Amadeo Bordiga
con i dovuti distinguo del caso ha probabilmente rappresentato in Italia ciò
che si avvicina di più al marxismo rivoluzionario come inteso dal WSM. La sua
costante lotta al riformismo, al revisionismo, al militarismo, e al
nazionalismo anche di “sinistra” è sicuramente in linea con le nostre
posizioni, mentre la sua esaltazione della violenza rivoluzionaria, l’avversione
verso pressoché ogni tipo di forma democratica, e l’adozione del centralismo
sono punti di profonda divergenza. Secondo Michele Fatica nel giovane Bordiga era
presente l’antitesi tra il socialismo e la democrazia con le sue istituzioni simbolo:
la caserma e la fabbrica. Sempre secondo Fatica questo era dovuto per la sua
identificazione della democrazia con la massoneria, che lo spinse più tardi a
respingere il centralismo democratico
formulando il centralismo organico. Dove la direzione del Partito sarebbe diventata
un’entità astratta custode della dottrina marxista. Ad ogni modo, la sua
posizione giovanile sull’uso del parlamento fu molto vicina al nostro
approccio. Il giovane Bordiga non vedeva la via parlamentare come l’unico mezzo
di lotta, e prima delle varie delusioni elettorali con il PSI, la sosteneva solo
come un mezzo di propaganda e proselitismo socialista.
A causa della ampia
censura che il pensiero e l’opera di Bordiga hanno ricevuto dal Partito
Comunista Italiano, molto poco si sa sul lavoro di Bordiga, eccettuato il periodo
attorno alla scissione del 1921, dove per forza di cose non poteva non figurare
nei resoconti storici anche della sinistra stalinista. Per questa ragione in
questi due articoli analizzeremo i suoi primi anni di vita politica, ovvero il
periodo che va dal 1911 al 1917.
Bordiga nacque
nel 1889 a Resina, oggi Ercolano, vicino a Napoli. Suo nonno materno, il conte
Michele Amadei di origine toscana ma residente a Roma fu anche egli un ribelle,
diventando, nonostante il suo titolo nobiliare, un patriota Risorgimentale
oppositore del Papa Re, e affiliato alla Massoneria. Il conte Amadei fu anche
Sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e al
Parlamento del Regno d’Italia per ben otto legislature dal 1874 al 1897. Anche
da parte paterna la famiglia Bordiga era attiva politicamente. I due fratelli
Oreste, il padre, e Giovanni, lo zio, di origine piemontese, furono due
affiliati alla Massoneria. Lo zio Giovanni, matematico, Professore
all’Università di Padova, era un irredentista veneto. Il padre Oreste, lavorò
come Professore di economia agraria, a Portici nel napoletano, dove Amadeo
crebbe e iniziò la sua vita politica.
Amadeo Bordiga
entrò a far parte del Partito Socialista Italiano (PSI) nella sezione di
Portici all’età di 21 anni nel 1910 ancora giovane studente di ingegneria, si
laureò due anni più tardi. Secondo una ricostruzione dello stesso Bordiga
sessantenne, la sua iscrizione al PSI fu una reazione all’emissario del Grande
Oriente d’Italia quando gli chiese di entrare nella Massoneria. La situazione
all’interno del PSI quando Bordiga ne fece ingresso era alquanto complessa. In
linea di principio il PSI era organizzato seguendo l’esempio della
socialdemocrazia tedesca; con la differenza che avendo pochissimi fondi,
mancava di funzionari, ovvero politici di professione, stipendiati dal partito.
Vi era una Direzione con a capo il Segretario di Partito e un Gruppo
Parlamentare eletto dai membri con diritto di voto. Questi due gruppi non
sempre coincidevano e spesso non concordavano sulla linea politica. Il Gruppo
Parlamentare “guidato” da Filippo Turati, il principale artefice della
creazione del PSI nel 1892, era pressoché riformista, nonostante Turati si
reputasse e fosse riconosciuto spesso come marxista ortodosso.
Nonostante gli
anarchici furono stati espulsi durante il secondo congresso del partito nel
1892 a Reggio Emilia, e i sindacalisti rivoluzionari nel 1907 a Ferrara, nel
1910 il PSI raccoglieva ancora diverse correnti. I riformisti “di destra” alla
Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, i riformisti “di sinistra” turatiani, come
Giuseppe Modigliani e la frazione rivoluzionaria intransigente, guidata
dall’ex-operaista, Costantino Lazzari. Quest’ultimo secondo Luigi Gerosa
avrebbe influenzato molto l’intransigenza di Bordiga con l’opuscolo “I principi e i metodi del Partito
Socialista Italiano” uscito nel 1911, dove il leader degli intransigenti,
Lazzari appunto, si rifaceva al programma costitutivo del 1892 e lamentava le
varie degenerazioni da esso. Come citato in un mio precedente articolo dedicato
ad Antonio Labriola è discutibile anche che questo programma costitutivo fosse
pienamente in linea con il socialismo marxista
(http://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2010s/2016/no-1338-february-2016/antonio-labriola-strict-marxist),
ma per Bordiga fu più il principio di intransigenza che contava, ovvero
rimanere fedele al programma del partito dal fine massimo che si poneva
la sovversione del capitalismo e l’istituzione del socialismo, in opposizione
al fine minimo di cambiare il capitalismo con le riforme. E’ anche importante notare che già da qui si
incominciava a sviluppare in Bordiga l’idea di Partito che non ha bisogno di
una vera e propria direzione di individui, ma che il programma fosse così
chiaro ed immutabile che sarebbe stato solo questione di seguirlo alla
lettera.
Da subito Bordiga
si trovò a lottare, scrivendo su “L’Avanguardia”,
contro la politica coloniale italiana e l’anticlericalismo massonico. Nell’ottobre
del 1911 l’Italia infatti invase la Libia, parte dell’Impero Ottomano ormai in disfacimento.
Bordiga si scagliò subito non solo contro la borghesia italiana che sosteneva
il militarismo, ma anche sui presunti socialisti e revisionisti di destra e
sindacalisti rivoluzionari come Arturo Labriola, (da non confondere con il
marxista ortodosso di cui abbiamo scritto e accennato in precedenza Antonio
Labriola) che seguendo tesi loriane (da Achille Loira, economista borghese italiano,
si veda prefazione di Engels al secondo volume de Il Capitale) le quali vedevano nell’espansione coloniale un’opportunità
per la causa socialista. Bordiga individuò da subito nel nazionalismo una
ideologia capitalista che non poteva essere giustificata dal socialismo che per
definizione è anti-patriottico. Non
si allontanerà mai da questa idea anche quando affronterà faccia a faccia il
socialismo nazionalista di Stalin.
Bordiga insieme
ad altri compagni intransigenti del napoletano si impegnò soprattutto dal 1911
al 1914, a smascherare elementi borghesi, massoni detti anche anticlericali
borghesi e blocchisti, ovvero per una politica di coalizioni con gli altri
partiti borghesi, che controllavano ancora la sezione di Napoli del PSI. Bordiga
lottò contro questi revisionisti che in molti casi erano rientrarti
ambiguamente nel PSI nonostante la loro espulsione del 1907. Bordiga scrisse in
questo periodo molti articoli sulla situazione del Partito nel napoletano, chiedendo
più volte l’intervento della Direzione del Partito a mettere fine a questa
ambiguità. Bordiga faceva parte al contempo della frazione intransigente e della
Federazione Italiana Giovanile Socialista (FIGS) come rappresentante campano.
Nell’aprile del
1912 Bordiga fondò il Circolo “Carlo Marx” atto a fare attività di propaganda e
di studio delle opere marxiane. Nel marzo del 1912 denunciava già
l’atteggiamento di alcuni esponenti del gruppo parlamentare, come Bissolati,
Cabrini e Bonomi per aver reso omaggio al Re d’Italia ferito in un attentato
alla sua vita, chiedendone l’espulsione dal Partito, cosa che avvenne poi
durante il congresso e che in virtù di questo episodio vide l’ascesa di Benito
Mussolini tra le file del Partito. Al Congresso di Reggio Emilia la sezione di
Portici nominò Bordiga loro rappresentante con le seguenti mozioni: 1.
Estendere la tattica intransigente alle elezioni amministrative e 2. Escludere dal
Partito i membri di associazioni politiche borghesi, quale la massoneria.
Durante il Congresso
della Federazione Giovanile di Bologna nel settembre del 1912 venne discussa “La questione della cultura e della gioventù
socialità”. Mentre una parte dei congressisti (Angelo Tasca) riconoscevano
al movimento giovanile un semplice scopo di preparazione e di cultura volendo
che la Federazione dipendesse dal Partito e il giornale facesse divulgazione
elementare, Bordiga propose, ed ebbe la maggioranza, che la Federazione
Giovanile mantenesse un indirizzo autonomo e il giornale un carattere di
battaglia contro la borghesia. Rispondendo a Gaetano Salvemini direttore
dell’Unità, Bordiga osservava che se la
nostra “Avanguardia” (nome della rivista sulla quale scriveva Bordiga) assumesse l’indirizzo di cultura, dopo
quattro numeri gli operai non la leggerebbero più… il movimento socialista è
movimento di preparazione di una parte degli individui alla necessaria
trasformazione della società, ma è assurdo giungere alla preparazione con
metodi scolastici, anzi occorre cercare nell’azione le fonti di tale
preparazione educativa e continuava Bordiga La democrazia dice al popolo: sei sfruttato perché ignorante: studia,
educati, liberati dal prete e diverrai libero. Il socialismo dice al
proletariato: sei ignorante e vile perché sei sfruttato, sei sfruttato perché
chini la testa al giogo: rivoltati, e sarai libero, e potrai allora diventare
civile. In quanto per Bordiga Il
socialismo era basato non tanto sulla
cultura quanto sul sentimento di solidarietà proletaria.
Nel novembre del
1912 Bordiga scriveva “Il socialismo
meridionale e le questioni morali” pubblicato sull’“Avanti”, qui egli descriveva l’arretratezza e l’inadeguatezza della
borghesia meridionale dalla quale originava il problema morale. Puntualizzava
che lo Stato essendo maneggiato dalla oligarchia capitalista del Nord non
intendeva sviluppare capitalisticamente il Sud, in quanto lo sviluppo economico, agricolo e industriale
del Mezzogiorno non potrebbe che
nuocere agli attuali gruppi monopolistici
della grandi industrie protette che hanno nel Mezzogiorno il mercato naturale
di consumo. Questa inettitudine della classe dirigente del Sud e la
conseguente corruzione della sue amministrazioni portava al malcontento
sfruttato dai partiti locali, quasi
sempre personali, senza alcun contenuto politico a base di clientele e di odi
inveterati, in ottimi rapporti con il clero, ancora molto influente. Gli
oppositori di questo degrado politico era rappresentato dai borghesi
anticlericali, spesso massoni infiltrati anche nel PSI che puntavano sulla questione morale ovvero per
un’amministrazione borghese onesta. Questi vendevano quindi un falso socialismo
che per loro non era altro che il capitalismo borghese non corrotto ed efficiente.
A questo Bordiga oppone il suo commento materialista, ladri od onesti i borghesi si equivalgono. Il PSI avrebbe dovuto essere
ultraintransigente contro questi
moralisti, perché il socialismo era altra cosa. L’analisi di Bordiga sulla
questione morale di allora è stata ed è terribilmente attuale, nel senso che coglie
a pieno quello che sarà la linea politica del PCI nel secondo dopoguerra, il
partito moralista per antonomasia, che si batterà talvolta concretamente contro
l’istitualizzazione della mafia, e dopo il crollo del PCI, la politica che è
stata portata avanti da questo e da quel partito politico all’occorrenza.
La riscrittura
dell’Opuscolo “Il soldo al soldato”
secondo Michele Fatica fu affidata a Bordiga, e viene riportata nella raccolta
delle sue opere. Questo opuscolo era stato discusso durante il congresso
giovanile di Bologna. Qui Bordiga si scaglia contro la caserma come istituzione della democrazia borghese. La posizione
del giovane Bordiga sulle elezioni era generalmente in linea con quella della
fazione intransigente del PSI, ovvero a favore del suo utilizzo, ma contro ogni
tipo di blocco con i partiti borghesi. La sfiducia dello strumento elettorale
però si andrà maturando in Bordiga, con il succedersi delle sconfitte
elettorali del PSI e l’eccessivo sforzo che questi ne riservava. Interessante è
notare come in un articolo pubblicato sull’“Avanti”
del gennaio del 1913, firmato a.b. intitolato “Forza e diritto”, presumibilmente, Bordiga citi come, i nostri maestri Marx, Engels, Lassalle,
Antonio Labriola, e Bebel. Questo
è interessante in particolare per la presenza di due socialdemocratici tedeschi
come Ferdinand Lassalle, che marxista non era, e August Bebel tutt’altro che un
intransigente di sinistra, ma più vicino a quello che poteva rappresentare un
Turati in Italia. Questi due molto probabilmente scelti da Bordiga superficialmente
perché padri fondatori del Partito Socialdemocratico tedesco. In più questo
articolo potrebbe sfatare il mito che Bordiga fosse completamente indifferente
al pensiero di Antonio Labriola.
In merito
all’organizzazione del Partito, argomento che segnerà più tardi, negli anni 20
e nel secondo dopoguerra uno dei contributi più originali quanto discussi,
ovvero il centralismo organico, che Bordiga opponeva al centralismo democratico
di Lenin, il giovane Bordiga presentava già nei suoi primi anni di vita
politica, degli interessanti punti di partenza, ovvero la formazione naturale
della coscienza di classe, la difesa del programma rivoluzionario, e
l’antimilitarismo di classe. Bordiga affermava che il PSI non è un partito operaio né operaista, questi deve difendere il
programma rivoluzionario… il partito socialista ha degenerato, il riformismo lo
ha affogato… la scuola sindacalista ha giustamente reagito ma esagerando e
deducendo l’inutilità del partito socialista formulando il dogma che il sindacato deve ignorare l’azione politica. Bisogna
mostrare tutte le insidie del garibaldinismo che ritorna di moda.
Ne “La Nostra
missione”, articolo del febbraio del 1913, Bordiga ritorna sul ruolo del
movimento giovanile, dove esplicitamente vede nel PSI l’avanguardia del
proletariato nella lotta di classe. In questo articolo è interessante notare la
citazione all’opera dell’anarchico russo Peter Kropotkin sul principio del
mutuo aiuto. Qui Bordiga ribadisce l’indole altruista del proletariato e
delinea una intuizione preziosa, ovvero che è pregiudizioso credere che la
borghesia domini per mezzo dell’ignoranza: essa invece domina per mezzo della
cultura, della sua cultura. L’educazione, borghese, diventa il freno morale.
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