Introduzione
Sono ormai passati 130 anni dall’ingresso di Antonio Labriola nella scena
socialista italiana e mondiale. Nonostante non sia mai stato un nome di spicco
nel firmamento marxista, Labriola ha avuto picchi di popolarità seppur in
circuiti molto ristretti. Probabilmente nonostante sia stato considerato da
diversi studiosi del marxismo uno dei suoi filosofi più rigorosi, il suo
pensiero filosofico, appunto, è risultato poco accessibile ed è rimasto
pressoché sconosciuto ai molti.
Ad ogni modo, mentre in vita aveva un certo ascendente su alcuni
socialdemocratici tedeschi, era infatti in relazione epistolare tra gli altri
con Bebel e Kautsky. Diviene perciò comprensibile come possa una giovane
Angelica Balabanoff, ancora studentessa universitaria in Germania, decidere di
trasferirsi in Italia dopo averne sentito parlare così bene da compagni di
corso vicini alla Socialdemocrazia. La Balabanoff in una lettera al Mussolini
“socialista” teneva molto a precisare la differenza che passava tra Antonio, il
professore di filosofia e marxista ortodosso e Arturo, il sindacalista
rivoluzionario, che Engels chiamava argutamente “Labriolino”.
Quando all’età di 47 anni decide di scrivere a Engels, Labriola è già
professore ordinario di filosofia e didattica all'Università di Roma,
proveniente dalla scuola di Bertrando Spaventa filosofo neo-hegeliano di
spicco. Labriola era stato aiutato a più riprese dai fratelli Spaventa nel
trovare una degna occupazione, presso i circuiti governativi post-unitari.
Prima di approdare al socialismo Labriola aveva già studiato a fondo, oltre
Hegel, anche Feuerbach e la scuola di Herbart. Aveva vinto onorificenze nella
trattazione degli antichi greci, di Spinoza e di Giambattista Vico. Nel 1871,
ben 19 anni prima di diventare socialista, Labriola entra in politica come
pubblicista. Scrive dapprima ne «Il Piccolo» e nella «Gazzetta di Napoli», giornali
liberali, quindi nell’ «Unità Nazionale» e nella «Nazione» di Firenze. A quel
tempo era vicino alla Destra storica, ma per il superamento della vecchia
politica risorgimentale, fino a quando nel 1886 tentò di presentarsi come
candidato, senza nessuna appartenenza partitica, su posizioni
radical-progressiste contro il trasformismo di Depretis. Quindi, soprattutto
dopo un viaggio in Germania allo scopo di studiarne il sistema educativo, si
avvicina al socialismo scientifico. Inizia quindi un rapporto epistolare
con Engels e Turati.
Come marxista, Labriola prese parte al dibattito scaturito dalla
pubblicazione del III libro de “Il
Capitale”, si occupò della critica di Böhm-Bawerk, ma, soprattutto, delle
“sciocchezze” di Achille Loria e dei suoi ammiratori sulla Critica Sociale,
tra i quali Turati stesso. La critica di Labriola si riferisce allo schema di
riproduzione semplice, il quale evidenzia come la dimensione temporale (ossia
il momento dell’acquisto è distinto da quello della vendita) del ciclo
produttivo con la conseguente usura dei macchinari, spieghi la discrepanza tra
valore contenuto e valore realizzato. Engels nella prefazione al III libro, si
trova costretto a criticare la confusione di Loria tra massa del plusvalore e
profitto e l’idea di quest’ultimo che il capitale commerciale possegga il “magico
potere” di assorbire in sé tutto il plusvalore eccedente il saggio generale di
profitto. Si torna quindi al punto esplicitato da Marx, anni prima in una
lettera ad Engels, secondo cui Loria interpreta il capitalismo come una sorta
di proprietà terriera intesa sotto forma di rendita fondiaria. Marx scrive: “ero divertito e soddisfatto dal suo [di
Loria] modo di scusarsi apertamente dell’avere antiquato ‘Il Capitale’ con la
sua proprietà fondiaria. Per tutto ciò, riserbo ancora seri dubbi sul carattere
di questo giovane” [1]. Labriola,
seppur con i suoi limiti in campo economico, enfatizza l’ignoranza di Loria nel
non considerare il ciclo
produttivo come un elemento dinamico temporale contenente l’usura dei
macchinari.
L’apporto originale al marxismo di Labriola fu quello filosofico. Come
descrive lui stesso a Engels “vissi per anni con l’animo diviso fra Hegel e
Spinoza”. Sempre a Engels, Labriola confessa “Forse - anzi senza forse -
io sono diventato comunista per effetto della mia educazione (rigorosamente)
hegeliana, dopo essere passato attraverso la psicologia di Herbart, e la
Volkerpsychologie di Steinthal e altro”.
“Volgendomi al Socialismo, non ho chiesto a Marx l’abicì del sapere. Al
marxismo non ho chiesto, se non ciò che esso effettivamente contiene: ossia
quella determinata ‘critica dell’economia’ che esso è, quei ‘lineamenti del
materialismo storico’ che reca in sé (...). Non chiesi al marxismo nemmeno la
conoscenza di quella filosofia, che esso suppone, e, in un certo senso,
continua, superandola per inversione dialettica; ed è l’Hegelismo che rifioriva
(...). Per intendere il socialismo scientifico non mi occorreva, dunque, di
avviarmi per la prima volta alla concezione dialettica, evolutiva o genetica,
che dir si voglia, essendo io ho vissuto sempre in cotesto giro di idee, da che
pensatamente penso”.
Labriola era un professore di filosofia e in quanto tale egli spiega che
l’essenza del materialismo storico è “la filosofia della praxis [prassi
o pratica], in quanto investe tutto l’uomo storico e sociale, come mette
termine ad ogni forma d’idealismo.” Una filosofia che non è confinata alla
comprensione del pensiero e della società che l’ha generato, ma, alla sua trasformazione,
attraverso la presa di coscienza dei meccanismi di trasformazione del pensiero
stesso.
Specifica ad Engels che in italiano sarebbe più opportuno parlare di metodo
genetico invece di metodo dialettico, in quanto il termine
dialettico “è denigrato nell’uso comune all’arte retorica ed avvocatesca”
mentre il metodo vuole intendere “le cose che divengono” (ovvero la loro
genesi).
Vede la storia come processo di creazione di un terreno artificiale che media il divenire delle cose tra
cui il capitalismo e quindi il socialismo.
“Le idee non cascano dal cielo, e
anzi, come ogni altro tipo di prodotto dell’attività umana, si formano in date
circostanze (…). Anche le idee suppongono un terreno di condizioni sociali, ed
hanno la loro tecnica: ed il pensiero è anch’esso una forma del lavoro.”
“Lo
stato è (...) messo al suo posto (...) in quanto forma che è effetto di altre
condizioni, e a sua volta, poiché esiste, reagisce naturalmente sul resto. (...).
Codesta forma sarà mai superata? [Sì] ma come risultato dell’immanente processo
della storia. (...). La premessa di tale previsione è nelle condizioni stesse
della presente produzione capitalistica [che] concentra di giorno in giorno
sempre più la proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di pochi, (...)
azionisti e negoziatori (...) la cui direzione passa all’intelligenza. Col
crescere della coscienza di tale situazione nei [lavoratori] e col decrescere
della capacità nei detentori del capitale a conservare la privata direzione del
lavoro produttivo, si verrà a un punto in cui, di un modo o
dell'altro, con la eliminazione di ogni forma di rendita, interesse e proprietà
privata, la produzione passerà all'associazione collettiva, ossia sarà
comunistica. (...). Il governo tecnico e pedagogico dell’intelligenza sarebbe l’unico
ordine della società.”
Nell’opera In memoria del Manifesto, Labriola
indica che la previsione storica del comunismo critico è una previsione
morfologica, ovvero che rivela la forma delle cose, quali le classi
sociali.
Qui sotto riportiamo un brevissimo articolo uscito sul Socialist
Standard (Febbraio 2016) sul Labriola Socialista più che filosofo. In
aggiunta abbiamo digitalizzato una sua lettera ad Engels in merito alla fondazione
del Partito Socialista Italiano.
“Quando solo alcuni individui più o meno socialisti si
rivolgono a ignoranti proletari che sono apolitici e in gran parte reazionari,
è quasi inevitabile che quegli individui vengano considerati utopisti e
demagoghi”.
Antonio Labriola
[1] per approfondire il discorso dei difficili rapporti (sia umani che
intellettuali) tra Marx ed Engels da un lato e Achille Loria dall’altro, si puo
leggere l’utile artico di G. M. Bravo “Engels
e Loria: relazioni e polemiche”,
Studi Storici, Anno 11, No. 3 (Luglio - Settembre 1970), pp.
533-550.