La prospettiva ecologica
Gli attuali metodi di produzione possono innegabilmente danneggiare gli ecosistemi del mondo in molti modi. Tuttora, la questione rimane se l’attività produttiva umana, la trasformazione dei materiali che provengono dalla natura nelle merci adatte per l’uso umano, è inevitabilmente dannosa in un senso ecologico. La massiccia scala dell’attività produttiva umana certamente ha implicazioni immense per l’ecologia e alcuni verdi radicali sostengono che l’attività umana su una tale scala sia incompatibile con un rapporto armonioso con il resto della natura.
Nel considerare che cosa noi intendiamo per “danno ecologico”, è importante ricordare che questi ecosistemi si stanno evolvendo. La biosfera nel complesso, che consiste in milioni di forme di vita reciprocamente interdipendenti, può essere pensata come un unico ecosistema.
Tuttavia è ancora possibile distinguere vari subsistemi, o “biomedi” all’interno di esso, sulle basi delle differenti condizioni climatiche e fisiche che esistono in diverse parti del mondo. Questi si schierano dalla tundra dell’artico, attraverso le foreste conifere e decidue e le steppe, alla savana e le foreste pluviali delle regioni vicino all’equatore. A ciascuna di queste condizioni fisiche e climatiche corrisponde un ecosistema stabile che si evolve fino al suo “punto culminante”, attraverso una serie di fasi successive. Questo punto culminante stabile sarà la situazione dove l’ammontare del cibo prodotto dalla vita della pianta è sufficiente, dopo aver tenuto conto dei bisogni di respirazione delle piante, per soddisfare in maniera sostenibile i requisiti di energia alimentare di tutte le forme di vita animali dentro il sistema. Sarà, di fatto, la situazione che fa un uso ottimale, in termini di sostenimento di tutte le forme di vita dentro il sistema, della luce dei raggi del sole che cadono sull’area.
Un punto culminante ecologico è definito in termini di esistenza di condizioni fisiche e climatiche. È chiaro che se questi ultimi cambiamenti sono esistiti, ed effettivamente ce ne sono stati relativamente molti nel corso delle migliaia di milioni di anni di vita – attraverso cose come il livello del mare, e l’andirivieni delle ere glaciali – allora l’equilibrio precedentemente esistente sarà rovesciato. Uno nuovo tenderà poi a svilupparsi in conformità con le nuove condizioni fisiche e climatiche.
Lo sfacelo di un vecchio ecosistema fa precipitare le differenti specie e varietà di forme di vita in uno stato di competizione. Nel caso delle piante, la competizione sarebbe nel catturare la luce dei raggi del sole. Nel caso degli animali, sarebbe nel recuperare l’energia alimentare prodotta dalle piante. Le specie e gli individui che dimostrano di essere meglio adattati alle nuove condizioni (“il più adatto” come dice Darwin) sopravviverebbero e fiorirebbero. Alla fine un nuovo ecosistema stabile, con un “punto culminante” differente, appropriato alle nuove condizione geofisiche, si evolverebbe. Le specie potrebbero scomparire lasciando la nicchia ecologica che hanno occupato per essere riempite dai nuovi arrivati.
Gli ecosistemi del mondo si stanno continuamente evolvendo e perciò non c’è nessuno stato “originale”, “naturale” del pianeta. Dopo tutto, gli esseri umani sono sia un prodotto che una parte della natura e non qualcosa al di fuori di essa. Non c’è alcun motivo di considerare un ecosistema in cui gli esseri umani, come gli altri animali, vivono in un numero limitato come “raccoglitori/cacciatori” nella foresta come più “naturale” di uno in cui c’è un numero più grande di alberi e piante della foresta. Non c’è alcuna base in ecologia per dire che gli alberi dovrebbero essere la principale forma di vita, nemmeno che la condizione umana naturale è cacciare e raccogliere.
L’Ecologia e il Socialismo
I materiali che gli esseri umani prendono dalla natura possono essere divisi in due categorie, a seconda se sono rinnovabili o non-rinnovabili. Quasi tutto della natura organica è rinnovabile (dato che la maggior parte di essa può essere cresciuta in un periodo di tempo relativamente breve), come lo sono certe forze naturali che gli esseri umani usano come strumenti di lavoro (fiumi, cascate, vento, i raggi del sole, ecc.). Le risorse non-rinnovabili d’altro canto – come i minerali metalliferi, il carbone, il petrolio, l’argilla, la sabbia – sono così chiamate perché non fanno parte di alcun ciclo naturale che le riproduce, per lo meno non con una scala di tempo rilevante per gli esseri umani.
L’Agricoltura
Il modo più ovvio in cui gli esseri umani estraggono materiali rinnovabili dalla biosfera è attraverso l’agricoltura. L’agricoltura comporta, per definizione, un cambiamento fondamentale nell’ecosistema esistente. L’introduzione dell’agricoltura in Europa comportò il taglio della maggior parte della foresta decidua. Questa foresta decidua ha rappresentato un punto culminante ecologico stabile per la maggior parte dell’Europa. La terra era usata per far crescere piante che gli esseri umani trovavano utili, a danno sia degli alberi che delle altre piante che erano cresciute rigogliosamente nella foresta. L’agricoltura comporta deliberatamente l’impedimento di un ecosistema di svilupparsi verso un punto culminante.
Un ecosistema che coinvolge l'agricoltura per essere stabile richiede l'azione intenzionale da parte degli esseri umani. Questo comporta non soltanto coltivare i campi e mantenerli puliti da altre piante che potrebbero crescervi sopra (“erbacce”), ma anche mantenere la fertilità del terreno che, senza agricoltura, si rinnoverebbe spontaneamente.
Le cose vanno male quando gli esseri umani ignorano le conseguenze ecologiche delle loro azioni, per esempio, permettendo tanto pascolo dei loro animali addomesticati o prendendo dal terreno senza ristabilire i minerali e i materiali organici che sono essenziali allo sviluppo normale della pianta. Tuttavia, se gli esseri umani osservano queste regole, allora, come testimoniano numerosi esempi storici, un ecosistema in cui gli esseri umani praticano l’agricoltura può essere stabile quanto uno da cui gli esseri umani sono assenti, o uno in cui essi praticano la caccia e la raccolta.
Ciò era capito e praticato nelle comunità agricole relativamente autosufficienti che sono esistite fino all’arrivo del capitalismo, dove ciò che era prodotto era in gran parte consumato sul posto. Lo scarto degli esseri umani risultante dal consumo, insieme con lo scarto degli animali e quelle parti di piante e animali che non erano usate come cibo e altri fini, era restituito al terreno dove veniva decomposto da insetti, funghi e batteri presenti negli elementi che sostengono la fertilità del terreno.
Quando, tuttavia, il luogo di produzione e il luogo di consumo sono separati, questo ciclo tende a distruggersi. Il risultato è che la fertilità del terreno diminuisce. Se un’area si specializza nella produzione di un raccolto per l’esportazione, cioè per il consumo altrove, ciò significa che della materia minerale e organica incorporata nella raccolta lascerà quell’area per sempre e non sarà restituita al terreno. Lo stesso è valido per l’allevamento animale. Gli animali richiedono grandi quantità di calcio per le loro ossa, come pure di altri minerali come il fosforo, il ferro e il magnesio, i quali a loro volta provengono dal terreno, tramite le piante con cui si alimentano. Se quegli animali sono esportati, sia morti che vivi, e consumati altrove, allora i minerali che contengono sono persi dal terreno della zona dove essi sono stati allevati.
Un problema complementare sorge all’altro capo, al punto del consumo: che cosa fare con lo scarto degli esseri umani che, quando i punti di produzione e di consumo erano gli stessi, era restituito automaticamente al terreno e riciclato dalla natura? Rilasciandolo nel mare o nei fiumi o nelle fogne significa che è perso dall’agricoltura, anche se non, sfortunatamente, dalla biosfera (questo contribuisce all’inquinamento dell’acqua incoraggiando la proliferazione di alcune forme di vita – per esempio, le alghe e i batteri – a danno di altre che l’acqua normalmente sostiene).
La “soluzione” che è stata trovata sotto il capitalismo, in quanto è la più economica in termini di contenuto di lavoro dei prodotti, è stata l’uso di fertilizzanti artificiali – nitrati e fosfati che sono stati fabbricati in stabilimenti chimici. Questo funziona nel senso di permettere alla terra di continuare a produrre lo stesso ammontare, o più, dello stesso raccolto o animale, ma a un prezzo in termini d’inquinamento dell’acqua nella regione interessata. I fertilizzanti artificiali, non essendo tenuti dal terreno nello stesso modo in cui lo è lo scarto organico, tendono ad essere dilavati via dalla pioggia in corsi d’acqua dove causano inquinamento.
La soluzione ecologica al problema è trovare qualche modo per restituire al terreno lo scarto organico risultante dal consumo umano in aree urbane. Barry Commoner suggeriva che ciò potrebbe essere fatto per mezzo di tubi che colleghino la città e la campagna. Una soluzione a lungo termine sarebbe quella prevista dai primi socialisti che non vedevano l’ora che l’agricoltura e l’industria manifatturiera venissero combinati,
graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, con una distribuzione più uniforme della popolazione sul territorio. (1)
I Materiali Non-Rinnovabili
Preoccupazione è stata espressa per il fatto che le risorse non-rinnovabili alla fine si esauriranno. Eppure, malgrado alcune previsioni selvagge che sono state fatte nel passato recente, l’esaurimento delle risorse non-rinnovabili non è un problema immediato. Un vantaggio che i materiali non-rinnovabili hanno sulla maggior parte di quelli rinnovabili è che possono normalmente essere usati più di una volta. Con le importanti eccezioni del carbone, del petrolio e dei gas naturali quando bruciati, essi possono essere riciclati. Una proporzione di alcuni metalli viene persa attraverso la corrosione, ma tutti i metalli possono in linea di principio essere recuperati e riusati. È stato insinuato, per esempio, che la maggior parte dell’oro estratto dai tempi antichi sia ancora in uso. Gran parte del ferro, del rame, dello stagno e di altri metalli estratti nello stesso periodo è ancora in giro da qualche parte anche se non è ancora usato come l’oro. Le risorse possono essere conservate facendo strumenti di produzione più facili da riparare e fabbricando beni di tutti i tipi che durino piuttosto che si distruggano o diventino inutilizzabili dopo un periodo di tempo attentamente calcolato, come è pratica comune sotto il capitalismo (obsolescenza pianificata).
Le risorse non-rinnovabili possono essere sostituite in molti casi da quelle rinnovabili. La produzione di elettricità è un esempio calzante.
La Tecnologia Non-Inquinante
Le tecniche impiegate per trasformare i materiali devono, se vogliono evitare di rovesciare i cicli naturali che sono fondamentali alla natura, evitare di scaricare nella biosfera o abbandonare come residui i prodotti, le sostanze tossiche o le sostanze che non possono essere assimilate dalla natura. In altre parole, dovrebbe essere applicata la tecnologia non-inquinante. Ciò è piuttosto fattibile da un punto di vista tecnico dato che le tecniche di trasformazione non-inquinanti sono conosciute in tutti i campi della produzione. Tuttavia, esse oggi non sono impiegate su alcuna ampia scala poiché incrementerebbero i costi di produzione e così sono escluse dalle leggi economiche del capitalismo.
Conclusione
Il principio di fondo dietro le trasformazioni nei materiali e i metodi produttivi usati, che è richiesto dalla necessità di tenere adeguato conto della dimensione ecologica, è quello che il sistema produttivo nell'insieme dovrebbe essere sostenibile per il resto della natura. In altre parole, quello che gli esseri umani prendono dalla natura, l’ammontare e il ritmo con il quale lo fanno, come pure il modo in cui usano questi materiali e se ne sbarazzano dopo l’uso, dovrebbe completamente essere fatto in una tale maniera da lasciare la natura in una posizione di continuare a fornire e riassorbire i materiali richiesti per l’uso.
A lungo andare questo implica livelli di consumo e di produzione stabili o soltanto in lento aumento, benché non escluda un piano accurato di rapido sviluppo su un periodo per raggiungere un livello a cui il consumo e la produzione potrebbero poi rimanere stabili. Una società in cui i livelli di produzione, di consumo e di popolazione sono stabili è stata denominata una “economia di stato-stabile” dove la produzione sarebbe adattata semplicemente per soddisfare i bisogni e per sostituire e riparare lo stock dei mezzi di produzione (materie prime e strumenti di produzione) necessari per questo.
È ovvio che oggi i bisogni umani sono lontani dall’essere soddisfatti su scala mondiale e che onestamente la rapida crescita nella produzione di cibo, abitazioni e altre basilari amenità sarebbe ancora necessaria per alcuni anni anche se la produzione cessasse di essere governata dalle leggi economiche del capitalismo. Tuttavia non dovrebbe essere dimenticato che una “economia di stato-stabile” sarebbe una situazione molto più normale di una economia adattata per accumulare alla cieca sempre più mezzi di produzione. Dopo tutto, l’unica ragione razionale per accumulare mezzi di produzione è alla fine essere in una posizione di soddisfare tutti i bisogni di consumo ragionevoli.
Una volta che lo stock dei mezzi di produzione ha raggiunto questo livello, in una società con questo scopo, l’accumulazione, o l’ulteriore espansione dello stock dei mezzi di produzione, può fermarsi e i livelli di produzione possono essere stabiliti. Logicamente, questo punto alla fine sarebbe raggiunto, dato che i bisogni di consumo di una data popolazione sono limitati.
Così se la società umana deve essere in grado di organizzare la sua produzione in un modo ecologicamente accettabile, allora deve abolire il meccanismo economico capitalistico dell’accumulazione di capitale e adattare la produzione preferibilmente alla diretta soddisfazione dei bisogni.
Fonti:
(1) Il Manifesto del Partito Comunista, Marx & Engels (1848)
(Traduzione da www.worldsocialism.org)
Gli attuali metodi di produzione possono innegabilmente danneggiare gli ecosistemi del mondo in molti modi. Tuttora, la questione rimane se l’attività produttiva umana, la trasformazione dei materiali che provengono dalla natura nelle merci adatte per l’uso umano, è inevitabilmente dannosa in un senso ecologico. La massiccia scala dell’attività produttiva umana certamente ha implicazioni immense per l’ecologia e alcuni verdi radicali sostengono che l’attività umana su una tale scala sia incompatibile con un rapporto armonioso con il resto della natura.
Nel considerare che cosa noi intendiamo per “danno ecologico”, è importante ricordare che questi ecosistemi si stanno evolvendo. La biosfera nel complesso, che consiste in milioni di forme di vita reciprocamente interdipendenti, può essere pensata come un unico ecosistema.
Tuttavia è ancora possibile distinguere vari subsistemi, o “biomedi” all’interno di esso, sulle basi delle differenti condizioni climatiche e fisiche che esistono in diverse parti del mondo. Questi si schierano dalla tundra dell’artico, attraverso le foreste conifere e decidue e le steppe, alla savana e le foreste pluviali delle regioni vicino all’equatore. A ciascuna di queste condizioni fisiche e climatiche corrisponde un ecosistema stabile che si evolve fino al suo “punto culminante”, attraverso una serie di fasi successive. Questo punto culminante stabile sarà la situazione dove l’ammontare del cibo prodotto dalla vita della pianta è sufficiente, dopo aver tenuto conto dei bisogni di respirazione delle piante, per soddisfare in maniera sostenibile i requisiti di energia alimentare di tutte le forme di vita animali dentro il sistema. Sarà, di fatto, la situazione che fa un uso ottimale, in termini di sostenimento di tutte le forme di vita dentro il sistema, della luce dei raggi del sole che cadono sull’area.
Un punto culminante ecologico è definito in termini di esistenza di condizioni fisiche e climatiche. È chiaro che se questi ultimi cambiamenti sono esistiti, ed effettivamente ce ne sono stati relativamente molti nel corso delle migliaia di milioni di anni di vita – attraverso cose come il livello del mare, e l’andirivieni delle ere glaciali – allora l’equilibrio precedentemente esistente sarà rovesciato. Uno nuovo tenderà poi a svilupparsi in conformità con le nuove condizioni fisiche e climatiche.
Lo sfacelo di un vecchio ecosistema fa precipitare le differenti specie e varietà di forme di vita in uno stato di competizione. Nel caso delle piante, la competizione sarebbe nel catturare la luce dei raggi del sole. Nel caso degli animali, sarebbe nel recuperare l’energia alimentare prodotta dalle piante. Le specie e gli individui che dimostrano di essere meglio adattati alle nuove condizioni (“il più adatto” come dice Darwin) sopravviverebbero e fiorirebbero. Alla fine un nuovo ecosistema stabile, con un “punto culminante” differente, appropriato alle nuove condizione geofisiche, si evolverebbe. Le specie potrebbero scomparire lasciando la nicchia ecologica che hanno occupato per essere riempite dai nuovi arrivati.
Gli ecosistemi del mondo si stanno continuamente evolvendo e perciò non c’è nessuno stato “originale”, “naturale” del pianeta. Dopo tutto, gli esseri umani sono sia un prodotto che una parte della natura e non qualcosa al di fuori di essa. Non c’è alcun motivo di considerare un ecosistema in cui gli esseri umani, come gli altri animali, vivono in un numero limitato come “raccoglitori/cacciatori” nella foresta come più “naturale” di uno in cui c’è un numero più grande di alberi e piante della foresta. Non c’è alcuna base in ecologia per dire che gli alberi dovrebbero essere la principale forma di vita, nemmeno che la condizione umana naturale è cacciare e raccogliere.
L’Ecologia e il Socialismo
I materiali che gli esseri umani prendono dalla natura possono essere divisi in due categorie, a seconda se sono rinnovabili o non-rinnovabili. Quasi tutto della natura organica è rinnovabile (dato che la maggior parte di essa può essere cresciuta in un periodo di tempo relativamente breve), come lo sono certe forze naturali che gli esseri umani usano come strumenti di lavoro (fiumi, cascate, vento, i raggi del sole, ecc.). Le risorse non-rinnovabili d’altro canto – come i minerali metalliferi, il carbone, il petrolio, l’argilla, la sabbia – sono così chiamate perché non fanno parte di alcun ciclo naturale che le riproduce, per lo meno non con una scala di tempo rilevante per gli esseri umani.
L’Agricoltura
Il modo più ovvio in cui gli esseri umani estraggono materiali rinnovabili dalla biosfera è attraverso l’agricoltura. L’agricoltura comporta, per definizione, un cambiamento fondamentale nell’ecosistema esistente. L’introduzione dell’agricoltura in Europa comportò il taglio della maggior parte della foresta decidua. Questa foresta decidua ha rappresentato un punto culminante ecologico stabile per la maggior parte dell’Europa. La terra era usata per far crescere piante che gli esseri umani trovavano utili, a danno sia degli alberi che delle altre piante che erano cresciute rigogliosamente nella foresta. L’agricoltura comporta deliberatamente l’impedimento di un ecosistema di svilupparsi verso un punto culminante.
Un ecosistema che coinvolge l'agricoltura per essere stabile richiede l'azione intenzionale da parte degli esseri umani. Questo comporta non soltanto coltivare i campi e mantenerli puliti da altre piante che potrebbero crescervi sopra (“erbacce”), ma anche mantenere la fertilità del terreno che, senza agricoltura, si rinnoverebbe spontaneamente.
Le cose vanno male quando gli esseri umani ignorano le conseguenze ecologiche delle loro azioni, per esempio, permettendo tanto pascolo dei loro animali addomesticati o prendendo dal terreno senza ristabilire i minerali e i materiali organici che sono essenziali allo sviluppo normale della pianta. Tuttavia, se gli esseri umani osservano queste regole, allora, come testimoniano numerosi esempi storici, un ecosistema in cui gli esseri umani praticano l’agricoltura può essere stabile quanto uno da cui gli esseri umani sono assenti, o uno in cui essi praticano la caccia e la raccolta.
Ciò era capito e praticato nelle comunità agricole relativamente autosufficienti che sono esistite fino all’arrivo del capitalismo, dove ciò che era prodotto era in gran parte consumato sul posto. Lo scarto degli esseri umani risultante dal consumo, insieme con lo scarto degli animali e quelle parti di piante e animali che non erano usate come cibo e altri fini, era restituito al terreno dove veniva decomposto da insetti, funghi e batteri presenti negli elementi che sostengono la fertilità del terreno.
Quando, tuttavia, il luogo di produzione e il luogo di consumo sono separati, questo ciclo tende a distruggersi. Il risultato è che la fertilità del terreno diminuisce. Se un’area si specializza nella produzione di un raccolto per l’esportazione, cioè per il consumo altrove, ciò significa che della materia minerale e organica incorporata nella raccolta lascerà quell’area per sempre e non sarà restituita al terreno. Lo stesso è valido per l’allevamento animale. Gli animali richiedono grandi quantità di calcio per le loro ossa, come pure di altri minerali come il fosforo, il ferro e il magnesio, i quali a loro volta provengono dal terreno, tramite le piante con cui si alimentano. Se quegli animali sono esportati, sia morti che vivi, e consumati altrove, allora i minerali che contengono sono persi dal terreno della zona dove essi sono stati allevati.
Un problema complementare sorge all’altro capo, al punto del consumo: che cosa fare con lo scarto degli esseri umani che, quando i punti di produzione e di consumo erano gli stessi, era restituito automaticamente al terreno e riciclato dalla natura? Rilasciandolo nel mare o nei fiumi o nelle fogne significa che è perso dall’agricoltura, anche se non, sfortunatamente, dalla biosfera (questo contribuisce all’inquinamento dell’acqua incoraggiando la proliferazione di alcune forme di vita – per esempio, le alghe e i batteri – a danno di altre che l’acqua normalmente sostiene).
La “soluzione” che è stata trovata sotto il capitalismo, in quanto è la più economica in termini di contenuto di lavoro dei prodotti, è stata l’uso di fertilizzanti artificiali – nitrati e fosfati che sono stati fabbricati in stabilimenti chimici. Questo funziona nel senso di permettere alla terra di continuare a produrre lo stesso ammontare, o più, dello stesso raccolto o animale, ma a un prezzo in termini d’inquinamento dell’acqua nella regione interessata. I fertilizzanti artificiali, non essendo tenuti dal terreno nello stesso modo in cui lo è lo scarto organico, tendono ad essere dilavati via dalla pioggia in corsi d’acqua dove causano inquinamento.
La soluzione ecologica al problema è trovare qualche modo per restituire al terreno lo scarto organico risultante dal consumo umano in aree urbane. Barry Commoner suggeriva che ciò potrebbe essere fatto per mezzo di tubi che colleghino la città e la campagna. Una soluzione a lungo termine sarebbe quella prevista dai primi socialisti che non vedevano l’ora che l’agricoltura e l’industria manifatturiera venissero combinati,
graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, con una distribuzione più uniforme della popolazione sul territorio. (1)
I Materiali Non-Rinnovabili
Preoccupazione è stata espressa per il fatto che le risorse non-rinnovabili alla fine si esauriranno. Eppure, malgrado alcune previsioni selvagge che sono state fatte nel passato recente, l’esaurimento delle risorse non-rinnovabili non è un problema immediato. Un vantaggio che i materiali non-rinnovabili hanno sulla maggior parte di quelli rinnovabili è che possono normalmente essere usati più di una volta. Con le importanti eccezioni del carbone, del petrolio e dei gas naturali quando bruciati, essi possono essere riciclati. Una proporzione di alcuni metalli viene persa attraverso la corrosione, ma tutti i metalli possono in linea di principio essere recuperati e riusati. È stato insinuato, per esempio, che la maggior parte dell’oro estratto dai tempi antichi sia ancora in uso. Gran parte del ferro, del rame, dello stagno e di altri metalli estratti nello stesso periodo è ancora in giro da qualche parte anche se non è ancora usato come l’oro. Le risorse possono essere conservate facendo strumenti di produzione più facili da riparare e fabbricando beni di tutti i tipi che durino piuttosto che si distruggano o diventino inutilizzabili dopo un periodo di tempo attentamente calcolato, come è pratica comune sotto il capitalismo (obsolescenza pianificata).
Le risorse non-rinnovabili possono essere sostituite in molti casi da quelle rinnovabili. La produzione di elettricità è un esempio calzante.
La Tecnologia Non-Inquinante
Le tecniche impiegate per trasformare i materiali devono, se vogliono evitare di rovesciare i cicli naturali che sono fondamentali alla natura, evitare di scaricare nella biosfera o abbandonare come residui i prodotti, le sostanze tossiche o le sostanze che non possono essere assimilate dalla natura. In altre parole, dovrebbe essere applicata la tecnologia non-inquinante. Ciò è piuttosto fattibile da un punto di vista tecnico dato che le tecniche di trasformazione non-inquinanti sono conosciute in tutti i campi della produzione. Tuttavia, esse oggi non sono impiegate su alcuna ampia scala poiché incrementerebbero i costi di produzione e così sono escluse dalle leggi economiche del capitalismo.
Conclusione
Il principio di fondo dietro le trasformazioni nei materiali e i metodi produttivi usati, che è richiesto dalla necessità di tenere adeguato conto della dimensione ecologica, è quello che il sistema produttivo nell'insieme dovrebbe essere sostenibile per il resto della natura. In altre parole, quello che gli esseri umani prendono dalla natura, l’ammontare e il ritmo con il quale lo fanno, come pure il modo in cui usano questi materiali e se ne sbarazzano dopo l’uso, dovrebbe completamente essere fatto in una tale maniera da lasciare la natura in una posizione di continuare a fornire e riassorbire i materiali richiesti per l’uso.
A lungo andare questo implica livelli di consumo e di produzione stabili o soltanto in lento aumento, benché non escluda un piano accurato di rapido sviluppo su un periodo per raggiungere un livello a cui il consumo e la produzione potrebbero poi rimanere stabili. Una società in cui i livelli di produzione, di consumo e di popolazione sono stabili è stata denominata una “economia di stato-stabile” dove la produzione sarebbe adattata semplicemente per soddisfare i bisogni e per sostituire e riparare lo stock dei mezzi di produzione (materie prime e strumenti di produzione) necessari per questo.
È ovvio che oggi i bisogni umani sono lontani dall’essere soddisfatti su scala mondiale e che onestamente la rapida crescita nella produzione di cibo, abitazioni e altre basilari amenità sarebbe ancora necessaria per alcuni anni anche se la produzione cessasse di essere governata dalle leggi economiche del capitalismo. Tuttavia non dovrebbe essere dimenticato che una “economia di stato-stabile” sarebbe una situazione molto più normale di una economia adattata per accumulare alla cieca sempre più mezzi di produzione. Dopo tutto, l’unica ragione razionale per accumulare mezzi di produzione è alla fine essere in una posizione di soddisfare tutti i bisogni di consumo ragionevoli.
Una volta che lo stock dei mezzi di produzione ha raggiunto questo livello, in una società con questo scopo, l’accumulazione, o l’ulteriore espansione dello stock dei mezzi di produzione, può fermarsi e i livelli di produzione possono essere stabiliti. Logicamente, questo punto alla fine sarebbe raggiunto, dato che i bisogni di consumo di una data popolazione sono limitati.
Così se la società umana deve essere in grado di organizzare la sua produzione in un modo ecologicamente accettabile, allora deve abolire il meccanismo economico capitalistico dell’accumulazione di capitale e adattare la produzione preferibilmente alla diretta soddisfazione dei bisogni.
Fonti:
(1) Il Manifesto del Partito Comunista, Marx & Engels (1848)
(Traduzione da www.worldsocialism.org)
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