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domenica 28 novembre 2021

Cosa succede quando c'è una maggioranza socialista?

Non sarà il Partito Socialista come organizzazione separata dalla classe lavoratrice ad avere una maggioranza parlamentare, ma la classe lavoratrice di mentalità socialista. Saranno i lavoratori che avranno conquistato il controllo politico e i parlamentari socialisti saranno i loro delegati. Ciò presuppone una maggioranza socialista al di fuori del parlamento, che si sarà organizzata non solo in un partito politico socialista, ma anche in luoghi di lavoro pronti a mantenere in corso una produzione utile. Inoltre, ci sarebbero movimenti simili con il controllo del potere politico o che sarebbero vicini ad averlo in altri paesi capitalisti avanzati. 

Quindi cosa farebbe la maggioranza dei delegati socialisti? La ragione principale per entrare in parlamento, come organo centrale eletto per la legislazione, è quella di essere in grado di controllare la macchina del governo; non allo scopo di formare un governo come sotto il capitalismo, ma, come minimo, per impedire che i poteri dello stato vengano usati contro il movimento per il socialismo. Inoltre, poiché lo Stato non è solo il potere pubblico della coercizione, ma anche il centro dell'amministrazione sociale, si userebbe questo aspetto per coordinare la rivoluzione sociale dal capitalismo al socialismo e per mantenere in vita i servizi amministrativi essenziali.

mercoledì 29 gennaio 2020

1920 - 2020 L’Occupazione delle Fabbriche e il mito della mancata rivoluzione socialista in Italia

Introduzione

Tra il 25 e il 30 settembre del 1920, esattamente un secolo fa, terminava il cosiddetto movimento di “Occupazione delle Fabbriche”, con gli operai che sgomberavano pacificamente gli stabilimenti riconsegnandoli agli industriali. Quasi contemporaneamente, il 2 ottobre, quando l'occupazione era da poco conclusa, il settimanale socialista torinese L’Ordine Nuovo pubblicava un editoriale [1] in cui, oltre ad ammettere la sconfitta dei lavoratori industriali, si accusavano i dirigenti sindacali e i burocrati di partito di esserne i responsabili. Finiva la cronaca ed iniziava già il mito, quello della mancata rivoluzione socialista in Italia. Una leggenda ancora largamente diffusa nella sinistra “radicale” italiana: dai leninisti agli anarchici, dai trotzkisti [2] ai bordighisti, dagli “operaisti” fino, addirittura, ad alcune frange più intransigenti della socialdemocrazia. Più in generale, tutto il periodo degli anni 1919 e 1920, noto in Italia con il nome pittoresco di “Biennio Rosso”, verrà visto da molti come un susseguirsi di possibili occasioni pre-rivoluzionarie nelle quali i lavoratori, potenzialmente e obiettivamente in grado di conquistare il potere politico ed economico, furono sistematicamente illusi e ingannati dai loro dirigenti partitici e/o sindacali. Traditi dai socialisti del PSI secondo gli anarchici, traditi dalla potente minoranza riformista della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) secondo i socialisti massimalisti, traditi sia, direttamente, dai riformisti sia, indirettamente, dai massimalisti secondo la cosiddetta “frazione astensionista” del PSI, che avrebbe di lì a poco formato il Partito Comunista d’Italia (PCdI) sotto la pressione della potente componente bolscevica russa del Komintern (Internazionale Comunista).    
Personalmente non siamo affatto d’accordo con questo ridicolo scaricabarile. La nostra tesi è radicalmente diversa: nel Biennio Rosso non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione socialista in Italia e nel resto dell’articolo cercheremo di spiegarne chiaramente le ragioni. Tuttavia, prima di cominciare, è necessaria una brevissima ma cruciale precisazione: anche se alcune delle nostre analisi di questo fenomeno storico sembreranno esteriormente simili a quelle apparse in quegli anni sulle colonne della rivista teorica riformista del PSI, la Critica Sociale di Filippo Turati, noi non siamo assolutamente dei riformisti. Anzi, all’opposto, pensiamo che il sistema capitalista non possa esser trasformato gradualmente nel suo successore storico, il Socialismo. In questo senso, pur riconoscendo che su alcuni singoli punti (la critica alla Rivoluzione d’Ottobre, il rifiuto dei moti insurrezionali violenti ecc. [3]) Turati e i suoi compagni interpretarono l’insegnamento di Marx ed Engels meglio dei loro avversari massimalisti e leninisti, non ne possiamo in alcun modo condividere scelta strategica di fondo: faticosi progetti parlamentari di leggi per la riforma sociale, lenta conquista politica dei comuni urbani con la conseguente creazione di cooperative e di aziende municipalizzate ecc., fino all’illusione finale di potersi alleare nel 1924 con la parte più “democratica” della borghesia in vista di un ipotetico fronte antifascista che salvasse il paese dalla dittatura mussoliniana. Come sono lontani i tempi (26 gennaio 1894) in cui Friedrich Engels in persona istruiva [4] il giovane avvocato Turati sui gravissimi rischi di un governo di coalizione tra partiti socialisti e forze politiche borghesi! Ma questa è proprio la parabola storica (1892-1925) del “primo riformismo italiano” che meriterebbe un approfondimento a parte e che esula, ovviamente, dal tema del presente articolo.

martedì 26 agosto 2014

Cosa c'è di male nell'usare il parlamento?

Il Movimento Socialista Mondiale (MSM) v’invita a leggere la traduzione italiana dell’opuscolo redatto dal Socialist Party of Great Britain (SPGB) e intitolato ”What’s wrong with using the Parliament?”. La questione dell’utilizzo del Parlamento è cruciale per il nostro movimento in quanto, non solo ci distingue dagli altri movimenti marxisti, ma è un nostro principio cardine che ha suscitato, suscita e susciterà implacabili discussioni. A causa, ma noi diremo grazie, a questo principio, diversi marxisti e anarchici, anche se vicini alle posizioni antileniniste del MSM, declinano la loro adesione al nostro movimento poiché sono dell’idea che il Parlamento resti sempre uno strumento di dominazione borghese non utilizzabile per la causa socialista. La traduzione che presentiamo qui si pone proprio lo scopo di controbattere questa, come anche altre critiche rivolteci.
In più la frazione Italiana del MSM coglie quest’occasione per approfondire alcuni punti non (o poco) trattati nell’opuscolo in inglese. Abbiamo a questo proposito condotto una piccola intervista ad Adam Buick, co-autore del lavoro originale, della quale riportiamo la traduzione. Si consiglia comunque la lettura della traduzione dell’intero opuscolo prima di quella dell’approfondimento che riportiamo qui sotto.


Approfondimento

Redazione: Cosa ne pensi di questi movimenti emergenti che usano internet per diffondere e praticare la democrazia diretta? Sono tutti, in un modo o nell’altro, riformisti. Ad ogni modo l’uso di internet può essere uno strumento efficace per l’organizzazione della futura società socialista. Pensi che questo tipo di democrazia diretta possa scavalcare l’attuale sistema politico basato sulle elezioni? 
 
Adam: Sono certo che alcune forme di democrazia diretta per via elettronica avranno il loro spazio nella struttura democratica della futura società socialista, ma non penso che la democrazia diretta sia il miglior modo di prendere le decisioni. Questi strumenti vanno bene per decisioni su questioni di principio che richiedono un sì o un no come risposta, ma molte questioni sono molto più complesse con vari tipi di alternative o soluzioni di compromesso. Ecco perché una democrazia per delega, dove c’è un Consiglio o un Comitato eletto che prende le decisioni, è più appropriata nei casi complessi che saranno, a parer mio, la maggior parte delle situazioni. Certo è che coloro i quali verranno eletti nei Consigli o nei Comitati dovranno rendere conto ai loro elettori e saranno soggetti ad ogni tipo di controllo e di verifica.
 
Redazione: Nel leggere quest’articolo un lettore potrebbe pensare che i movimenti leninisti, così come alcuni di quelli anarchici, agirebbero contro una rivoluzione socialista una volta che questa si presenti, essendo questi movimenti così occupati a farsi la guerra tra loro. È questo ciò che s’intendeva nell’articolo? Se sì, dovrebbe essere questa la motivazione principale per abbandonare tali movimenti e unirsi al nostro?   
 
Adam: Non sono sicuro che quando il movimento socialista prenderà forma come movimento di massa ci saranno molti leninisti o anarchici in giro. Penserei invece che molti di loro faranno parte di un movimento più grande, forse discutendo le loro posizioni assieme a tutti gli altri.
 
Redazione: È abbastanza chiaro dall’opuscolo che senza la maggioranza della gente che voti per l’autentico partito socialista attraverso mezzi democratici, il socialismo non potrà essere instaurato. Tuttavia il capitalismo è nazionalista e promuove le nazioni (come entità). Cosa succederebbe quindi se la maggioranza si raggiungesse solo in una o in poche nazioni? Come potrebbe prendere tempo il partito socialista senza cadere della trappola del riformismo? 
 
Adam: Questa domanda è stata fatta molte altre volte e una risposta si può trovare nel nostro vecchio opuscolo “la domanda del giorno”:

(http://www.worldsocialism.org/spgb/pamphlets/questions-day#soc_less_dev):

“Ai socialisti viene spesso chiesto di un altro aspetto dello sviluppo diseguale. Questo si rifà alla possibilità che un movimento socialista possa essere più sviluppato in un paese che in un altro e in grado di poter prendere il controllo del sistema di governo prima che lo siano analoghi movimenti socialisti in altre parti del mondo.
Tralasciando per il momento la questione se tale situazione sia realistica o meno, possiamo già dire che non presenta problemi quando è vista nella cornice del carattere mondiale del movimento socialista. Giacché i governi capitalisti sono organizzati su base territoriale, ogni organizzazione socialista ha il compito di guadagnare democraticamente il controllo nel paese dove opera. Questo però avviene meramente per convenienza organizzativa: c’è un solo movimento socialista, del quale le diverse organizzazioni socialiste sono parti integranti. Quando il movimento socialista crescerà ulteriormente, i suoi attivisti saranno completamente coordinati dall’organizzazione mondiale. Se si considera la situazione in cui i socialisti organizzati di una sola parte del mondo siano nella posizione di prendere il controllo del sistema di potere governativo, la decisione sulle azioni da compiere sarà presa unanimemente dal movimento socialista mondiale alla luce di tutte le circostanze del caso.

Rimane il caso se, in effetti, ci saranno differenze materiali nel ritmo di crescita delle varie sezioni del movimento socialista. Al momento, nei paesi capitalisti avanzati, la vasta maggioranza, poiché non è socialista, condivide alcune idee base su come la società può e dovrebbe essere governata. Tale massa accetta che i beni siano prodotti per la loro vendita al fine di accumulare profitto, che alcuni debbano lavorare per uno stipendio mentre altri debbano essere i padroni; che ci siano forze armate e confini; che non si possa fare a meno dei soldi e della compravendita. Queste idee sono condivise dalla gente in tutto il mondo e su questo si basa la stabilità del capitalismo nella nostra epoca.

Engels sottolineò che un periodo rivoluzionario esiste quando la gente comincia a rendersi conto che quello che pensava fosse impossibile, può in effetti essere realizzato. Quando la gente capirà che è possibile avere un mondo senza confini, senza salari e profitti, senza padroni e forze armate, allora la rivoluzione socialista non sarà molto lontana. Ma questo progresso nella conoscenza politica sarà raggiunto dalle stesse persone che ora pensano che il capitalismo sia l’unico sistema possibile. Poiché i lavoratori di tutto il mondo vivono in condizioni simili e, grazie anche ai moderni sistemi di comunicazione, quando questi incominceranno a vedere oltre il capitalismo, questo avverrà ovunque. Non c’è ragione alcuna di pensare che solo i lavoratori di un paese vedano questo, mentre quelli degli altri paesi no.
L’idea vera e propria di socialismo, ossia di una nuova società, è chiaramente e inequivocabilmente un rifiuto di tutti i nazionalismi. Quelli che diventeranno socialisti si renderanno conto di questo e anche dell’importanza di unirsi ai lavoratori di tutti i paesi. L’idea socialista è tale che non si può diffondere in modo non uniforme.
Quindi i partiti socialisti saranno nella posizione di prendere il controllo politico nei paesi industrialmente avanzati in intervalli di tempo piuttosto ravvicinati. È concepibile che in alcuni paesi meno sviluppati economicamente, dove la classe lavoratrice è meno numerosa, i pochi capitalisti privilegiati possano essere in grado di conservare la loro posizione di classe un po’ più a lungo. Ma non appena i lavoratori avranno vinto nei paesi avanzati, daranno tutto l’aiuto possibile ai loro compagni negli altri paesi.”

 

Per concludere, cogliamo l’occasione per ringraziare Adam Buick e per sottolineare l’importanza della divulgazione delle idee socialiste in tutte le lingue, che non deve conoscere confini o barriere di sorta.

Lavoratori, disoccupati, studenti e pensionati di tutto il mondo, unitevi! Un mondo diverso e migliore è possibile, incominciate a immaginarlo!

sabato 7 giugno 2014

Che cosa intendiamo per “rivoluzione”?

Qualsiasi cosa si possa pensare del conduttore radiofonico Russell Brand, almeno ha reintrodotto la parola ‘rivoluzione’ nel vocabolario politico. Ma che cos’è una ‘rivoluzione’?

Una buona definizione del termine “rivoluzione” è stata data dal socialista britannico del periodo vittoriano William Morris in una conferenza del 1884, pubblicata successivamente in forma di opuscolo con il titolo “Come viviamo e come potremmo vivere”. Morris scrive:
«La parola Rivoluzione, che noi Socialisti siamo così spesso obbligati a usare, ha un suono terribile agli orecchi di molta gente, anche se abbiamo spiegato loro che non necessariamente significa un cambiamento accompagnato da rivolte e da ogni sorta di violenze, e che non può significare un mutamento fatto meccanicamente, a dispetto dell’opinione pubblica, da un gruppo di uomini che sono riusciti in qualche modo a prendere momentaneamente il potere esecutivo. Anche se spieghiamo che usiamo la parola “rivoluzione” nel suo senso etimologico e che intendiamo con essa un cambio delle basi della società, la gente ha paura dell’idea di un cambio così vasto e implora che si parli di riforme piuttosto che di rivoluzione».
Una rivoluzione, allora, è “un cambio delle basi della società”, accompagnato o no dalla violenza (in effetti Morris pensava che ci sarebbe stata), un cambio che deve essere piuttosto rapido implicando una netta rottura con la società esistente. Il mutamento delle basi della società che i socialisti prospettano, è un mutamento di ciò che esiste oggi, dove la società è basata sulla proprietà e sul controllo dei mezzi di produzione della ricchezza (tramite cui la società stessa sopravvive) da parte di una esigua minoranza di individui abbienti, di società per azioni e di stati. Vogliamo passare da questa situazione a una dove i mezzi di produzione sono divenuti la comune eredità di tutti, per esser usati, sotto controllo democratico, per il beneficio di tutti. Un cambiamento da una società classista a una società senza classi. Un cambiamento dal capitalismo al socialismo.

domenica 23 gennaio 2011

Il capitalismo e altri giochi da bambini

Il film, prodotto dal Movimento Socialista Mondiale nel 2005, cerca di spiegare in modo razionale e non ideologico il modo in cui viviamo oggi e suggerisce una possibile alternativa. Sottotitoli in italiano a cura di Gian Maria Freddi (traduzione) e Claudio M. (inserimento).












venerdì 13 agosto 2010

Il bisogno di socialismo

La storia del XX secolo è stata caratterizzata da rivoluzioni, controrivoluzioni, colpi, crolli di regime e guerre di genocidio. Il capitalismo sembra aver eliminato tutti i possibili rivali, benché ancora non risponda ai bisogni fondamentali della gente.

È vero che la privazione materiale – almeno in questa parte del mondo – è minore rispetto a quando il Partito Socialista della Gran Bretagna venne formato nel 1904. Ma è anche vero che da allora c’è stato uno sviluppo tremendo delle forze di produzione – i mezzi tecnici di produzione sufficienti per tutti – cosicché, malgrado l’incremento della popolazione mondiale che vi è stato nel frattempo, non vi è oggi uomo, donna o bambino in qualsiasi parte del mondo che dovrebbe fare a meno di cibo decente, vestiario, protezione o qualsiasi altra amenità della vita. Il fatto che la maggior parte della popolazione mondiale non abbia abbastanza per vivere decentemente serve da accusa potente al presente ordine sociale, il capitalismo.

Contraddizione fondamentale

Il motivo per essere contro il capitalismo e a favore del socialismo è sempre stato semplice. Con la divisione del lavoro risultante dall’uso di macchine e tecnologie sempre più sofisticate, l’umanità già coopera per produrre ciò che è necessario per sostenere la vita e l’attività sociale, ma quello che viene prodotto non appartiene a quelli che lo producono – la classe lavoratrice, coloro i quali sono obbligati a vendere le loro energie mentali e fisiche per vivere e che costituiscono la travolgente maggioranza della società – ma a una minuscola minoranza di persone privilegiate che, per circostanze storiche, possiede e controlla i mezzi di produzione della ricchezza.

Di conseguenza ciò che è prodotto appartiene a questa minoranza e quindi non è a disposizione dei membri della società per essere preso e usato per soddisfare i loro bisogni. I prodotti sono resi a loro disponibili solamente contro pagamento, ma quello che noi della classe lavoratrice possiamo permetterci è limitato dalla misura del nostro assegno salariale o stipendiale, il quale è sempre minore del nuovo valore incorporato in quello che produciamo. La differenza è il profitto – la fonte delle entrate privilegiate della minoranza possedente e lo scopo principale della produzione. Così, non solo il libero accesso a ciò che è prodotto è negato a quelli che, collettivamente, lo producono, ma quello che deve essere prodotto è dettato non da ciò che la gente vuole e necessita, ma da ciò che è maggiormente proficuo.

Questa contraddizione tra la produzione cooperativa/collettiva e l’appropriazione privata della produzione, risultante dai mezzi di produzione che sono monopolizzati da una minoranza, è la causa originaria dei problemi affrontati dalla classe lavoratrice maggioritaria in tutti i campi della vita.

Promettere di risolvere questi problemi, per es. l’alloggiamento, il trasporto, l’ambiente, la disponibilità di cibo, è la materia dei politici, ma i partiti e i politici che votiamo non li risolvono mai. Non perché sono disonesti o non abbastanza determinati o egoisti, ma perché non possono. I problemi che promettono di risolvere sono causati dal capitalismo e perciò non possono mai essere risolti finché al capitalismo è permesso di continuare.

Il capitalismo non può operare per tutti

Il capitalismo, essendo un sistema di profitto basato sul possedimento di classe dei mezzi di produzione, non può mai essere organizzato per operare nell’interesse di tutti. Esso mette sempre i profitti al primo posto. È la sua natura, la quale non può essere cambiata da nessun governo o da nessun altra forma di attività nel contesto del possedimento di classe e della produzione per profitto.

Questo è il motivo per cui il riformismo, che è un tentativo di fare operare il capitalismo nell’interesse di tutti, è in definitiva inutile. Al massimo può solamente piallare un po’ alcune delle parti più scabrose, almeno per alcune persone e per un periodo, ma non può mai risolvere i problemi dei lavoratori salariati o stipendiati.

Questa è la situazione; ciò che la classe lavoratrice, come classe che soffre di più per i problemi causati dal capitalismo, dovrebbe essere impegnata a fare è porre fine alle contraddizioni tra cooperazione nella produzione e appropriazione privata dei prodotti. Ciò può essere fatto solamente portando il possedimento in linea con la realtà produttiva, determinando una situazione dove ciò che è prodotto collettivamente è anche posseduto collettivamente; il che è possibile solamente quando i mezzi per produrre ricchezza sono diventati la proprietà comune di tutti i membri della società.

La soluzione socialista

Questo – la proprietà comune e il controllo democratico dei mezzi di produzione da parte e nell’interesse della società nel complesso – è il socialismo ed è l’unico scopo politico per cui vale la pena adoperarsi. Esso soltanto può fornire la struttura nella quale la produzione può essere “riorientata” non per realizzare profitti a favore di una classe possedente, ma per fornire ciò che la gente vuole e necessita. Sulle basi della proprietà comune e del controllo democratico, abbastanza cibo, vestiario, alloggio, trasporto, energia e altre necessità della vita potrebbero, dovrebbero e sarebbero prodotte per assicurare che nessuno, in nessuna parte del mondo, sia senza ciò di cui ha bisogno. La privazione materiale e le preoccupazioni riguardanti il soddisfacimento dei bisogni materiali – attorno alle quali gira oggi la maggior parte delle vite della gente – non esisterebbero più.

Ma il socialismo non riguarda solo il soddisfacimento dei bisogni materiali della gente. Quello nel socialismo sarà solo routine, una cosa data per scontato. Riguarderà anche il permettere a noi esseri umani di comportarci come gli animali sociali che, biologicamente, siamo. Noi non siamo solamente dipendenti l’uno dall’altro materialmente – dalla cooperazione per produrre ciò di cui abbiamo bisogno – ma anche psicologicamente e culturalmente. Ci siamo evoluti attraverso la cooperazione e abbiamo bisogno di cooperare e sentirci parte di una comunità come altri esseri umani, ma il capitalismo ci nega questo, perché si basa sulla competizione anziché sulla cooperazione. Vi è competizione non solo tra la classe possedente e la maggioranza esclusa – la cosiddetta lotta di classe – ma anche tra i membri della classe possedente per fare profitti – il che, su scala mondiale, porta a guerre e a preparativi per la guerra, per le fonti di materie prime, le rotte commerciali, i mercati e gli sbocchi di investimento – e tra i membri della maggioranza esclusa per i lavori e gli alloggi, alimentando nazionalismo, razzismo e xenofobia.

Il socialismo, mettendo fine alla divisione della società in classi antagoniste, e assicurando che vengano soddisfatti tutti a bisogni materiali di ogni essere umano, fermerà la corsa sfrenata al successo cui siamo costretti a partecipare sotto il capitalismo e creerà una vera comunità e un vero senso di comunità. La gente non sarà più alienata dalla sua natura sociale e dagli altri esseri umani.

In che modo arrivare al socialismo?

Quelli che costituirono il Partito Socialista in Gran Bretagna ebbero un’idea chiara di come il socialismo dovrebbe succedere: attraverso la classe di maggioranza lavoratrice che giunge a capire che essa è una classe sfruttata alla quale il capitalismo non ha niente da offrire, e con l’organizzazione sul campo politico, inseguendo senza compromessi l’unico scopo di strappare il controllo del potere politico alla classe capitalista in modo da usarlo per mettere fine al monopolio esistente della minoranza capitalista sui mezzi di produzione della ricchezza. Questa espropriazione politica e quindi economica veniva vista come un atto consapevole, democratico e politico.

Essa veniva vista come un atto rivoluzionario, non nel senso di rivolta e spargimento di sangue, ma nel senso di un passaggio decisivo, di una rottura, con la rapida conversione dei mezzi di produzione dal monopolio classista di una minoranza alla proprietà comune di tutta la gente. In altre parole, una rivoluzione sociale vista come un rapido e improvviso cambiamento nelle basi della società attuato con i mezzi politici.

A quel tempo c’erano altri che si facevano chiamare socialisti, che proponevano un altro approccio: la graduale trasformazione del capitalismo in socialismo attraverso una serie di riforme sociali che avrebbero dovuto migliorare le condizioni della classe lavoratrice con l’integrazione dei loro salari derivante da benefici statali e che avrebbero dovuto convertire le industrie individuali, una dopo l’altra, in servizi pubblici producendo ciò di cui la gente aveva bisogno non per profitto. Questo andava sotto vari nomi: gradualismo, fabianismo, revisionismo (quando proposto da ex-rivoluzionari marxisti), riformismo.

Il gradualismo fallisce

Questa strategia nega la necessità di una maggioranza socialista consapevole come condizione preliminare per istituire il socialismo. Secondo i suoi proponenti, tutto ciò che era necessario era una maggioranza parlamentare acquisita sulla base di voti per un programma di riforme da essere realizzate nel capitalismo. È stata una strategia sperimentata, in Gran Bretagna, nel 1945 quando il Partito Laburista ebbe una vittoria elettorale schiacciante che gli diede un’enorme maggioranza parlamentare.

Ma non funzionò. Il Partito Laburista, avendo preso la responsabilità di governare il capitalismo, si rese conto, come durante i governi di minoranza in Inghilterra nel 1924 e 1929-1931, che il capitalismo doveva essere governato seconde le proprie regole: cioè la priorità doveva essere data alla produzione di profitto non a miglioramenti sociali per i lavoratori; di fatto, anche i salari dovevano essere contenuti. I governi laburisti di Wilson e Callaghan negli anni 1960 e 1970 non andarono meglio nel riformare il capitalismo nell’interesse di quelli che dipendevano da un salario o uno stipendio per vivere. Inoltre, quei governi finirono con l’amministrare il capitalismo secondo le sue regole, cioè nell’interesse della produzione per il profitto e contro gli interessi degli stipendi e dei salari guadagnati dalla maggioranza. Così fecero tutti i governi simili in altre parti del mondo.

L’esperienza del XX secolo ha mostrato che i gradualisti sbagliano. Tali partiti, invece di cambiare gradualmente il capitalismo, sono stati loro stessi cambiati dal capitalismo. Oggi, addirittura non pretendono di andare verso il socialismo, ma solamente di essere in grado di amministrare il capitalismo in una maniera più efficiente.

I membri del Partito Socialista in Gran Bretagna non erano gli unici critici del riformismo gradualista. I primi membri inizialmente si vedevano come parte della corrente del movimento socialdemocratico che si opponeva al revisionismo e all’opportunismo che si stavano diffondendo all’interno del movimento socialista. Tuttavia, la maggior parte degli altri oppositori del gradualismo prima della prima guerra mondiale, inclusa Rosa Luxemburg, autrice di un opuscolo con il titolo “Riforma o Rivoluzione?”, non videro il pericolo di cercare il sostegno di non-socialisti e la possibilità di diventare loro prigionieri, cioè di un partito socialista che sostenesse le riforme. Dopo il vergognoso crollo del movimento socialdemocratico internazionale quando la guerra irruppe, molti degli altri antigradualisti tornarono al bolscevismo di Lenin per una strategia alternativa.

Anche l’azione minoritaria ha fallito

Laddove i gradualisti sono sempre rimasti a favore di metodi democratici e di azione maggioritaria anche se da parte di non-socialisti, Lenin sosteneva che sotto il capitalismo solo una minoranza sarebbe stata in grado di raggiungere la consapevolezza socialista e che perciò questa minoranza aveva il dovere di organizzarsi come un partito di avanguardia per afferrare il potere per conto della maggioranza.

In altre parole, la strategia alternativa leninista non era un’azione politica socialista conscia e maggioritaria del tipo che sosteneva il Partito Socialista in Gran Bretagna, ma un’azione minoritaria: il socialismo doveva essere introdotto da una dittatura esercitata da una minoranza di socialisti. Così è come fu presentata la presa del potere dei bolscevichi nel corso della rivoluzione russa del 1917. Questa non poteva mai essere una via per raggiungere il socialismo, poiché il socialismo può solo esistere su una base democratica con partecipazione maggioritaria nelle decisioni che vengono prese. E, infatti, il socialismo non è stato raggiunto. Invece che portare al socialismo, la dittatura bolscevica in Russia ha portato a un capitalismo di stato in cui i “socialisti” di avanguardia sono diventati una nuova classe dominante che ha poi esercitato una brutale dittatura sui lavoratori della Russia.

Il XX secolo ha confermato che né la dittatura di minoranza né il riformismo parlamentare possono essere una via al socialismo. La cosa peggiore è stata che la dittatura russa ha rivendicato di essere socialista, con il risultato che milioni di lavoratori in tutto il mondo sono stati scoraggiati dall’idea stessa del socialismo. A dire la verità, il socialismo sta ancora soffrendo per questa sgradita eredità, con la diffusa idea che “il socialismo sia stato sperimentato (in Russia) e sia fallito”.

In realtà il socialismo non è stato sperimentato. Ciò che è stato sperimentato sono due strategie – il riformismo gradualista e la dittatura di minoranza leninista. Entrambe sono fallite. Ciò che non è stato provato è la strategia proposta dai membri fondatori del Partito Socialista della Gran Bretagna nel 1904: un’azione politica consapevole, maggioritaria, rivoluzionaria.

Così come il socialismo rimane urgente oggi come lo era nel 1904, lo è anche quella strategia. “Niente socialismo senza socialisti” rimane un’idea valida oggi come lo era allora. E “il formare socialisti”, come un passo verso l’emergere di un desiderio maggioritario per il socialismo, rimane il compito di quelli che vogliono vedere un mondo socialista di proprietà comune, controllo democratico, produzione per soddisfare i bisogni della gente e libera distribuzione secondo il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.

(Traduzione da Socialist Standard, gennaio 2005)