Il
fondamentalismo islamico ha colpito nuovamente il cuore del mondo occidentale.
Per la loro vicinanza e imprevedibilità questi eventi hanno lasciato un
profondo senso di urgenza e insicurezza. I mezzi d’informazione di massa
intanto buttano benzina sul fuoco gridando alla guerra tra culture, “guerra
santa” ecc. I nazionalismi vecchio stile alla “Fratelli d’Italia” e “Lega Nord”
in Italia; Front National della Le
Pen in Francia, Partij voor de Vrijheid
di Geert Wilders nei Paesi Bassi e, in chiave più moderna, moderata ed europeista,
dei partiti maggiori (dei vari Renzi, Hollande, Cameron ecc.) vengono venduti
come la risposta a questi attacchi. E allora si aumenta la presenza delle forze
dell’ordine nelle strade, si approvano raid
aerei. E nel caso dell’Italia, si firmano un paio di espulsioni di elementi “pericolosi”,
anche se contro il giudizio della magistratura. Insomma, di tutto, basta che si
ristabilisca la sicurezza. E ci si stringe tutti attorno alla bandiera, a
prescindere dai problemi contrattuali, di disoccupazione e del caro vita perché
in fondo non ci sono classi sociali di fronte al terrorismo. O ci sono?
Beh
sì, a guardar bene le classi sociali ci sono anche in questo caso. Così come
gli interessi delle grandi compagnie petrolifere in Medio Oriente e la politica
coloniale degli ultimi 200 anni. Ma allora non è che rischiamo di saltare in
aria, sempre per la solita ragione, che 75 anni fa vedeva i nostri nonni andare
a morire al fronte? E un secolo fa i loro padri?
Sì,
la ragione è sempre la stessa, il profitto. E la cosa che dovrebbe far imbestialire
noi lavoratori è che il sistema del profitto, ovvero il capitalismo, ha una
classe di pochissimi privilegiati che detengono il potere economico e politico
e una classe più eterogenea di gente, (che è la stragrande maggioranza della
popolazione mondiale) che deve ringraziare la fortuna, o qualche dio, per chi
ci crede, se ha un lavoro retribuito. Ora, sì, c’è ancora la fortunata élite di lavoratori dei paesi
economicamente avanzati che hanno più opulenza degli altri. Ma non facciamoci
illusioni; solo un stolto sarebbe così ottuso da non essersi accorto della
caduta del potere contrattuale sofferto da questa élite negli ultimi 45 anni.
Il fondamentalismo islamico odierno altro non è che una risposta indipendentista
alla politica coloniale dei paesi occidentali nel mondo islamico. Già nel ‘300,
l’elemento religioso era stato usato in quella che è l’odierna Siria per giustificare
il rovesciamento dell’invasore Mongolo, Ghāzān Khān, miscredente. Di
fondamentalismo, ma non solo, islamico fu ed è caratterizzata la partizione
artificiosa dell’India Britannica in Pakistan mussulmano e India induista e
buddhista, proprio da parte dei britannici. Questa partizione fu un processo
molto tormentato e conflittuale iniziato formalmente nel 1947 che in pratica dura
tutt’oggi. Vi furono interminabili guerre tra Pakistan e India per il possesso del
Kashmir e del Bangladesh. Di punto in bianco intere popolazioni dovettero
emigrare perché si trovarono dalla parte “sbagliata” del confine. Ed ecco che il
gruppo pakistano fondamentalista islamico Jamaat-e-Islami
divenne un ottimo esempio, di come, la legge coranica, Sharia, e il concetto di guerra santa, Jihād, siano stati (e sono) usati a fini indipendentistici.
Se da un lato i gruppi fondamentalisti pretendono di preservare gli usi e i
costumi islamici e per far ciò devono combattere l’Occidente “cristiano” ed ebreo
corrotto, oppure gli infedeli induisti, buddhisti o chi che sia; non si faccia
l’errore di pensare che gli stessi islamici fondamentalisti siano immuni dal dio
denaro. La loro non è una lotta contro il capitalismo, ma la politica coloniale
capitalista fatta a loro danno. Il fatto che siamo qui a commentare tragici
attacchi terroristici è proprio riconducibile direttamente al dio denaro.
Senza fare un giro troppo lungo. Si consideri come fosse diviso il Nord Africa e il Medio Oriente ai primi del Novecento. L’Impero
Ottomano era ridotto ormai all’odierna Turchia, parte della Bulgaria
meridionale, parte della Grecia e dei Balcani, la provincia di Beirut (Libano e
Siria), il distretto di Zor (Siria), la provincia di Siria, il distretto di
Gerusalemme, la provincia di Mosul (Iraq), la provincia di Bagdad (Iraq), la
provincia di Basra (Iraq e Kuwait, Qatar, Arabia Saudita), la provincia di
Hejaz (Arabia Saudita), il sultanato d’Egitto e lo Stato di Tripolitania
(Libia). Questo colosso moribondo era sotto continue pressioni coloniali di
vari paesi europei. E se l’Impero Ottomano era in completo disfacimento,
l’Impero Persiano (oggi chiamato Iran) aveva perso da secoli ogni prestigio ed
era sotto il protettorato di Russia e Gran Bretagna. La presenza Britannica si
allargò quindi non solo in India (e Pakistan), ma ormai a diverse province
perse dall’Impero Ottomano, quali Iraq, Kuwait, Oman, Palestina, Qatar, ed Egitto
soprattutto dopo la fine della prima guerra mondiale. L’attività coloniale francese
in Nord Africa non fu da meno, presente in Marocco, Algeria, e Tunisia. Senza
citare la breve parentesi italiana e quindi britannica in Tripolitania.
Aggiungiamo a tutto questo l’inizio del progetto Stato di Israele quando la
Palestina era ancora sotto controllo britannico e diventa abbastanza evidente
quanto fosse artificiosamente divisa e sfruttata la gente delle terre da dove
oggi pullulano questi fanatismi. Unica azione contro tendenza in rifermento al
dominio e all’influenza occidentale sulla regione mediorientale, fu la
conquista da parte di Ibn Sa‛ud nel 1932 di quella che oggi è l’Arabia Saudita.
Ibn Sa‛ud riuscì nel giro di 30 anni a unire un vastissimo territorio sotto il
suo dominio. Per spiegarci, attorno agli anni ‘20 la Gran Bretagna si trovava a
contrattare con Ibn Sa‛ud i confini di quello che diventerà poi l’Iraq.
A quell’epoca a nessuno sarebbe venuto in mente di pensare che tale
divisione di terre fosse legata a una particolare religione, si trattava di puro
e semplice imperialismo, ovvero colonizzazione di nuove terre per sfruttarne le
risorse. Possiamo immaginare la gioia degli inglesi nello scoprire che nelle
loro colonie e zone di influenza medio-orientali vi fosse il petrolio. In
Persia il petrolio venne scoperto nel 1908 da parte di quella che oggi è la British Petroleum (BP), in Iraq nel 1925
da parte della Turkish Petroleum Company
(TPC) controllata da Germania, Gran Bretagna e Turchia, e in Arabia Saudita nel
1938 da parte statunitense. Le cose dal punto di vista degli interessi
economici non si potevano fare più interessanti. Eccezion fatta per l’Arabia
Saudita, che avendo una dinastia forte e radici religiose (wahhabita) rigorose
non ebbe grandi problemi a mantenere il controllo sulle sue tribù e quindi sui suoi
giacimenti, per l’Iraq, l’Iran, e l’Egitto l’influenza (o sfruttamento) europea
era ancora pesante. Tutti e tre questi paesi, per non menzionare la Siria, la
Libia, e l’Algeria, hanno pensato a un certo punto d’iniziare a utilizzare le
proprie risorse “in proprio”.
Nel 1928 viene fondata l’organizzazione dei Fratelli Musulmani in Egitto
che ben presto divenne reazionaria fino a quando il regime di re Faruk nel 1949
assassinò il suo fondatore al-Banna. Sayyid Qutb, anch’egli egiziano, dopo
l’assassinio di al-Banna, prendendo spunto dagli insegnamenti di Mawdudi, fondatore
in Pakistan della Jamaat-e-Islami, scrisse
dei testi basilari per i movimenti fondamentalisti a seguire, in quanto criticava
i governi islamici filo-occidentali. Tra tutti in testa si possono immaginare l’Iran
e l’Iraq dell’epoca. Altro elemento importante è il putsch di Nasser nel 1952, appoggiato inizialmente per il suo
nazionalismo dalla Fratellanza Mussulmana, per poi rivolgervisi contro pochi
anni dopo. A questo fa seguito la Guerra dei Sei Giorni del 1967, di espansione
di Israele, che dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale, si mise
chiaramente in testa di fondare una nazione israeliana ai danni di Egitto,
Siria e Giordania. Lo smacco fu così grave da indurre Nasser alle dimissioni. La
migrazione di massa di palestinesi e l’occupazione israeliana dei territori in
Libano catalizzò la nascita della resistenza fondamentalista islamica degli Hezbollah (anni ‘80), che faceva uso di
attacchi suicidi e atti di guerriglia.
Il regime al contempo repressivo e filo-occidentale dello Scià di Persia venne
destituito nel 1979 con la rivoluzione
dell’Ayatollah Khomeini. Questo fu un
momento molto importante perché Khomeini parlò di movimento pan-islamico, quindi giustificava la
cacciata degli occidentali dal punto di vista religioso, mentre questo implicava
in pratica prendere il controllo delle risorse nazionali. Questo modello verrà
seguito in futuro da altri movimenti fondamentalisti tra i quali oggi lo Stato
Islamico d’Iraq e Siria (ISIS).
Tornando alla prima metà del secolo scorso, gli interessi britannici nelle
risorse petrolifere in Iraq furono preservati, con il solito governo fantoccio,
fino all’inasprirsi delle condizioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale,
precipitando in un colpo di stato nel 1958. L’Iraq uscì man mano dalla sfera di
influenza britannico-statunitense propendendo negli anni ‘70 più per quella
sovietica. Intanto, negli anni settanta, l’Arabia Saudita ebbe una prova
concreta del suo peso geopolitico con la crisi del 1973, accrescendo
l’influenza dell’islam wahhabita sul mondo mussulmano. Negli anni settanta
quindi i tre stati più grandi del Medio Oriente, Iran, Iraq e Arabia Saudita,
avevano già mostrato all’Occidente di voler far valere la propria voce quando
si parlava del loro petrolio.
E quindi, la Guerra degli 8 anni (1980-88) tra Iraq e Iran fu una guerra
per il petrolio e per uno sbocco importante sul Golfo Persico. L’Iraq di Saddam
venne appoggiato dagli Stati Uniti così come dall’Arabia Saudita, contro i persiani.
Poco importa se Khomeini inneggiava al movimento pan-islamico. La dinastia saudita
non considerava e considera i persiani come arabi e sicuramente non come wahabiti.
La guerra non la vinse nessuno e vi furono centinaia di migliaia di morti,
pochi dei quali petrolieri possiamo dire con certezza. Le cose però si misero
male per Saddam quando ebbe la felice idea di rifarsi dei costi di guerra occupando
il Kuwait. Le ragioni di questa invasione furono le stesse di prima: petrolio e
uno sbocco importante sul Golfo Persico. A differenza che con l’Iran, dove a
causa di Khomeini, gli interessi statunitensi erano compromessi, per il Kuwait
gli Stati Uniti e alleati organizzarono la Guerra del Golfo (1991), alla quale
fece seguito l’invasione anglo-statunitense del 2003. Quest’ultima giustificata
dal fatto che il gruppo fondamentalista islamico Al-Qaeda aveva attaccato gli Stati Uniti con sanguinosi ed
eclatanti attentati su suolo statunitense. Al-Qaeda
era attiva già dalla guerra di liberazione dell’Afghanistan dai sovietici, con
appoggio statunitense negli anni ‘80. Questo gruppo si era differenziato per
l’uso degli attacchi terroristici di massa. A questi attacchi seguì l’invasione
degli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Anche se per fare i pignoli Saddam e Al-Qaeda c’entravano davvero poco tra
loro.
L’eliminazione del regime di Saddam, che è ovviamente
giustificabile dal punto di vista dei diritti umani e della morale borghese, ha
però avuto l’effetto collaterale di lasciare un vuoto di potere in Iraq. A
questo vuoto si è aggiunta la cosiddetta Primavera Araba che a voler di popolo
ha eliminato diversi regimi, paradossalmente stabilizzatori, ovvero quello di Zine
El-Abidine Ben Ali in Tunisia, quello di Hosni Mubarak in Egitto e quello di Muhammar
Gheddafi in Libia. Questo ha determinato altrettanti vuoti di potere che i
pan-islamici non si vogliono far scappare. In Siria le cose non sono andate
così linearmente e la Primavera Siriana per eliminare il tiranno di turno Bashar
al-Assad, si è trasformata in una feroce guerra civile. Ovviamente i
fondamentalisti pan-islamici di tutto questo traballamento ai vertici hanno
approfittato. Non è un caso che l’ISIS sia costituito da ufficiali e mercenari che
servivano i regimi dei tiranni di Iraq, Tunisia, e Libia, ora destituiti.
Paradossalmente le grandi potenze, ovvero Iran, Arabia
Saudita e simili, Stati Uniti e alleati, e Israele hanno tutti interessi
economici e quindi politici sugli esiti della lotta al potere che sta avvenendo
in Siria e Iraq. L’Iran promotrice del pan-islamismo vede in un effettivo
califfato islamico un vicino scomodo, molto meglio avere un Iraq fiacco. L’Arabia
Saudita ha foraggiato l’ISIS perché potrebbe essere un vicino scomodo per Iran
e Israele, a patto che non si allarghi troppo, s’intende. Infatti ora che gli attacchi
estremisti diventano un problema di politica interna non ci pensa due volte a
giustiziare i terroristi. A Israele, che è alla costante ricerca di terra per
poter consolidare lo Stato, il caos creato dall’ISIS potrebbe giocare a favore
a patto che le mire espansionistiche del califfato si limitino all’Iraq e alla Siria.
Per Israele in fondo fondamentalisti palestinesi, libanesi o dell’ISIS son nemici
a cui sanno rispondere a tono quando necessario. Per gli Stati Uniti, primo
produttore di greggio al mondo, e per i suoi alleati, l’ISIS è un effetto
collaterale dell’invasione dell’Iraq che sta diventando alquanto spiacevole, se
si considerano gli investimenti nel ricreare un governo fantoccio in Iraq e gli
attacchi imprevedibili di cellule impazzite nel vivo dell’Occidente.
E quindi lo Stato Islamico altro non è che una creatura
del capitalismo petrolifero. È un’espressione del potere che, come ogni
fascismo o mafia che si rispetti, deve incutere timore e controllare i mezzi di
produzione. La matrice culturale fa parte del gioco; così come i fascisti, i nazisti,
gli stalinisti avevano bisogno della loro ideologia e della propaganda per
radicalizzare i propri seguaci, anche questo cosiddetto Stato Islamico ha
bisogno della sua dottrina del terrore. Ma sempre di soldi si tratta!
E allora, grave sarebbe l’errore dei lavoratori nel farsi
confondere dal senso di urgenza completamente comprensibile quando la propria
incolumità potrebbe essere in pericolo, e cadere nella xenofobia, nel
nazionalismo. Noi lavoratori oggi più che mai dobbiamo cercare l’unità
internazionale.
Per chi legge l’inglese due link di approfondimento su cosa sia lo “Stato Islamico” e il mondo islamico:
Fonte:
“Fondamentalismo islamico” di Luca Ozzano
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