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domenica 1 maggio 2011

Primo Maggio nel 1920

In questo periodo di crisi strutturale, in cui la classe dominante corrotta imbarazza addirittura le altre borghesie mondiali, il fascismo imperversa ostentando con forza la sua grettezza. Come di consueto il governo protegge e alimenta questa ondata di fascismo.

È proprio ora che dobbiamo avvalerci della storia la quale ci ricorda che quello che oggi può sembrare una semplice ricorrenza è stata ed è un momento di lotta.

Torniamo al primo Maggio 1920, quando l’arditismo e il fascismo erano incoraggiati e foraggiati dalla classe dominante al fine di chetare le rimostranze socialiste.

Solo in quel giorno si contarono in Italia 10 morti e più di 70 feriti, insomma, una vera e propria strage. A Torino più di cento mila persone si riversarono in piazza per celebrare la festa (a quel tempo non riconosciuta) dei lavoratori. In corso Siccardi la guardia regia aprì il fuoco sul corteo uccidendo gli operai D. Arduino e M. Dotto, provocando più di 50 feriti. A Pola in Istria i bersaglieri aprirono il fuoco su un corteo di giovani socialisti uccidendo 4 dimostranti e ferendone altri 20. A Bagnara di Romagna nel forlinese il muratore anarchico L. Baroncini fu ucciso dai carabinieri. A S. Severo in provincia di Foggia una donna restò uccisa a seguito di scontri tra socialisti e nazionalisti, similmente a Brendola in provincia di Vicenza un leghista rosso perse la vita durante gli scontri tra socialisti e popolari. In fine a Paola in provincia di Cosenza gli scontri tra socialisti e popolari tolsero la vita al capolega cattolico De Seta (informazioni tratte dall’ottimo libro di Fabio Fabbri, Le origini della guerra civile, UTET, 2009).

Gli anni passano e molte cose si dimenticano, ma finché il sistema capitalista non è sovvertito, i lavoratori si troveranno davanti al bivio, prendere coscienza e lottare per un mondo migliore, o asservirsi all’ideologia dell’odio. La quale é nazionalista (se non regionalista) e intollerante (ovvero razzista) e quindi piace tanto ai padroni.

Lotta al fascismo, lotta al capitale!

Buon Primo Maggio dal MSM

domenica 2 gennaio 2011

Appello ai salariati/stipendiati, disoccupati, studenti e precari d'Europa

Riceviamo e pubblichiamo il seguente appello che noi del MSM condividiamo (magari ci fosse un’iniziativa del genere anche in Italia!), tranne la parte in cui si accenna ai picchetti, perché non riteniamo giusto che alcuni lavoratori impongano il loro volere ad altri lavoratori (essi devono essere convinti a partecipare alla lotta nel loro stesso interesse, non obbligati).

Link al documento in formato PDF

sabato 13 novembre 2010

Il divario ricchi-poveri in aumento nell'America “senza classi”

Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo con un nostro commento finale.

IL DIVARIO RICCHI-POVERI IN AUMENTO NELL’AMERICA “SENZA CLASSI”

DI JACK A. SMITH
Global Research

Il 10% della popolazione controlla il 96% della ricchezza

Nell’America priva di classi, parlare del cosiddetto “gap” (dislivello, ndt) in crescita tra ricchi e poveri è un eufemismo, poiché esiste una lotta di classe accelerata contro i lavoratori americani e i poveri per mano di una minoranza che detiene o ha accesso a molto potere e ricchezza.

Il “Census Bureau” (Ufficio dei Censimenti americano, ndt) ha riferito il 24 settembre che il differenziale tra reddito di americani ricchi e poveri nel 2009 è stato il più grande mai raggiunto da quando i dati sono disponibili.

Un successivo rapporto del Census Bureau di due settimane prima rivelò che il maggiore aumento “year-to-year” (da un anno all’altro, ndt) della povertà in America avvenne nel 2009, sebbene 43,6 milioni di persone povere siano da considerarsi una grave sottostima, fondata su criteri di misura obsoleti. Giovani impiegati e bambini stanno cadendo rapidamente ai piedi del cumulo. L’anno scorso, il maggior balzo di povertà fu fatto dagli adulti “meno qualificati” tra i 18 e i 24 anni di età; il 20% dei nostri bambini vive nella povertà.

Il 28 settembre, l’Associated Press riportò che “Il 20% degli americani che guadagna di più – coloro le cui entrate superano i 100000$ annui – ha ricevuto il 49,4% del reddito totale prodotto negli Stati Uniti, rispetto al 3,4% percepito da quelli sotto il limite della povertà, secondo i dati più recenti del Census Bureau. Questo rapporto di 14,5 a 1 è in aumento rispetto al 13,6 del 2008 e quasi il doppio rispetto al minimo di 7,69 nel 1968.”

“Un’altra misura, l’indice internazionale di Gini, mostrò la disuguaglianza di reddito americana (sempre nel 2009, ndt) al suo massimo livello da quando il Census Bureau cominciò a seguire il reddito domestico nel 1967. Inoltre, gli Stati Uniti possiedono la maggiore disparità fra le nazioni industrializzate dell’occidente membri dell’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ndt).”

Qui di seguito alcune statistiche e dichiarazioni recenti che mostrano quanto sia profondo l’abisso tra la classe superiore e il resto della società americana, dal più povero dei poveri alla classe operaia e classe media.

(Da notare nei prossimi paragrafi, la differenza tra “reddito”, ossia quello che si guadagna in un anno, e “ricchezza”, ossia reddito più patrimonio – dove per patrimonio s’intende tutto quello che si possiede, dalla casa, l’automobile e l’arredamento agli immobili, i risparmi, le azioni e obbligazioni, le barche di lusso, i gioielli...)

Secondo il Wall Street Journal, uno studio del 2008 sulla ricchezza negli Stati Uniti mostra che lo 0,01% più ricco della popolazione (un centesimo di un percento, ossia 14000 famiglie americane) possiede il 22,2% della ricchezza del paese. Il 90% più povero, ovvero oltre 133 milioni di famiglie, ne controlla appena il 4%. Il 9,99% restante dei ricchi vive con il 73,8% di ricchezza residuo.

David DeGraw ha scritto che “uno studio recente fatto dalla Capgemini e Merrill Lynch Wealth Management mostra che un mero 1% degli americani sta accumulando 13 trilioni di dollari in “ricchezza investibile” [...] e ciò senza nemmeno tener conto di tutto il denaro che hanno nascosto in conti offshore.”

Un rapporto recente di Ray B. Williams indica che “Il Census Bureau americano e il 'World Wealth Report 2010' (Rapporto sulla Ricchezza Mondiale 2010, sempre della Capgemini e Merrill Lynch Wealth Management, ndt) evidenziano entrambi degli aumenti per il 5% delle famiglie più ricche, persino durante la recessione attuale. Su base dei dati dello 'Internal Revenue Service' (Agenzia delle Entrate o Fisco Americano, ndt), l’1% più ricco ha triplicato la sua parte nella torta dei redditi americana in una sola generazione. Nel 1980, questo stesso 1% prendeva 1 dollaro di reddito ogni 15 dollari, mentre ora ne prende 3. [...] L’ineguaglianza dei redditi non ha smesso di accrescersi dalla fine degli anni 1970 e svetta ormai a un livello mai visto dalla 'Gilded Age' (1870-1900) (Belle Époque americana, ndt), periodo storico americano caratterizzato dal contrasto tra gli eccessi dei super ricchi e lo squallore dei poveri.”

Secondo Paul Buchheit della DePaul University “Nel 1965, lo stipendio medio di un 'CEO' (direttore generale, ndt) di una grande azienda americana era 25 volte quello di un lavoratore medio. Oggi, lo stipendio medio di un CEO è di oltre 250 volte quello di un lavoratore medio.” Il New York Times del 31 marzo 2010 segnalò che “I dirigenti di 'hedge funds' (fondi d’investimento a rischio elevato, ndt) più pagati diressero la corsa sfrenata del mercato azionario verso guadagni da record: secondo il sondaggio, i 25 direttori in cima alla classifica intascarono complessivamente 25,3 miliardi, superando di un buon margine il record del 2007.” Il PIL annuo di quasi 90 paesi membri dell’ONU è inferiore a quello che queste persone hanno guadagnato l’anno scorso. Il manager più pagato sulla lista era David Tepper dell’Appaloosa Management, che l’anno scorso intascò 4 miliardi di dollari.

Il 2009 sarà anche stato un disastro economico per un numero record di americani, ma per la casta dei miliardari della nazione – e dei milionari ovviamente – fu un’ottima annata. Secondo Forbes Magazine, 2009 “fu prosperoso per i miliardari”, con Bill Gates che ne ricavò 13 miliardi (allargando il suo patrimonio a 53 miliardi) e Warren Buffett 10 (con un patrimonio totale di 47 miliardi).

Sono 1,011 i miliardari nel mondo (di cui 40% americani), con un patrimonio netto medio di 3,6 miliardi – poco più del “patrimonio” detenuto dalla metà più povera della popolazione mondiale.

Durante tutta la loro vita, agli americani medi è insegnato a scuola, in chiesa e sui media corporativi di massa che la loro società è una società senza classi e che la nozione stessa di classi, lotta di classe o guerra di classe non è altro che propaganda di sinistra.

Le differenze di stipendio sono ammesse, ma si dice che poiché mobilità (sociale, ndt) verso l’alto e Sogno Americano sono a disposizione di chiunque lavori duramente, di fatto vi è una sola classe, malgrado diversi livelli di ricchezza. Si chiama classe media, presumibilmente con varie suddivisioni statistiche per i molto ricchi e i molto poveri. Ma il “Sogno” e la mobilità verso l’alto non solo non sono mai stati disponibili per tutti, sono stati anche sostanzialmente ridotti, durante gli ultimi trent’anni, per molte nuove generazioni di famiglie lavoratrici.

Quante volte sentiamo i politici dei due partiti al potere o il governo che amministrano riferirsi alla classe lavoratrice, classe media inferiore, classe inferiore o classe superiore e classe dirigente?

Negli Stati Uniti, praticamente tutti quelli che guadagnano tra 25000 e 250000$ all’anno sembrano essere raggruppati in questa classe media; questa è un’assurda parodia delle reali relazioni di classe. I rappresentanti di questi due estremi di stipendio hanno poco o nulla in comune, eccetto la classe che sembra essergli stata attribuita.

Milioni di persone che vivono nella povertà sono chiamati “i poveri” e sono spesso presi di mira, nella “public mind” (immaginazione pubblica, ndt), per via delle loro stesse infelici condizioni di vita (pigri, apatici, ignoranti). I super ricchi sono chiamati “1% in cima alla lista” e coloro che sono semplicemente ricchi sono denominati “10% in cima alla lista” e sono spesso ammirati e ringraziati perché creano i posti di lavoro che evitano a coloro che popolano la classe media di scivolare verso il basso, nel rango dei poveri.

Durante gli ultimi tre o quattro decenni, la classe superiore e i suoi agenti hanno accelerato una campagna contro gli stipendi e il tenore di vita della classe lavoratrice/classe media inferiore nonché, più di recente, anche contro la classe media, spingendo sempre più persone nelle classi inferiori. Un esempio di ciò è l’abbandono della correlazione tra stipendi e aumenti di produttività, come esisteva nei primi tre decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale; un altro esempio è l’erosione della tassazione progressiva.

Inoltre, l’influenza del denaro sulla Casa Bianca e il Congresso ha avuto come conseguenza il fatto che praticamente nessuna legislazione significativa in materia di servizi sociale sia uscita da Washington per 40 anni. Il presidente Obama promuove la sua legislazione sull’assistenza sanitaria come se fosse un’importante conquista progressista, ma l’apice del contributo sociale dell’amministrazione attuale si trova alla destra delle proposizioni del 1948 del presidente democratico Harry Truman e del programma del 1972 del presidente repubblicano Richard Nixon.

Il problema non è soltanto la quantità sproporzionata di denaro nelle mani di una minoranza mentre la qualità di vita della maggior parte delle famiglie americane va logorandosi, ma è quello che è fatto con tutto quel denaro. Serve a eleggere Presidenti, governatori e sindaci in quasi tutte le grandi città. Elegge membri della Camera, del Senato e delle legislature di Stato. Se avete milioni da spendere senza batter ciglio, avete potere in America, spesso potere decisivo e questo è principalmente utilizzato per favorire gli interessi di coloro che “hanno”, al contrario di coloro che “non hanno”.

Ecco cosa significa guerra di classe, guerra che al giorno d’oggi sembra essere stata dichiarata solo dal 10% in cima (la classe superiore), che controlla il 96% della ricchezza, contro il 90% (dalla classe lavoratrice a quella media e inferiore) che ne controlla solamente il 4%. A proposito, il 50% meno ricco della popolazione rappresenta solo un patetico 1% della ricchezza dell’America.

Non sarebbe forse ora che il 90% “al di sotto” si alzasse, contrattaccasse e rivendicasse la sua parte?

Titolo originale: "What Classless Society? The Growing Rich-poor Gap in "Classless" America"

Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link
03.10.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUXKILLER65

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Commento del MSM:
Per quanto ci riguarda le cosiddette classe operaia, classe media e classe inferiore fanno sempre parte della classe lavoratrice, ossia della grande maggioranza della popolazione che non avendo nessun o pochissimo controllo sui mezzi di sostentamento (terre, fabbriche, uffici, ecc.) per vivere (spesso sopravvivere) deve (s)vendere le proprie capacità lavorative mentali e manuali. Inoltre, noi avremmo concluso l'articolo in questo modo: "Non sarebbe forse ora che il 90% 'al di sotto' si alzasse, contrattaccasse e si scrollasse di dosso quei grossi parassiti?".

sabato 6 novembre 2010

Sciopero e Coscienza

In questo periodo di scioperi e proteste il MSM ritiene opportuno riportare degli stralci di un articolo scritto dal nostro Partito Fratello (SPGB) in merito agli scioperi dei minatori britannici nel 1984-85. Il MSM vuole sottolineare che lo sciopero è un’arma fondamentale per la lotta dei lavoratori contro gli effetti del capitalismo, ma che senza coscienza e unione di classe lo sciopero perde la sua efficacia e al meglio risulta in una vittoria isolata a breve termine.

Sì allo sciopero quindi, ma senza dimenticare che il capitalismo va soppresso e sostituito, e questo si può ottenere solo attraverso un’azione globale della classe lavoratrice cosciente.

“In breve, i lavoratori sono la stragrande maggioranza della popolazione, che vive lavorando per uno stipendio o un salario. O sei un capitalista – un proprietario dei mezzi di produzione e distribuzione di ricchezza (terre, fabbriche, uffici, trasporti, mass media, ecc…) – e puoi vivere senza lavorare ricevendo un introito che non hai guadagnato; o sei dipendente da uno stipendio, un salario o un’indennità statale, in tal caso sei nella classe lavoratrice.

La società dei giorni nostri è dominata dal sistema capitalista a livello globale. Sotto il capitalismo, tutti i beni e i servizi sono prodotti per essere venduti al fine di ricavare profitto. La minoranza capitalista che monopolizza i mezzi di sostentamento, attraverso la proprietà privata o statale, non è interessata primariamente a soddisfare i bisogni umani, ma a vendere merce sul mercato per un profitto. Non ci sarebbe profitto senza il lavoro della classe lavoratrice.

Il profitto deriva dal lavoro non pagato ai lavoratori. Il capitalista accumula profitto attraverso un processo di furto legalizzato. Ne segue abbastanza ovviamente che c’è un inevitabile antagonismo di interessi tra i capitalisti e i lavoratori: i capitalisti devono prendere quanto possono dai noi e noi dobbiamo minimizzare l’estensione per la quale siamo sfruttati. Il capitalismo crea un’incessante lotta di classe tra i lavoratori e i capitalisti; gli scioperi sono un’espressione di questa lotta.

L’arma dello sciopero

…Gli scioperi sono necessari se i lavoratori vogliono prevenire d’essere seppelliti dalle richieste di profitto mai soddisfatte: come lavoratori noi dobbiamo organizzarci per difendere e migliorare i nostri stipendi e le nostre condizioni di lavoro. Lo sciopero è una delle armi dei lavoratori e, all’interno dei confini del sistema del profitto, è un’arma che può limitare gli scopi capitalistici. Quelli che ci dicono di non scioperare ‘per il bene della nazione’ sono, che lo sappiano o meno, portavoce degli interessi dei padroni. Il sistema salariato è un assalto istituzionalizzato ai creatori della ricchezza mondiale e noi usiamo i nostri sindacati per difenderci. Ma non dobbiamo illuderci che tale associazione difensiva ci emancipi dall’assalto: non dobbiamo credere che l’entrare a far parte dei sindacati o lo scioperare ci liberi dallo sfruttamento. Karl Marx capì (o meglio espresse; ndt) questo nel 1866 quando disse all’Associazione Internazionale dei Lavoratori (Congresso di Vienna) che:

I sindacati fino ad ora concentrano la loro attenzione troppo esclusivamente
sulla lotta diretta e locale contro il capitale. Questi non hanno completamente
capito il loro potere di attaccare il sistema vero e proprio della schiavitù
salariata…

È il nostro compito come socialisti quindi quello di lottare con i nostri compagni lavoratori nelle loro battaglie necessarie a difendersi, ma sottolineando sempre che la vittoria vera da raggiungere è l’abolizione del sistema salariato.

L’unico modo di distruggere le illusioni politiche è esprimerle logicamente. È tempo che tre di queste vengano esposte ora.

Primo, c’è una diffusa idea che il Partito Laburista
(questo vale anche oggi e anche in Italia per il Partito Democratico e affini; ndt) difenda gli interessi dei lavoratori. Dopo sette governi laburisti non abbiamo più bisogno di dire che i laburisti danzano alla musica del capitalismo – l’esperienza mostra che lo fanno (stessa cosa vale per l’Italia, la storia recente del nostro paese ha mostrato chiaramente che la ‘Sinistra’ non fa gli interessi dei lavoratori ma del capitale; ndt).

Secondo, c’è la convinzione, la quale sta diminuendo ma non abbastanza rapidamente, che i paesi a capitalismo di Stato sono esempi di socialismo. In Polonia, come in altri erroneamente detti paesi ‘socialisti’, i sindacati sono controllati dai capi di Stato. Nella regione produttrice di carbone della Polonia, i minatori sono ancora in prigione per aver preso parte ad attività sindacali indipendenti a quelle governative. Durante lo sciopero i capitalisti britannici aumentarono di 5 volte le importazioni di carbone polacco a buon mercato per assenza di sindacati veri e propri. In breve, la sconfitta dei minatori polacchi nel loro primo sforzo di costituire un sindacato ha contribuito alla sconfitta dei minatori britannici. La guerra di classe non è locale ma internazionale e gli interessi dei lavoratori in una parte del mondo sono l’interesse comune di tutti i lavoratori.

Terzo, i lavoratori devono vedere oltre l’illusione che tutto ciò che è necessario nella guerra di classe sono dei buoni generali: i leader dei sindacati sono bravi a parole, ma i loro discorsi non valgono nulla finché la maggioranza dei lavoratori è costituita da seguaci che, mentre in molti casi simpatizzano con i minatori, sono solitamente più realistici dei loro leader e sanno che il capitalismo è in depressione, che i loro lavori sono a rischio e che scioperare non cambierà molto. Invece di assumere che i grandi leader siano necessari per rinforzare i lavoratori nella lotta, si deve riconoscere che solo sulle basi della coscienza di classe i lavoratori mostreranno la loro forza.

I lavoratori politicamente maturi non vedranno loro stessi come minatori, elettricisti, insegnanti infermieri, scaricatori, o dottori; e non si vedranno come britannici, francesi, o russi, bianchi o neri.

Ciò non significa che i lavoratori devono stare seduti in attesa. Nel capitalismo la lotta sindacale per paghe e condizioni migliori deve continuare. Ma una volta che abbiamo imparato la lezione, diventa chiaro che questo è una azione di difesa secondaria. La lotta vera riguarda l’impossessarsi dei mezzi di sostentamento al fine di usarli per produrre solo per l’uso, in questo modo il profitto non sarà più una barriera necessaria e noi non saremo più definiti lavoratori ma esseri umani, amministratori noi stessi della nostra società. Solo attraverso la coscienza e l’azione democratica tale sistema sociale socialista sarà instaurato.

Non ci sarà socialismo senza socialisti ed ecco perché il solo compito del Partito Socialista è di convincere i nostri compagni lavoratori della logica e della desiderabilità dell’ instaurazione del socialismo.

Chiaramente, quindi, i socialisti sono lungi dal dire ai lavoratori di stare a guardare e di non agire. Al contrario, noi chiamiamo i nostri compagni a investire dieci volte più energia nel mettere fine al sistema più che a spenderla nel difenderci al suo interno. I lavoratori dovrebbero ascoltare il consiglio di Marx il quale affermava che:

i lavoratori non dovrebbero esagerare loro stessi nel lavorio estremo in queste
lotte quotidiane. Non devono dimenticare che stanno lottando contro gli effetti,
ma non contro le cause di questi effetti; che stanno ritardando la caduta, ma
senza cambiarne la direzione; che stanno applicando palliativi, non cure alla
malattia. I lavoratori, perciò, non devono essere esclusivamente assorti in
questa inevitabile guerriglia che incessantemente rispunta in continuazione
dalle invasioni incessanti del capitale o dai cambi di mercato…Invece del motto
conservatore ‘una giusta paga per una giusta giornata lavorativa’ devono
scrivere sulle loro bandiere lo slogan rivoluzionario: ‘Abolizione del sistema
del lavoro salariato!’ (Valore, Prezzo e Profitto).
L’articolo completo del SPGB può essere trovato in inglese a questa pagina:

giovedì 22 luglio 2010

Su Pomigliano

Pubblichiamo tre lettere che a nostro parere destrivono bene la situazione di Pomigliano.

Pomigliano: l’arroganza, l'infamia, la vergogna!

Fiat di Pomigliano d’Arco (NA). Firmato l’accordo che segna lo spartiacque delle “nuove relazioni industriali”. D’ora in avanti ogni impresa potrà arrogarsi il diritto di ricattare i propri lavoratori (quelli rimasti): o accettate le mie piattaforme o chiudo.

Dopo aver ricevuto, da governi di ogni colore, sovvenzioni pubbliche a iosa, appoggi politici di ogni tipo, incentivi, ruffianismi sindacali di ogni provenienza, la Fiat mette una pietra tombale ai Contratti Collettivi di Lavoro e al diritto di sciopero.

Più turni di lavoro, meno pause, più straordinari obbligatori, limitazione del diritto di sciopero e del pagamento della malattia. Un pacchetto da prendere tutto insieme o da lasciare.

Operai coinvolti: 5.200 come dipendenti diretti, 10.000 dell’indotto.

Il tutto in nome della “competitività”, facendo arrivare dalla Polonia la Nuova Panda (250.000 auto annue da produrre, contro le attuali 45.000 di altre gamme).

Se vuoi lavorare devi essere un robot (vedi WCM, o “Nuova Metrica del lavoro”) e devi produrre “come un orologio svizzero”, secondo Sergio Marchionne, AD Fiat.Per Governo e Industriali, parola di Tremonti, “è finito il conflitto tra capitale e lavoro“.

Sarebbe invece il caso di dire che il capitale schiaccia sempre di più il lavoro; ma non pretendiamo che parlino tanto chiaro da Associazioni di Sfruttatori e da politici che sono da sempre sul loro libro paga.

Per i sindacati firmatari dell’ennesimo accordo infame ai danni dei lavoratori che dicono di rappresentare (CISL, UIL, UGL, FISMIC), si tratta di “un accordo sensato e innovativo”. Parola di Raffaele Bonanni, segretario nazionale CISL. Ormai sono decenni che queste sigle sono le capofila della svendita premeditata di tutte le conquiste operaie di fine anni ’60-inizio anni ’70. Fosse dipeso da loro, e dagli accordi che ci hanno fatto ingoiare, l’Italia non dovrebbe avere praticamente disoccupazione. Sono stati regalati infatti ai padroni salari, licenziamenti, straordinari, flessibilità selvaggia del lavoro, produttività… e chi più ne ha ne metta… In cambio di cosa? Di una massa crescente di disoccupati e precari, in ogni settore.

Ma anche i “sinistri” devono essere totalmente chiamati a rispondere del loro collaborazionismo. Altro che CGIL “sindacato d’opposizione”! Opposizione a cosa? Epifani, dall’inizio di questa vicenda, ha detto chiaramente che prima di tutto vengono gli investimenti… mettendo così nei guai la FIOM, la quale, pur disposta a ingoiare la cosiddetta “riorganizzazione del lavoro” (= + sfruttamento), dovrà ora prendere atto dell’esito scontato del referendum tra i lavoratori ricattati, e limitarsi a salvarsi l’anima con la mancata apposizione della firma all’accordo. La CGIL è ormai anch’essa un carrozzone parlamentare che non può difendere in nulla i lavoratori dal forsennato attacco padronale nella crisi.

I lavoratori possono risalire la china contando solo sulle proprie forze; collegandosi tra realtà di lotta, formando comitati di sciopero nelle aziende, coordinando iniziative comuni con i loro compagni di classe e d’impresa, in Europa e nel mondo. Nel caso della Fiat, con i lavoratori polacchi, innanzitutto. Nella lettera che riportiamo nel retro un gruppo di lavoratori della FIAT di Tichy denuncia l’opera di divisione e ricatto della FIAT sui lavoratori polacchi e italiani. E concludono:

“E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere."

L’unione e la lotta internazionale dei lavoratori è l’unica soluzione per non farsi schiacciare dai padroni, dai politicanti borghesi di ogni colore, dai burocrati dei sindacati collaborazionisti e statali, per preparare il futuro della nostra classe.

Combat – Commissione Lavoro


Lettera dei lavoratori FIAT di Tychy (Polonia)
ai lavoratori di Pomigliano d’Arco (Italia)
(Tychy, 13 giugno 2010)

La FIAT gioca molto sporco con i lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend).

A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.

Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

È chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.

Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.

Lavoratori, è ora di cambiare!


“Un episodio di meravigliosa sussidiarietà" (M. Sacconi)

Il ministro Sacconi, inebriato dal sole di Santa Margherita Ligure e non sopportando più di tanto il vino frizzante, ha parlato in relazione alla proposta Fiat di Pomigliano di “meravigliosa sussidiarietà”, ignorando che il termine, in senso etimologico, significa “portare aiuto” (sussidium afferre) e che la sussidiarietà può essere “verticale” (il rapporto Stato Regione Provincia Comune) oppure “orizzontale” (riguardante il rapporto pubblico privato nei servizi) ma che non c’entra un cazzo nelle relazioni industriali. In ogni caso c’entri o meno la sussidiarietà e il vinello frizzante confindustriale, il caso Pomigliano va inquadrato in quella che ormai si palesa come una mondializzazione senza veli e senza copertura ideologica: cessione di diritti in cambio di lavoro, di questo si tratta e poiché in cambio di quello si cedono diritti acquisiti con fatica in passato quel lavoro (salariato) assume di fatto vestigia servili. Del resto politici, analisti, industriali e giornalisti compiacenti non hanno ormai più remore nel dire apertamente che il problema non è quello (non lo è mai stato) di far crescere i salari e le condizioni di lavoro nei paesi “emergenti”, ma quello di far scendere i nostri al loro livello. L’obiettivo dichiarato è dunque allineare progressivamente salari e condizione di lavoro nei paesi europei a quelli. È qui quindi, in questo snodo di storia contemporanea, che la vertenza di Pomigliano assume un valore simbolico e non solo di svolta: o si accettano le condizioni imposte da Fiat - che va ricordato è indisponibile a qualsiasi forma di trattativa – erodendo finanche il margine “riformistico” posto dalla Fiom e dunque si ridisegnano i rapporti di forza a vantaggio del padronato, più di quanto non lo siano già oggi, oppure si scende in lotta e ci si ribella aprendo una strada che nessuno può sapere dove potrebbe portare. Va ammesso che davanti alla prospettiva di restare senza lavoro in una città e in una regione in cui la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è molto alta, la maggioranza dei lavoratori di Pomigliano sarà probabilmente orientata ad accettare le condizione imposte da Fiat, condizioni che vorremmo ricordare sono durissime e in deroga al contratto nazionale. Tra le altre, allo scopo di utilizzare gli impianti 24 ore su 24 e 6 giorni alla settimana, sabato compreso, i lavoratori dovranno lavorare su tre turni giornalieri di otto ore. L’ultima mezz’ora sarà dedicata alla refezione (il che significa non toccare cibo per almeno otto ore) l’azienda potrà richiedere 80 ore di straordinario a testa (due settimane in più di lavoro l’anno) senza accordo sindacale. Le pause saranno ridotte da 40 a 30 minuti, ma soprattutto, è questo uno degli aspetti più odiosi richiesti da Fiat, le eventuali perdite di produzione a causa di interruzione delle forniture (caso abbastanza frequente quando la componentistica proviene da tutt’altre aziende a chilometri di distanza) dovranno essere recuperate o nella mezz’ora di fine turno (giusto quello della refezione) o nei giorni di riposo individuale, in deroga al contratto nazionale. Una parte poi del documento Fiat è dedicata alla cosiddetta “metrica lavorativa”, ovvero al metodo di determinare i movimenti che un operaio deve compiere per effettuare una certa operazione e i tempi in cui la deve fare, insomma un sistema computerizzato e meccanizzato atto a spremere fino all’ultima goccia il lavoro vivo perché nulla di ciò che produce valore vada sprecato. Inoltre, nel documento, con un atto gravissimo di arroganza, si chiede alla componente sindacale che non ha ancora accettato la proposta di accordo di istruire i lavoratori nella rinuncia allo sciopero, togliendogli così di fatto l’unica modalità di resistenza e negando sul piano formale un diritto costituzionale. Siamo dunque, come si diceva, a una svolta: se in Polonia o in qualunque altro luogo un operaio lavora accettando condizioni di sfruttamento durissime, non si capisce perché le case automobilistiche in concorrenza fra loro debbano rinunciare a imporre queste condizioni. Le stesse modalità sono portate avanti dalla Volkswagen, dalla Toyota o dalla General Motors.

Ne più né meno. Che fare? Effettivamente sembra non ci siano alternative.

Per ora le notizie che ci giungono dicono di una resistenza della Fiom, ma isolata politicamente e dalla stessa C.G.I.L. Per quanto e come potranno resistere? Autorevoli commentatori in nome della “responsabilità” dicono che “realisticamente” non ci sono alternative, che l’accordo deve essere accettato, pena la responsabilità che non ci siano gli investimenti da parte di Fiat. I lavoratori incalzati da una giornalista sul che cosa faranno nel caso in cui la Fiat dovesse rimanere in Polonia a produrre, hanno, del tutto comprensibilmente, “balbettato”. A domanda rispondevano con domanda, elusivi, chiedevano senso di responsabilità all’azienda, si appellavano all’etica, facevano “tenerezza”, una scena straziante, però del tutto comprensibile per chi sa bene che il lavoro (salariato) è maledizione ma anche fonte di sopravvivenza, (“pochi maledetti e subito”), e comprensibile a chi arriva da quel mondo, un mondo fatto di gente che spesso non ha coscienza della propria forza, del fatto che il capitalismo potrebbe scomparire dall’oggi al domani se solo i lavoratori, tutti i lavoratori lo volessero e visto quello che il capitalismo, da decenni, ha ormai da offrire a tutte le latitudini: briciole di lavoro salariato da accettare a qualunque condizione.

Forse però è giunto il momento di dire a quei lavoratori, con tutto il rispetto da parte di chi un lavoro ce l’ha, che non rimane loro che lottare, con le modalità e le forme che loro e solo loro riterranno più opportune, senza chiedere niente a nessuno e rivolgendosi solo a chi si trova nelle loro stesse condizioni (i loro compagni polacchi nella fattispecie).

Si tratta di uno scontro più avanzato rispetto al caso della Inse a Milano e più drammatico: lì hanno trovato un padrone interessato a rilevare l’azienda. A Pomigliano nessuno farà l’investimento se non la Fiat a quelle condizioni.

Prendere o lasciare. In questo caso i lavoratori non hanno che da perdere le loro catene. E allora diciamo con rispetto a quei lavoratori “prendetevela la fabbrica, occupatela” altro che il campo da calcio che il dott. Marchionne ci vorrebbe costruire!

Alfio Colombo

In difesa dello Statuto dei Lavoratori e quindi anche del suo articolo 18

Lo Statuto dei Lavoratori del maggio del 1970 è il frutto delle lotte, talvonta violente, che i lavoratori hanno condotto per anni ed è stato possibile grazie a mobilitazioni di massa e a un potere contrattuale che seppur non straordinario era di gran lunga superiore a quello odierno.

Lo Statuto dei Lavoratori è stato annunciato pubblicamente per la prima volta dall’allora nuovo ministro del Lavoro Brodolini nel dicembre del 1968, in visita di solidarietà ad Avola in Sicilia, dove la forza pubblica aveva sparato a dei lavoratori agricoli (braccianti) in protesta uccidendone due.

Si ricordi che questi, gli anni sessanta, erano anni di grande fermento per la classe lavoratrice (per un più dettagliato approfondimento rimandiamo il lettore all’articolo della CCI “L’Autunno caldo 1969 in Italia, un momento della ripresa storica della lotta di classe (I)”; http://it.internationalism.org/node/865).

In questo periodo nascevano in Italia i Comitati Unitari di Base (CUB) in polemica con i sindacati confederali. Si ricordi anche che l’attivismo operaio e studentesco era tale da portare nel 1969 alla nascita di consigli di fabbrica, costituiti da delegati eletti dai lavoratori in alternativa alle burocraticizzate Commissioni Interne (CI) gestite dai sindacati. I consigli di fabbrica erano costituiti da delegati di reparto, di squadra e di linea eletti dai lavoratori senza distinzione di apparteneza o no ai sindacati. Tali consigli operai erano in genere in netta contestazione con i sindacati anche se col tempo molti furono sindacalizzati.

La risposta repressiva della classe dominante a tutto questo non si fece attendere. La strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre del 1969 non fu che un esempio emblematico degli anni di piombo a seguire.

Sta di fatto che lo Statuto dei Lavoratori è diventato legge nel maggio del 1970 e contiene articoli di enorme importanza per le condizioni lavorative dei lavoratori. Il padronato ovviamente non digerisce questa discrepanza tra la riacquistata quasi completa supremazia contrattuale e gli articoli in difesa dei diritti dei lavoratori presenti nello Statuto.

Il padronato usa la vecchia storia che è lui che dà da mangiare alle famiglie dei lavoratori, e lo Statuto dei Lavoratori rende poco flessibile l’impresa e quindi lo costringe ad abbondonare il paese, alla ricerca di luoghi dove questa flessibilità è possibile.

Quello che il padronato non può dire è che sono i lavoratori che lo arricchiscono, attraverso il loro assoggettamento al sistema del lavoro salariato, e che il profitto che esso ricava proviene dal lavoro non pagato ai lavoratori. Un’altra cosa che il padronato non dice è che tale flessibilità, ovvero la mancanza di diritti di base per i lavoratori, è possibile solo in paesi dove i lavoratori sono costretti a lavorare in condizioni di misera, senza diritti, senza difese e questo di certo conviene solo ai loro padroni!

Il MSM come movimento dei lavoratori che lotta per una società socialista, pur non dimenticando e lottando contro le cause che determinano l’assoggettazione dei lavoratori al capitale, invita tutti i suoi sostenitori e simpatizzanti a schierarsi in difesa dello Statuto dei Lavoratori e quindi anche del suo articolo 18 (dove il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento … annulla il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo … [in posti di lavoro con] più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo).

Lavoratori di tutto il mondo unitevi!

Il Movimento Socialista Mondiale contro i sindacati confederali venduti

Che i sindacati confederali (CGL, CISL e UIL) siano venduti è chiaro da anni. Il perché siano venduti è abbastanza semplice da spiegare. Il profitto (quindi la ricchezza) dei padroni delle attività di produzione industriali o dei servizi deriva dal lavoro non pagato ai lavoratori. Per questo motivo i padroni tendono a risparmiare sempre di più su tutto ciò che riguarda i lavoratori (sicurezza, maternità, ferie, malattia, pensioni, ecc…).

I lavoratori hanno un solo modo per resistere contro gli attacchi dei padroni , difendere i loro diritti all’interno del sistema padronale (capitalista). Lo fanno unendosi a costituire sindacati al fine di organizzare scioperi di fabbrica, di categoria e generali.

I padroni sanno bene che il blocco della produzione di merci o servizi tramite lo sciopero significa mancato profitto, per questo si difendono in ultimo con il licenziamento degli scioperanti.
Nel passato la carenza di lavoratori qualificati dava alle unioni sindacali una posizione di vantaggio, in quanto il padroni non potevano sostituire gli scioperanti in poco tempo. I sindacati così hanno raggiunto accordi che difendevano gli operai dal licenziamento ingiustificato e miglioravano le loro condizioni di lavoro (8 ore di lavoro giornaliere invece che 12, malattia pagata, maternità, ferie…).

In questi anni i padroni non sono stati a guardare e hanno risolto questo problema in due modi.
Da una parte hanno corrotto i rappresentati sindacali (sindacalisti) dandogli privilegi e usandoli come burattini per far mangiare la merda ai lavoratori. Da l’altra parte hanno favorito la globalizzazione dei mercati tra i quali quello del lavoro, risolvendo il problema della carenza dei lavoratori specializzati. Ora i padroni vogliono togliere di mezzo gli accordi vinti con le lotte dei lavoratori anni fa (articolo 18), con lo scopo di sostituire i lavoratori che non si accontentano delle misere condizioni di lavoro con lavoratori qualificati disoccupati provenenti da tutto il mondo.

Il Movimento Socialista Mondiale è quindi a favore della lotta sindacale fatta direttamente dai lavoratori e non da sindacalisti di professione, ma il MSM va oltre questa lotta contro gli effetti del lavoro salariato in quanto il MSM lotta contro le cause del lavoro salariato. La causa del lavoro salariato sta nel fatto che i padroni detengono i mezzi di produzione delle merci o dei servizi e ricavano il loro profitto dal lavoro non pagato ai lavoratori. La socializzazione del lavoro tramite la socializzazione dei mezzi di produzione è il fine del MSM. La guerra tra i lavoratori di diverse nazioni giova solo al padrone che ci vuole divisi.

Lavoratori di tutto il mondo unitevi nella soppressione del sistema del lavoro salariato.