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venerdì 28 febbraio 2025

“Il socialismo non può funzionare, i socialisti si dimenticano sempre della natura umana”


Giocare la carta della "natura umana" è uno dei tentativi più comuni di cortocircuitare la discussione sulla fattibilità del socialismo. Coloro che la giocano sono generalmente timidi nel dire cosa intendono esattamente con questa frase. Come funziona la "natura umana"? Come si esprime? Cosa eventualmente la innesca? Quando vengono sfidati su questi temi, i critici generalmente diventano vaghi o inarticolati o agitano le mani su un bel po' di cose. Se incalzati ulteriormente, molti di loro escogitano una visione degli esseri umani come automi pre-programmati. Altri, meno riduttivi, ci immaginano come pentole a pressione biologiche che periodicamente si surriscaldano. Altri ancora, scuotono la testa e parlano di degenerazione morale o credono in qualcosa di simile alla magia o al peccato originale. Quando, tuttavia, viene chiesto loro di descrivere quelle che credono essere le manifestazioni concrete della "natura umana", si rianimano. Diventano improvvisamente espliciti e molto più concisi. Gli esseri umani, dicono, sono avidi, pigri e violenti. E questo risolve praticamente la questione.

Gli esseri umani non nascono come tabula rasa. Abbiamo una "natura" specifica, unica per noi, e questo ha conseguenze quando interagiamo con l'ambiente. Siamo una specie sociale, quindi abbiamo un bisogno biologico di contatto e associazione umana. È il motivo per cui viviamo in comunità e abbiamo economie. Abbiamo riflessi autonomi che ci proteggono dai danni. Fissiamo involontariamente la nostra attenzione su minacce percepite, per esempio. Allo stesso modo, il nostro sistema nervoso rimuoverà i nostri corpi piuttosto rapidamente dal contatto accidentale con il calore estremo, il tutto senza consultare il nostro cervello o aspettare che decidiamo come agire. Queste reazioni sembrano cablate in noi, ma anche loro possono essere superate dalla nostra consapevolezza cosciente o dall'apprendimento sociale.

domenica 3 novembre 2024

Il socialismo non di mercato è fattibile

Tutta la tecno-infrastruttura necessaria per consentire a una società post-capitalista di funzionare efficacemente esiste già oggi; non abbiamo bisogno di reinventare la ruota. Un sistema autoregolante di controllo delle scorte che implichi il "calcolo in natura", che utilizzi grandezze fisiche disaggregate (ad esempio, il numero di lattine di fagioli lessati in magazzino in un negozio) anziché una singola unità contabile comune (come il denaro) come base per il calcolo, è qualcosa che funziona già abbastanza bene sotto i nostri occhi all'interno del capitalismo, insieme alla contabilità monetaria. Qualsiasi supermercato oggi, operativamente parlando, si fermerebbe rapidamente senza ricorrere al calcolo in natura per gestire e monitorare il flusso di merci in entrata e in uscita dal negozio.

In qualsiasi momento il nostro supermercato saprà più o meno esattamente quante lattine di fagioli lessati ha sugli scaffali. L'informatizzazione della gestione dell'inventario ha reso questo compito molto più semplice. Il nostro supermercato saprà anche la velocità con cui quelle lattine di fagioli lessati vengono rimosse dagli scaffali. Sulla base di queste informazioni saprà quando e quanta nuova scorta dovrà ordinare dai fornitori per rifornire la sua scorta esistente: questa semplice procedura aritmetica è esattamente ciò che si intende per "calcolo in natura". È applicabile a ogni tipo di bene concepibile, dai beni intermedi o di produzione ai beni finali o di consumo.

Il calcolo in natura è il fondamento da cui dipende in modo cruciale qualsiasi tipo di sistema di produzione avanzato e su larga scala. Nel capitalismo, la contabilità monetaria coesiste con la contabilità in natura, ma è completamente tangenziale o irrilevante rispetto a quest'ultima. È solo perché i beni, come le nostre scatole di fagioli lessati, assumono la forma di merci che si può essere ingannati nel pensare che il calcolo in natura dipenda in qualche modo dal calcolo monetario. Non è così. Si regge saldamente sulle proprie gambe.

domenica 8 settembre 2024

Scarsità Artificiale

Spesso siamo incoraggiati a fare cambiamenti nel nostro stile di vita personale perché questo può aiutare a cambiare le cose o almeno a fare qualcosa per aiutarci ad andare nella giusta direzione. Dovremmo assicurarci di sapere, ad esempio, dove viene coltivato il cibo che mangiamo, quanto sono "sostenibili" i suoi metodi di produzione e distribuzione e, se possibile, di "acquistare locale". L'idea è che le nostre scelte di acquisto alimentare aiuteranno a ridurre le emissioni di carbonio e contribuiranno alla lotta contro il deterioramento ecologico e il riscaldamento globale. Si suggerisce anche che scelte di vita più radicali come il vegetarianismo o il veganismo possano svolgere un ruolo in questo liberando per la produzione alimentare diretta terreni attualmente utilizzati per le colture per nutrire il vasto numero di animali allevati e macellati in tutto il mondo.

Ed è vero che, se un gran numero di persone facesse tali scelte, ciò potrebbe effettivamente portare a metodi e tipi diversi di produzione alimentare, ridurre la strage di massa di creature viventi e avere anche un certo impatto sul cambiamento climatico. Ma niente di tutto ciò farebbe una differenza apprezzabile nei problemi quotidiani affrontati da molti milioni di persone in tutto il mondo. Si tratta di problemi come la povertà, la mancanza di una casa o di un alloggio precario e, soprattutto, la necessità per la stragrande maggioranza di noi di vendere le nostre energie a un datore di lavoro per un salario o uno stipendio giorno dopo giorno o di ritrovarci senza i mezzi per vivere dignitosamente. Il fatto è che, qualunque sia il metodo di produzione o i beni prodotti, finché ciò avviene in vista della vendita dei beni sul mercato e della necessità di denaro per acquistarli, avremo ancora il sistema che chiamiamo capitalismo e tutti i problemi e le contraddizioni che solleva.

La contraddizione principale è che ora abbiamo i mezzi per produrre cibo a sufficienza e tutto il resto per sostenere il mondo intero a un livello dignitoso più volte e senza inquinare l'ambiente o cambiare il clima, ma nel sistema capitalista di produzione per il profitto questo non può accadere. Invece crea una scarsità artificiale, facendo sì che milioni di persone soffrano la fame e che molti altri vivano esistenze insicure o altamente stressate. Un nuovo rapporto dell'Unicef ​​pubblicato a giugno di quest'anno (Child Food Poverty: Nutrition Deprivation in Early Childhood) ha rivelato che circa 181 milioni di bambini in tutto il mondo sotto i 5 anni di età, ovvero 1 su 4, stanno vivendo una grave povertà alimentare infantile, il che li rende fino al 50 percento più inclini a sperimentare il deperimento, una forma di malnutrizione pericolosa per la vita. Per peggiorare le cose, i metodi di produzione del capitalismo mettono a dura prova l'ecosistema, spingendolo rapidamente, secondo alcuni, sull'orlo del collasso.

È quindi tempo che i lavoratori di tutto il mondo votino collettivamente per cambiare quel sistema e passare a una società senza denaro e senza mercato, di libero accesso e cooperazione volontaria, che chiamiamo socialismo. In quella società le persone metteranno al lavoro la loro naturale capacità umana di cooperazione e collaborazione e useranno le risorse della terra per garantire una vita dignitosa a tutti, mantenendo al contempo l'ambiente in modo da garantire uno stato stabile di equilibrio ecologico.

(Traduzione da Socialist Standard – settembre 2024) 

lunedì 13 settembre 2021

Gli ambientalisti sanno cos’è il capitalismo?

La COP26 di novembre a Glasgow [nel Regno Unito] si avvicina e molte organizzazioni si stanno preparando a partecipare per far conoscere le loro proposte e le loro argomentazioni, e noi del Movimento Socialista Mondiale faremo lo stesso per presentare la nostra causa per il socialismo come soluzione al riscaldamento globale e a tutte le sue crisi che l'accompagnano.

Il capitalismo è la causa principale della maggior parte dei problemi ambientali che affrontiamo ed è anche il più grande ostacolo all'attuazione delle soluzioni. Eppure pochi riconoscono la colpevolezza del capitalismo e, se lo fanno, i loro rimedi comportano poco più che l'approvazione di leggi per regolare il sistema capitalista, come il proposto Green New Deal, e l'incoraggiamento di piccoli cambiamenti nello stile di vita.

Molti gruppi di attivisti come Extinction Rebellion e Sunrise Movement considerano la nostra proposta di un mondo senza stati, confini, mercati, prezzi e denaro, come qualcosa per gli scrittori di fantascienza.

Tuttavia, gli attivisti ambientalisti più radicali ammetteranno che è necessario un cambiamento rivoluzionario su scala mondiale, una rivoluzione per rovesciare il capitalismo. Durante le marce ci sono sicuramente abbastanza cartelli e striscioni con lo slogan "Cambiamento del sistema, non cambiamento climatico".

sabato 4 aprile 2020

1920 - 2020 Risposte al compagno Errico Malatesta sulle differenze politiche tra socialisti e anarchici

Introduzione

Errico Malatesta (1853-1932) fu senz’altro il più celebre militante anarchico italiano del cinquantennio che va dalla morte di Michail A. Bakunin (1876) al consolidamento della dittatura fascista (1926) e, probabilmente, uno dei più rilevanti al livello mondiale insieme a Pëtr A. Kropotkin, Gustav Landauer, James Guillaume, Ricardo Mella, Alexander Berkman, Emma Goldman e Rudolf Rocker. Nel resto di questo breve articolo non proveremo neppure a riassumere l’avventurosa esistenza di Malatesta [1], tutta intessuta di progetti rivoluzionari, fallite insurrezioni, fughe precipitose, lunghi esili e non trascurabili periodi di detenzione carceraria. Una vita scomoda ma coerente dove, glissando su certe ingenuità giovanili (ad esempio, i fatti della banda del Matese del 1877), emerge l’elevata statura morale della persona che è eguagliata soltanto dalla fede salda nell’avvenire comunista libertario del genere umano. Al livello biografico c’interessa solo riassumere l’attività di Malatesta dalla fine della Grande Guerra (novembre 1918) alla Marcia su Roma (ottobre 1922), perché è proprio in questo quadriennio che si situano i due articoli ai quali intendiamo fornire adeguate risposte. Soltanto nel 1919, dopo diversi tentativi infruttuosi, Malatesta, esule nel Regno Unito dal 1914, riesce a ottenere un passaporto dal console italiano a Londra e a imbarcarsi a Cardiff per Taranto con l’aiuto di un influente sindacalista dei portuali italiani. In Italia gode subito di un’enorme popolarità, acclamato dalla folla (ma con sua grande irritazione!) come il “Lenin italiano”, e se ne avvantaggia durante un’intensa attività propagandistica che lo rende uno dei protagonisti più radicali del cosiddetto “Biennio Rosso” (1919-1920). I suoi intenti sono infatti sintetizzabili in quattro semplici linee d’azione: necessità di armarsi, necessità di un fronte unico dei sovversivi, necessità di far funzionare campi e officine in modo nuovo, necessità di passare dagli scioperi alle occupazioni. Punti che, almeno per qualche settimana durante l’Occupazione delle Fabbriche (settembre 1920), sembrano divenire finalmente attuabili.
Nel febbraio del 1920 fonda e dirige a Milano il quotidiano anarchico Umanità Nova, mentre nel luglio dello stesso anno è tra i protagonisti del congresso di Bologna dove si riorganizza l'Unione Anarchica Italiana e viene approvato il famoso “Programma Anarchico” [2], già abbozzato da Malatesta nel 1919. Viene però arrestato e recluso nel carcere di San Vittore dove, insieme ad altri detenuti, inizia uno sciopero della fame che mina le sue condizioni fisiche, riducendolo quasi in fin di vita. Tale sciopero viene sospeso solo dopo la famigerata “Strage del teatro Kursaal Diana”, avvenuta il 23 marzo 1921 e costata 21 morti e 80 feriti, per la quale vengono condannati Giuseppe Mariani, Ettore Aguggini, Giuseppe Boldrini e altri sedici anarchici individualisti che sostengono di aver agito proprio per protesta contro l’arresto immotivato di Malatesta e dei suoi compagni. Poco dopo Malatesta viene liberato ma, fortemente impressionato dalle conseguenze umane e politiche della strage, pubblica un articolo sull’Umanità Nova nel quale, pur mostrando una certa comprensione per gli esecutori materiali dell’attentato, critica gli atti di violenza indiscriminati. Continua a dirigere l’Umanità Nova (nel frattempo ridottasi a settimanale e trasferitasi a Roma dopo le devastazioni fasciste della redazione) fino alla fine del 1922, anno in cui Mussolini prende il potere e chiude d’autorità il giornale (22 novembre) che termina con il n. 196. Riprenderà le pubblicazioni soltanto nel secondo dopoguerra.

mercoledì 29 gennaio 2020

1920 - 2020 L’Occupazione delle Fabbriche e il mito della mancata rivoluzione socialista in Italia

Introduzione

Tra il 25 e il 30 settembre del 1920, esattamente un secolo fa, terminava il cosiddetto movimento di “Occupazione delle Fabbriche”, con gli operai che sgomberavano pacificamente gli stabilimenti riconsegnandoli agli industriali. Quasi contemporaneamente, il 2 ottobre, quando l'occupazione era da poco conclusa, il settimanale socialista torinese L’Ordine Nuovo pubblicava un editoriale [1] in cui, oltre ad ammettere la sconfitta dei lavoratori industriali, si accusavano i dirigenti sindacali e i burocrati di partito di esserne i responsabili. Finiva la cronaca ed iniziava già il mito, quello della mancata rivoluzione socialista in Italia. Una leggenda ancora largamente diffusa nella sinistra “radicale” italiana: dai leninisti agli anarchici, dai trotzkisti [2] ai bordighisti, dagli “operaisti” fino, addirittura, ad alcune frange più intransigenti della socialdemocrazia. Più in generale, tutto il periodo degli anni 1919 e 1920, noto in Italia con il nome pittoresco di “Biennio Rosso”, verrà visto da molti come un susseguirsi di possibili occasioni pre-rivoluzionarie nelle quali i lavoratori, potenzialmente e obiettivamente in grado di conquistare il potere politico ed economico, furono sistematicamente illusi e ingannati dai loro dirigenti partitici e/o sindacali. Traditi dai socialisti del PSI secondo gli anarchici, traditi dalla potente minoranza riformista della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) secondo i socialisti massimalisti, traditi sia, direttamente, dai riformisti sia, indirettamente, dai massimalisti secondo la cosiddetta “frazione astensionista” del PSI, che avrebbe di lì a poco formato il Partito Comunista d’Italia (PCdI) sotto la pressione della potente componente bolscevica russa del Komintern (Internazionale Comunista).    
Personalmente non siamo affatto d’accordo con questo ridicolo scaricabarile. La nostra tesi è radicalmente diversa: nel Biennio Rosso non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione socialista in Italia e nel resto dell’articolo cercheremo di spiegarne chiaramente le ragioni. Tuttavia, prima di cominciare, è necessaria una brevissima ma cruciale precisazione: anche se alcune delle nostre analisi di questo fenomeno storico sembreranno esteriormente simili a quelle apparse in quegli anni sulle colonne della rivista teorica riformista del PSI, la Critica Sociale di Filippo Turati, noi non siamo assolutamente dei riformisti. Anzi, all’opposto, pensiamo che il sistema capitalista non possa esser trasformato gradualmente nel suo successore storico, il Socialismo. In questo senso, pur riconoscendo che su alcuni singoli punti (la critica alla Rivoluzione d’Ottobre, il rifiuto dei moti insurrezionali violenti ecc. [3]) Turati e i suoi compagni interpretarono l’insegnamento di Marx ed Engels meglio dei loro avversari massimalisti e leninisti, non ne possiamo in alcun modo condividere scelta strategica di fondo: faticosi progetti parlamentari di leggi per la riforma sociale, lenta conquista politica dei comuni urbani con la conseguente creazione di cooperative e di aziende municipalizzate ecc., fino all’illusione finale di potersi alleare nel 1924 con la parte più “democratica” della borghesia in vista di un ipotetico fronte antifascista che salvasse il paese dalla dittatura mussoliniana. Come sono lontani i tempi (26 gennaio 1894) in cui Friedrich Engels in persona istruiva [4] il giovane avvocato Turati sui gravissimi rischi di un governo di coalizione tra partiti socialisti e forze politiche borghesi! Ma questa è proprio la parabola storica (1892-1925) del “primo riformismo italiano” che meriterebbe un approfondimento a parte e che esula, ovviamente, dal tema del presente articolo.

venerdì 28 settembre 2018

Macchine abbastanza intelligenti per una società intelligente

L’intelligenza artificiale sembra ora più che mai una realtà concreta.
Le macchine sono in grado di imparare in un modo simile a quello degli umani e di adattarsi a nuove situazioni, risolvendo problemi con un certo grado di imprevedibilità.
Una certa risonanza l’aveva avuta la vittoria di Google’s AlphaGo, un sistema di intelligenza artificiale, su il miglior giocatore di Go (Ke Jie). A differenza dal gioco degli scacchi, Go non è solo questione di logica, ma ha un certo grado di istinto.
L’intelligenza artificiale si fonda su machine learning, una branca affascinante delle scienze informatiche, che di recente ha visto un progresso considerevole, che ha rivitalizzato il concetto stesso di intelligenza artificiale. Per la prima volta l’intelligenza artificiale sembra più realistica di un film di fantascienza. Machine learning concerne in un algoritmo (una serie di regole) in grado di capire da un insieme di dati qual è il possibile risultato e ripetere questo procedimento fin quando il risultato preciso viene raggiunto. Queste capacità di allenarsi sui dati e di iterare il processo sono gli elementi che permettono di imparare, il buon vecchio metodo che procede per tentativi ed errori, ma fatto ad una velocità inimmaginabile. Per esempio, date 10 immagini (per esempio, volti umani), l’algoritmo impara a riconoscerle usando un numero limitato di caratteristiche (feature) pre-selezionate da un operatore umano (per esempio, dimensione del volto, colore, forma, dimensione del naso, ecc). La macchina quindi condensa tutte queste caratteristiche al minimo necessario per riconoscere l’immagine. L’algoritmo non indovina le immagini al primo colpo, ma, siccome paragona il suo risultato (stima) alle immagini manualmente etichettate da un operatore umano, riesce ad aggiustare il tiro e a provare iterativamente fin quando raggiunge una corrispondenza perfetta. In più, quando una nuova immagine è disponibile la macchina ora è allenata a riconoscerla. Questo è quello che noi umani già impariamo a fare in tenera età.

La rete neuronale artificiale è una branca di machine learning. Grazie a questa l’algoritmo ambisce a funzionare come i neuroni del cervello. Per dei determinati dati in ingresso (input), come delle caratteristiche che definiscono un’immagine, si vedano i volti umani dell’esempio precedente, diversi strati nascosti condurranno al risultato in uscita (output) più plausibile. Questo è il tipico approccio a scatola chiusa, ovvero che nessuno sa cosa succede al suo interno.
La macchina è in grado di riconoscere immagini, suoni, o altre cose solo perché l’uomo con il suo lavoro di etichettatura gli ha detto esattamente cosa sono. Tutte gli input hanno bisogno di un’etichetta.
Nulla di speciale fin qui, al contrario molto lavoro umano.
La cosa incomincia a farsi interessante quando questi algoritmi diventano capaci di imparare senza supervisione umana (senza etichette). Questi sono algoritmi a strati multipli, anche conosciuti come deep learning (ad apprendimento avanzato). Per esempio si immagini di applicare un algoritmo che ha imparato a riconoscere tipi di cane a tipi di gatto, ma in quest’ultimo caso senza dare riferimenti (etichette) o caratteristiche che dicano all’algoritmo come distinguerli. L’algoritmo estrarrà le caratteristiche basandosi su quelle ereditate dai dati, e userà la ‘conoscenza’ acquisita nel riconoscere i tipi di cane. Deep learning è la prima, anche se rudimentale, concretizzazione di intelligenza artificiale. Il passo verso l’auto-apprendimento è un importante passo in avanti nella tecnologia. Alcuni si spingono a dire che questa sia la nuova rivoluzione industriale. Ciò nonostante, deep learning richiede un enorme quantità di dati (big data), computer ad alta capacità di computazione e ovviamente la possibilità di conservare tutti questi dati. Tutto ciò non cade dal cielo, ma richiede un’enorme quantità di lavoro umano.
I sevizi open-source (libero accesso), le piattaforme tipo Google e Android, le API (interfaccia) aperte hanno facilitato il progresso visto in deep learning rendendo possibile la generazione di tanti dati e in alcuni casi condividendo il lavoro e i suoi frutti. I dati diventano così preziosi che la privacy delle persone dalle quali questi provengono è spesso ignorata (si veda Facebook o casi simili), obbligando i governi a mettere dei paletti (si veda il recente General Data Production Regulations).

Per la prima volta, dei lavori ‘specializzati’ rischiano di essere sostituiti da macchine intelligenti. È un problema? Alcuni sindacati parlano di una tassa sui robot, per compensare per i lavori che questi toglieranno agli uomini. Altri mettono in discussione la teoria del lavoro-valore di Marx, se il lavoro umano non è più parte del processo produttivo. Però, la ragione vera e propria di un sistema non basato sullo sfruttamento del lavoro umano è avere macchine che facciamo la stragrande maggioranza del lavoro o se possibile tutto il lavoro per noi. Nella logica della teoria del lavoro-valore è chiaro che se gli uomini non fossero coinvolti nella produzione di beni e servizi, la composizione organica del capitale (capitale fisso/capitale variabile) verrebbe intaccata, rimanendo solo capitale fisso, influenzando anche il saggio di profitto (plusvalore/capitale fisso + capitale variabile), potenzialmente tendendo a zero. In altre parole, se gli uomini non lavorassero, non riceverebbero un salario, e non sarebbero in grado di comprare le merci prodotte. Grazie al fattore tempo e all’interconnessione dei settori produttivi, questo esaurimento di valore di scambio non accadrebbe tra la notte e il giorno. Infatti, fino a che ci saranno lavoratori con un salario adeguato, e capitalisti con profitti adeguati, a chiudere il ciclo produttivo con la vendita delle merci prodotte, il profitto delle industrie completamente automatizzate non sarebbe zero. Inoltre, il valore astratto cristallizzato nella produzione dei robot e della loro capacità di auto-apprendimento originariamente è stato generato da lavoro umano. Nonostante ciò più cicli produttivi verranno condotti in piena automazione, meno profitto sarà generato.

La domanda rimane: questo progresso sarà la fine naturale del capitalismo? No. Influenza di sicuro le crisi economiche e la povertà di massa come ha sempre fatto. Il capitalismo però non collasserà da solo, si adatterà. Non tutti i lavori saranno rimpiazzabili. I lavori più psicologici saranno ancora condotti dagli uomini. Il capitalismo continuerà con le sue contraddizioni e marcate disparità. L’automazione in una società capitalista significherà cambiamenti nei modelli di occupazione e disoccupazione, mentre in una società socialista, potrà liberare l’uomo dal lavoro manuale atto a produrre beni e servizi. Permetterà all’uomo di acquisire abilità e di migliorare la società. Ciò nonostante non ci siamo nemmeno avvicinati a quel grado di automazione.
CESCO
(dal Socialist Standard di Luglio, 2018)

venerdì 30 dicembre 2016

Come potrebbe essere il socialismo?

Il socialismo sarà una società globale basata sulla proprietà comune e sul controllo democratico delle risorse naturali e industriali del mondo. Ma ciò come potrebbe funzionare? Come saranno interessati la produzione, il processo decisionale e la cultura?

La produzione

Ci sarà una completa trasformazione nel calcolo delle risorse, e nelle collegate produzione e distribuzione. Nel capitalismo gli articoli della ricchezza (merci) sono prodotti per essere venduti e acquistati sui mercati, per un profitto. Questo commercio di merci genera: sprechi; inquinamento ed esternalità; sovrapproduzione e sottoproduzione; obsolescenza programmata; quantità a scapito della qualità; crisi e boom economici; povertà nell’abbondanza; occupazione per alcuni e spreco di potenzialità umane per i più; e ricchezza oscena per pochi.

Senza produzione di merci e senza commercio non ci saranno nessun valore di scambio e nessun prezzo, solo i dati di input e di output delle risorse e dei bisogni umani. Il processo decisionale avrà lo scopo di assicurare che ci sia sufficiente controllo delle scorte per soddisfare le esigenze proiettate attraverso il calcolo in natura.

Questo processo decisionale comprenderà anche: valutazioni di impatto ambientale; elevato standard di controllo di qualità e di durata; riciclaggio positivo - dove i prodotti saranno deliberatamente progettati in modo da garantire che durino più a lungo e quando avranno perso la loro utilità tutte le loro componenti saranno facilmente riciclati in altri prodotti utili; e le distanze di trasporto per la distribuzione dei beni in modo che sia utilizzato il percorso più breve possibile. Tale efficienza di calcolo assicurerà che l’energia richiesta dalla produzione di beni e servizi sarà mantenuta al minimo e promuoverà l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili [e pulite].    

Il processo decisionale

In questo ambito il sistema sarà una democrazia partecipativa con l’uso di delegati. Nel capitalismo i partiti politici rappresentano interessi campanilistici, all’interno della classe capitalista. Tutti questi partiti sono in competizione per il controllo politico dello stato e del suo apparato di governo. Senza interessi di classe da rappresentare quando ci sarà la proprietà comune, non ci saranno partiti politici o apparato statale. Ciò nonostante, le questioni principali saranno gestite con decisioni prese su ciò che è il miglior modo di agire per ottenere un esito positivo.

Un processo decisionale dal basso che richiede partecipazione volontaria non può essere imposto da una gerarchia o da un’avanguardia, altrimenti il concetto diventa privo di significato. La struttura base è costituita dalle assemblee di comunità o di quartiere, riunioni faccia a faccia in cui i cittadini si riuniscono per discutere e votare sulle questioni del giorno, ciò non significa che sarà necessario votare su ogni questione in quanto la maggior parte del lavoro quotidiano svolto sarà di routine. Queste assemblee eleggeranno dei delegati con mandato e revocabili che poi si collegheranno con altre assemblee formando un consiglio confederale, una “comunità di comunità”. La differenza tra questa forma di democrazia con delegati e la nostra attuale forma di democrazia rappresentativa è che in quest’ultima il potere è dato quasi interamente al rappresentante che poi è libero di agire di propria iniziativa. In una democrazia con delegati l’iniziativa è imposta dal corpo elettivo e il delegato può essere richiamato in qualsiasi momento nel caso in cui il corpo elettivo sentisse che il suo mandato non fosse seguito, quindi il potere rimane al popolo.

La cultura

A causa dell’impatto della proprietà privata sulla comunità globale ci sarà perfino più di un incremento nelle scelte e nelle possibilità culturali di quanto ce ne siano sotto il capitalismo. Senza le restrizioni dei rapporti sociali conformati alla proprietà privata, gli individui e le comunità saranno in grado di concentrarsi su una celebrazione continua della libertà di espressione – che porterà a un incremento delle diversità culturali.

Le attività ricreative probabilmente aumenteranno nella portata e diminuiranno in termini di dimensioni. Attualmente, i pacchetti vacanza sono il modo più economico di prendere una pausa dalla fatica e dalla monotonia della linea di produzione o dell’ufficio, sono la forma più popolare di vacanza.  

Nel socialismo, dove il principio del libero accesso è alla base della proprietà comune dei mezzi di vita, le nostre possibilità e scelte su viaggi e vacanze sarebbero estese e influenzate dal contributo positivo che possiamo dare alla località che stiamo visitando. E con i pacchetti vacanza e il turismo di massa diventati una cosa del passato, è probabile che le vacanze nel socialismo non sarebbero limitate entro un arco di tempo che va dai 10 ai 14 giorni di edonismo frenetico, ma trasformate in una opportunità unica di soggiornare in un luogo particolare per tutto il tempo necessario per capire la storia e la cultura della regione.

La natura umana

Ma tutto questo non sarebbe contro la natura umana? No. I socialisti fanno una distinzione tra la natura umana e il comportamento umano. Che le persone siano in grado di pensare e di agire è un fatto di sviluppo biologico e sociale (natura umana), ma come esse pensino e agiscano è il risultato di specifiche condizioni sociali storiche (comportamento umano). La natura umana cambia, se non del tutto, su vasti periodi di tempo; il comportamento umano cambia in base alle condizioni sociali mutate. Il capitalismo essendo essenzialmente competitivo e predatore, produce modi di pensare e di agire viziosi e competitivi. Ma noi esseri umani siamo in grado di cambiare la nostra società e di adattare il nostro comportamento, e non vi è alcun motivo per cui il nostro desiderio razionale per il benessere e la felicità umani non dovrebbe permettere di realizzare e gestire una società basata sulla cooperazione. 

I bisogni hanno una dimensione fisiologica e storica. I bisogni fisiologici primari derivano dalla nostra natura umana (per es. il cibo, il vestiario e il riparo), ma i bisogni storicamente condizionati derivano dallo sviluppo delle forze produttive. Nel capitalismo i bisogni sono manipolati dall’imperativo di vendere merci e accumulare capitale; i bisogni fisiologici primari quindi assumono la forma storicamente condizionata di “bisogni” come per qualsiasi altra cosa che i capitalisti possono venderci.

L’evoluzione sociale suggerisce che nessun modo di produzione è scolpito nella pietra e che dinamiche del cambiamento riguardano anche il capitalismo come sistema sociale. Studi dei sistemi sociali con rapporti sociali distinti legati e corrispondenti al loro specifico modo di produzione hanno identificato, per esempio, il comunismo primitivo, la schiavitù, il feudalesimo e il capitalismo. Tutte queste società mutarono da una a un’altra a causa delle contraddizioni insite in quella società e anche a causa dello sviluppo tecnologico a cui ogni società non è stata in grado di adattarsi. Il capitalismo ha raggiunto questo punto più di un secolo fa. È il momento di passare al socialismo.

(Traduzione da The Socialist Standard, ottobre 2016)

sabato 25 aprile 2015

Dove ci guidano i leader

Traduciamo questo interessante articolo dei compagni del “Socialist Party of Great Britain” rivolto criticamente a uno dei vari gruppi britannici della cosiddetta “estrema sinistra”, poiché le considerazioni dell’autore si applicano in maniera abbastanza puntuale anche a quello che accade nel nostro paese per ciò che concerne la galassia dei partitini leninisti, trozkisti, stalinisti e maoisti: da “Lotta Comunista” al “Partito Comunista dei Lavoratori”, da “FalceMartello” fino al “Partito Comunista - Sinistra Popolare” e al “Bolscevico”. Con in più l’aggravante che in certi casi al discutibile metodo di Lenin se ne è sostituito da noi uno ancora peggiore: il cosiddetto “centralismo dialettico”, dove non vi sono più né congressi né votazioni, ma tutto avviene per pura cooptazione da parte della dirigenza. Direttamente la prassi di una setta esoterica o religiosa...
 
Piuttosto noto nel Regno Unito per le sue imprese, per i suoi banchetti in strada e per il suo attivismo studentesco, il Socialist Worker Party (SWP, https://www.swp.org.uk/) britannico soffrì un paio di anni fa di un notevole arretramento che condusse a un vero e proprio esodo dei suoi militanti. Uno di questi era Ian Birchall, biografo del fondatore del gruppo Tony Cliff e già componente della dirigenza del partito. Era stato membro dell’SWP e del suo gruppo predecessore, l’International Socialism (IS), per oltre cinquant’anni. Lo scorso dicembre ha pubblicato nel suo blog alcune riflessioni [1] su cosa è andato storto nel partito.
Quando venne formato negli anni ’50 come gruppo trotzkista che riconosceva la natura capitalista della cosiddetta URSS (cosa che noi ben sapevamo da parecchio tempo...) l’IS era organizzato allo stesso modo di molti altri gruppi di sinistra del Regno Unito: i suoi membri erano tutti affiliati al Partito Laburista e si definivano “laburisti di sinistra”. Poi negli anni ’60 le cose iniziarono a cambiare: uscirono dal Partito Laburista e nel 1968 Cliff decise che era il momento di riorganizzare il gruppo secondo linee guida leniniste più rigorose. Era stato lo sciopero generale in Francia di qualche mese prima a spingerlo in questa direzione. Tipicamente, da buon trotzkista, Cliff attribuiva l’impossibilità di arrivare alla rivoluzione socialista all’assenza di un partito rivoluzionario che guidasse i lavoratori in sciopero (non che la rivoluzione socialista fosse il reale obiettivo dello sciopero, tuttavia esso era effettivamente un successo da un punto di vista sindacale). Concluse quindi che ciò che i “rivoluzionari” dovevano fare alla luce di questo evento era di organizzarsi apertamente secondo le linee guida del partito bolscevico di Lenin, che, per lui e per la leggenda trotzkista, aveva condotto a una rivoluzione socialista vittoriosa (benché questa fosse successivamente degenerata in un brutale capitalismo di stato...).
Lenin aveva esposto le sue idee su come doveva essere organizzato un partito rivoluzionario nel noto opuscolo del 1903 intitolato “Che fare?”, dove proponeva un partito di rivoluzionari professionisti a tempo pieno che dovevano cercare di guidare i lavoratori e i contadini formulando parole d’ordine populiste che riflettessero il livello di comprensione che “le masse” erano considerate in grado di raggiungere. Ciò poteva avere un senso come strategia per rovesciare un regime retrogrado e autocratico quale lo zarismo. Come accadde, il regime zarista collassò per conto suo sotto la pressione della Prima Guerra Mondiale, ma la forma organizzativa di Lenin contribuì non poco alla presa del potere politico da parte dei bolscevichi dopo il crollo dello zarismo. Tale successo spinse Lenin a proclamare che quello bolscevico era l’unico modo in cui i rivoluzionari si dovevano organizzare, anche nei paesi capitalisti sviluppati là dove esisteva una stabile democrazia politica.
Così nel 1968 i membri dell’IS cambiarono nome sui loro documenti ufficiali da “lavoratori laburisti” a “lavoratori socialisti” e, più importante, abbandonarono la loro precedente struttura organizzativa dove la linea politica era decisa da una congresso di delegati di sezione che votavano mozioni proposte dalle sezioni e dove i membri del comitato esecutivo erano eletti individualmente. Tutto questo fu messo da parte e venne introdotto il sistema della “lista bloccata” che aveva usato il partito bolscevico e che era stato ereditato dal PCUS in Russia (sì, anche in questo il leninismo condusse allo stalinismo...). Con tale sistema la dirigenza (l’“ufficio politico”,il  “comitato centrale” o come vogliamo chiamarla) viene eletta in blocco al congresso di partito. I delegati non votano per i singoli candidati, ma per la lista (o “blocco”) che contiene tanti nomi quanti sono i posti vacanti. In teoria ci potrebbero essere più liste, ma in pratica non ce ne sono (e non ce ne sono mai state). Nell’SWP (come nell’URSS) ce n’era una sola, quella proposta dalla dirigenza uscente. Piuttosto che proporre una lista rivale, gli oppositori della dirigenza preferivano abbandonare il partito e formare un altro gruppo organizzato nello stesso modo (questo spiega la proliferazione di gruppi trotzkisti...). Si può vedere facilmente come sia una ricetta per la nascita di una dirigenza che si auto-replica. Cosa che infatti è puntualmente accaduta, come nota Birchall:
“Gli eventi recenti hanno mostrato i limiti del sistema della ‘lista bloccata’. È diventata un metodo con cui il Comitato Centrale può riproporsi per la rielezione all’infinito, cooptando singole persone designate quando serve.”
Ma anche nell’SWP vi è un’altra conseguenza:
“Inoltre è emersa pure l’idea della carriera: compagni, in generale ex-studenti, diventano funzionari a tempo pieno e, se hanno successo, entrano nell’apparato e divengono membri del Comitato Centrale. Così abbiamo un Comitato Centrale quasi interamente composto da persone che hanno speso la gran parte della loro carriera politica come funzionari a tempo pieno e hanno quindi una limitatissima esperienza lavorativa e sindacale.”Il sistema delle liste bloccate era applicato persino per eleggere i delegati di sezione al congresso di partito:
“Negli anni ’80, quando esistevano direttivi di sezione vigorosi, tali direttivi stabilivano le liste dei delegati al congresso di partito. Se ovviamente in teoria era possibile per i membri proporre liste alternative, questo era malvisto e, in pratica, era alquanto raro far porre all’ordine del giorno del congresso di sezione il punto in cui si raccoglievano le candidature per divenire delegati al congresso di partito. In pratica andava bene quello che faceva il direttivo: era ciò che accadeva normalmente.” Così l’SWP finì per essere un’organizzazione verticista gestita da un gruppetto di dirigenti che si auto-replicava.
Forse sorprende che Birchall non concluda che questo fosse il risultato inevitabile del sistema delle “liste bloccate”, un punto chiave nel concetto di partito leninista di avanguardia. Egli pensa ancora a un partito di rivoluzionari di professione organizzato in modo leninista. Non ce l’ha con la teoria, ma con come è stata applicata nell’SWP: burocraticamente invece che democraticamente. Però per lui “democrazia” non significa una procedura decisionale, ma soltanto un mezzo per informare la dirigenza in modo tale che possa formulare la politica migliore da perseguire e le parole d’ordine più adeguate da proporre ai lavoratori affinché le seguano:
“...una dirigenza rivoluzionaria necessita di sapere cosa accade nella classe lavoratrice. Non lo può fare leggendo il ‘Financial Times’; deve ascoltare i compagni radicati nella varie sezioni della classe che possono riportare quello che succede nella base. Come diceva Cliff: ‘...devono imparare dai loro compagni lavoratori quanto più possibile e persino in misura maggiore di quanto devono insegnare loro. Ripetendomi: il compito è dirigere e per dirigere dovete comprendere in pieno quelli che state dirigendo’.” Questa non è democrazia in nessun senso compiuto. Si sta ancora dicendo che la classe dei salariati e degli stipendiati è incapace di liberarsi da sé e che quindi necessita di un’avanguardia che si è autonominata. Si rifiuta ancora l’idea che il socialismo, in quanto società completamente democratica, possa esser stabilito solo democraticamente, sia nel senso di esser quello che vuole la maggioranza, sia nel senso di utilizzare metodi democratici. Per arrivare al socialismo la classe dei salariati e degli stipendiati necessita certamente di organizzarsi per conquistare il potere politico, per esempio in un partito politico, ma in un partito democratico, e non di seguire un partito di avanguardia o altri possibili capi.
Però c’è una cosa che Birchall sembra aver capito dopo più di cinquant’anni vissuti da trozkista-leninista:
“La cosa importante in questo momento è la battaglia delle idee, come disse William Morris: ‘il nostro compito particolare sarebbe quello di creare dei Socialisti’.” È una citazione dallo “Statement of Principles of the Hammersmith Socialist Society” stilato nel 1890. Ed è ciò che andiamo dicendo noi del “Socialist Party of Great Britain” da più di cento anni.

ADAM BUICK

tratto da “Socialist Standard”  pp. 16 e 17 , n. 1326, vol. 111, febbraio 2015. Tradotto in italiano il 12 aprile 2015.

NOTE
[1] http://grimanddim.org/political-writings/2014-so-sad/


K. Marx o V. I. Lenin? Il primo nel 1864 scrisse che “l'emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera dei lavoratori stessi”, mentre il secondo nel 1903, con l’opuscolo “Che fare?”, inventò il partito bolscevico di avanguardia: costituito da sedicenti “rivoluzionari di professione” (in genere studenti o intellettuali stipendiati con le quote dei lavoratori) sarà il germe di tutta la futura nomenklatura sovietica, rapace, repressiva e autoritaria. Il marxismo-leninismo non esiste: è una contraddizione in termini!

martedì 26 agosto 2014

Cosa c'è di male nell'usare il parlamento?

Il Movimento Socialista Mondiale (MSM) v’invita a leggere la traduzione italiana dell’opuscolo redatto dal Socialist Party of Great Britain (SPGB) e intitolato ”What’s wrong with using the Parliament?”. La questione dell’utilizzo del Parlamento è cruciale per il nostro movimento in quanto, non solo ci distingue dagli altri movimenti marxisti, ma è un nostro principio cardine che ha suscitato, suscita e susciterà implacabili discussioni. A causa, ma noi diremo grazie, a questo principio, diversi marxisti e anarchici, anche se vicini alle posizioni antileniniste del MSM, declinano la loro adesione al nostro movimento poiché sono dell’idea che il Parlamento resti sempre uno strumento di dominazione borghese non utilizzabile per la causa socialista. La traduzione che presentiamo qui si pone proprio lo scopo di controbattere questa, come anche altre critiche rivolteci.
In più la frazione Italiana del MSM coglie quest’occasione per approfondire alcuni punti non (o poco) trattati nell’opuscolo in inglese. Abbiamo a questo proposito condotto una piccola intervista ad Adam Buick, co-autore del lavoro originale, della quale riportiamo la traduzione. Si consiglia comunque la lettura della traduzione dell’intero opuscolo prima di quella dell’approfondimento che riportiamo qui sotto.


Approfondimento

Redazione: Cosa ne pensi di questi movimenti emergenti che usano internet per diffondere e praticare la democrazia diretta? Sono tutti, in un modo o nell’altro, riformisti. Ad ogni modo l’uso di internet può essere uno strumento efficace per l’organizzazione della futura società socialista. Pensi che questo tipo di democrazia diretta possa scavalcare l’attuale sistema politico basato sulle elezioni? 
 
Adam: Sono certo che alcune forme di democrazia diretta per via elettronica avranno il loro spazio nella struttura democratica della futura società socialista, ma non penso che la democrazia diretta sia il miglior modo di prendere le decisioni. Questi strumenti vanno bene per decisioni su questioni di principio che richiedono un sì o un no come risposta, ma molte questioni sono molto più complesse con vari tipi di alternative o soluzioni di compromesso. Ecco perché una democrazia per delega, dove c’è un Consiglio o un Comitato eletto che prende le decisioni, è più appropriata nei casi complessi che saranno, a parer mio, la maggior parte delle situazioni. Certo è che coloro i quali verranno eletti nei Consigli o nei Comitati dovranno rendere conto ai loro elettori e saranno soggetti ad ogni tipo di controllo e di verifica.
 
Redazione: Nel leggere quest’articolo un lettore potrebbe pensare che i movimenti leninisti, così come alcuni di quelli anarchici, agirebbero contro una rivoluzione socialista una volta che questa si presenti, essendo questi movimenti così occupati a farsi la guerra tra loro. È questo ciò che s’intendeva nell’articolo? Se sì, dovrebbe essere questa la motivazione principale per abbandonare tali movimenti e unirsi al nostro?   
 
Adam: Non sono sicuro che quando il movimento socialista prenderà forma come movimento di massa ci saranno molti leninisti o anarchici in giro. Penserei invece che molti di loro faranno parte di un movimento più grande, forse discutendo le loro posizioni assieme a tutti gli altri.
 
Redazione: È abbastanza chiaro dall’opuscolo che senza la maggioranza della gente che voti per l’autentico partito socialista attraverso mezzi democratici, il socialismo non potrà essere instaurato. Tuttavia il capitalismo è nazionalista e promuove le nazioni (come entità). Cosa succederebbe quindi se la maggioranza si raggiungesse solo in una o in poche nazioni? Come potrebbe prendere tempo il partito socialista senza cadere della trappola del riformismo? 
 
Adam: Questa domanda è stata fatta molte altre volte e una risposta si può trovare nel nostro vecchio opuscolo “la domanda del giorno”:

(http://www.worldsocialism.org/spgb/pamphlets/questions-day#soc_less_dev):

“Ai socialisti viene spesso chiesto di un altro aspetto dello sviluppo diseguale. Questo si rifà alla possibilità che un movimento socialista possa essere più sviluppato in un paese che in un altro e in grado di poter prendere il controllo del sistema di governo prima che lo siano analoghi movimenti socialisti in altre parti del mondo.
Tralasciando per il momento la questione se tale situazione sia realistica o meno, possiamo già dire che non presenta problemi quando è vista nella cornice del carattere mondiale del movimento socialista. Giacché i governi capitalisti sono organizzati su base territoriale, ogni organizzazione socialista ha il compito di guadagnare democraticamente il controllo nel paese dove opera. Questo però avviene meramente per convenienza organizzativa: c’è un solo movimento socialista, del quale le diverse organizzazioni socialiste sono parti integranti. Quando il movimento socialista crescerà ulteriormente, i suoi attivisti saranno completamente coordinati dall’organizzazione mondiale. Se si considera la situazione in cui i socialisti organizzati di una sola parte del mondo siano nella posizione di prendere il controllo del sistema di potere governativo, la decisione sulle azioni da compiere sarà presa unanimemente dal movimento socialista mondiale alla luce di tutte le circostanze del caso.

Rimane il caso se, in effetti, ci saranno differenze materiali nel ritmo di crescita delle varie sezioni del movimento socialista. Al momento, nei paesi capitalisti avanzati, la vasta maggioranza, poiché non è socialista, condivide alcune idee base su come la società può e dovrebbe essere governata. Tale massa accetta che i beni siano prodotti per la loro vendita al fine di accumulare profitto, che alcuni debbano lavorare per uno stipendio mentre altri debbano essere i padroni; che ci siano forze armate e confini; che non si possa fare a meno dei soldi e della compravendita. Queste idee sono condivise dalla gente in tutto il mondo e su questo si basa la stabilità del capitalismo nella nostra epoca.

Engels sottolineò che un periodo rivoluzionario esiste quando la gente comincia a rendersi conto che quello che pensava fosse impossibile, può in effetti essere realizzato. Quando la gente capirà che è possibile avere un mondo senza confini, senza salari e profitti, senza padroni e forze armate, allora la rivoluzione socialista non sarà molto lontana. Ma questo progresso nella conoscenza politica sarà raggiunto dalle stesse persone che ora pensano che il capitalismo sia l’unico sistema possibile. Poiché i lavoratori di tutto il mondo vivono in condizioni simili e, grazie anche ai moderni sistemi di comunicazione, quando questi incominceranno a vedere oltre il capitalismo, questo avverrà ovunque. Non c’è ragione alcuna di pensare che solo i lavoratori di un paese vedano questo, mentre quelli degli altri paesi no.
L’idea vera e propria di socialismo, ossia di una nuova società, è chiaramente e inequivocabilmente un rifiuto di tutti i nazionalismi. Quelli che diventeranno socialisti si renderanno conto di questo e anche dell’importanza di unirsi ai lavoratori di tutti i paesi. L’idea socialista è tale che non si può diffondere in modo non uniforme.
Quindi i partiti socialisti saranno nella posizione di prendere il controllo politico nei paesi industrialmente avanzati in intervalli di tempo piuttosto ravvicinati. È concepibile che in alcuni paesi meno sviluppati economicamente, dove la classe lavoratrice è meno numerosa, i pochi capitalisti privilegiati possano essere in grado di conservare la loro posizione di classe un po’ più a lungo. Ma non appena i lavoratori avranno vinto nei paesi avanzati, daranno tutto l’aiuto possibile ai loro compagni negli altri paesi.”

 

Per concludere, cogliamo l’occasione per ringraziare Adam Buick e per sottolineare l’importanza della divulgazione delle idee socialiste in tutte le lingue, che non deve conoscere confini o barriere di sorta.

Lavoratori, disoccupati, studenti e pensionati di tutto il mondo, unitevi! Un mondo diverso e migliore è possibile, incominciate a immaginarlo!

sabato 7 giugno 2014

Che cosa intendiamo per “rivoluzione”?

Qualsiasi cosa si possa pensare del conduttore radiofonico Russell Brand, almeno ha reintrodotto la parola ‘rivoluzione’ nel vocabolario politico. Ma che cos’è una ‘rivoluzione’?

Una buona definizione del termine “rivoluzione” è stata data dal socialista britannico del periodo vittoriano William Morris in una conferenza del 1884, pubblicata successivamente in forma di opuscolo con il titolo “Come viviamo e come potremmo vivere”. Morris scrive:
«La parola Rivoluzione, che noi Socialisti siamo così spesso obbligati a usare, ha un suono terribile agli orecchi di molta gente, anche se abbiamo spiegato loro che non necessariamente significa un cambiamento accompagnato da rivolte e da ogni sorta di violenze, e che non può significare un mutamento fatto meccanicamente, a dispetto dell’opinione pubblica, da un gruppo di uomini che sono riusciti in qualche modo a prendere momentaneamente il potere esecutivo. Anche se spieghiamo che usiamo la parola “rivoluzione” nel suo senso etimologico e che intendiamo con essa un cambio delle basi della società, la gente ha paura dell’idea di un cambio così vasto e implora che si parli di riforme piuttosto che di rivoluzione».
Una rivoluzione, allora, è “un cambio delle basi della società”, accompagnato o no dalla violenza (in effetti Morris pensava che ci sarebbe stata), un cambio che deve essere piuttosto rapido implicando una netta rottura con la società esistente. Il mutamento delle basi della società che i socialisti prospettano, è un mutamento di ciò che esiste oggi, dove la società è basata sulla proprietà e sul controllo dei mezzi di produzione della ricchezza (tramite cui la società stessa sopravvive) da parte di una esigua minoranza di individui abbienti, di società per azioni e di stati. Vogliamo passare da questa situazione a una dove i mezzi di produzione sono divenuti la comune eredità di tutti, per esser usati, sotto controllo democratico, per il beneficio di tutti. Un cambiamento da una società classista a una società senza classi. Un cambiamento dal capitalismo al socialismo.

venerdì 27 settembre 2013

Socialismo Mondiale n. 0

Perché Socialismo Mondiale? Perché il sistema socio-economico dominante, il capitalismo, é un sistema che non funziona. Come non hanno funzionato e non funzioneranno tutti i tentativi di migliorarlo. Questa non è solo un'opinione ma vi sono più di due secoli di storia a dimostrarlo. Per sua natura il capitalismo risponde prima di tutto al profitto generando "anarchia" nella produzione, che è la causa delle crisi cicliche del sistema stesso. Mentre la gente continua ad avere sempre gli stessi bisogni base: sfamarsi, vestirsi, avere un tetto sotto il quale rifugiarsi, questo sistema fatto di interessi, affitti, prestiti, magri stipendi e disoccupazione non si cura di tali bisogni, calpestando ogni dignità umana.
 "il denaro, il fango ed il sangue scorrono insieme...L'aristocrazia finanziaria (n.d.r. i banchieri, i cavalieri del lavoro etc), nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione del sottoproletariato (n.d.r. inteso qui come delinquenti e prostitute) alla sommità della società borghese". Questo lo scriveva Karl Marx nel 1850, ma sembra che nulla sia cambiato. Di fronte a questo lerciume la borghesia grida alla corruzione e invece di inveire contro il sistema economico che ne è la causa si rivolta contro il malcostume della classe politica. Cari lavoratori, ripulire la classe politica è un buon esercizio d'intrattenimento di massa, che ci mostra solo quel che sappiamo già, ovvero, che la classe politica altro non è che una cricca al soldo del potere economico. Quel che veramente deve cambiare è l'amministrazione dei mezzi di produzione e la distribuzione dei prodotti. Noi lavoratori di tutto il mondo dobbiamo unirci nella lotta per un sistema dove ognuno contribuisca secondo le proprie capacità e riceva secondo i propri bisogni. Noi non crediamo che una minoranza illuminata ci possa portare, come una mandria, verso i verdi pascoli del socialismo. Il socialismo è un sistema democratico e così deve essere il suo movimento costituente. La rivista Inglese Socialist Standard ha rappresentato e rappresenta un baluardo di questo modo di pensare. Quindi è con gran piacere che presentiamo questa raccolta di traduzioni di articoli tratti da questa storica rivista. Se siete interessanti in un mondo migliore spendete un po' del vostro tempo a leggere questi articoli, e contattateci pure per condividere la vostra opinione. 

sabato 9 febbraio 2013

Un capitalismo nazionale o un socialismo mondiale?

Questo mese milioni di elettori italiani sono chiamati a votare per le elezioni nazionali. Saremo di fronte a una scelta di candidati apparentemente vasta – liberali, ex democristiani, repubblicani, nazionalisti, razzisti, leghisti, ex fascisti, socialdemocratici, verdi, ex comunisti, trotzkisti e altri sinistroidi che asseriscono di essere socialisti – ma di fatto tutti loro puntano a mantenere, in una forma o in un’altra, il sistema capitalista della padronanza statale o privata e della produzione per il profitto. 
Le differenze tra loro sono attinenti al modo in cui si amministra questo sistema. Alcuni vogliono più intervento statale, alcuni ne vogliono di meno; ma nessuno vuole andare oltre il sistema retribuzioni-prezzi-profitti. Tutti vogliono mantenere la produzione per il mercato, acquisto e vendita, denaro e lavoro per i salari/stipendi. Nessuno di loro – perfino quelli che si definiscono “socialisti”– stanno per il socialismo nel suo originale significato di una società basata sulla proprietà comune e sul controllo democratico, con produzione per uso senza profitto e con una distribuzione senza denaro in concordanza con il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.

sabato 29 ottobre 2011

Il futuro cupo del capitalismo

Questo articolo offre numerosi spunti, ed è conforme alle idee del MSM in larghissima parte.
Su un punto però il  MSM la pensa in maniera diversa: esso ritiene che la precondizione necessaria perché il socialismo possa essere instaurato è che la vasta maggioranza della popolazione, a livello mondiale o quantomeno  nei paesi più sviluppati, abbia compreso cos'è il socialismo e abbia la volontà di realizzarlo. Senza questa vasta maggioranza, il socialismo non può proprio essere instaurato. Una volta che questa vasta maggioranza ci sarà, la via principe per instaurare il socialismo sarà quella elettorale (in termini di democrazia diretta). Ciò non vuol dire che il passaggio al socialismo sarà delegato, per via elettorale, ad una avanguardia dei lavoratori, ma al contrario che ognuno dovrà prendere parte in questo processo, e cioè che il voto è inteso dal MSM come strumento di accordo sociale.

sabato 4 giugno 2011

Il sistema del profitto

Pochissime persone negherebbero che lo stato attuale del mondo lasci molto a desiderare. L’umanità barcolla da una crisi all’altra – un continuo susseguirsi di guerre, carestie, depressioni, repressioni…
Il capitalismo ha sviluppato un’enorme capacità produttiva, ma la sua organizzazione e i suoi rapporti sociali causano problemi estremamente seri e lo rendono incapace di soddisfare i bisogni fondamentali della sua gente.

Un vasto ammontare delle risorse del mondo è speso nella produzione di armi da guerra, da pallottole e baionette ad armi nucleari e chimiche. Accanto a queste armi vi sono le forze armate che ogni stato organizza, veste, nutre, addestra e schiera. Questo è uno spreco massiccio di sforzi umani; è tutto volto ad essere distruttivo e niente a creare qualcosa di utile per gli esseri umani.

In un mondo che potrebbe produrre più che a sufficienza per nutrire e prendersi cura della sua popolazione milioni di persone sono senza abitazione e decine di milioni muoiono ogni anno perché non hanno abbastanza da mangiare o per mancanza di opportuno trattamento medico. Nulla di tutto questo è necessario. Succede mentre i coltivatori in Europa e nel Nord America sono pagati per tenete la terra incolta; talvolta perfino il cibo che è stato prodotto viene distrutto o lasciato marcire. Ciò ha senso per la logica del profitto, ma in termini di interessi umani è selvaggiamente folle.

L’ambiente è sempre più minacciato dall’inquinamento e dalla distruzione di alcune delle sue caratteristiche vitali naturali ed ecologiche. Sentiamo avvertimenti ben informati di un disastro incombente, se non agiamo per sradicare il problema, ma questi avvertimenti sono sempre affrontati con l’obiezione che salvare l’ambiente può essere un’attività costosa e a danno del profitto. Non sarebbe necessario per l’industria e l’agricoltura espellere sostanze nocive nell’aria, nella terra, nei fiumi e nei mari. Fanno questo oggi perché l’inquinamento è visto come la scelta più economica, il che significa più profitti facili, e in una società dove il profitto è la motivazione dominante per la produzione quella è una giustificazione sufficiente per non tenere in nessun conto il benessere umano.

Questi sono alcuni esempi di come il capitalismo opera contro gli interessi delle persone del mondo. In contrasto, come spiegano gli articoli di questa rivista, il socialismo avrà rapporti sociali, motivi per la produzione e concetti fondamentalmente  differenti riguardo agli interessi e alla sicurezza degli esseri umani.

Tutti i programmi che attualmente sono avanzati dai politici di professione per occuparsi dei problemi del capitalismo con le riforme sono destinati a fallire a causa del loro metodo essenzialmente frammentario. Tentano di trattare i sintomi invece di procedere per la causa basilare. Ecco perché, dopo un secolo o più di riformismo, i problemi dei quali i riformisti reclamano di occuparsi sono ancora qui.
È necessario un cambiamento molto più radicale e fondamentale per creare la struttura all’interno della quale questi problemi possano essere risolti.

(Traduzione da Socialist Standard, maggio 2005)

domenica 6 febbraio 2011

Manifesto per la Resistenza - Conferenza Internazionale - Roma 1966

Ci può essere un mondo senza guerra soltanto con l'introduzione di un cambiamento sociale fondamentale. Tale cambiamento sarà l'opera della classe lavoratrice socialista e non della politica pacifista. Quest'ultima è stata accettata, sia nel passato sia nel presente, da diversi partiti politici nonché da vari gruppi d'individui, che sembravano seguire nel campo politico, due linee del tutto apposte, come è il caso del Partito Laburista e dei diversi movimenti cristiani, ecc. Il fatto però è che tutti questi partiti e movimenti, appoggiano continuamente il sistema sociale capitalistico il quale è la fonte della violenza. Ne consegue che qualsiasi forma di pacifismo diventa una cosa vana.

L'eventuale eliminazione del contrasto esistente tra la politica e il pacifismo significherebbe soltanto la creazione di un ulteriore partito politico che appoggia il capitalismo e mira nel contempo a risolvere il problema delle guerre.

II Partito Socialista della Gran Bretagna [del Movimento Socialista Mondiale] ritiene che i lavori svolti da tali organizzazioni siano una perdita di tempo; i precedenti delle lunghe riforme sociali ce lo dimostrano pienamente. I diversi movimenti e partiti che appoggiano il capitalismo, il quale è la causa delle guerre nel mondo d'oggi, ostacolano il progresso dei partiti socialisti, come il Partito Socialista della Gran Bretagna, il quale mira all'abolizione del sistema sociale capitalistico e con ciò porre fino al rischio della guerra stessa.

La causa delle guerre moderne va ricercata nel conflitto degli interessi economici che si manifesta tra i vari gruppi capitalistici, compresi l'Unione Sovietica, la Cina e numerosi altri Paesi d'oltre cortina i quali rendono al socialismo un omaggio puramente verbale.

II Partito Socialista della Gran Bretagna, ritiene in primo luogo che la basa della struttura sociale capitalistica è l'esistenza di una lotta di classe tra la classe dominante/proprietaria e la classe lavoratrice salariata, la quale è l'unica fonte della produzione di tutti i beni economici.

In secondo luogo riteniamo che questi beni economici assumano la forma economica conosciuta coma merce, vale a dire di prodotti creati per essere venduti a fine di lucro. Ciò crea lo spirito e l'impulso della concorrenza economica, che oltre alla lotta di classe, forma in primo luogo su scala nazionale un'intensa concorrenza tra le varie società commerciali, e in secondo luogo forma su scala mondiale una spietata concorrenza tra gli stessi stati. Lo scopo di tutto ciò è di trovare nuovi sbocchi di mercato, di assicurarsi il mercato delle materie prime, quali il petrolio, la gomma, ecc., per avere il controllo delle vie commerciali, come il canale di Suez e per occupare luoghi strategici, come Cipro o Singapore.

In sintesi, le rivalità per essere in testa in tutti i settori delle industrie, esige da parte degli stati interessati il ricorrere all'astuzia o alla più acuta abilità di destreggiarsi nel corso delle trattative, sia nel campo politico e diplomatico che militare.

L'Unione Sovietica e gli Stati Uniti si contendono già da lunghi anni il diritto di controllo dell'Europa e del Medio Oriente. Per quanto concerne l'estremo Oriente, la loro controversia politica si è al quanto appianata in seguito alla crescente minaccia della Cina di Mao.

Non dimentichiamo però, che queste controversie fanno parte del capitalismo e si susseguono ininterrottamente: esse sono la sua realtà. A questo fine, gli stati mantengono le forze armate che servono a proteggere la posizione privilegiata della classe proprietaria nel proprio paese e in confronto agli altri paesi su scala internazionale. Un'altra triste realtà di questo fatto e che la storia delle trattative intraprese da numerose organizzazioni internazionali per giungere a un accordo sul disarmo e la pace è soltanto la storia di una lunga serie di fallimenti diplomatici.

Queste sono, a grandi linee, le cause fondamentali delle guerre mondiali del capitalismo e dei continui conflitti armati di minore rilievo che si sviluppano in varie località del mondo con un ritmo sempre più crescente, nonché del continuo stato d'allarme per prevenire un attacco di sorpresa. Tutto ciò appartiene al sistema sociale capitalistico. L'ineluttabile conclusione è che la violenza fa parte della nostra vita e continuerà a esserlo fintanto che vivremo sotto il capitalismo.

Allo stato attuale delle cose, ci sembra futile lanciare un appello morale per porre fine alla violenza. Molti pacifisti hanno dato di coraggio e sincerità e hanno dimostrato di essere persone di alta levatura morale. Ciononostante, il fatto rimane che le loro premesse sono lontane dal basarsi sulla realtà di fatto.

L'unico modo per porre fine alla guerra e alla violenza una volta per tutte è porre fine al capitalismo, compreso il capitalismo statale esistente nell'Unione Sovietica, nella Cina, ecc., e sostituirlo con un sistema sociale completamente diverso: il SOCIALISMO. Ciò non vuol dire, come sostengono i pacifisti, propagare una politica della non violenza; al contrario ciò serve a delucidare la posizione dei socialisti autentici i quali sostengono che la classe lavoratrice socialista deve ottenere, per vie democratiche, il controllo del potere politico al fine di abolire il capitalismo e di istituire il socialismo.

Il socialismo sarà un sistema sociale universale basato sulla proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi di produzione e della distribuzione dei beni economici nell'interesse di tutta la comunità.

I beni saranno prodotti per essere utilizzati e non a scopo di lucro. L'introduzione di questo nuovo rapporto sociale abolirà sia le cause primordiali che gli effetti della guerra.

Di conseguenza, le armi (nucleati e convenzionali) e le forze armate diverranno uno strumento bellico del passato. Ciò contribuirà a rilassare ulteriormente l'atmosfera tesa di violenza che grava tuttora sull'Umanità.

Il socialismo è possibile istituirlo soltanto quando la classe lavoratrice del mondo lo ha compreso e lo desidera. In altri termini, i lavoratori devono prima liberarsi della mentalità che regge in piedi la struttura economica capitalistica, comprese le idee del pacifismo, e poi esporre il proprio desiderio, spontaneo e consapevole, per la creazione della nuova società in cui la gente vivrà in un'atmosfera di felicità e armonia.

The Executive Committee of the Socialist Party of Great Britain.
52 Clapham High Street, London, S.W.4 - England
Marzo 1966.

martedì 1 febbraio 2011

Le fonti di energia

Il capitalismo è veramente troppo lento nell’esplorare il potenziale delle fonti di energia rinnovabili.

Nel considerare in qualsiasi modo i problemi sociali esistenti, la questione dell’approvvigionamento energetico è di primaria importanza. È evidente che il compito di procurare decenti condizioni di vita per l’intera popolazione umana debba includere il provvedimento di un’adeguata fornitura di energia. La risoluzione del problema degli alloggi nel mondo, che comprende il provvedere per il riscaldamento, la possibilità di cucinare e l’illuminazione, l’espansione dei servizi di trasporto mondiali, l’aumento della produzione di cibo, il provvedere per una fornitura sufficiente di beni durevoli per tutte le persone, più l’espansione dei mezzi di produzione che ciò richiederebbe, riguarderà discutibilmente una fornitura grandemente aumentata di energia mondiale.

Ma il problema non è semplicemente quello di fornire energia, usando ogni mezzo disponibile in una maniera indiscriminata. La produzione di energia ha un impatto considerevole sull’ambiente, perciò sarebbe importante che i metodi usati tenessero conto di questo fattore. Perché, per esempio, è così lento il capitalismo a adottare l’opportunità di sviluppare fonti di energia rinnovabili, in contrapposizione alla combustione di combustibili fossili e all’energia nucleare?

Il capitalismo non ci ha fornito di una strategia mondiale integrata dello sviluppo produttivo, che sia rivolto direttamente alla soddisfazione dei bisogni umani e possa essere socialmente controllato in modo da evitare ogni effetto distruttivo sull’ambiente. Il risultato di ciò è stato evidenziato in un recente editoriale del Guardian di Londra:

Viviamo in un mondo alimentato dal sole, tuttora quasi due miliardi e mezzo di persone – la maggior parte di esse vivendo in climi molto caldi – sono disperatamente a corto di energia con cui migliorare la loro esistenza. Ci sono due crisi energetiche; di una sappiamo a riguardo, in cui il 21 per cento della popolazione del mondo tracanna il 70 per cento della produzione di energia commerciale del mondo, prevalentemente nella forma di sostanza inquinante che provoca conservazione di radiazione solare – i combustibili fossili. L’altra crisi energetica è appena percepita e i procedimenti del World Solar Summit delle Nazioni Unite che l’ha affrontata negli ultimi due giorni sono stati appena riportati. È la crisi in cui il 40 per cento della popolazione del mondo vive ancora a un livello di sussistenza essenziale senza alcuna forma di elettricità. (1)

Da un punto di vista pratico, la società ha a disposizione una vasta scelta di opzioni tecniche e ci sono grandi riserve di capacità, di lavoro e di materiali, eppure allo stesso tempo soffriamo per una incapacità cronica di accettare queste in una maniera libera e consapevolmente regolata. Non è solo il fatto che sotto il capitalismo mondiale ci siano barriere economiche che impediscono di produrre energia sufficiente per i bisogni. Quello che diventa disponibile sui mercati dell’energia è prodotto con metodi che di per se stessi generano ulteriori problemi sociali. La presente struttura dell’approvvigionamento energetico mondiale coinvolge uno spreco non necessario di risorse utili; è distruttiva dell’ambiente; produce severi problemi secondari ed è piena di pericoli.

Questa è la situazione in cui ora ci troviamo e il capitalismo mondiale non fornisce alcun mezzo prevedibile per venirne fuori. Che cosa c’è alla base dei problemi incontrati con la fornitura di energia, che al momento stanno peggiorando? La struttura esistente della fornitura di energia, la particolare struttura della produzione delle forze economiche e uno sviluppo militare che ne è risultato. È semplicemente impossibile schierare liberamente le opzioni tecniche che adesso esistono in risposta ai bisogni umani all’interno di questa esistente struttura economica e militare.

Sono state così costringenti queste forze economiche che, fino a poco tempo fa nei paesi più industrializzati, la fonte di energia più usata era ancora il carbone, la fonte su cui la rivoluzione industriale si basò più di duecento anni fa. La maggior parte dell’elettricità è generata oggi da enormi turbine spinte dal vapore. Nel 1990, il carbone è stato bruciato per produrre questo vapore nel 32% della produzione di energia mondiale. Il petrolio era il più usato (36%) seguito dal gas naturale (19%) – e dalla fissione nucleare (4%).

Bruciare combustibili fossili, che includono il carbone e il petrolio, oltre a prevenire che essi siano usati come materie prime per la produzione dei loro vari derivati, contribuisce all’inquinamento atmosferico. Il metodo relativamente primitivo di bruciare i combustibili fossili non-rinnovabili rimane la fonte di energia più economica disponibile per la produzione capitalistica. Nonostante la vasta scelta di possibilità tecniche che ora esistono, si è ancora nella situazione in cui centinaia di milioni di persone dovunque nel mondo nemmeno raccolgono o acquistano legna da ardere come loro principale fonte di energia.

Viene generata l’energia idroelettrica e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale c’è stato lo sviluppo dell’energia nucleare. La seconda non è mai stata selezionata come una fonte di energia desiderabile per quel che è, ma presentata sulla base dello sviluppo di armi. È tuttora una fonte di energia marginale. L’uso della tecnica basata sul sole è ancora più marginale.

L’energia nucleare – l’opzione militare

Eppure, più di cinquant’anni fa, negli anni 1930, avvennero due sviluppi simultanei che coinvolsero vaste potenzialità per il futuro dell’approvvigionamento energetico. Uno fu il lavoro teorico sulla scissione dell’atomo e l’altro fu la scoperta del meccanismo fotovoltaico che permise la conversione della luce solare in elettricità.

Da un punto di vista puramente tecnico, la ricerca e lo sviluppo potevano essere andati nella direzione sia dell’energia nucleare che delle celle solari. Nonostante i meriti, tecnici o per altri aspetti, di una o dell’altra opzione, le ragioni per cui la tecnologia solare fu spinta in un ramo stagnante della ricerca e dello sviluppo furono sia economiche che militari. Furono le implicazioni per lo sviluppo delle armi che diedero impeto al programma nucleare.

Fu il Progetto Manhattan che sviluppò la bomba atomica. Questo affrettato progetto militare che in modo perverso indica quanto velocemente la società può muoversi quando diventa impegnata, coinvolse decine di migliaia di lavoratori, comprendenti la crema del talento scientifico nel campo della fisica applicata. Nel 1945 costò 2 miliardi di dollari. L’enormità di questo sforzo può essere compresa tenendo conto del fatto che, nel 1944 in America, il valore del Prodotto Interno Lordo fu di 98 miliardi di dollari.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale questa applicazione militare della tecnologia nucleare non diminuì, cosicché tra il 1945 e il 1956 il Programma delle Armi a Energia Nucleare costò 15 miliardi di dollari. Ciò incluse lo sviluppo della bomba a idrogeno e risultò in un enorme istituzione scientifica e industriale impegnata nel programma delle armi nucleari. In questa occasione società come Westinghouse e General Electric stavano producendo reattori nucleari principalmente per la Marina statunitense.

Questi sviluppi in America furono eguagliati in altri paesi per le stesse ragioni militari cosicché in Russia, in Gran Bretagna e più tardi in Francia la base scientifica/tecnica/industriale qualche volta conosciuta come il complesso militare-industriale venne in esistenza. Fu con questa base che il Presidente Eisenhower introdusse la sua cosiddetta campagna degli Atomi per la Pace negli anni 1950. Essenzialmente, il programma dell’energia nucleare risultò da un tentativo di capitalizzare sulle immense risorse di denaro che furono state versate nell’uso militare della tecnologia nucleare.

La minaccia per gli interessi acquisiti

Ma questa non fu l’unica ragione per la quale la ricerca e lo sviluppo nell’applicazione pratica del meccanismo fotovoltaico non furono considerati. La tecnologia solare fu soggetta ad attacco dai potenti servizi pubblici in America, le cui industrie erano basate sull’uso dei combustibili fossili. È poco conosciuto il fatto che in alcuni luoghi di vantaggio climatico, delle semplici installazioni solari furono impiegate per del tempo. Per esempio nel 1897, di tutte le case della California del sud il 30% ebbe scaldabagni solari.

Nel 1940 nella Florida del sud, l’80% di tutte le nuove case utilizzava scaldabagni solari. Una volta che queste installazioni, le quali erano semplicemente caldaie metalliche sotto vetro, erano fissate al posto giusto, tutto ciò che richiedevano era una fornitura economica d’acqua più l’abbondante luce solare del sud sulla quale nessuna impresa capitalista poteva detenere un monopolio. Queste installazioni diedero ai capifamiglia un grado di indipendenza dai grandi servizi pubblici capitalisti che erano impegnati nell’affare di vendere gas e anche elettricità generata dalla combustione del carbone e del petrolio.

L’uso di caldaie solari per scaldare l’acqua fu una cosa, ma la possibile applicazione pratica della cella fotovoltaica per convertire la luce del sole in elettricità fu una minaccia molto più seria per gli interessi capitalistici che erano assegnati legalmente al controllo e alla commercializzazione dei combustibili fossili. Le stazioni di energia centralizzate, generando l’elettricità dai combustibili fossili o dalle fonti di energia nucleari, permettono alle imprese o ai governi capitalisti di mantenere il controllo completo della fonte di energia e della commercializzazione dei prodotti. Con i dispositivi solari, una volta installati, la fonte di energia è liberamente disponibile. Ecco perché in particolare in America i servizi pubblici lanciarono un attacco organizzato sulla ricerca e sullo sviluppo dell’energia solare, variando da sollecitazioni politiche a massicce campagne pubblicitarie.

Di fronte allo sviluppo del programma delle armi nucleari e al suo riversarsi nell’energia nucleare e alla pressione esercitata dagli interessi pesantemente capitalizzati per il carbone, il petrolio e il gas, lo sviluppo delle fonti di energia solari altamente adattabili e sicure dal punto di vista ambientale è stato in gran parte trascurato. Per esempio alla fine degli anni 1970, quando il governo britannico stava spendendo più di 230 milioni di sterline per anno per la ricerca dell’energia nucleare stava spendendo soltanto 1,1 milioni per anno per le tecnologie rinnovabili basate sul sole.

Durante gli anni 1970 l’amministrazione Carter negli U.S.A. dovette esprimere interesse per le tecnologie solari a seguito di un brusco aumento del prezzo del petrolio e dei problemi che le stazioni di energia nucleare avevano incontrato. Ciò fu messo da parte dall’amministrazione di Reagan e i fondi per questo tipo di ricerca furono ancora ridotti.

È vero che qualche ricerca la stanno facendo le società petrolifere e le altre imprese capitaliste ma questo è inevitabilmente sospetto. La tendenza risultante dal loro interesse basato sul profitto nell’argomento nelle migliori delle ipotesi dirigerà questa ricerca in canali determinati dai loro interessi economici.

Questo interesse era esplicito nel seguente testo di una pubblicità:

Il sole dell’Arizona risplende 296 giorni l’anno. Gli ingegneri solari APS stanno lavorando allo Sky Harbor Photo-Voltaic Solar Project per catturare quell’eccezionale fonte di energia. Siamo orgogliosi di essere i leader nello sviluppo dell’energia solare.

22.000 celle solari in 80 dispiegamenti forniscono abbastanza energia per circa 40 case di grandezza media. Ma l’Arizona ha più di un milione di case – più le fabbriche – gli uffici – più le fattorie – che hanno bisogno di elettricità.

L’energia solare può fornire un ragionevole ammontare di elettricità saltuariamente nel prossimo secolo ma semplicemente non è pratica né economica per soddisfare i bisogni di elettricità dell’Arizona oggi. Ecco perché ora stiamo usando il carbone e il nucleare per l’utilizzo di larga scala per soddisfare i bisogni di elettricità dell’Arizona.

Il nucleare e il carbone ora per soddisfare i bisogni di elettricità dell’Arizona. (2)


I problemi del presente sistema energetico

I fattori che hanno determinato l’esistente struttura del sistema energetico del mondo sono stati i fattori economici del sistema del profitto congiuntamente con le strategie militari adottate dalle nazioni capitaliste più industrializzate e potenti del mondo, comprendenti il capitalismo di Stato dell’ex Unione Sovietica.

C’è ora una preoccupazione assai diffusa circa i problemi risultanti da questo sistema. Inevitabilmente, il continuo aumento del numero delle stazioni di energia nucleare ha come conseguenza uno stabile incremento della radioattività nell’ambiente, con un problema sempre più grande di come occuparsi dei rifiuti altamente radioattivi. Incidenti come Chernobyl con i loro orrendi risultati sono parte dell’esistente programma dell’energia nucleare.

Sezioni della comunità scientifica e gli ambientalisti sono anche estremamente preoccupati per gli effetti del continuo rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera come risultato della combustione di combustibili fossili come il petrolio e il carbone (Riscaldamento del Globo Terrestre). Il bruciare combustibili fossili contribuisce anche al fenomeno conosciuto come pioggia acida con i suoi effetti quali la distruzione delle foreste nell’emisfero del nord, la distruzione della vita in laghi e fiumi, e il generale deterioramento del suolo.

Il compito di pulire l’industria, in particolare riguardo all’uso di combustibili fossili, è costoso. Ecco perché abbiamo visto solamente qualche piccolo e riluttante passo nel trattare il problema. Al momento, il capitalismo sta addirittura trascurando le tecnologie di combustione fossile avanzate che possono aumentare l’efficienza con cui l’elettricità viene generata dai combustibili fossili. Le tecnologie come la combustione a getto liquido (fluidized bed combustion), le turbine a gas, il ciclo combinato di gassificazione del carbone ecc, causano il 17-40% in meno di emissioni di gas serra. Sono state introdotte soltanto dalle nazioni OECD e non dalle altre nazioni in via di industrializzazione, come per esempio la Cina, dove l’uso del carbone è destinato a crescere rapidamente.

I meriti delle fonti di energia rinnovabili

Molti scienziati hanno enfatizzato la necessità di sostituire l’uso dei combustibili fossili con l’uso di fonti rinnovabili di energia, come la forza del vento, la forza delle onde e i dispositivi fotovoltaici. Anche la necessità del consenso globale come una base per sostenere tutto ciò è sottolineata da questi scienziati, benché siano pessimisti riguardo alla sua realizzazione.

I vantaggi di queste fonti rinnovabili furono riassunte in un Rapporto della Fondazione Ford come segue:

L’Energia Solare Diretta. Diversamente da tutte le altre forme di energia disponibili agli esseri umani in grandi quantità, la radiazione solare è pura energia che non è associata a del materiale. Di conseguenza, alcuni tipi di sistemi energetici solari, una volta costruiti, possono mantenere un costante inventario di vantaggi e materiali, non rilasciando nulla eccetto che energia utile e residua allo stesso saggio come la radiazione solare assorbita. Per esempio, le celle elettriche solari funzionanti convertono parte dell’inerente radiazione solare direttamente in energia elettrica e irradiano, riflettono o rilasciano il resto. Il processo non produce alcun materiale di scarto che deve essere accumulato o rilasciato nell’ambiente . . . In contrasto, l’uso dei combustibili fossili o di qualsiasi tipo di energia nucleare richiede l’aggiunta di massa (combustibile) a un sistema di approvvigionamento energetico e per di più l’accumulazione di crescenti riserve di prodotti di scarto (come le ceneri, lo zolfo, l’anidride carbonica, o gli isotopi radioattivi) all’interno del sistema o il loro rilascio nell’ambiente.

I meriti delle tecnologie basate sul sole e il bisogno di cooperazione mondiale nell’occuparsi dei problemi dell’approvvigionamento energetico sono stati sottolineati anche da Janet Ramage nel suo lavoro L’Energia – Un’Introduzione. Nella sua visione, la sfida delle tecniche solari è quella di utilizzare l’energia che il sole trasmette alla terra a un saggio uguale a quasi 20.000 volte il suo consumo energetico primario e che questa sfida si presenta come una tecnica per la raccolta e la conversione. Supponendo tale soluzione tecnica come un risultato della cooperazione su una scala mondiale lei afferma:

Che ne direste di una rete elettrica mondiale? Potrebbe usare cavi super conduttori sotterranei e in fondo all’oceano, e l’energia arriverebbe da poderi solari nei maggiori deserti del mondo, da impianti di Conversione Elettrica Termica Oceanica nelle acque tropicali, e da stazioni che sfruttano la forza delle onde e da dispiegamenti di turbine che sfruttano la forza del vento in regioni remote. Niente inquinamento atmosferico, niente rifiuti radioattivi, niente uso di preziosa terra agricola o di preziosa acqua. Non ci sono probabilmente problemi tecnici insuperabili. C’è soltanto una questione. Come ci possiamo arrivare dalla situazione attuale?

L’urgente bisogno di cooperazione mondiale

Questa questione vitale riguarda essenzialmente le ragioni per le quali l’esistente sistema capitalistico mondiale non può adottare le possibilità tecniche che adesso esistono per l’istituzione di un sistema energetico mondiale sicuro e adeguato. Questa questione inoltre ci tira fuori dalla sfera della scienza e della tecnologia applicate e inevitabilmente ci porta dentro la sfera dell’economia e della politica mondiali.

Il bisogno urgente di cooperazione mondiale nel trattare i problemi dell’approvvigionamento energetico mondiale non può essere realizzato all’interno delle relazioni produttive sociali e dell’esistente struttura economica e militare attraverso la quale queste operano. Incessante società capitalistica mondiale significa inevitabilmente che il mondo rimarrà puntellato come un campo armato e le divisioni rimarranno quelle degli interessi economici nazionali in competizione. L’organizzazione della società mondiale rimarrà soggetta alle strategie economiche e militari nazionali che esprimono i prevalenti interessi delle classi capitaliste nazionali. Nel campo dell’approvvigionamento energetico, come in ogni altro campo, tali risorse, capacità e metodi di produzione che sono adottati saranno determinati dagli imperativi economici del sistema del mercato o in armonia con le esistenti strategie economiche o militari nazionali.

È assolutamente impossibile sotto il capitalismo per l’umanità usare le risorse della terra a beneficio di tutta la gente, ed è ugualmente impossibile per essa schierare la conoscenza accumulata, le capacità e le tecniche di produzione che ora esistono in un diretto rapporto con i bisogni umani su una base di cooperazione universale.

Eppure non c’è di fatto nessuna barriera presentata da alcune presunte incapacità delle persone di cooperare nei loro reciproci interessi. Al contrario, questa abilità di cooperare è universale. Ciò che è necessario è che questa inerente abilità di cooperare sia mobilitata politicamente come un movimento mondiale che agisca indipendentemente dalle esistenti strutture di potere economiche, politiche e militari.

Questo movimento esiste già come il movimento per il socialismo mondiale. Sarebbe molto importante che coloro i quali vedono la necessità della cooperazione mondiale nel trattare i problemi che tutta l’umanità si trova di fronte si unissero alle sue file per aumentare la sua voce di buon senso e quindi per contribuire al lavoro di preparazione dei programmi pratici di azione che potrebbero essere implementati una volta che l’obiettivo politico socialista venisse raggiunto. Questo obiettivo politico è quello di ottenere democraticamente il controllo politico con lo scopo di prendere i mezzi di produzione e le risorse della terra dalle mani della classe capitalista del mondo e metterli a libera disposizione dell’intera comunità del mondo.

L’istituzione di un sistema energetico mondiale sicuro

Come potrebbe il socialismo mondiale prendersi cura del lavoro per istituire un sistema energetico mondiale che sarebbe adeguato per i bisogni materiali della comunità mondiale, ma che potrebbe anche funzionare all’interno dei sistemi naturali dell’ambiente in un modo non distruttivo?

Due fattori devono essere accettati. Il primo, che l’ammontare complessivo della fornitura energetica richiesta nel socialismo come parte della sua strategia generale di sviluppo produttivo sarebbe immenso, discutibilmente più grande dell’ammontare che il capitalismo generalmente produce.

Ci sarebbero certamente grandi risparmi e un più efficiente uso delle forniture energetiche disponibili confrontato con ciò che succede oggi sotto il capitalismo. Studi effettuati negli anni 1970 dimostrarono che più di un mezzo del consumo energetico giornaliero è sprecato a causa di perdite indotte dalla tecnologia e dalla negligenza umana.

Il socialismo non avrebbe difficoltà nell’adottare le varie tecniche di conservazione che sono ben conosciute. Inoltre, sotto il capitalismo, un vasto ammontare di energia alimenta le macchine militari del mondo e la sua produzione di armamenti, e queste quantità diventerebbero disponibili per i bisogni umani. Il modello anarchico del commercio capitalistico coinvolge più spreco di energia, mentre il socialismo sarebbe in grado di razionalizzare la distribuzione mondiale su una base mondiale, regionale e locale.

Attualmente ci sono milioni di occupazioni che possono essere necessarie per il sistema del mercato ma che non sarebbero necessarie in una società organizzata solamente per i bisogni umani. Queste occupazioni sono servite dall’industria energetica, pertanto ciò rappresenta quantità ulteriori di energia che potrebbero diventare disponibili per l’utile consumazione.

Ma nonostante questi risparmi, può anche essere discusso che la strategia dello sviluppo produttivo, che sarebbe necessaria nel socialismo per istituire una struttura di produzione adeguata per i bisogni, richiederebbe inizialmente una fornitura energetica ampiamente aumentata, come per esempio nel caso della necessità di risolvere il problema mondiale dell’alloggiamento, anche se un livello stabile fosse alla fine raggiunto.

In secondo luogo, il socialismo mondiale dovrebbe cominciare con la struttura dell’approvvigionamento energetico che ha catturato. Potrebbe non smantellarla immediatamente e questo significa che alcuni metodi di produzione che possono essere considerati indesiderabili dovrebbero essere usati per un periodo di tempo. Possiamo prevedere che il socialismo mondiale si troverebbe a dover iniziare il lavoro di adattamento del sistema esistente, eliminando gradualmente le sue caratteristiche indesiderabili e allo stesso tempo espandendo la struttura usando i metodi che sono stati democraticamente concordati.

In questo lavoro il socialismo sarebbe in grado di usare il pianeta come una singola risorsa posseduta in comune da tutta la gente. Questo significa che il socialismo sarebbe in grado di usare i vari vantaggi geografici che possono esistere in qualche ubicazione come parte di un sistema energetico mondiale integrato.

Senza anticipare delle decisioni finali che sarebbero prese riguardo alle particolari tecnologie o combinazioni di tecnologie che sarebbero adattate e sviluppate nel socialismo, vale la pena notare che le varie tecnologie basate sul sole che al momento appaiono di per se stesse desiderabili ad alcune sezioni della comunità scientifica sarebbero molto adeguate per il socialismo.

La rimozione delle barriere economiche

Un punto da enfatizzare, riguardo a qualsiasi tecnica che può essere sviluppata, è che il socialismo non sarebbe obbligato dall’economia della competizione di mercato a usare metodi che rappresentino le quantità minori di lavoro nella loro produzione. Né potrebbe lo sviluppo delle armi recitare una qualsiasi possibile parte nel determinare la tecnologia adottata.

Benché le tecnologie basate sul sole, attualmente, non si presentino come i metodi di produzione di energia più efficienti dal punto di vista del lavoro in relazione alla produzione di energia, ciò non sarebbe una barriera per il loro sviluppo nel socialismo, nelle circostanze in cui fossero giudicate essere i metodi più socialmente desiderabili.

Inoltre, date le risorse che il socialismo sarebbe in grado di applicare liberamente alla ricerca e allo sviluppo delle tecnologie basate sul sole esse devono mantenere la promessa di essere tecniche appropriate per una ragione importante, che può aggiungersi al fatto che sono sicure dal punto di vista ambientale. È evidente che nelle sue varie forme come la forza del vento, dell’onda e della luce solare diretta, l’energia solare sia disponibile al pianeta in vaste quantità come parte di un sistema naturale autoperpetuante che non richiede alcun combustibile materiale. Il problema delle tecnologie solari è quello dell’effettiva raccolta e conversione in forme usabili di energia come l’elettricità.

Quello che ciò potrebbe significare in pratica è che una volta che lo sforzo sociale necessario per collocare la rete delle installazioni necessaria per un sistema energetico mondiale integrato basato sul sole è stato intrapreso, questo sistema sarebbe disponibile per la raccolta e la conversione permanente, richiedendo solamente manutenzione di routine. Ciò guarda avanti in una maniera molto pratica verso una posizione della società per mezzo della quale il problema dell’approvvigionamento energetico potrebbe essere risolto su una base permanente. Potrebbe operare con un sistema durevole di installazioni universali che non richiedono materiali aggiuntivi a eccezione di quelli necessari per la manutenzione di routine.

Inoltre, le tecnologie basate sul sole possono essere altamente adattabili nella scala del loro uso. Possono includere quello che Janet Ramage ha previsto come una singola rete universale fornita con l’elettricità generata da grandi e permanenti stazioni energetiche in differenti ubicazioni mondiali. Ma le tecniche solari possono anche essere usate su una piccola scala con dispositivi collocati localmente dedicati a funzioni locali specializzate.

Queste possono essere singole installazioni che forniscono calore o elettricità per singole case, fabbriche od officine. Dovrebbe essere sottolineato inoltre che le possibilità tecniche sono più ampie di quelle che sono state menzionate. Ci sono immense possibilità offerte dalle tecniche geotermiche. Nel guardare al di fuori delle fonti solari; possiamo ricordare che sotto i nostri piedi esiste un nucleo di calore fuso che potrebbe essere sfruttato come già viene fatto in Islanda e in altri luoghi.

Alla fine, la più grande risorsa produttiva dell’umanità giace nei geni innovativi della nostra specie. Il problema essenziale consiste nel come istituire una società in cui questi geni possano trovare la sua più piena espressione direttamente per i bisogni umani, e nel rispondere alla questione del perché questa ricchezza d’ingegno rimane così costretta all’interno delle esistenti strutture economiche, militari e politiche nazionali.

La fissione nucleare è un modo del tutto incurante di generare vapore per far girare le turbine. Anche se le stazioni di energia nucleare fossero sicure quanto sono ufficialmente reclamate di essere, rappresenterebbero ancora una minaccia per la biosfera visto che qualsiasi aumento nel livello di radioattività è pericoloso per il ruolo che gioca nel provocare mutazioni.

Tali mutazioni sono già operate dalla normale radiazione di sfondo, proveniente dalle rocce della Terra e dallo spazio, ma è molto raro che tali mutazioni siano favorevoli; è molto più probabile che siano sfavorevoli per l’organismo affetto. Qualsiasi aumento nel livello della radioattività oltre il suo livello naturale è legato anche all’aumento del numero delle mutazioni e perciò al numero di quelle sfavorevoli. Le generazioni future considereranno giustamente la decisione di utilizzare l’energia nucleare su una scala allargata per la generazione dell’elettricità e tanto più per scopi militari, come un atto di follia, proprio come dall'inizio si sapeva giustamente che non c’era una soluzione soddisfacente al problema del deposito dello scarto radioattivo che inevitabilmente risulta dal processo. Buttare questo nel mare o sotterrarlo significa soltanto inquinare una parte della biosfera per le generazioni che devono venire.

Le fonti alternative

Esistono, tuttavia, alternative ecologicamente meno dannose per generare l’elettricità. Le turbine possono essere fatte girare dall’acqua, dal vento e dalla forza della marea o dal vapore innalzato dal calore dei raggi del sole. Questi non sono soltanto modi puliti di generare l’elettricità – non inquinano la biosfera – ma hanno il vantaggio aggiuntivo di essere basate su processi naturali rinnovabili.

Attualmente, le fonti di energia rinnovabili maggiormente usate sono l’energia idroelettrica e la biomassa. Può anche essere possibile rendere la combustione dei combustibili fossili meno intrusivi dal punto di vista ambientale. L’eventuale scelta deve essere lasciata alla maggioranza per decidere dopo una piena considerazione dei fatti.

Fonti:
(1) The Guardian 18/09/1996 - The Other Energy Crisis
(2) World Socialist – Inverno 1986/7

(Traduzione da www.worldsocialism.org)