venerdì 13 agosto 2010

Il bisogno di socialismo

La storia del XX secolo è stata caratterizzata da rivoluzioni, controrivoluzioni, colpi, crolli di regime e guerre di genocidio. Il capitalismo sembra aver eliminato tutti i possibili rivali, benché ancora non risponda ai bisogni fondamentali della gente.

È vero che la privazione materiale – almeno in questa parte del mondo – è minore rispetto a quando il Partito Socialista della Gran Bretagna venne formato nel 1904. Ma è anche vero che da allora c’è stato uno sviluppo tremendo delle forze di produzione – i mezzi tecnici di produzione sufficienti per tutti – cosicché, malgrado l’incremento della popolazione mondiale che vi è stato nel frattempo, non vi è oggi uomo, donna o bambino in qualsiasi parte del mondo che dovrebbe fare a meno di cibo decente, vestiario, protezione o qualsiasi altra amenità della vita. Il fatto che la maggior parte della popolazione mondiale non abbia abbastanza per vivere decentemente serve da accusa potente al presente ordine sociale, il capitalismo.

Contraddizione fondamentale

Il motivo per essere contro il capitalismo e a favore del socialismo è sempre stato semplice. Con la divisione del lavoro risultante dall’uso di macchine e tecnologie sempre più sofisticate, l’umanità già coopera per produrre ciò che è necessario per sostenere la vita e l’attività sociale, ma quello che viene prodotto non appartiene a quelli che lo producono – la classe lavoratrice, coloro i quali sono obbligati a vendere le loro energie mentali e fisiche per vivere e che costituiscono la travolgente maggioranza della società – ma a una minuscola minoranza di persone privilegiate che, per circostanze storiche, possiede e controlla i mezzi di produzione della ricchezza.

Di conseguenza ciò che è prodotto appartiene a questa minoranza e quindi non è a disposizione dei membri della società per essere preso e usato per soddisfare i loro bisogni. I prodotti sono resi a loro disponibili solamente contro pagamento, ma quello che noi della classe lavoratrice possiamo permetterci è limitato dalla misura del nostro assegno salariale o stipendiale, il quale è sempre minore del nuovo valore incorporato in quello che produciamo. La differenza è il profitto – la fonte delle entrate privilegiate della minoranza possedente e lo scopo principale della produzione. Così, non solo il libero accesso a ciò che è prodotto è negato a quelli che, collettivamente, lo producono, ma quello che deve essere prodotto è dettato non da ciò che la gente vuole e necessita, ma da ciò che è maggiormente proficuo.

Questa contraddizione tra la produzione cooperativa/collettiva e l’appropriazione privata della produzione, risultante dai mezzi di produzione che sono monopolizzati da una minoranza, è la causa originaria dei problemi affrontati dalla classe lavoratrice maggioritaria in tutti i campi della vita.

Promettere di risolvere questi problemi, per es. l’alloggiamento, il trasporto, l’ambiente, la disponibilità di cibo, è la materia dei politici, ma i partiti e i politici che votiamo non li risolvono mai. Non perché sono disonesti o non abbastanza determinati o egoisti, ma perché non possono. I problemi che promettono di risolvere sono causati dal capitalismo e perciò non possono mai essere risolti finché al capitalismo è permesso di continuare.

Il capitalismo non può operare per tutti

Il capitalismo, essendo un sistema di profitto basato sul possedimento di classe dei mezzi di produzione, non può mai essere organizzato per operare nell’interesse di tutti. Esso mette sempre i profitti al primo posto. È la sua natura, la quale non può essere cambiata da nessun governo o da nessun altra forma di attività nel contesto del possedimento di classe e della produzione per profitto.

Questo è il motivo per cui il riformismo, che è un tentativo di fare operare il capitalismo nell’interesse di tutti, è in definitiva inutile. Al massimo può solamente piallare un po’ alcune delle parti più scabrose, almeno per alcune persone e per un periodo, ma non può mai risolvere i problemi dei lavoratori salariati o stipendiati.

Questa è la situazione; ciò che la classe lavoratrice, come classe che soffre di più per i problemi causati dal capitalismo, dovrebbe essere impegnata a fare è porre fine alle contraddizioni tra cooperazione nella produzione e appropriazione privata dei prodotti. Ciò può essere fatto solamente portando il possedimento in linea con la realtà produttiva, determinando una situazione dove ciò che è prodotto collettivamente è anche posseduto collettivamente; il che è possibile solamente quando i mezzi per produrre ricchezza sono diventati la proprietà comune di tutti i membri della società.

La soluzione socialista

Questo – la proprietà comune e il controllo democratico dei mezzi di produzione da parte e nell’interesse della società nel complesso – è il socialismo ed è l’unico scopo politico per cui vale la pena adoperarsi. Esso soltanto può fornire la struttura nella quale la produzione può essere “riorientata” non per realizzare profitti a favore di una classe possedente, ma per fornire ciò che la gente vuole e necessita. Sulle basi della proprietà comune e del controllo democratico, abbastanza cibo, vestiario, alloggio, trasporto, energia e altre necessità della vita potrebbero, dovrebbero e sarebbero prodotte per assicurare che nessuno, in nessuna parte del mondo, sia senza ciò di cui ha bisogno. La privazione materiale e le preoccupazioni riguardanti il soddisfacimento dei bisogni materiali – attorno alle quali gira oggi la maggior parte delle vite della gente – non esisterebbero più.

Ma il socialismo non riguarda solo il soddisfacimento dei bisogni materiali della gente. Quello nel socialismo sarà solo routine, una cosa data per scontato. Riguarderà anche il permettere a noi esseri umani di comportarci come gli animali sociali che, biologicamente, siamo. Noi non siamo solamente dipendenti l’uno dall’altro materialmente – dalla cooperazione per produrre ciò di cui abbiamo bisogno – ma anche psicologicamente e culturalmente. Ci siamo evoluti attraverso la cooperazione e abbiamo bisogno di cooperare e sentirci parte di una comunità come altri esseri umani, ma il capitalismo ci nega questo, perché si basa sulla competizione anziché sulla cooperazione. Vi è competizione non solo tra la classe possedente e la maggioranza esclusa – la cosiddetta lotta di classe – ma anche tra i membri della classe possedente per fare profitti – il che, su scala mondiale, porta a guerre e a preparativi per la guerra, per le fonti di materie prime, le rotte commerciali, i mercati e gli sbocchi di investimento – e tra i membri della maggioranza esclusa per i lavori e gli alloggi, alimentando nazionalismo, razzismo e xenofobia.

Il socialismo, mettendo fine alla divisione della società in classi antagoniste, e assicurando che vengano soddisfatti tutti a bisogni materiali di ogni essere umano, fermerà la corsa sfrenata al successo cui siamo costretti a partecipare sotto il capitalismo e creerà una vera comunità e un vero senso di comunità. La gente non sarà più alienata dalla sua natura sociale e dagli altri esseri umani.

In che modo arrivare al socialismo?

Quelli che costituirono il Partito Socialista in Gran Bretagna ebbero un’idea chiara di come il socialismo dovrebbe succedere: attraverso la classe di maggioranza lavoratrice che giunge a capire che essa è una classe sfruttata alla quale il capitalismo non ha niente da offrire, e con l’organizzazione sul campo politico, inseguendo senza compromessi l’unico scopo di strappare il controllo del potere politico alla classe capitalista in modo da usarlo per mettere fine al monopolio esistente della minoranza capitalista sui mezzi di produzione della ricchezza. Questa espropriazione politica e quindi economica veniva vista come un atto consapevole, democratico e politico.

Essa veniva vista come un atto rivoluzionario, non nel senso di rivolta e spargimento di sangue, ma nel senso di un passaggio decisivo, di una rottura, con la rapida conversione dei mezzi di produzione dal monopolio classista di una minoranza alla proprietà comune di tutta la gente. In altre parole, una rivoluzione sociale vista come un rapido e improvviso cambiamento nelle basi della società attuato con i mezzi politici.

A quel tempo c’erano altri che si facevano chiamare socialisti, che proponevano un altro approccio: la graduale trasformazione del capitalismo in socialismo attraverso una serie di riforme sociali che avrebbero dovuto migliorare le condizioni della classe lavoratrice con l’integrazione dei loro salari derivante da benefici statali e che avrebbero dovuto convertire le industrie individuali, una dopo l’altra, in servizi pubblici producendo ciò di cui la gente aveva bisogno non per profitto. Questo andava sotto vari nomi: gradualismo, fabianismo, revisionismo (quando proposto da ex-rivoluzionari marxisti), riformismo.

Il gradualismo fallisce

Questa strategia nega la necessità di una maggioranza socialista consapevole come condizione preliminare per istituire il socialismo. Secondo i suoi proponenti, tutto ciò che era necessario era una maggioranza parlamentare acquisita sulla base di voti per un programma di riforme da essere realizzate nel capitalismo. È stata una strategia sperimentata, in Gran Bretagna, nel 1945 quando il Partito Laburista ebbe una vittoria elettorale schiacciante che gli diede un’enorme maggioranza parlamentare.

Ma non funzionò. Il Partito Laburista, avendo preso la responsabilità di governare il capitalismo, si rese conto, come durante i governi di minoranza in Inghilterra nel 1924 e 1929-1931, che il capitalismo doveva essere governato seconde le proprie regole: cioè la priorità doveva essere data alla produzione di profitto non a miglioramenti sociali per i lavoratori; di fatto, anche i salari dovevano essere contenuti. I governi laburisti di Wilson e Callaghan negli anni 1960 e 1970 non andarono meglio nel riformare il capitalismo nell’interesse di quelli che dipendevano da un salario o uno stipendio per vivere. Inoltre, quei governi finirono con l’amministrare il capitalismo secondo le sue regole, cioè nell’interesse della produzione per il profitto e contro gli interessi degli stipendi e dei salari guadagnati dalla maggioranza. Così fecero tutti i governi simili in altre parti del mondo.

L’esperienza del XX secolo ha mostrato che i gradualisti sbagliano. Tali partiti, invece di cambiare gradualmente il capitalismo, sono stati loro stessi cambiati dal capitalismo. Oggi, addirittura non pretendono di andare verso il socialismo, ma solamente di essere in grado di amministrare il capitalismo in una maniera più efficiente.

I membri del Partito Socialista in Gran Bretagna non erano gli unici critici del riformismo gradualista. I primi membri inizialmente si vedevano come parte della corrente del movimento socialdemocratico che si opponeva al revisionismo e all’opportunismo che si stavano diffondendo all’interno del movimento socialista. Tuttavia, la maggior parte degli altri oppositori del gradualismo prima della prima guerra mondiale, inclusa Rosa Luxemburg, autrice di un opuscolo con il titolo “Riforma o Rivoluzione?”, non videro il pericolo di cercare il sostegno di non-socialisti e la possibilità di diventare loro prigionieri, cioè di un partito socialista che sostenesse le riforme. Dopo il vergognoso crollo del movimento socialdemocratico internazionale quando la guerra irruppe, molti degli altri antigradualisti tornarono al bolscevismo di Lenin per una strategia alternativa.

Anche l’azione minoritaria ha fallito

Laddove i gradualisti sono sempre rimasti a favore di metodi democratici e di azione maggioritaria anche se da parte di non-socialisti, Lenin sosteneva che sotto il capitalismo solo una minoranza sarebbe stata in grado di raggiungere la consapevolezza socialista e che perciò questa minoranza aveva il dovere di organizzarsi come un partito di avanguardia per afferrare il potere per conto della maggioranza.

In altre parole, la strategia alternativa leninista non era un’azione politica socialista conscia e maggioritaria del tipo che sosteneva il Partito Socialista in Gran Bretagna, ma un’azione minoritaria: il socialismo doveva essere introdotto da una dittatura esercitata da una minoranza di socialisti. Così è come fu presentata la presa del potere dei bolscevichi nel corso della rivoluzione russa del 1917. Questa non poteva mai essere una via per raggiungere il socialismo, poiché il socialismo può solo esistere su una base democratica con partecipazione maggioritaria nelle decisioni che vengono prese. E, infatti, il socialismo non è stato raggiunto. Invece che portare al socialismo, la dittatura bolscevica in Russia ha portato a un capitalismo di stato in cui i “socialisti” di avanguardia sono diventati una nuova classe dominante che ha poi esercitato una brutale dittatura sui lavoratori della Russia.

Il XX secolo ha confermato che né la dittatura di minoranza né il riformismo parlamentare possono essere una via al socialismo. La cosa peggiore è stata che la dittatura russa ha rivendicato di essere socialista, con il risultato che milioni di lavoratori in tutto il mondo sono stati scoraggiati dall’idea stessa del socialismo. A dire la verità, il socialismo sta ancora soffrendo per questa sgradita eredità, con la diffusa idea che “il socialismo sia stato sperimentato (in Russia) e sia fallito”.

In realtà il socialismo non è stato sperimentato. Ciò che è stato sperimentato sono due strategie – il riformismo gradualista e la dittatura di minoranza leninista. Entrambe sono fallite. Ciò che non è stato provato è la strategia proposta dai membri fondatori del Partito Socialista della Gran Bretagna nel 1904: un’azione politica consapevole, maggioritaria, rivoluzionaria.

Così come il socialismo rimane urgente oggi come lo era nel 1904, lo è anche quella strategia. “Niente socialismo senza socialisti” rimane un’idea valida oggi come lo era allora. E “il formare socialisti”, come un passo verso l’emergere di un desiderio maggioritario per il socialismo, rimane il compito di quelli che vogliono vedere un mondo socialista di proprietà comune, controllo democratico, produzione per soddisfare i bisogni della gente e libera distribuzione secondo il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.

(Traduzione da Socialist Standard, gennaio 2005)

giovedì 12 agosto 2010

I boom e le crisi – che cosa li causa?

Le “Recessioni”, i “Crolli” o le “Crisi”, come vengono chiamati in vario modo, sono ora accettati come parte del tutto regolare della vita economica. I politicanti ora razionalizzano tali crisi, descrivendole come una “sofferenza necessaria” che deve essere talvolta sopportata. In definitiva, è l’economia che controlla i politicanti e non il contrario.

Che cos’è una Crisi Economica?

Le crisi economiche sono periodi di crescita economica bassa o perfino negativa. Questo significa che i livelli di produzione sono più bassi e ciò comporta aumento di disoccupazione. Come risultato, la posizione contrattuale dei lavoratori è indebolita e le loro retribuzioni declinano.

Il Cambiamento negli Atteggiamenti

Una volta molti economisti pensavano che le crisi economiche fossero evitabili. Quando Karl Marx disse che il capitalismo inevitabilmente si sviluppa in modo instabile con periodi sia di espansione che di contrazione, la sua teoria fu fieramente respinta da molti.

Nel suo principale lavoro, Il Capitale, Marx formulò la legge fondamentale del progresso capitalista nei seguenti termini:

L’enorme capacità di espansione a grandi sbalzi del sistema delle fabbriche, e la sua dipendenza dal mercato mondiale, hanno per necessario effetto una produzione febbrile e quindi una congestione dei mercati, con la contrazione dei quali subentra una paralisi. La vita dell’industria si trasforma in una successione di periodi di vitalità media, prosperità, sovrapproduzione, crisi e ristagno. (1)

In quel periodo e per alcuni decenni successivi, gli economisti capitalisti reclamarono che le crisi e i crolli non fossero una parte integrante del capitalismo stesso ma piuttosto determinati da interferenze esterne con il libero mercato. Videro le “irregolarità di mercato” quali l’eccessivo potere dei sindacati, le restrizioni sul liberoscambismo o l’incorretta politica monetaria del governo come la causa delle crisi economiche.

Questa visione che se il libero mercato fosse lasciato libero di agire non ci sarebbero crisi di nessun tipo era basata sulla dottrina proposta dall’economista francese dell’inizio del diciannovesimo secolo J. B. Say, secondo la quale

ogni venditore porta un compratore al mercato.

Certamente, se ogni bene prodotto venisse veramente comprato allora non ci sarebbero crisi economiche (questo è vero per definizione). Tuttavia, tale presupposto è basato su un ragionamento difettoso. Marx così lo espone:

Nulla può essere più sciocco del dogma che la circolazione delle merci determini un necessario equilibrio di vendite e acquisti… ciò che è implicito in tale asserzione è che ogni venditore si porta al mercato il suo compratore… Ma non è detto che uno compri immediatamente perché ha venduto. (2)

Alcuni oggi credono ancora nella visione data da Say. I più ora accettano che gli eventi abbiano provato che il libero mercato sia incapace di provvedere alla crescita duratura quanto gli interventi restrittivi statali. Benché la visione marxista sia ora implicitamente accettata, relativamente pochi comprendono il perché.


Marx vs Keynes

Secondo Marx, la divisione nel capitalismo tra i compratori e i venditori di merci innalza la possibilità di crisi e di depressioni economiche, dal momento che i possessori di denaro non sempre trovano nel loro interesse trasformare immediatamente il denaro in merci. Perciò, finché la compravendita, il denaro, i mercati e i prezzi continueranno a esistere, esisterà anche il ciclo economico.

Ai tempi della Grande Depressione degli anni ’30, la maggior parte degli economisti arrivò a essere d’accordo sul fatto che i crolli erano parte integrante del capitalismo, avendo seguito la guida nel loro tempo fornita da John Maynard Keynes. Come Marx prima di lui, Keynes disse che la Legge di Say era insensata e che il libero mercato non portava naturalmente a un punto di equilibrio di piena occupazione con crescita sostenuta. Il capitalismo, disse, se fosse lasciato libero di agire, ristagnerebbe come fece dopo il Crollo di Wall Street dell’ottobre del 1929. Keynes e i suoi seguaci scelsero la visione che, come il capitalismo si sviluppava, la tendenza osservabile del sistema di concentrare la ricchezza in sempre meno mani porterebbe a eccessivo risparmio, al fare provvista di ricchezza e a un declino nella domanda complessiva. Questo subito dopo farebbe piombare il capitalismo in un crollo prolungato.

Keynes, nell’elaborare una dottrina economica con l’intento di influenzare i governi in tutto il mondo, sostenne che l’intervento del governo era necessario per prevenire future crisi. I governi dovevano aumentare le tasse su quelli con meno probabilità di spendere ampie parti del loro reddito, e dirigere i fondi verso quelli che lo facevano. Inoltre, i governi dovevano intraprendere azioni per assicurare un adeguato livello di domanda nell’economia, aumentando la spesa e facendo deficit di bilancio dove necessario.

Il commercio mondiale nel 1932 fu poco più di un terzo di quello che fu prima del Crollo di Wall Street. I due paesi più influenzati furono gli USA, dove la disoccupazione superò i tredici milioni, e la Germania dove si mantenne a sei milioni e aiutò a spingere per la salita al potere di Hitler. In Gran Bretagna più di tre milioni di persone, ossia il venti percento della forza lavoro, nel 1932 erano disoccupate.

I rimedi di Keynes della spesa statale aumentata e dei deficit di bilancio furono messi in pratica dal 1933 in poi negli USA dall’amministrazione dei democratici sotto Roosevelt. La disoccupazione calò per un periodo di tempo, ma non di più di quanto in Gran Bretagna, che non aveva ancora agito in maniera keynesiana e che operò direttamente politiche opposte. Il 1938 vide l’arrivo di una depressione nuova di zecca negli Stati Uniti che diminuì soltanto durante la Seconda Guerra Mondiale. La prognosi iniziale per l’intervento keynesiano non fu perciò buona, anche se l’alternativa del libero mercato sembrava morta e sepolta.

Dopo la seconda guerra mondiale, i vari paesi capitalisti basati sull’impresa privata adottarono le raccomandazioni di Keynes a gradi variabili, essendo guardinghi nei confronti di un’altra possibile Grande Depressione e del tumulto sociale che poteva causare, e fiduciosi che il libero mercato senza impedimenti fosse una cosa del passato. Nonostante ciò, la maggior parte dei paesi continuò con il ciclo economico operando come prima, anche se non c’era nessuna grande depressione. Una delle poche eccezioni fu la Gran Bretagna. Nel Regno Unito la crescita rimase relativamente forte per tutti gli anni ‘50 e ‘60 e la disoccupazione non superò mai le 900.000 unità. I sostenitori delle politiche keynesiane affermarono che fu un trionfo dell’amministrazione della domanda da parte del governo.

La storia susseguente dell’economia in Gran Bretagna fu il provare quanto sbagliate esse fossero. Dopo la guerra la Gran Bretagna aveva raggiunto una posizione relativamente vantaggiosa nel mercato mondiale per molte merci, con i rivali come la Germania e la Francia economicamente devastati. Per del tempo la Gran Bretagna emerse come uno dei maggiori produttori di veicoli a motore, di aeroplani, di prodotti chimici, di corrente elettrica e di altre merci. Per la fine degli anni ‘60, tuttavia, i rivali della Gran Bretagna erano aumentati, facendo competizione sulla base della nuova e migliorata tecnologia che venne introdotta come conseguenza della devastazione del tempo di guerra. Negli ultimi anni ‘60 e nei primi anni ‘70, il classico ciclo economico cominciò a riaffermare se stesso furiosamente sull’economia britannica – alla fine promuovendo un ritorno alle politiche del libero mercato negli anni ‘80. La disoccupazione salì, sfondando la barriera di 1.000.000 per la prima volta dal 1945 sotto il Primo Ministro Edward Health nei primi anni ‘70.

Una Guida Passo dopo Passo

In verità, la sola esistenza della compravendita innalza sempre la possibilità di crisi, ma la spinta ad accumulare capitale – la linfa vitale del capitalismo – assicura che periodicamente le crisi diventino estremamente una realtà, e i politicanti non possono fare nulla per prevenirle. Quando il capitalismo è in fase di boom, le imprese sono in una posizione in cui i loro profitti stanno aumentando, il capitale si sta accumulando e il mercato è affamato di più merci. Ma questa situazione non dura. Le imprese sono in una lotta perpetua per i profitti – hanno bisogno di profitti per essere in grado di accumulare capitale e perciò sopravvivere contro i loro competitori. Durante un boom questo inevitabilmente porta alcune imprese – tipicamente quelle che sono cresciute più rapidamente – a sovraestendere le loro attività per il mercato disponibile.

Nel capitalismo, le decisioni riguardo all’investimento e alla produzione sono prese da migliaia di imprese in competizione che operano senza controllo sociale o regole. La spinta competitiva ad accumulare capitale costringe le imprese a espandere le loro capacità produttive come se non ci fosse alcun limite al mercato disponibile per le merci che stanno producendo.

La crescita non è pianificata ma governata dall’anarchia del mercato. La crescita di un’industria non è collegata alla crescita delle altre industrie ma semplicemente all’aspettativa di profitto, e ciò dà luogo ad accumulazione e crescita sbilanciate fra i vari rami della produzione. L’accumulazione eccessiva di capitale in alcuni settori dell’economia presto appare come una sovrapproduzione di merci. I beni si accumulano, non possono essere venduti, e le imprese che hanno sovraesteso le loro attività devono tagliare sulla produzione.

Come le merci giacciono invendute le rendite e i profitti cadono, rendendo l’ulteriore investimento allo stesso tempo più difficoltoso e meno proficuo. L’accumulazione va in stallo, il risparmio e la tesaurizzazione aumentano e le forze instabili del denaro e del credito presto trasmettono la depressione agli altri settori dell’economia. Quelle che inizialmente erano le imprese sovraestese tagliano sull’investimento e questo porta a una caduta nella domanda per i prodotti dei loro fornitori, i quali a loro volta sono obbligati a tagliare, causando delle difficoltà ai loro fornitori (i fornitori dei fornitori) e così via. I profitti cadono, i debiti crescono e le banche spingono in su i tassi d’interesse e contraggono il loro prestito in una viziosa spirale verso il basso di contrazione economica. In questo modo, ciò che ha inizio come una parziale sovrapproduzione per mercati particolari viene trasformata in sovrapproduzione generale con la maggior parte dei settori dell’industria influenzati.

Le crisi e i crolli immancabilmente seguono questo modello generale. Qualche volta la sovrapproduzione iniziale ha luogo in industrie di beni di consumo, come avvenne nel 1929, e si estende da quel punto. In altri casi, come nella metà degli anni 1970, la sovraestensione iniziale è nel settore dei beni dei produttori dove le imprese producono nuovi mezzi di produzione come l’acciaio industriale o l’apparecchiatura robotica. Nella crisi dei primi anni ‘90 uno dei maggiori fattori fu la sovraestensione del settore della proprietà commerciale e alcune delle appena sorte industrie high-tech. Qualunque sia la causa, il risultato è sempre lo stesso – produzione in caduta, fallimenti in aumento, tagli delle retribuzioni e disoccupazione, con un’annessa crescita nella povertà.

In una crisi vi è simultaneamente un problema di domanda di mercato in caduta accanto ai profitti in declino. Chi prova a occuparsi di un problema (diciamo la domanda dei consumatori) a costo dell’altro (profitti) come hanno fatto i keynesiani, non migliorerà la situazione.

Un numero di cose completamente distinte e separare devono succedere prima che una crisi possa mettere in azione il suo corso. Innanzitutto, il capitale si trova a essere annientato se la capacità produttiva eccessiva deve essere affrontata con capitale svalutato che è comprato a buon mercato da quelle imprese nella migliore posizione per scampare alla crisi. In secondo luogo, facendo in modo che abbia luogo il rifornimento dei bisogni, con merci sovraprodotte accaparrate a buon mercato o ammortizzate completamente. L’investimento non riprenderà, se c’è ancora sovrapproduzione. In terzo luogo, dopo che questo è accaduto vi è la necessità di un incremento del saggio di profitto industriale aiutato sia dai tagli delle retribuzioni reali che dalla caduta dei tassi d’interesse (che decrescono naturalmente quando la domanda per più capitale monetario diventa meno intensa nella crisi). Questo aiuterà a rinnovare l’investimento e ad aumentare l’accumulazione. Inoltre, se si vuole che il recupero sia sostenuto, un’ampia parte del debito fatto durante gli anni del boom dovrà essere liquidata, se non esiste per agire come un erpice sulla futura accumulazione. Attraverso questi meccanismi una crisi aiuta a costruire le condizioni per la futura crescita, liberando il capitalismo delle unità inefficienti di produzione.

Ciclo Continuo

Quando questi processi hanno messo in azione il loro corso, l’accumulazione e la crescita possono iniziare un’altra volta con il capitalismo che crea ancora una situazione di boom che sarà inevitabilmente seguita da una crisi e da un crollo. Questa è stata la storia del capitalismo da quando si è sviluppato per la prima volta. Nessun intervento riformatore da parte dei governi – per quanto sinceri – ha impedito o può impedire a questo ciclo di operare. I sostenitori del laissez faire e il libero mercato hanno fallito e così gli interventisti keynesiani. Oggi, quando si trovano di fronte al ciclo economico, i sostenitori del capitalismo non hanno nulla da gestire.

Il ciclo economico dimostra l’impotenza dei riformisti e dei politici, ed è un ulteriore stato d’accusa del sistema capitalista nel complesso, che porta miseria per milioni di lavoratori i quali perdono i loro lavori, vanno in fallimento o si trovano con le loro retribuzioni ridotte e le loro condizioni di lavoro peggiorate. E lontano dall’essere un’aberrazione, questo ciclo di miseria è il ciclo naturale del capitalismo.

Regno Unito, agosto 1996

Fonti:
(1) Il Capitale – Libro Primo, K. Marx, Capitolo 13 – Macchine e grande industria, Par. 7
(2) Il Capitale – Libro Primo, K. Marx, Capitolo 3 – Il denaro e la circolazione delle merci, Par. 2

(Traduzione da www.worldsocialism.org)

Il socialismo va contro la natura umana?

Quanto spesso sentiamo dire “È la natura umana”? E generalmente di un tratto antisociale del comportamento, come se non potesse essere evitato? Curiosamente, non si sente spesso dire delle cose migliori che la gente può fare. Nel sentire che qualcuno ha rischiato la sua vita nel salvare un altro, per qualche ragione non siamo portati a dire “Sì, è la natura umana”.
Prevalentemente, l’idea della “natura umana” è un riflesso di una società divisiva che è incapace di creare una vita decente per tutti i suoi membri. Questo fallimento è quindi razionalizzato come una visione pessimistica per la quale tutte le persone (soprattutto le altre persone) sono inerentemente egoiste, ingorde e pigre. Questa visione è stata usata come un’obiezione al socialismo, nella quale tutti gli esempi cattivi del comportamento umano sotto il capitalismo sono utilizzati per sostenere che una società basata sull’uguaglianza e la cooperazione volontaria è impossibile.

Non siamo programmati geneticamente

Questo pregiudizio è anche rinforzato da argomenti che asseriscono che il nostro comportamento e le nostre relazioni risultano dal modo in cui siamo biologicamente o geneticamente programmati. Questi argomenti puntano sulla competizione, sul comando, sull’essere possessivo, sull’aggressione, sull’ineguaglianza sociale e sessuale e su un presunto impulso a essere territoriali ma, ancora, tutti questi sono modelli di comportamento che riflettono il capitalismo.
L’arrivo del capitalismo è un fenomeno relativamente recente nella storia umana, il novanta per cento di essa è stata spesa vivendo come raccoglitori/cacciatori, in piccole tribù che si muovevano da luogo a luogo. Ciò finì con il sorgere dell’agricoltura stabile circa dieci mila anni fa e seguirono una varietà di forme differenti di organizzazione sociale nelle diverse parti del mondo. Se le nostre sistemazioni sociali fossero determinate dalla nostra biologia, allora questa diversità di comportamenti, di relazioni e di cultura umani non sarebbero mai sorte.
La reale prova scientifica mostra che gli umani sono in grado di adattarsi per far fronte alle sfide presentate dall’ambiente naturale e sociale in cui si sono trovati a vivere. La dimostrazione proveniente dal progetto ora completato del genoma umano sostiene il punto di vista dell'adattabilità degli esseri umani. Il dott. Craig Venter, Presidente e capo ufficio scientifico del Celera Geonomics (l’azienda privata che vuole brevettare i geni per profitto e quindi non qualcuno che può essere sospettato di inclinazioni anticapitaliste o prosocialiste) dichiarò in un comunicato stampa ufficiale distribuito dalla rivista Science che pubblicò i risultati della sua azienda nella sua pubblicazione del 16 febbraio 2002:
“Ci sono molte sorprese da questo primo sguardo al nostro codice genetico che hanno importanti implicazioni per l’umanità. Dall’annuncio del 26 giugno del 2000 la nostra conoscenza del genoma umano è cambiata nelle parti più fondamentali. Il piccolo numero di geni – 30.000 invece di 140.000 – sostenevano il concetto che non siamo rigidamente cablati. Ora sappiamo che il concetto secondo cui un gene porta a una proteina e forse a una malattia è falso. Un gene porta a molti prodotti differenti e quei prodotti-proteine possono cambiare drammaticamente dopo che sono stati prodotti. Sappiamo che le regioni del genoma che non sono geni possono essere la chiave della complessità che vediamo negli umani. Ora sappiamo che l’ambiente agendo secondo questi passi biologici può essere fondamentale nel fare noi quello che siamo. Nello stesso modo l’insolitamente piccolo numero di variazioni genetiche che avvengono nei geni di nuovo suggeriscono un ruolo significativo delle influenze dell’ambiente nello sviluppo di ogni nostra unicità.”

La produzione di strumenti, il linguaggio e il pensiero

Mentre la natura genetica degli esseri umani lascia molta libertà d’azione per la variazione nel comportamento, ci sono certe caratteristiche che tutti condividiamo e che ci distinguono dalle altre specie. Queste includono l’abilità di camminare eretti, la visione a colori binoculare, le mani con pollici opponibili, organi capaci di parola, e l’abilità di pensare concettualmente. Queste caratteristiche fisiche hanno portato alla versatilità della specie umana come personificata nel loro lavoro ma anche al comportamento sociale come l’accumulazione di esperienze condivise che possono essere trasmesse attraverso le generazioni. Lo sviluppo di strumenti, dalla tecnica della lavorazione della selce durante il periodo paleolitico ai computer e ai veicoli spaziali di oggi, è fondamentale per la comprensione della storia umana.
Può essere stato che questa tradizione della produzione di strumenti abbia giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della consapevolezza umana. Gli strumenti fatti dall’iniziale genere umano oggettivarono l’esistenza dei creatori degli strumenti e in contemplazione di ciò essi diventarono consci delle proprie esistenze. Questo riflesso delle loro vite nelle loro creazioni possono aver condotto a un’elevata consapevolezza di sé e a una capacità di pensare in un periodo di tempo esteso fatto di passato, presente e futuro. Il linguaggio poté poi svilupparsi dai riferimenti di base agli oggetti materiali ai più alti livelli di pensiero astratto che espressero uno sviluppo, la visione più complessa del loro mondo. Ciò avvenne proprio quando quella umanità creò idee e cultura, diventando meno istintiva e più decisionale. Attraverso l’interazione dinamica tra le caratteristiche umane e l’ambiente che era essenzialmente il processo lavorativo, gli esseri umani non solo modificarono le loro condizioni di vita, ma cambiarono anche loro stessi. Ciò che questo richiese non fu una serie invariabile di modelli comportamentali programmati dalla codificazione genetica, ma adattabilità.

Siamo predisposti alla cooperazione

Ma nulla di questo sarebbe stato possibile senza la cooperazione. Sebbene non possiamo dire che la cooperazione sia programmata nei nostri geni, essa è certamente predisposta dalla nostra composizione fisica. Il punto di vista che la cooperazione fosse essenziale alla sopravvivenza e allo sviluppo della società umana è stato recentemente sostenuto dal lavoro dell’antropologo Andrew Whiten. Egli sostiene che l’egualitarismo, la condivisione e la mancanza di dominazione furono le caratteristiche più rilevanti nelle società dei raccoglitori/cacciatori.
Per mezzo della cooperazione con gli altri attraverso una divisione del lavoro incrementiamo di molto quello che può essere prodotto per il nostro reciproco beneficio. Oltre a questi benefici materiali, la cooperazione ci permette di svilupparci come individui. La nostra individualità cresce e trova la sua espressione in relazione con gli altri e ciò sarebbe impossibile nell’isolamento sociale. In questo processo di crescita individuale attingiamo non solo nei rapporti personali, attingiamo nella società in generale e anche nelle vite di quelli che hanno vissuto nel passato. La cooperazione a volte è ritenuta impossibile perché vi è un conflitto inerente tra l’interesse personale e gli interessi degli altri. In realtà, è vero il contrario. Gli interessi dell’individuo sono realizzati nel modo migliore quando le persone lavorano insieme.

(Traduzione da www.worldsocialism.org)

mercoledì 11 agosto 2010

L’Information Technology e il Socialismo

Il socialismo sarà una società basata sulla produzione per l’uso. Ma questo che cosa significa? Ciò come potrebbe funzionare e l’Information Technology che ruolo potrebbe svolgere nel socialismo?

Nel descrivere la nuova società per la quale stanno lavorando, i socialisti incontrano frequentemente la domanda "come funzionerà?". Gli interrogatori spesso partono dal presupposto che solo con un sistema di denaro e prezzi le cose possano “funzionare”; tante cose accadono già, senza alcun bisogno per loro di partecipare.

Dal sistema del mercato può scaturire “lavoro”, nel senso che continua a funzionare con o senza che la gente provi a controllare dove esso ci richiede. Dopo tutto, i politicanti al giorno d’oggi sembrano sempre più ammettere quanto poco controllo abbiano sul sistema che essi soltanto amministrano. Eppure, questa inevitabile assenza di controllo consapevole e sociale è proprio il problema. La nuova forma di organizzazione sociale dove la produzione è organizzata solamente per l’uso può richiedere più coinvolgimento attivo dalla gente ma questo è l’unico modo per mettere in azione una società nell’interesse dell’intera popolazione. Così nel rispondere alla domanda “come funzionerà” i socialisti riconoscono che ci sia innanzitutto una necessità per la vasta maggioranza delle persone di capire e volere il socialismo.

Il modo in cui le cose “funzioneranno” nel socialismo avverrà grazie a ciò che noi chiamiamo “produzione per l’uso”. Questa caratteristica della definizione del socialismo, non è difficile da capire, significa semplicemente produrre direttamente ciò che è necessario, senza il bisogno di scambio monetario, come nel capitalismo. Per tutta la storia umana c’è sempre stata la produzione solamente per l’uso, iniziando con la raccolta di cibo e la fabbricazione di strumenti in società di raccoglitori/cacciatori. Nel capitalismo dei giorni moderni, ci sono molti esempi che variano dalle attività delle organizzazioni di volontariato ai lavori domestici e al giardinaggio.

La produzione per l’uso

Nel socialismo, produrre direttamente per l’uso sarà la regola. La produzione socialista necessita di essere organizzata democraticamente, una dittatura che organizza la produzione per l’uso non sarebbe socialismo. In considerazione delle relazioni tra la democrazia e la produzione, la questione “come funzionerà” richiede alcune ulteriori risposte. Nel costruire il socialismo, abbiamo bisogno di considerare come le preferenze e le opinioni del complesso della società saranno riflesse nelle scelte che saranno fatte riguardo alla produzione di beni e di servizi.

Tre questioni specifiche riguardo alla produzione nel socialismo vengono alla mente. Innanzitutto, una questione che riguarda il calcolo economico, in secondo luogo la scala geografica della presa di decisione e in terzo luogo gli incentivi in una società socialista. Queste sono questioni in cui il ruolo dell’information technology (IT) nel socialismo può avere una certa importanza nelle risposte offerte dai socialisti.

La prima questione riguardante il calcolo economico è posta dai difensori del libero mercato. Il mercato sarebbe un meccanismo decentralizzato per calcolare la domanda allo scopo di realizzare il giusto livello di fornitura, espresso attraverso il dispendio monetario. Ci sono, certamente, pecche in questo argomento, il denaro non è equamente distribuito, il mercato non è un sistema così elegantemente decentralizzato e non realizza il tipo di efficienza da manuale come è sostenuto. Tuttora, c’è una necessità di mostrare come i calcoli circa la domanda e l’offerta sarebbero affrontati in assenza del sistema del mercato.

Sarebbe necessario calcolare l’ammontare delle entrate che fossero necessarie per realizzare un certo livello di produzione. Questo tipo di calcolo di entrata-uscita necessiterebbe di avvenire su scale geografiche differenti, dalle forme di calcolo “locali” alle regionali e anche globali. Ciò si connette alla nostra seconda questione circa l’estensione nel socialismo della presa di decisione localizzata contro quella centralizzata.

Guardando alle locali forme di organizzazione, le unità individuali di produzione nel capitalismo (fabbriche, uffici, ecc.) hanno già sistemi IT per calcolare le risorse che sono necessarie nella produzione, come pure i sistemi di controllo dello stock per amministrare la fornitura delle risorse. Eccetto quelle parti che hanno attinenza con la contabilità monetaria, questi sistemi potrebbero essere utili alla società socialista che li ereditasse.

In ogni caso, la contabilità monetaria non aiuta con i calcoli di entrata-uscita che sono veramente necessari nel pianificare la produzione. Questi calcoli possono essere fatti in termini di quantità (siano essi chilogrammi, litri, watt, o altre unità di misura). Lo sono spesso, anche all’interno del capitalismo. Nel 1973 un economista, Wassily Leontief, ricevette un premio Nobel per aver formulato una metodologia per l’analisi di entrata-uscita che potrebbe usare tali misure quantitative.

Così come l’utilizzo degli esistenti sistemi IT, molti nuovi sviluppi sarebbero necessari nelle organizzazioni di produzione locali. Per esempio, le operazioni dei tipi molto differenti di attività produttive potrebbero essere rese più aperte e responsabili attraverso informazioni pubbliche migliorate. La presa di decisione e l’arruolamento di persone con certe capacità sono altre aree dove l’IT aumenterebbe l’organizzazione della produzione per l’uso.

Nel passare alle scale regionali e globali più ampie, si dice spesso che la produzione nella società moderna sia troppo complessa per essere il soggetto di calcolo. Eppure, anche tornando agli anni Sessanta quando la tecnologia del computer era nella sua fase iniziale, i teorici di mente “socialista” citarono il potenziale uso dei computer per il calcolo di entrata-uscita su scala più larga. La moderna potenza di calcolo significa che i calcoli necessari anche per milioni di prodotti possono essere effettuati in minuti. In realtà, la scala computazionale di tali calcoli è piccola quando comparata ad altri usi dei moderni “super computer” come nella previsione del tempo (vedi Towards a New Socialism di W. Paul Cockshott e Allin Cottrell, Spokesman Books, 1993).

La presa di decisione democratica

L’elaborazione matematica su larga scala non può essere il problema che era una volta, sebbene una società socialista si troverebbe ancora di fronte alla questione di come meglio democratizzare la produzione. L’IT potrebbe essere usata per fornire universalmente l’accesso alla risorse globali di informazione circa le scelte differenti che sono affrontate nella progettazione della produzione. È importante notare che l’immagazzinamento centrale delle informazioni non significa necessariamente che la presa di decisione debba essere centralizzata. La più ampia disponibilità di informazioni faciliterebbe di per sé la vera democrazia che i socialisti sostengono sia necessaria per prevenire la centralizzazione del potere.

La questione del fin dove sarà possibile localizzare la produzione e la presa di decisione rimarrà una materia per il dibattito sia prima che dopo la rivoluzione socialista. Certamente, l’organizzazione locale sembra appropriata per molti tipi di produzione, alcuni dei quali non necessiteranno di centralizzare molta o perfino neanche un po’ dell’informazione usata nella loro progettazione. Altre questioni necessiteranno delle decisioni su una più larga scala geografica, alcuni aspetti dell’amministrazione ambientale, per esempio. La discussione di queste questioni trarrà beneficio dalla versatilità dei sistemi IT, il che significa che la presa di decisione può avvenire attraverso la scala più appropriata, sia essa locale, regionale o globale.

Sulla terza questione, riguardante gli incentivi, viene spesso chiesto che cosa motiverebbe la gente nel socialismo a realizzare nuove innovazioni. La risposta principale a ciò si trova nell'insieme completamente nuovo delle priorità e delle motivazioni in cui la gente riconoscerebbe l'esigenza urgente di realizzare determinati generi di sviluppo (per esempio, fonti di energia rinnovabile di sviluppo e altre forme ecologicamente sostenibili di produzione). L’IT, nel promuovere la condivisione della conoscenza e la cooperazione, sarebbe anche importante nell’incoraggiare l’innovazione, come effettivamente è stato anche sotto il capitalismo. Un esempio che i socialisti hanno notato è stato il movimento del “software open source” (programma con sorgente aperto) in cui persone geograficamente separate hanno collaborato su Internet per sviluppare la piattaforma per computer Linux. Il loro lavoro, all’avanguardia dell’industria dell’IT, è stato organizzato su basi volontarie, cercando attivamente di evitare il mercato piuttosto di utilizzarlo.

Un sistema di produzione solamente per l’uso avrebbe completamente una nuova serie di priorità e gli incentivi a sviluppare in queste aree risulterebbero da fonti piuttosto differenti quali le dinamiche della cooperazione, la democrazia e la libertà grandemente aumentata da mettere a fuoco su quelle zone di produzione che sono ampiamente riconosciute essere di più grande beneficio.

Il rapido sviluppo della tecnologia del computer offre un nuovo tipo di risposta agli argomenti pro-mercato concernenti il calcolo, la presa di decisione e gli incentivi. La diffusione dell’informazione sarà una parte essenziale della struttura democratica del socialismo e il compito di progettare i sistemi che possano riuscire meglio in questo sarà una delle più grandi sfide che si troverà di fronte la società socialista.

L’uso dei sistemi IT nel socialismo può non sempre essere l’aspetto della nuova società che cattura di più l’immaginazione. Alcuni possono persino temere che stia portando a un piano d'azione da incubo in cui i calcolatori si avviano a controllarci, piuttosto che il contrario. Questi timori non riescono a riconoscere la capacità dell’IT di facilitare piuttosto che dettare l'organizzazione sociale, una volta che è usato per funzionare negli interessi dell’intera società. L’IT può fornire i blocchi di costruzione per nuove forme di organizzazione che superino qualsiasi cosa che esiste o potrebbe mai esistere nel capitalismo.

(Traduzione da Socialist Standard, dicembre 2002)

Perché non abbiamo bisogno del denaro

Negli anni recenti, con il risveglio della Destra ideologica come una reazione al fallimento del riformismo sociale privo di carattere e centrista che era stato di moda dalla guerra, noi nel Partito Socialista [della Gran Bretagna] siamo stati selezionati per la particolare attenzione di quei fautori del capitalismo senza briglie che si fanno chiamare “libertari” e “anarco-capitalisti”. Questo probabilmente perché siamo l’unico gruppo che si fa chiamare socialista a proporre una definizione coerente di ciò che il socialismo è e siamo preparati ad andare nei dettagli di come riteniamo che una società senza classi, senza stati e in particolare senza denaro potrebbe funzionare.

Il punto su cui questi difensori ideologici del capitalismo amano attaccarci è l’idea di abolire i mercati, i prezzi, il denaro e tutti gli altri aspetti della compravendita. Loro dicono che ciò sarebbe impossibile, com’è stato dimostrato da un certo Ludwig von Mises in un articolo sul “Calcolo Economico nella Confederazione Socialista” pubblicato in Germania nel 1920 (e per la prima volta pubblicato in inglese nel 1935 nella Pianificazione Economica Collettivistica editata da Hayek).

Von Mises, sostengono, ha mostrato che la società socialista era impossibile perché sarebbe stata incapace di calcolare razionalmente quali metodi produttivi adottare. Questo lo chiamano “il problema del calcolo economico”. Secondo von Mises, il calcolo economico razionale è possibile soltanto sulle basi dei prezzi fissati dal libero gioco delle forze di mercato. In altre parole, l’unica forma di calcolo razionale che può essere applicato alla produzione della ricchezza è il calcolo monetario.

Sebbene il denaro, e così il calcolo monetario, scomparirà nel socialismo ciò non significa che non ci sarà più alcuna necessità di fare scelte, valutazioni e calcoli. Il nostro argomento è che queste valutazioni e calcoli, comprendenti quelli che riguardano il “costo” non-monetario degli oggetti in termini della fatica e dei materiali usati per produrli, saranno fatti direttamente in natura, senza alcuna unità di conto o di misurazione generale, senza denaro né tempo di lavoro.

Questa è la conseguenza della vera natura del socialismo come una società attrezzata per produrre ricchezza direttamente per soddisfare i bisogni umani. La ricchezza sarà prodotta e distribuita nella sua forma naturale di cose utili, di oggetti che possono servire per soddisfare il bisogno umano o altro. Non essendo prodotti per la vendita su un mercato, gli articoli della ricchezza non acquisiranno un valore di scambio in aggiunta al loro valore d’uso.

Nel socialismo il loro valore, nel senso non-economico normale della parola, non sarà il loro prezzo di vendita né il tempo necessario per produrli ma la loro utilità. È per questo che saranno apprezzati, valutati, richiesti… e prodotti. Così le stime di ciò che è probabile che sia richiesto su un dato periodo saranno espresse come quantità fisiche di definiti modelli e tipi di oggetti. Nessuno, neppure von Mises ha negato che ciò potrebbe essere fatto senza problemi:

il calcolo in natura in una economia senza scambio può abbracciare solamente la consumazione dei beni (von Mises, pag. 104).

L’argomento di von Mises era che il passo successivo – risolvere quali metodi produttivi impiegare – non sarebbe possibile, o almeno non potrebbe essere fatto “razionalmente” evitando spreco e inefficienza senza il “calcolo economico” – il calcolo monetario basato sui prezzi di mercato. La nostra risposta è che la scelta di quali metodi produttivi impiegare, sarà come il risolvere quali beni di consumo sono necessari, basata su valutazioni e calcoli in natura.

Un’economia monetaria dà luogo all’illusione che il “costo” di produzione di qualcosa sia soltanto finanziario; in realtà la parola costo è così associata al calcolo finanziario e monetario che siamo obbligati a metterla tra virgolette quando vogliamo parlarne in un senso non-monetario. Ma il reale costo della matita che sto usando per scrivere questo articolo non è 10 cent, ma l’ammontare di legna, ardesia, lavoro, elettricità, logorio delle macchine, consumati nel produrla. Questa continuerà ad essere la situazione nel socialismo. I beni non cresceranno sugli alberi, ma sarà ancora richiesto dispendio di fatica e materiali per produrli.

Il punto è che nel socialismo questo dispendio di fatica e di materiali sarà valutato e calcolato esclusivamente in natura, direttamente in termini di legna, ardesia, logorio delle macchine, elettricità e così via (includendo il tempo di lavoro, ma come questo sarà un caso particolare ci ritorneremo più avanti). Dato che il socialismo si occuperà della conservazione delle risorse vorrà adottare quei metodi produttivi che, a parità di condizioni, usano meno piuttosto che più materiali ed energia e ciò sarà uno, e solo uno, dei fattori da essere presi in considerazione nel decidere quale metodo tecnico di produzione adottare.

Il calcolo monetario, sia per scoprire quale metodo produttivo sia il più proficuo (come imposto dal capitalismo e lodato dai seguaci di von Mises) che per ogni altro scopo (come proposto da vari fautori del capitalismo di stato e altri non realistici aspiranti riformisti del capitalismo), è un tipo molto particolare di calcolo dato che riguarda la riduzione di tutti i valori d’uso a un astratto comune denominatore. Il valore d’uso può davvero essere comparato ma soltanto in situazioni concrete dato che lo stesso oggetto può avere un valore d’uso differente in tempi differenti e in circostanze differenti.

Il calcolo monetario, in ogni caso, cerca di comparare tutti gli oggetti in termini di un modello oggettivo applicabile in tutte le circostanze; per fare ciò ha bisogno di identificare una caratteristica comune a tutti gli oggetti. Tale caratteristica comune può effettivamente essere trovata: quel certo “costo” in termini di materiali, energia e lavoro consumati a cui si è dovuto incorrere per produrli (in definitiva il tempo di lavoro richiesto per produrli dall’inizio alla fine, e – questa è la base della teoria del valore-lavoro – i materiali e l’energia consumati, essendo prodotti dal lavoro, possono anche essere ridotti a un dato ammontare di tempo di lavoro necessario). È questo costo che si presume sia misurato dal denaro.

Il denaro, dunque, è l’unità universale di misurazione, l’”equivalente generale” che permette che qualsiasi cosa sia comparata con qualsiasi altra in tutte le circostanze – ma, e questo è ciò che i fautori del calcolo monetario dimenticano, soltanto in termini del loro costo di tempo di lavoro o del tempo totale necessario in media per produrli dall’inizio alla fine.

Fare di ciò l’unica considerazione che conta (com’è imposto dalle leggi economiche del capitalismo) è un’assurda aberrazione. Sarebbe come considerare il volume del liquido come la cosa più importante quando si esaminano bottiglie che contengono liquidi diversi e quindi dedurre che una bottiglia da un litro d’acqua abbia lo stesso significato di una bottiglia da un litro di vino o d’olio o di acido solforico o di qualunque cosa. Ma stiamo facendo esattamente la stessa cosa se diciamo, o se crediamo che i beni differenti che si smerciano allo stesso prezzo abbiano lo stesso “valore” in termini della loro reale utilità alla gente.

Valori di Mercato o Valori Umani?

Così l’argomento tra il calcolo monetario e il calcolo in natura è molto più ampio di quanto sembri a prima vista. Non è semplicemente un argomento tecnico che riguarda come calcolare e quali unità usare, ma è un argomento che riguarda il reale significato delle parole quali “valore” e “prezioso”. I socialisti, come oppositori del calcolo monetario, dicono che non sono i valori monetari o di mercato, alla fine il tempo di produzione medio totale, che costituiscono la cosa più importante riguardo a un bene ma la sua utilità nel soddisfare dei bisogni umani; che i valori reali sono valori d’uso, valori umani. Stiamo dicendo che questi sono i fattori che dovrebbero essere presi in considerazione quando si fanno le scelte e i calcoli che riguardano la produzione, non semplicemente il tempo (cioè la durata) di produzione.

Ciò presuppone che i calcoli concernenti la produzione possano essere eseguiti senza denaro o senza qualche sostituto del denaro o qualche altra unità generale come il tempo di lavoro. Tali calcoli non-monetari certamente già avvengono, sul livello tecnico, sotto il capitalismo. Una volta che la scelta del metodo produttivo è stata fatta (secondo la profittabilità prevista come rivelato dal calcolo monetario) i calcoli reali in natura di ciò che è necessario per produrre un bene specifico danno inizio al processo con tante materie prime, tanta energia, tanto lavoro…

Nel socialismo la scelta del metodo produttivo non diventerà una scelta tecnica che potrà essere lasciata agli ingegneri, com’è qualche volta frainteso da chi ci critica, ma anche questa scelta sarà fatta in termini reali, in termini di reali vantaggi e svantaggi dei metodi alternativi e in termini, da una parte, di utilità di qualche bene o di qualche progetto in una particolare circostanza in un particolare tempo e, dall’altra parte, dei reali “costi” nelle stesse circostanze e nello stesso tempo dei materiali, dell’energia e dello sforzo produttivo richiesti.

Difendere il calcolo monetario, quindi, è difendere che solamente di una considerazione – il tempo di produzione medio totale necessario per produrre beni – si dovrebbe tener conto quando si prendono le decisioni circa quali metodi produttivi impiegare. Questo è palesemente assurdo ma è ciò che è imposto dal capitalismo. Naturalmente, porta a tutti i tipi di aberrazioni dal punto di vista degli interessi umani. In particolare esclude un atteggiamento razionale, a lungo termine verso la conservazione delle risorse e impone condizioni intollerabili sui reali produttori [lavoratori] (aumento del ritmo di produzione, sofferenza, stress, noia, lunghi periodi, lavoro notturno, lavoro 24 ore su 24 a turni, incidenti).

Il socialismo, siccome calcolerà direttamente in natura, potrà tenere conto di questi altri fattori che sono più importanti del tempo di produzione. Questo naturalmente porterà a differenti, in molti casi piuttosto differenti, metodi di produzione che saranno adottati in confronto a ora sotto il capitalismo. Se la salute, il benessere e il godimento di questi che realmente manipolano i materiali, o che soprintendono alle macchine che fanno ciò, per trasformarli in oggetti utili devono essere l’aspetto più importante, certi metodi devono essere esclusi completamente. Le linee di produzione mobili veloci relative alla produzione delle automobili sarebbero fermate per sempre (eccetto forse in un museo degli orrori del capitalismo); il lavoro notturno sarebbe ridotto al più stretto minimo necessario; i lavori particolarmente pericolosi o malsani sarebbero automatizzati (o completamente abbandonati).

Il lavoro può, in effetti deve, diventare piacevole. Ma con l’estensione del lavoro che diviene piacevole, la misurazione attraverso il tempo di lavoro medio minimo sarebbe completamente senza senso, dato che la gente non sarebbe ricercata per minimizzare o fare freneticamente tale lavoro.

Tuttavia ci saranno ancora alcuni tipi di lavoro che la società socialista vorrà minimizzare. Per esempio, il lavoro pericoloso e ripetitivo. Ancora una volta, questo sarebbe uno dei fattori reali da prendere in considerazione quando le decisioni saranno prese riguardo a quali metodi produttivi adottare. Altri fattori sarebbero la conservazione delle risorse (così verrebbe esclusa l’“obsolescenza pianificata” e inclusi i beni solidi fatti per durare), il risparmio di energia, il non inquinare e generalmente il mantenimento di un bilancio ecologico sostenibile con il resto della natura.

Per la verità, anche sotto il capitalismo, i manager d’impresa non basano le loro decisioni solamente sui prezzi di mercato, a lungo termine o a breve termine. Essi sono obbligati dalla legge (e anche dalla pressione del sindacato) a tenere conto di un’intera serie di altri fattori come la sicurezza, l’anticontaminazione e il permesso di pianificazione. La considerazione portante rimane certamente la previsione di profitti (la differenza tra gli introiti della vendita previsti e il costo monetario della produzione). Ciò significa che questi fattori sono di minore importanza e che riflettono soltanto gli standard minimi che non sono incompatibili con il produrre profitto ed, essendo imposti dall’esterno contro la logica del fare profitto, a breve termine vengono sempre infranti. Ma devono, comunque marginalmente, entrare nelle decisioni produttive, mostrando di conseguenza che è possibile tenere conto di altre considerazioni rispetto al tempo di produzione minimo.

Le Priorità nel Socialismo

Nel socialismo la situazione sarà piuttosto differente: si terrà conto automaticamente di questi fattori nel processo di presa di decisione e non dovranno essere imposti dall’esterno come se fossero una specie di addendum, dato che le più elevate priorità della produzione saranno la salute e il benessere dei produttori. Possiamo immaginare che le decisioni riguardo alla scelta dei metodi produttivi saranno prese da un consiglio eletto dalle forze di lavoro, o da un sottocomitato tecnico di tale consiglio democraticamente eletto. Nel prendere le loro decisioni terranno innanzitutto in considerazione, non il minimizzare il tempo di produzione totale medio come le leggi economiche del capitalismo obbligano oggi, ma la salute, il benessere e il godimento delle forze di lavoro, la protezione dell’ambiente e la conservazione dei materiali e dell’energia.

Dato che i materiali e l’energia, e il lavoro nella misura in cui non sia interessante e creativo ma soltanto routine, sono i “costi” reali, l’intento sarà di minimizzarli. Nello stesso modo in cui ci saranno questi obiettivi e relegazioni chiaramente definiti, gli aiuti matematici alla presa di decisione come la ricerca operativa e la programmazione lineare, al momento prostituiti al fine di massimizzare i profitti, potranno essere usati per trovare i metodi di produzione ottimali.

Un altro punto che deve essere capito è che il socialismo non dovrà cominciare da zero. Si erediterà dal capitalismo un sistema di produzione funzionante che sarà in grado di adattarsi alla produzione per l’uso. Alcuni metodi dovranno essere fermati immediatamente o appena possibile ma altri necessiteranno solamente di essere modificati a una più grande o più piccola estensione. Quando il socialismo avrà riordinato la confusione ereditata dal capitalismo, diventerà una società in cui anche i metodi di produzione muteranno solo lentamente. Ciò renderà la presa di decisione riguardo alla produzione più semplice.

Aggiungiamo immediatamente per evitare qualsiasi malinteso che, perfino nel periodo iniziale del socialismo, quando la produzione dovrà riordinare la confusione in termini di privazione e di povertà lasciati dal capitalismo, il calcolo monetario non sarà necessario. La necessaria espansione della produzione può essere pianificata ed eseguita in termini reali.

Perciò, il cosiddetto “problema del calcolo economico” contro il socialismo crolla davanti ad analisi dettagliate. L’alternativa al calcolo monetario in termini di valore di scambio è il calcolo in natura in termini di valori d’uso, di reali vantaggi e di reali costi di particolari reali alternative in particolari reali circostanze.

(Traduzione da www.worldsocialism.org)

martedì 10 agosto 2010

Governo o Democrazia?

Dovremmo eleggere un nuovo governo? O dovremmo collegarci con la lotta per introdurre una società democratica?

In quelle nazioni capitaliste in cui vi sono le elezioni, alla gente è chiesto di selezionare un nuovo governo attraverso ciò che è ritenuto essere un processo democratico. È vero che il voto, assieme ad altri diritti duramente conseguiti come i diritti di assemblea, l’organizzazione politica e la libera espressione, sono molto importanti. Ma può l’atto di eleggere un governo risultare in una società democratica?

Governare è dirigere, controllare e ordinare con autorità. Operare come stato questo è ciò che fanno i governi. Ma dire che la democrazia è soltanto l'atto di eleggere un governo per regolare sopra di noi non può essere giusto, perché la democrazia dovrebbe includere tutta la gente nel decidere come viviamo e che cosa facciamo come comunità. Democrazia significa l’assenza di privilegi, prendere le nostre decisioni da una posizione di uguaglianza. Democrazia significa che dovremmo vivere in una società completamente aperta con accesso senza limitazioni alle informazioni relative alle questioni sociali. Significa che dovremmo avere i poteri per agire secondo le nostre decisioni, perché senza tali poteri le decisioni sono inutili. Perciò, nonostante il colore politico del partito politico eletto a governare, quanto il funzionamento dello stato è all’altezza di ciò che i socialisti discutono dovrebbe essere una società democratica?

Per i socialisti la regola del governo non può mai essere democratica. Benché possa includere qualche funzione incidentale risultante dai bisogni della gente, l’attività principale dello stato è il funzionamento della società divisa in classi; un sistema di sfruttamento economico. Principalmente i governi operano per una sezione privilegiata della società. Fanno le leggi che proteggono i diritti di proprietà di una minoranza che possiede e controlla le risorse naturali, l’industria, la manifattura e il trasporto. Questi sono i mezzi di vita sui quali noi tutti contiamo, ma la maggior parte di noi non ha alcuna opinione riguardo a come sono usati. Dietro il Parlamento i governi operano in segreto. Sono parte della divisione del mondo in stati capitalisti rivali. Con il sostegno delle loro forze armate inseguono interessi capitalisti nazionali. Benché i politicanti che lo fanno funzionare possano essere eletti, lo stato è l’opposto della democrazia.

La produzione è posseduta e controllata dalle società, alcune di esse sono grandi imprese multinazionali con massiccio potere economico nel prendere le decisioni su che cosa dovrebbe essere prodotto per i mercati da vendere per un profitto. Attraverso autorità corporative decidono come i beni dovrebbero essere prodotti e le condizioni in cui il lavoro è fatto. Di nuovo, questo è l’opposto della democrazia.

La vera democrazia

Pertanto, come sarebbe compiuta la democrazia nel socialismo? Ciò richiede l’abolizione dello stato e la sua sostituzione con un sistema di amministrazione democratica. Ciò può funzionare soltanto a partire da una base di proprietà comune e di produzione solamente per l’uso. Proprietà comune significa che tutta la gente dovunque nel mondo resterà in ugual rapporto con ogni altro. Ciò sarà un’associazione di tutti gli uomini e le donne che prenderanno le decisioni e coopereranno per produrre beni e organizzeranno le comunità nel loro reciproco interesse.

L’organizzazione democratica di tutta la gente come cittadini del mondo avrebbe bisogno di operare attraverso diverse scale di cooperazione sociale. Localmente, in città o paesi, saremmo coinvolti con il nostro comune o quartiere. Anche ora, ci sono molte migliaia di uomini e di donne dovunque nel paese che lavorano volontariamente in consigli comunali e distrettuali e nelle vicinanze cittadine a beneficio delle loro comunità. Ma questi sforzi sarebbero fortemente aumentati dalle libertà di una società che mette in azione interamente attraverso la cooperazione volontaria.

Tali organizzazioni locali sarebbero in un contesto di cooperazione regionale, la quale potrebbe operare adattando le strutture degli attuali governi nazionali. Mentre alcuni reparti come quelli per amministrare le tasse e le finanze statali, che sono essenziali allo stato, sarebbero aboliti, altri come l’Agricoltura e l’Ambiente potrebbero avere un importante lavoro da fare, specialmente nei primi giorni del socialismo. Tali strutture – adattate ai bisogni della società socialista – potrebbero essere parte di consigli regionali e assisterebbero nel lavoro di attuare le decisioni della popolazione regionale.

Durante i primi giorni del socialismo è probabile che l’organizzazione della cooperazione mondiale necessiterebbe di prendere posto attraverso un consiglio mondiale. Per il fatto che le cose di cui abbiamo bisogno oggi sono prodotte e distribuite attraverso una struttura mondiale di produzione, e per il fatto che la sua attuale natura capitalista ha causato immensi problemi, un’azione per risolverli sarebbe necessaria su una scala mondiale, per esempio, sarebbe una priorità erigere un sistema energetico mondiale ecologicamente benevolo appena possibile. Analogamente, gli innumerevoli milioni di persone che stanno soffrendo per la fame e la disperata povertà avrebbero bisogno di un considerevole aumento di produzione di cibo. Per questo lavoro la FAO (Food and Agricultural Organisation) delle Nazioni Unite sarebbe alla fine in grado di usare la sua competenza e conoscenza delle condizioni mondiali per aiutare a risolvere i problemi della malnutrizione. Inoltre, inizialmente, la gente nel socialismo si troverebbe di fronte a un enorme compito di fornire a ogni persona un alloggiamento sicuro e comodo. Ciò invocherebbe gli sforzi delle comunità nel mondo intero, specialmente in quelle regioni dove i mezzi di produzione sono stati notevolmente sviluppati. Tali progetti mondiali potrebbero essere coordinati attraverso appropriati reparti di un consiglio mondiale.

Quando noi proponiamo scale differenti di cooperazione sociale quali le scale locali, regionali e mondiali, non intendiamo una gerarchia con potere localizzato in qualche punto centrale. Quello che ci aspettiamo è un sistema sia integrato che flessibile di organizzazione democratica che potrebbe essere adattato affinché l’azione risolva qualsiasi problema in qualsiasi scala. Questo considera semplicemente che alcuni problemi e l'azione per risolverli sono dovuti a questioni locali e ciò inoltre si estende alle sfere regionali e mondiali.

Eseguire le decisioni

Cruciale nella questione della democrazia non è solo l’abilità nel prendere le decisioni riguardo a che fare ma anche i poteri d’azione per eseguire quelle decisioni. Da molti anni, in molte nazioni, i politicanti capitalisti cercando una carica promettono di risolvere il problema degli alloggi assieme ai problemi della povertà, della disoccupazione, dell’inquinamento, della criminalità, dei servizi sanitari e molti altri. Falliscono perché di fatto cercano di mettere in azione un sistema guidato dal profitto, che impone severe limitazioni economiche su ciò che può fare e che come risultato non può essere razionalmente controllato. Ciò ridicolizza l'idea della democrazia. Ma con l’abolizione del sistema del mercato, le comunità nel socialismo non saranno soltanto in grado di prendere decisioni libere e democratiche riguardo a ciò che sarà necessario fare, saranno anche libere di usare le loro risorse per realizzare quegli scopi.

Le scuse che sentiamo almeno ogni giorno dai politicanti capitalisti che mancano delle risorse monetarie per risolvere i problemi indicano come il feticismo del denaro abbia completamente distorto il loro pensiero. Infatti i problemi non sono risolti con le risorse monetarie. Sono risolti dalla gente usando il loro lavoro, le loro capacità e i materiali necessari e c’è in realtà un’abbondanza di queste risorse materiali. Ma la gente adotterà i rapporti della proprietà comune per rilasciare tali risorse per i bisogni delle comunità e questo significherà anche che le comunità saranno libere di decidere democraticamente come meglio usarle.

Le autorità corporative o i sistemi manageriali, che ora dettano come le unità produttive, ossia le fabbriche o i servizi, dovrebbero essere messe in azione, sarebbero sostituiti. Piccole unità potrebbero essere messe in azione con incontri metodici di tutti i lavoratori. Nei casi delle grandi organizzazioni queste potrebbero essere messe in azione da comitati eletti responsabili nei riguardi della gente che vi lavora. In questo modo, la pratica democratica si applicherebbe non soltanto alle decisioni politiche importanti che dirigerebbero la direzione principale dello sviluppo, ma si estenderebbe anche alle attività giornaliere del posto di lavoro.

Ma la democrazia non riguarderebbe solo il serio lavoro della produzione e il funzionamento del posto di lavoro. La gente nel socialismo sarà libera di creare sport e altre feste culturali. L’intrattenimento dei visitatori da altre parti del mondo porterebbe diversità e ricchezza alla vita locale. Le possibilità per la presa di decisione, la progettazione e il godimento di tali eventi sono infinite.

Il socialismo apre una grande gamma di nuove possibilità. Con le popolazioni di tutti i paesi che cooperano come un unico popolo, che lavorano insieme nei loro comuni interessi, mentre celebrano le loro differenze culturali, e che si uniscono in modo democratico per decidere un nuovo futuro, le prospettive possono solo essere viste come eccitanti. Che contrasto con le squallide prospettive di eleggere ancora un altro governo capitalista e di dare ulteriormente in affitto la vita per un antiquato stato capitalista.

(Traduzione da www.worldsocialism.org)

lunedì 9 agosto 2010

Eco-socialismo

La prospettiva ecologica

Gli attuali metodi di produzione possono innegabilmente danneggiare gli ecosistemi del mondo in molti modi. Tuttora, la questione rimane se l’attività produttiva umana, la trasformazione dei materiali che provengono dalla natura nelle merci adatte per l’uso umano, è inevitabilmente dannosa in un senso ecologico. La massiccia scala dell’attività produttiva umana certamente ha implicazioni immense per l’ecologia e alcuni verdi radicali sostengono che l’attività umana su una tale scala sia incompatibile con un rapporto armonioso con il resto della natura.

Nel considerare che cosa noi intendiamo per “danno ecologico”, è importante ricordare che questi ecosistemi si stanno evolvendo. La biosfera nel complesso, che consiste in milioni di forme di vita reciprocamente interdipendenti, può essere pensata come un unico ecosistema.

Tuttavia è ancora possibile distinguere vari subsistemi, o “biomedi” all’interno di esso, sulle basi delle differenti condizioni climatiche e fisiche che esistono in diverse parti del mondo. Questi si schierano dalla tundra dell’artico, attraverso le foreste conifere e decidue e le steppe, alla savana e le foreste pluviali delle regioni vicino all’equatore. A ciascuna di queste condizioni fisiche e climatiche corrisponde un ecosistema stabile che si evolve fino al suo “punto culminante”, attraverso una serie di fasi successive. Questo punto culminante stabile sarà la situazione dove l’ammontare del cibo prodotto dalla vita della pianta è sufficiente, dopo aver tenuto conto dei bisogni di respirazione delle piante, per soddisfare in maniera sostenibile i requisiti di energia alimentare di tutte le forme di vita animali dentro il sistema. Sarà, di fatto, la situazione che fa un uso ottimale, in termini di sostenimento di tutte le forme di vita dentro il sistema, della luce dei raggi del sole che cadono sull’area.

Un punto culminante ecologico è definito in termini di esistenza di condizioni fisiche e climatiche. È chiaro che se questi ultimi cambiamenti sono esistiti, ed effettivamente ce ne sono stati relativamente molti nel corso delle migliaia di milioni di anni di vita – attraverso cose come il livello del mare, e l’andirivieni delle ere glaciali – allora l’equilibrio precedentemente esistente sarà rovesciato. Uno nuovo tenderà poi a svilupparsi in conformità con le nuove condizioni fisiche e climatiche.

Lo sfacelo di un vecchio ecosistema fa precipitare le differenti specie e varietà di forme di vita in uno stato di competizione. Nel caso delle piante, la competizione sarebbe nel catturare la luce dei raggi del sole. Nel caso degli animali, sarebbe nel recuperare l’energia alimentare prodotta dalle piante. Le specie e gli individui che dimostrano di essere meglio adattati alle nuove condizioni (“il più adatto” come dice Darwin) sopravviverebbero e fiorirebbero. Alla fine un nuovo ecosistema stabile, con un “punto culminante” differente, appropriato alle nuove condizione geofisiche, si evolverebbe. Le specie potrebbero scomparire lasciando la nicchia ecologica che hanno occupato per essere riempite dai nuovi arrivati.

Gli ecosistemi del mondo si stanno continuamente evolvendo e perciò non c’è nessuno stato “originale”, “naturale” del pianeta. Dopo tutto, gli esseri umani sono sia un prodotto che una parte della natura e non qualcosa al di fuori di essa. Non c’è alcun motivo di considerare un ecosistema in cui gli esseri umani, come gli altri animali, vivono in un numero limitato come “raccoglitori/cacciatori” nella foresta come più “naturale” di uno in cui c’è un numero più grande di alberi e piante della foresta. Non c’è alcuna base in ecologia per dire che gli alberi dovrebbero essere la principale forma di vita, nemmeno che la condizione umana naturale è cacciare e raccogliere.

L’Ecologia e il Socialismo

I materiali che gli esseri umani prendono dalla natura possono essere divisi in due categorie, a seconda se sono rinnovabili o non-rinnovabili. Quasi tutto della natura organica è rinnovabile (dato che la maggior parte di essa può essere cresciuta in un periodo di tempo relativamente breve), come lo sono certe forze naturali che gli esseri umani usano come strumenti di lavoro (fiumi, cascate, vento, i raggi del sole, ecc.). Le risorse non-rinnovabili d’altro canto – come i minerali metalliferi, il carbone, il petrolio, l’argilla, la sabbia – sono così chiamate perché non fanno parte di alcun ciclo naturale che le riproduce, per lo meno non con una scala di tempo rilevante per gli esseri umani.

L’Agricoltura

Il modo più ovvio in cui gli esseri umani estraggono materiali rinnovabili dalla biosfera è attraverso l’agricoltura. L’agricoltura comporta, per definizione, un cambiamento fondamentale nell’ecosistema esistente. L’introduzione dell’agricoltura in Europa comportò il taglio della maggior parte della foresta decidua. Questa foresta decidua ha rappresentato un punto culminante ecologico stabile per la maggior parte dell’Europa. La terra era usata per far crescere piante che gli esseri umani trovavano utili, a danno sia degli alberi che delle altre piante che erano cresciute rigogliosamente nella foresta. L’agricoltura comporta deliberatamente l’impedimento di un ecosistema di svilupparsi verso un punto culminante.

Un ecosistema che coinvolge l'agricoltura per essere stabile richiede l'azione intenzionale da parte degli esseri umani. Questo comporta non soltanto coltivare i campi e mantenerli puliti da altre piante che potrebbero crescervi sopra (“erbacce”), ma anche mantenere la fertilità del terreno che, senza agricoltura, si rinnoverebbe spontaneamente.

Le cose vanno male quando gli esseri umani ignorano le conseguenze ecologiche delle loro azioni, per esempio, permettendo tanto pascolo dei loro animali addomesticati o prendendo dal terreno senza ristabilire i minerali e i materiali organici che sono essenziali allo sviluppo normale della pianta. Tuttavia, se gli esseri umani osservano queste regole, allora, come testimoniano numerosi esempi storici, un ecosistema in cui gli esseri umani praticano l’agricoltura può essere stabile quanto uno da cui gli esseri umani sono assenti, o uno in cui essi praticano la caccia e la raccolta.

Ciò era capito e praticato nelle comunità agricole relativamente autosufficienti che sono esistite fino all’arrivo del capitalismo, dove ciò che era prodotto era in gran parte consumato sul posto. Lo scarto degli esseri umani risultante dal consumo, insieme con lo scarto degli animali e quelle parti di piante e animali che non erano usate come cibo e altri fini, era restituito al terreno dove veniva decomposto da insetti, funghi e batteri presenti negli elementi che sostengono la fertilità del terreno.

Quando, tuttavia, il luogo di produzione e il luogo di consumo sono separati, questo ciclo tende a distruggersi. Il risultato è che la fertilità del terreno diminuisce. Se un’area si specializza nella produzione di un raccolto per l’esportazione, cioè per il consumo altrove, ciò significa che della materia minerale e organica incorporata nella raccolta lascerà quell’area per sempre e non sarà restituita al terreno. Lo stesso è valido per l’allevamento animale. Gli animali richiedono grandi quantità di calcio per le loro ossa, come pure di altri minerali come il fosforo, il ferro e il magnesio, i quali a loro volta provengono dal terreno, tramite le piante con cui si alimentano. Se quegli animali sono esportati, sia morti che vivi, e consumati altrove, allora i minerali che contengono sono persi dal terreno della zona dove essi sono stati allevati.

Un problema complementare sorge all’altro capo, al punto del consumo: che cosa fare con lo scarto degli esseri umani che, quando i punti di produzione e di consumo erano gli stessi, era restituito automaticamente al terreno e riciclato dalla natura? Rilasciandolo nel mare o nei fiumi o nelle fogne significa che è perso dall’agricoltura, anche se non, sfortunatamente, dalla biosfera (questo contribuisce all’inquinamento dell’acqua incoraggiando la proliferazione di alcune forme di vita – per esempio, le alghe e i batteri – a danno di altre che l’acqua normalmente sostiene).

La “soluzione” che è stata trovata sotto il capitalismo, in quanto è la più economica in termini di contenuto di lavoro dei prodotti, è stata l’uso di fertilizzanti artificiali – nitrati e fosfati che sono stati fabbricati in stabilimenti chimici. Questo funziona nel senso di permettere alla terra di continuare a produrre lo stesso ammontare, o più, dello stesso raccolto o animale, ma a un prezzo in termini d’inquinamento dell’acqua nella regione interessata. I fertilizzanti artificiali, non essendo tenuti dal terreno nello stesso modo in cui lo è lo scarto organico, tendono ad essere dilavati via dalla pioggia in corsi d’acqua dove causano inquinamento.

La soluzione ecologica al problema è trovare qualche modo per restituire al terreno lo scarto organico risultante dal consumo umano in aree urbane. Barry Commoner suggeriva che ciò potrebbe essere fatto per mezzo di tubi che colleghino la città e la campagna. Una soluzione a lungo termine sarebbe quella prevista dai primi socialisti che non vedevano l’ora che l’agricoltura e l’industria manifatturiera venissero combinati,

graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, con una distribuzione più uniforme della popolazione sul territorio. (1)

I Materiali Non-Rinnovabili

Preoccupazione è stata espressa per il fatto che le risorse non-rinnovabili alla fine si esauriranno. Eppure, malgrado alcune previsioni selvagge che sono state fatte nel passato recente, l’esaurimento delle risorse non-rinnovabili non è un problema immediato. Un vantaggio che i materiali non-rinnovabili hanno sulla maggior parte di quelli rinnovabili è che possono normalmente essere usati più di una volta. Con le importanti eccezioni del carbone, del petrolio e dei gas naturali quando bruciati, essi possono essere riciclati. Una proporzione di alcuni metalli viene persa attraverso la corrosione, ma tutti i metalli possono in linea di principio essere recuperati e riusati. È stato insinuato, per esempio, che la maggior parte dell’oro estratto dai tempi antichi sia ancora in uso. Gran parte del ferro, del rame, dello stagno e di altri metalli estratti nello stesso periodo è ancora in giro da qualche parte anche se non è ancora usato come l’oro. Le risorse possono essere conservate facendo strumenti di produzione più facili da riparare e fabbricando beni di tutti i tipi che durino piuttosto che si distruggano o diventino inutilizzabili dopo un periodo di tempo attentamente calcolato, come è pratica comune sotto il capitalismo (obsolescenza pianificata).

Le risorse non-rinnovabili possono essere sostituite in molti casi da quelle rinnovabili. La produzione di elettricità è un esempio calzante.

La Tecnologia Non-Inquinante

Le tecniche impiegate per trasformare i materiali devono, se vogliono evitare di rovesciare i cicli naturali che sono fondamentali alla natura, evitare di scaricare nella biosfera o abbandonare come residui i prodotti, le sostanze tossiche o le sostanze che non possono essere assimilate dalla natura. In altre parole, dovrebbe essere applicata la tecnologia non-inquinante. Ciò è piuttosto fattibile da un punto di vista tecnico dato che le tecniche di trasformazione non-inquinanti sono conosciute in tutti i campi della produzione. Tuttavia, esse oggi non sono impiegate su alcuna ampia scala poiché incrementerebbero i costi di produzione e così sono escluse dalle leggi economiche del capitalismo.

Conclusione

Il principio di fondo dietro le trasformazioni nei materiali e i metodi produttivi usati, che è richiesto dalla necessità di tenere adeguato conto della dimensione ecologica, è quello che il sistema produttivo nell'insieme dovrebbe essere sostenibile per il resto della natura. In altre parole, quello che gli esseri umani prendono dalla natura, l’ammontare e il ritmo con il quale lo fanno, come pure il modo in cui usano questi materiali e se ne sbarazzano dopo l’uso, dovrebbe completamente essere fatto in una tale maniera da lasciare la natura in una posizione di continuare a fornire e riassorbire i materiali richiesti per l’uso.

A lungo andare questo implica livelli di consumo e di produzione stabili o soltanto in lento aumento, benché non escluda un piano accurato di rapido sviluppo su un periodo per raggiungere un livello a cui il consumo e la produzione potrebbero poi rimanere stabili. Una società in cui i livelli di produzione, di consumo e di popolazione sono stabili è stata denominata una “economia di stato-stabile” dove la produzione sarebbe adattata semplicemente per soddisfare i bisogni e per sostituire e riparare lo stock dei mezzi di produzione (materie prime e strumenti di produzione) necessari per questo.

È ovvio che oggi i bisogni umani sono lontani dall’essere soddisfatti su scala mondiale e che onestamente la rapida crescita nella produzione di cibo, abitazioni e altre basilari amenità sarebbe ancora necessaria per alcuni anni anche se la produzione cessasse di essere governata dalle leggi economiche del capitalismo. Tuttavia non dovrebbe essere dimenticato che una “economia di stato-stabile” sarebbe una situazione molto più normale di una economia adattata per accumulare alla cieca sempre più mezzi di produzione. Dopo tutto, l’unica ragione razionale per accumulare mezzi di produzione è alla fine essere in una posizione di soddisfare tutti i bisogni di consumo ragionevoli.

Una volta che lo stock dei mezzi di produzione ha raggiunto questo livello, in una società con questo scopo, l’accumulazione, o l’ulteriore espansione dello stock dei mezzi di produzione, può fermarsi e i livelli di produzione possono essere stabiliti. Logicamente, questo punto alla fine sarebbe raggiunto, dato che i bisogni di consumo di una data popolazione sono limitati.

Così se la società umana deve essere in grado di organizzare la sua produzione in un modo ecologicamente accettabile, allora deve abolire il meccanismo economico capitalistico dell’accumulazione di capitale e adattare la produzione preferibilmente alla diretta soddisfazione dei bisogni.

Fonti:

(1) Il Manifesto del Partito Comunista, Marx & Engels (1848)

(Traduzione da www.worldsocialism.org)

Ecco un buon motivo per non essere religiosi che va oltre il mero ateismo

Abbiamo solo una vita: questa qui. Non c’è nessuna vita dell’aldilà, che sia in paradiso, inferno, limbo o purgatorio, e non esiste nemmeno l’incarnazione. Questa vita è l’unica vita che abbiamo, e l’unico modo in cui noi esseri umani possiamo migliorarla è attraverso la nostra propria azione collettiva. Nessun Messia o altro Salvatore verrà e ci guiderà verso una vita migliore (non che vivere in una società dove un dio o qualche altro superessere sia dittatore sembri una vita migliore). Siamo per conto nostro.

La causa contro la religione non riguarda semplicemente il fatto che essa non è vera; che nessuno dei reclami delle varie religioni fa fronte alle prove della validità scientifica; che non vi è uno straccio di evidenza che un qualche dio o degli déi esistano o intervengano o siano intervenuti negli affari umani o nell’evoluzione dell’universo. Riguarda anche il fatto che essa insegna che abbiamo più di una vita e nega che siamo per conto nostro. Questo inevitabilmente riduce il valore sia della nostra vita attuale che di qualsiasi azione collettiva per migliorarla. La religione, ogni religione, è essenzialmente e profondamente antiumana.

Se si crede in una seconda vita e che lo scopo della nostra vita attuale sia quello di comportarsi in modo tale da assicurarsi che la propria vita futura sarà migliore di quella presente, allora ciò significa trattare l’unica vita che in realtà di fatto abbiamo come un mezzo, non come un fine di per sé, in questo modo svalutandola. La cosa peggiore, dal momento che le regole di comportamento per ottenere un miglior trattamento nella prossima vita sono dogmaticamente indicate in libri sacri presumibilmente scritti da qualche profeta, guru, maestro o padrone, è che ciò scoraggia un esame razionale e senza pregiudizi dell’azione collettiva che noi esseri umani necessitiamo di intraprendere per migliorare le condizioni della vita umana.

Qualcosa può essere fatto per rendere il mondo migliore? Sì, se mettiamo da parte tutti i dogmi antiumani circa il “peccato originale” e la “libera scelta mal usata” che si trovano nei testi sacri e nella teologia di tutte le religioni e guardiamo la situazione obiettivamente e razionalmente. Se facciamo ciò, possiamo vedere che la causa radice della sofferenza umana di massa è che la ricchezza oggi non è prodotta direttamente per soddisfare i bisogni umani ma per la vendita su qualche mercato con lo scopo di fare un profitto.

Le cose di cui abbiamo bisogno per vivere e godere la vita oggi sono prodotte solo se in esse vi è un profitto finanziario per le aziende private, gli affari statali e gli individui ricchi che possiedono e controllano le risorse produttive del mondo. È questo che causa le rivalità economiche e militari e la trascuratezza dei bisogni umani che vediamo dovunque intorno a noi. E ciò continuerà finché esisteranno la proprietà sezionale (privata o di stato-nazione) e la produzione per il profitto.

Perciò l’azione collettiva umana che è necessaria per migliorare la vita umana sulla Terra è l’azione democratica per rendere le risorse del mondo l’eredità comune di tutta l’umanità. È solo su questa base che noi esseri umani, senza messia, profeti, déi o qualsiasi altro tipo di superessere, possiamo dirigere liberamente la produzione verso la soddisfazione dei nostri bisogni e in questo modo assicurare che ogni uomo, donna e bambino su questo pianeta abbiano accesso adeguato al cibo, al vestiario, all’alloggio e a tutte le altre cose che sono necessarie per vivere una vita piacevole.

Questo è il vero programma umano: rendere la vita sulla Terra – e, quando saremo arrivati a ciò, sulla luna e sugli altri pianeti – migliore possibile. Dopo tutto, è l’unica vita che tutti gli esseri umani sono sicuri di avere.

(Traduzione da WSM Forum)