Standard n. 1353 di Maggio
2017, non solo perché ne condividiamo a pieno il contenuto, ma anche perché riteniamo
che sia un elemento di analisi importante per ridare credito al socialismo
marxista. Considerare personaggi del passato, come del presente del resto, infallibili
o allo stesso modo dei completi falliti non è mai realistico. Il Movimento
Socialista Mondiale ha spesso pubblicato materiale anti-leninista, ma questo
non va letto come un voler screditare l’uomo politico, il rivoluzionario o il
socialista a prescindere da tutto. E’ importante però analizzare la sua opera e
le sue azioni con gli strumenti forniteci dal materialismo storico. Secondo il
nostro punto di vista Lenin, già dalla sua presa di posizione del 1902 nel
impostare il partito socialdemocratico russo in termini gerarchici avanguardisti,
è uscito dal seminato. Il suo atteggiamento denigratorio nei confronti di chi
lo criticava, premiato dal suo indiscusso successo politico grazie a quello che
fu davvero il suo più grande risultato, ovvero ottenere il potere politico con
il colpo di stato di Ottobre, ha determinato una visione ampiamente deformata
di cosa è il Socialismo e di come si può raggiungere. Questo breve articolo a
seguire rimette in prospettiva l’analisi di Lenin sull’imperialismo e la
questione coloniale. Questione coloniale che è anche oggi lungi dall’esser
chiusa, se consideriamo, per esempio, gli strascichi nel nord Africa e nel
medio oriente. E’ storia dell’altro ieri di movimenti di sinistra internazionalisti
sfaldatisi sulla questione della lotte di liberazione dal colonialismo, ci
riferiamo per esempio alla sinistra comunista italiana e francese all’inizio
degli anni ottanta.
Imperialismo:
dove Lenin sbagliò
Il mese
scorso sono passati cento anni dalla pubblicazione dell’opuscolo di Lenin
‘Imperialismo, la fase superiore del capitalismo’. Riguardiamo qui i suoi
difetti.
Nella sua introduzione
Lenin scrisse che l’opuscolo era basato sui punti di vista espressi nel libro
‘Imperialismo’ (1902) dallo scrittore inglese, non marxista, JA Hobson e quelli
del socialdemocratico austriaco Rudolf Hilferding nel ‘Capitale Finanziario’
(1910). Hilferding, si basava soprattutto sull’esperienza tedesca, descrivendo
come le banche, attraverso quello che oggi chiameremmo investimento bancario,
erano arrivate a fondersi con il capitale industriale, raccogliendo capitale
per gli industriali e non solo facendoli pagare per questo servizio ma
trattenendo una quota per se stesse. Hobson, il quale era un sottoconsumista, sosteneva che ciò che
aveva portato all’imperialismo, inteso come investimento e espansione
territoriale all’estero, era il sovrappiù di capitale che non riusciva a
trovare uno sbocco proficuo nel paese d’origine.
Lenin combinò
queste due visioni venendone fuori con una definizione di imperialismo come ‘lo
stadio monopolistico del capitalismo’ dove ‘il capitale finanziario’ e allo
stesso tempo ‘il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche’ si
era ‘fuso con il capitale delle unioni monopolistiche industriali’. Accettando
la teoria del sovrappiù di capitale di Hobson, Lenin disse che il ‘capitalismo
monopolistico’ aveva condotto alla formazione di ‘associazioni monopolistiche
internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo tra di loro’ e la ‘ripartizione
della terra tra le più grandi potenze capitalistiche’.
Questa era una
descrizione passabile di alcuni aspetti del capitalismo a quei tempi,
specialmente in Germania, e Lenin aveva ragione nel vedere la prima guerra
mondiale come una guerra di ripartizione del mondo tra le più grandi potenze
capitaliste. D’altro canto però la sua approvazione della teoria del sovrappiù
di capitale di Hobson come una spiegazione per ‘esportazione di capitale’,
ovvero, investimenti all’estero, lasciava dei dubbi. Una più lineare
spiegazione dell’investimento di capitali all’estero sarebbe che era più
proficuo investirli lì che a casa propria.
Lenin errava
anche nel vedere la fusione in stile tedesco di banche e capitale industriale
come ‘la fase superiore del capitalismo’. Era un’opinione comune tra i partiti
socialdemocratici a quel tempo che la competizione capitalista avrebbe condotto
ai monopoli e che quello che ai socialisti toccava fare era prendere possesso
di questi monopoli trasformandoli in proprietà comune e riorientare la
produzione per soddisfare i bisogni della gente piuttosto che per il profitto. Karl
Kautsky aveva ipotizzato che il processo di monopolizzazione poteva portare a
un singolo consorzio monopolistico mondiale e a un accordo di non aggressione
tra le potenze imperialiste, che egli chiamò ultra-imperialismo. Lenin aveva
ragione nel dire che questo era impossibile in quanto le potenze non avrebbero
mai trovato un accordo su una suddivisione permanete del mondo ma avrebbero
cercato di cambiarlo a seconda di come cambiavano le loro forze. Ma Lenin non
vide che questo concernesse i ‘monopoli’ nei suoi paesi ‘imperialisti’. La
classe capitalista non era un blocco monolitico ma composta da sezioni diverse
con interessi diversi e nessuna voleva essere tenuta in sacco da qualche
monopolio. Da cui l’intervento ‘antimonopolistico’ negli Stati Uniti e la
nazionalizzazione, e anche la minaccia di nazionalizzazione in Gran
Bretagna.
Fedele al suo
stile polemico, Lenin attribuiva un movente a Kautsky, accusandolo di difendere
un pacifico capitalismo mondiale anche se Kautsky aveva solo immaginato
‘l’ultra-imperialismo’ come una possibilità teorica. Lenin postulò un
collegamento tra ‘l’opportunismo’ del quale accusava Kautsky e
‘l’imperialismo’, argomentando che il riformismo dei partiti Socialdemocratico
e Laburista d’Europa era dovuto alle potenze ‘imperialiste’ che usavano una
parte dei loro ‘alti profitti monopolistici’ per corrompere ‘certe sezioni di
lavoratori’ nel sostenere il riformismo e lo stato nel quale questi vivevano.
Dopo il colpo di stato bolscevico questo argomento fu sviluppato in una teoria bell’e
fatta che lo strato più alto dei lavoratori in paesi con colonie era stato
corrotto per sostenere il capitalismo per dei super-profitti derivanti dall’esplorazione
coloniale e che l’indipendenza dei territori coloniali avrebbe ridimensionato
questo fenomeno, con il risultato che, deprivati della loro quota di
super-profitto, i lavoratori avrebbero abbandonato il riformismo e sarebbero
diventati rivoluzionari.
Questo fu un
errore per un numero di ragioni. In primo luogo, va contro la teoria marxiana
dei salari che sostiene che i salari sono il prezzo di quello che i lavoratori
vendono e che salari più alti riflettono più alte capacità e preparazione
tecnica, non qualsivoglia condizione di plusvalore come implicava Lenin (ovvero che parte dei soldi che alcuni
lavoratori ricevono dai loro padroni sia una quota di plusvalore, estratto dai
lavoratori delle colonie*). In secondo luogo, questo portò a sostenere la
creazione di nuovi stati capitalisti per il beneficio della classe capitalista
locale. In terzo luogo, presuppone che i lavoratori diventino meno riformisti
se il loro livello di vita è diminuito.
Lenin stesso
menzionò un’obiezione, che attribuiva all’anti-militarista menscevico Martov,
che la situazione per i socialisti sarebbe alquanto disperata ‘se fossero
proprio i lavoratori meglio pagati ad essere inclini all’opportunismo’, per
esempio gli ingegneri qualificati. La replica di Lenin era, tipicamente, di
accusare anche Martov di difendere l’opportunismo e il riformismo.
Se i bolscevichi
non avessero conservato il potere in Russia questo lavoro sarebbe rimasto un opuscolo
sconosciuto e datato. Tuttavia, data la posizione di Lenin e la sua successiva
semi-deificazione, fu gonfiato in un’opera seria di ricerca e teoria. Il
risultato fu che le sue idee errate – specialmente in merito a dei lavoratori
che condividono lo sfruttamento coloniale e che i socialisti dovrebbero
sostenere l’emergere delle classi capitaliste ‘anti-imperialiste’ – divennero
più ampiamente accettate di quanto sarebbero state altrimenti.
ADAM BUICK (traduzione di Cesco)
* comunicazione personale dell’autore al
traduttore