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sabato 20 agosto 2016

Il giovane Bordiga parte seconda

Questa seconda parte, che si chiuderà con i commenti di Bordiga sulla Rivoluzione di Ottobre in Russa, rivela degli aspetti interessanti. Una prima posizione sulla leadership. Bordiga si esprime chiaramente contro un movimento guidato da pochi capi. Questo è confermato anche dal suo commento in merito al lavoro di Lenin e Trotskij dove Bordiga scrive sia puerile attribuire meriti o demeriti a soli due uomini. Nonostante non fosse direttamente coinvolto nella Conferenza di Zimmerwald, organizzata principalmente dai socialisti Italiani, svizzeri e russi, Bordiga commenta sul fallimento della Seconda Internazionale, nella quale egli ancora un po’ di speranze riservava, dettato dall’ingresso in guerra della Francia e della Germania con il bene placito dei partiti socialisti di queste due nazioni, e separatamente formula una sua idea sulla questione nazionale distinguendo le guerre di unificazione nazionale da quelle imperialiste. Secondo Bordiga l’identità culturale, non combacia con il concetto di nazione che ha lo Stato borghese, il quale si cura degli interessi economici e non del rispetto dell’identità culturale. Infine Bordiga chiaramente esalta l’uso della violenza rigettando la rivoluzione legalitaria dei riformisti.    
Nel marzo e nell’aprile del 1913 “L’Avanguardia” pubblica una serie di articoli di Bordiga intitolati “Per la concezione teoria del socialismo” … qui Bordiga esprime chiaramente la sua visione politica che se da un lato è marxista rivoluzionaria dall’altro ha del sapore fortemente di azionismo anarchico: non dobbiamo essere filosofi ma uomini d’azioneil proletariato è ancora alla ricerca del suo programma e non lo troverà definitivamente che dopo una lunga serie di lotte e inevitabili errori commessi nell’azione. Il pensiero socialista si era messo con Marx al di fuori della filosofia.  Il marxismo pone in luce il rapporto di causalità che fa derivare dal fatto economico trasportando nella scienza economica l’origine della scienza sociale. Il socialismo è e deve essere materialista. Noi abbiamo un programma di fatto: l’abolizione della proprietà privata e del regime del salariato. Ci si deve guardare dagli inganni del pensiero borghese e particolarmente delle forme idealistiche che vogliono distrarre l’attenzione del proletariato da quei problemi economici che esso tende a risolvere con la soppressione violenta del dominio di classe. Il nostro pensiero di rivoluzionari è un grande atto di sincerità, contro tutto il pensiero politico della borghesia che è falsificazione e speculazione. Engels diceva che le basi della scienza del socialismo erano gettate, e ora non restava che da svilupparle nei dettagli… Può il pensiero proletario assumersi il carico enorme di questo sviluppo teorico completo? Ecco il problema, secondo Bordiga la risposta era negativa. Faremmo nuovamente dipendere l’azione proletaria dall’intellettualismo borghese, sosteneva. Il Bordiga di questi primi anni era quindi per l’azione.
“Per la cultura socialista” è un articolo uscito su “L’Avanguardia” nel luglio del 1913, dove Bordiga commenta l’opera di Albert e Duchene “Il socialismo rivoluzionario” e la prefazione fattane da Mussolini sull’“Avanti”. Vi sono degli elementi interessanti in questo articolo. In primis Bordiga è un po’ deluso dal poco tempo dedicato da Mussolini alla prefazione. Quindi, c’è un passaggio sulla critica al pensiero anarchico e sindacalista. Secondo Bordiga troppo spesso questi (gli anarchici e i sindacalisti) sono criticati dal punto di vista riformista, ovvero, rigettandone la violenza e ispirandosi invece alla rivoluzione legalitaria. Invece per Bordiga le deficienze del movimento anarchico e sindacalista stavano proprio nel come volevano raggiungere lo scopo rivoluzionario, gli anarchici troppo astratti e i sindacalisti troppo semplicisti nel credere che il sindacato basti a tutto. In più Bordiga dissentiva dagli autori sul fatto che il Marxismo sia fatalista. Il marxismo non limita la portata della rivoluzione ai soli fatti economici ma stabilisce solo un rapporto di causalità che a noi pare innegabile, tra la questione economica e la questione sociale nel solo intento di trovare più facilmente le vie risolutive della seconda. Poi sulla tattica parlamentare, sempre in questo articolo, si trovava un elemento chiave di quello che sarà il pensiero del Bordiga futuro. Egli concordava con la critica ai motivi sballati dell’astensionismo anarchico, e riconosceva la critica di Albert e Duchene all’azione parlamentare in quanto soffocatrice di ogni altra attività. Bordiga commenta – non può negarsi che i fatti sembrano dargli ragione – ma per Bordiga a questo punto si tratta di vedere se il parlamentarismo giova o no al programma massimo del socialismo. Pochi anni più tardi la sua risposta sarà no e la giustificazione sarà la medesima di Albert e Duchene, e da qui il suo astensionismo. Già nel novembre del 1913 Bordiga usciva con delle considerazioni sulla battaglia elettorale appena conclusasi. E’ infatti indiscutibile che le conquiste del Socialismo, dalle massime alle immediate, devono essere opera di grandi masse che si siano formata una coscienza collettiva dei propri interessi e del proprio divenire e siano convinte che, per garantirli ed affermarli efficacemente, non debbono abdicare la tutela nelle mani di pochi dirigenti; come non debbono chiedere aiuti di sorta alla classe economicamente avversa. Il Partito Socialista deve coltivare e diffondere questa coscienza collettiva… Nessuno può negare la verità dell’osservazione che l’uomo costretto al lavoro manuale è propenso a delegare ad altri, agli intellettuali, la gestione e quindi il dominio della vita sociale. Anche le masse quasi coscienti di una qualsiasi finalità tendono ad affidarne la realizzazione ad un uomo o a pochi uomini, che seguono poi troppo ciecamente… Vogliamo dedurne che nelle attuali condizioni ogni forma di azione di classe – non le sole elezioni, ma anche l’azione sindacale e perfino la rivolta di piazza – presenta il rischio che le masse rinunzino all’effettivo controllo dei propri interessi e lo affidino ad un certo numero di “capi”. Bordiga allora non era contrario alle elezioni, ma già vedeva con che facilità nelle lotte elettorali si perdeva di vista ogni scopo che non sia il risultato numerico. Da “Democrazia e Socialismo” è chiaro che per Bordiga le elezioni erano una buona occasione per fare propaganda nelle piazze ove si vuole anche nei seggi di consiglieri comunali e provinciali, o di deputati, ma nulla di più.               
Al XIV Congresso Nazionale del PSI di Ancona aprile del 1914 Bordiga tenne la relazione politica della Direzione e sul socialismo meridionale. Fece un discorso sulla tattica del Partito nelle elezioni ammnistrative. Anche in questo caso Bordiga si batté per una politica di intransigenza assoluta contro ogni tipo di coalizione con i partiti borghesi anche per il Sud Italia, contro i blocchisti. E nonostante le condizioni speciali del Sud Italia, invitava il PSI ad affrontare la questione ammnistrativa con una direttiva unitaria, e a fare dei comuni socialisti un’arma contro lo Stato capitalista e borghese. Il 7 giugno del 1914 in onore della festa dello Statuto Albertino (carta costituzionale della monarchia sabauda) sempre ad Ancona fu organizzata una manifestazione presenziata da repubblicani ed anarchici dove accorse una folla numerosa. I carabinieri aprirono il fuoco sulla folla accorsa uccidendo tre persone. I lavoratori di tutta Italia risposero a questo atto di violenza con dimostrazioni di piazza, i capi del sindacato, Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), socialisti riformisti, furono costretti a proclamare lo sciopero generale. L’epilogo di questa insurrezione fu tipica della storia italiana come commentò Bordiga negli anni 60. Ma il 12 giugno, quando già i poteri statali e la borghesia sbigottivano, la CGdL rese loro uno dei suoi innumerevoli servigi; ordinò la fine dello sciopero generale. Era fresca la tradizione anarchica e sindacalista soreliana, secondo cui il sindacato ha per sua funzione l’azione diretta e violenta e il partito quella legale. Bordiga fu colpito personalmente dalla reazione del governo, ma non spenderà mai una parola sulla sua vicenda personale. Fu in fatti licenziato dalle Ferrovie dello Stato dove lavorava come ingegnere per aver partecipato alla dimostrazione di Napoli. In quei giorni, il 25 giugno, pubblicò in merito un ordine del giorno breve su “Il Socialista” dove salutava i rivoltosi a nome della Sezione Napoletana del PSI.
Nel già citato “Democrazia e Socialismo” uscito il luglio del 1914 su “Il Socialista” si intende come Bordiga si riferisca alla democrazia borghese e quindi si intende la sua frase che il socialismo si affermò come solenne denunzia del fallimento storico della formola democratica, e degli inganni che questa conteneva. E argutamente scrive – La democrazia [aggiunta nostra: borghese] vede nel sistema rappresentativo il mezzo per risolvere ogni problema di interesse collettivo; noi vediamo in esso la maschera di una oligarchia sociale, che si avvale dell’inganno dell’uguaglianza politica per mantenere oppressi i lavoratori. – e ancora più interessante questo altro concetto che – il socialismo è nel campo amministrativo per la massima autonomia locale –. Altro passaggio fondamentale presente in questa serie di articoli è quello su cosa voglia dire essere socialista… vuol dire ritenere oggi, in base all’esame delle condizioni economiche sociali presenti, possibile un’azione di classe tendente a distruggere il capitalismo per sostituirvi un nuovo ordinamento sociale. Agire da socialisti, significa dare opera a che la coscienza di una tale possibilità si diffonda in un numero sempre maggiore di proletari, con la maggiore simultaneità possibile nei diversi paesi e nelle diverse nazioni. Chi, pur riconoscendo che la distruzione del capitalismo sarà una belle cosa, non ritiene giunto il momento di agire in tal senso, ma crede opportuno prima risolvere ben altri problemi, non è un socialista. Sempre in questa serie di articoli poi Bordiga delinea una tesi municipalista, vicina a quella sostenuta da Mussolini sull’“Avanti”. Secondo Bordiga non si poteva saltare lo stadio della solidarietà dei lavoratori nella loro città, ovvero nei loro Comuni, ma il ruolo del Partito era sempre di propaganda, proselitismo e di preparazione all’urto finale delle classi.
In tema di neutralità: al posto nostro” esce sull’“Avanti” nell’agosto del 1914, dove percepisce da subito una di quelle che definisce correnti pericolose ovvero un sentimento di simpatia per la Triplice Intesa, giustificando non solo, ma esaltando l’atteggiamento dei socialisti francesi fino a sostenere che i socialisti italiani dovrebbero accorrere a battersi in difesa della Francia. Questa anche se in sordina fu poi la linea presa da Mussolini. Mentre per Bordiga il concetto di patria era per definizione anti-socialista e non poteva esistere nessuna guerra di difesa. Poi nel settembre, dalle pagine de “Il Socialista”, si riferì apertamente all’atteggiamento di Mussolini in “L’Avanti e la guerra”. In questo articolo criticava l’ambiguità della linea data da Mussolini nei confronti della guerra, nonostante ci tenesse a precisare la sua stima per il direttore dell’Avanti, concludendo con – il Partito deve rendersi sempre più autonomo delle singole persone: e lo stesso Mussolini lo ha tante volte sostenuto! – A seguire vi fu la pubblicazione del manifesto della Direzione e del Gruppo parlamentare del PSI contro la guerra, del quale Mussolini ne rivendicò la paternità. Fino ad arrivare al famoso articolo di Mussolini sulla neutralità attiva ed operante che spingerà il Partito a dimetterlo da direzione dell’“Avanti”. Bordiga rispose al famoso articolo di Mussolini, con un editoriale su “Il Socialista”, “Per l’antimilitarismo attivo ed operante”, dove definiva quelle di Mussolini, balorde esagerazioni. Qui Bordiga però si trovava in una posizione poco lineare – Il concetto di neutralità ha per soggetto non i socialisti, ma lo Stato. Noi vogliamo che lo Stato resti neutrale nella guerra, assolutamente, fino all’ultimo, checché avvenga. Per ottenere ciò noi agiamo su di esso, contro di esso, nel campo e coi mezzi della lotta di classe. Da questa non vogliamo disarmare. La nostra guerra è permanete. – Quando poi Mussolini dal suo nuovo giornale interventista, contro le sue stesse posizioni di pochi mesi prima, incominciò ad attaccare il PSI, Bordiga da “Il Socialista” lanciò l’appello di boicottarlo. In fine nel dicembre del 1914 si concluse la vicenda Mussolini socialista, che per i continui attacchi al PSI venne espulso dallo stesso; Bordiga sempre da “Il Socialista” riportò soddisfatto la notizia, e rimarcò che le condanne contro i traditori sono senza appello.
Un’altra serie di articoli apparvero su “L’Avanguardia” intitolati “Il socialismo di ieri dinanzi alla guerra di oggi”. Qui vi sono diversi spunti molto interessanti: la guerra … è certo una distruzione di capitali, ma alla borghesia intesa come classe, più che il possesso materiale dei capitali, interessa la conservazione dei rapporti giuridici che le consentono di vivere sul lavoro della grande maggioranza. Questi rapporti, interni alle nazioni, consistono nel diritto di monopolizzare gli strumenti di lavoro, che a loro volta sono frutto di altro lavoro della classe proletaria. Quindi per il proletariato la guerra è disastrosa sotto ogni rapporto mentre per la borghesia ne vede intaccata la sua ricchezza materiale, ma conservati e forse rafforzati i rapporti potenziali per ricostruirla, poiché la lotta di classe si assopisce e si spegne nell’esaltazione nazionale. Gli Stati moderni con il loro regime di democrazia mantengono quindi in schiavitù economica la classe dei lavoratori che può essere mobilitata in 24 ore sul fronte essendo la democrazia borghese di fatto la miglior tirannide, insiste Bordiga. In più egli notava che un moto rivoluzionario avrebbe sempre maggiore possibilità di successo in tempo di pace che alla vigilia della guerra. Bordiga il quale riservava ancora qualche fiducia nella Seconda Internazionale dei lavoratori, constatò il vero insuccesso del Socialismo nell’adesione dei partiti socialisti nazionali, di Francia e Germania, alla guerra. I capi di questi Partiti spesso per la loro maggior cultura, borghese intende Bordiga, hanno troppi legami con le ideologie borghesi e si sentono più rappresentati della Nazione che dal Socialismo. Il Socialismo deve quindi rimettere su più salde basi l’azione antimilitarista, rivedere in senso più rivoluzionario la sua azione parlamentare…. Sulla questione nazionale, poi sviluppa la nozione che le guerre ora venivano fatte dagli Stati e non dalle Nazioni. Distingue quindi le guerre di unificazione nazionale da quelle imperialiste. E anche la scusa, ancora in voga oggi per altro, di diffondere la democrazia con le baionette, per Bordiga è ovviamente una scusa borghese. Sul principio di nazionalità pubblica anche un articolo sull’“Avanti” nel gennaio del 1915. La sua posizione in merito è interessante se si mette nel contesto della polemica tra la Luxemburg e Lenin, che Bordiga al tempo ignorava. Bordiga fa qualche riferimento a Zimmerwald, ma non vi partecipò direttamente. Poi in netto contrasto con i riformisti di sinistra, dichiara – Pacifismo? No. Noi siamo fautori della violenza. Siamo ammiratori della violenza cosciente di chi insorge contro l’oppressione del più forte, o della violenza anonima della massa che si rivolta per la libertà... Ma la violenza legale, ufficiale, disciplinata all’arbitrio di autorità,… questa violenza… ci fa schifo e ribrezzo –
Bordiga prese come riferimento Karl Liebknecht per il suo discorso al Reichstag il 2 dicembre 1914 contro l’aumento dei crediti di guerra approvati dalla socialdemocrazie tedesca. Citando più volte Karl Liebknecht per le sue parole contro il militarismo e contro la guerra. Bordiga riallacciò esplicitamente il suo antimilitarismo a quello internazionale proprio di Karl Liebknecht, dei deputati socialisti russi, dei compagni serbi, del riformista Independent Labour Party d’Inghilterra (probabilmente riferendosi ad un Articolo dell’Avanti di J Bruce Glasier, che si riferiva al pacifismo di Keir Hardie all’interno del Partito Labourista) e dell’anarchico Sébastien Faure in Francia. Quindi chiaramente senza tenere in considerazione la loro linea politica, ma solo il loro antimilitarismo. Il caso Frederich Adler, esponente socialista internazionalista austriaco che uccise in un atto anarchico il Primo Ministro Austriaco Stürgkh, suscitò reazioni contrastanti tra i socialisti anche estremisti. Vi era chi condannava questo tipo di atti e chi lo giustificava come atto di esasperazione. Bordiga si schierò con questi ultimi. Fedele alla dottrina socialista internazionale, commenta Bordiga, interprete sicuro, come il suo fratello ideale Carlo Liebknecht, della vera tattica proletaria, si dette alla battaglia contro la borghesia e l’imperialismo nel suo paese. Federico Adler è nostro, rivendicava Bordiga.        
Sulla rivoluzione Russa ci limiteremo ad analizzare qui agli articoli scritti nel 1917, in quanto il pensiero bordighiano post-leninista necessiterebbe una trattazione a parte. Bordiga scrisse una serie di articoli dal titolo “La rivoluzione Russa nell’interpretazione socialista” su “L’Avanguardia” proprio nel 17. Bordiga riconosceva che la rivoluzione russa fosse un fenomeno in atto da già 50 anni. Ma a differenza dal primo commento di Gramsci, il quale pur sostenendo la rivoluzione senza riserve ne individuava le contraddizioni con il pensiero marxiano, Bordiga commentò che nonostante potesse sembrare che  l’applicazione più rigorosa (interessante notare che Bordiga ne critichi il rigore) delle linee del sistema marxistico si adattassero male ad un paese arretrato politicamente, dal punto di vista borghese, come la Russia, qui si era formato un forte Partito socialista marxista – forse il più ortodosso del mondo – riferendosi soprattutto alla frazione bolscevica. Infatti aggiunse, qualche riga dopo, l’estrema (la corrente bolscevica) è la più genuina … vuole la pace, rifiuta la collaborazione anche transitoria di classe, e invoca la presa del potere per attuare il Programma Comunista. Ma notava d’altro canto, come molti altri socialisti, che i metodi socialisti mal si applicavano ad un paese maggiormente costituito da immense masse contadine. Bordiga concludendo in dicembre questa serie di articoli commentava sul trionfo massimalista, utilizzando la terminologia più consona al socialismo italiano, intendendo però la frazione maggioritaria, ovvero bolscevica. Finalmente il governo è rovesciato, scriveva Bordiga, ed il Soviet in cui gli estremisti sono diventati l’enorme maggioranza assume il potere. Mentre scriviamo, fra la ridda di notizie contradditorie e tendenziose che giungono a noi, si comprende che i socialisti lavorano all’attuazione di un programma dalle linee semplici e grandiose – quello stesso del Manifesto dei Comunisti – cioè la espropriazione dei privati detentori dei mezzi di produzione, mentre procedono logicamente e conseguentemente a liquidare la guerra. Un quadro più dettagliato viene riportato nell’articolo del 16 dicembre “Il caos” su “L’Avanguardia”. Qui commentava Bordiga che Lenin e Trotskij con tutti i massimalisti, in quanto sarebbe puerile attribuire tutto …a due persone, potranno essere giudicati i salvatori della Russia proletaria od i traditori della civiltà mondiale. Non possono essere imputati di non sapere che cosa vogliono, di non avere un programma preciso e di non attuarlo con piena coscienza dei mezzi e delle responsabilità. Il caos non è dunque in Russia, dove le cose si vanno assestando.           
Il Bordiga pre-Lenin aveva quindi già un’idea molto chiara di socialismo rivoluzionario marxista, era intransigente, impossibilista per molti aspetti, con una propensione però per l’attivismo, talvolta anarcoide, esaltando l’uso della violenza, si veda il suo commento su caso Adler e post-Lenin per il centralismo blanquista, dai quali non possiamo che prendere le distanze.

Il giovane Bordiga parte prima

Amadeo Bordiga con i dovuti distinguo del caso ha probabilmente rappresentato in Italia ciò che si avvicina di più al marxismo rivoluzionario come inteso dal WSM. La sua costante lotta al riformismo, al revisionismo, al militarismo, e al nazionalismo anche di “sinistra” è sicuramente in linea con le nostre posizioni, mentre la sua esaltazione della violenza rivoluzionaria, l’avversione verso pressoché ogni tipo di forma democratica, e l’adozione del centralismo sono punti di profonda divergenza. Secondo Michele Fatica nel giovane Bordiga era presente l’antitesi tra il socialismo e la democrazia con le sue istituzioni simbolo: la caserma e la fabbrica. Sempre secondo Fatica questo era dovuto per la sua identificazione della democrazia con la massoneria, che lo spinse più tardi a respingere il centralismo democratico formulando il centralismo organico. Dove la direzione del Partito sarebbe diventata un’entità astratta custode della dottrina marxista. Ad ogni modo, la sua posizione giovanile sull’uso del parlamento fu molto vicina al nostro approccio. Il giovane Bordiga non vedeva la via parlamentare come l’unico mezzo di lotta, e prima delle varie delusioni elettorali con il PSI, la sosteneva solo come un mezzo di propaganda e proselitismo socialista.
A causa della ampia censura che il pensiero e l’opera di Bordiga hanno ricevuto dal Partito Comunista Italiano, molto poco si sa sul lavoro di Bordiga, eccettuato il periodo attorno alla scissione del 1921, dove per forza di cose non poteva non figurare nei resoconti storici anche della sinistra stalinista. Per questa ragione in questi due articoli analizzeremo i suoi primi anni di vita politica, ovvero il periodo che va dal 1911 al 1917.
Bordiga nacque nel 1889 a Resina, oggi Ercolano, vicino a Napoli. Suo nonno materno, il conte Michele Amadei di origine toscana ma residente a Roma fu anche egli un ribelle, diventando, nonostante il suo titolo nobiliare, un patriota Risorgimentale oppositore del Papa Re, e affiliato alla Massoneria. Il conte Amadei fu anche Sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e al Parlamento del Regno d’Italia per ben otto legislature dal 1874 al 1897. Anche da parte paterna la famiglia Bordiga era attiva politicamente. I due fratelli Oreste, il padre, e Giovanni, lo zio, di origine piemontese, furono due affiliati alla Massoneria. Lo zio Giovanni, matematico, Professore all’Università di Padova, era un irredentista veneto. Il padre Oreste, lavorò come Professore di economia agraria, a Portici nel napoletano, dove Amadeo crebbe e iniziò la sua vita politica.
Amadeo Bordiga entrò a far parte del Partito Socialista Italiano (PSI) nella sezione di Portici all’età di 21 anni nel 1910 ancora giovane studente di ingegneria, si laureò due anni più tardi. Secondo una ricostruzione dello stesso Bordiga sessantenne, la sua iscrizione al PSI fu una reazione all’emissario del Grande Oriente d’Italia quando gli chiese di entrare nella Massoneria. La situazione all’interno del PSI quando Bordiga ne fece ingresso era alquanto complessa. In linea di principio il PSI era organizzato seguendo l’esempio della socialdemocrazia tedesca; con la differenza che avendo pochissimi fondi, mancava di funzionari, ovvero politici di professione, stipendiati dal partito. Vi era una Direzione con a capo il Segretario di Partito e un Gruppo Parlamentare eletto dai membri con diritto di voto. Questi due gruppi non sempre coincidevano e spesso non concordavano sulla linea politica. Il Gruppo Parlamentare “guidato” da Filippo Turati, il principale artefice della creazione del PSI nel 1892, era pressoché riformista, nonostante Turati si reputasse e fosse riconosciuto spesso come marxista ortodosso.
Nonostante gli anarchici furono stati espulsi durante il secondo congresso del partito nel 1892 a Reggio Emilia, e i sindacalisti rivoluzionari nel 1907 a Ferrara, nel 1910 il PSI raccoglieva ancora diverse correnti. I riformisti “di destra” alla Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, i riformisti “di sinistra” turatiani, come Giuseppe Modigliani e la frazione rivoluzionaria intransigente, guidata dall’ex-operaista, Costantino Lazzari. Quest’ultimo secondo Luigi Gerosa avrebbe influenzato molto l’intransigenza di Bordiga con l’opuscolo “I principi e i metodi del Partito Socialista Italiano” uscito nel 1911, dove il leader degli intransigenti, Lazzari appunto, si rifaceva al programma costitutivo del 1892 e lamentava le varie degenerazioni da esso. Come citato in un mio precedente articolo dedicato ad Antonio Labriola è discutibile anche che questo programma costitutivo fosse pienamente in linea con il socialismo marxista (http://www.worldsocialism.org/spgb/socialist-standard/2010s/2016/no-1338-february-2016/antonio-labriola-strict-marxist), ma per Bordiga fu più il principio di intransigenza che contava, ovvero rimanere fedele al programma del partito dal fine massimo che si poneva la sovversione del capitalismo e l’istituzione del socialismo, in opposizione al fine minimo di cambiare il capitalismo con le riforme.  E’ anche importante notare che già da qui si incominciava a sviluppare in Bordiga l’idea di Partito che non ha bisogno di una vera e propria direzione di individui, ma che il programma fosse così chiaro ed immutabile che sarebbe stato solo questione di seguirlo alla lettera. 
Da subito Bordiga si trovò a lottare, scrivendo su “L’Avanguardia”, contro la politica coloniale italiana e l’anticlericalismo massonico. Nell’ottobre del 1911 l’Italia infatti invase la Libia, parte dell’Impero Ottomano ormai in disfacimento. Bordiga si scagliò subito non solo contro la borghesia italiana che sosteneva il militarismo, ma anche sui presunti socialisti e revisionisti di destra e sindacalisti rivoluzionari come Arturo Labriola, (da non confondere con il marxista ortodosso di cui abbiamo scritto e accennato in precedenza Antonio Labriola) che seguendo tesi loriane (da Achille Loira, economista borghese italiano, si veda prefazione di Engels al secondo volume de Il Capitale) le quali vedevano nell’espansione coloniale un’opportunità per la causa socialista. Bordiga individuò da subito nel nazionalismo una ideologia capitalista che non poteva essere giustificata dal socialismo che per definizione è anti-patriottico. Non si allontanerà mai da questa idea anche quando affronterà faccia a faccia il socialismo nazionalista di Stalin.  
Bordiga insieme ad altri compagni intransigenti del napoletano si impegnò soprattutto dal 1911 al 1914, a smascherare elementi borghesi, massoni detti anche anticlericali borghesi e blocchisti, ovvero per una politica di coalizioni con gli altri partiti borghesi, che controllavano ancora la sezione di Napoli del PSI. Bordiga lottò contro questi revisionisti che in molti casi erano rientrarti ambiguamente nel PSI nonostante la loro espulsione del 1907. Bordiga scrisse in questo periodo molti articoli sulla situazione del Partito nel napoletano, chiedendo più volte l’intervento della Direzione del Partito a mettere fine a questa ambiguità. Bordiga faceva parte al contempo della frazione intransigente e della Federazione Italiana Giovanile Socialista (FIGS) come rappresentante campano. 
Nell’aprile del 1912 Bordiga fondò il Circolo “Carlo Marx” atto a fare attività di propaganda e di studio delle opere marxiane. Nel marzo del 1912 denunciava già l’atteggiamento di alcuni esponenti del gruppo parlamentare, come Bissolati, Cabrini e Bonomi per aver reso omaggio al Re d’Italia ferito in un attentato alla sua vita, chiedendone l’espulsione dal Partito, cosa che avvenne poi durante il congresso e che in virtù di questo episodio vide l’ascesa di Benito Mussolini tra le file del Partito. Al Congresso di Reggio Emilia la sezione di Portici nominò Bordiga loro rappresentante con le seguenti mozioni: 1. Estendere la tattica intransigente alle elezioni amministrative e 2. Escludere dal Partito i membri di associazioni politiche borghesi, quale la massoneria. 
Durante il Congresso della Federazione Giovanile di Bologna nel settembre del 1912 venne discussa “La questione della cultura e della gioventù socialità”. Mentre una parte dei congressisti (Angelo Tasca) riconoscevano al movimento giovanile un semplice scopo di preparazione e di cultura volendo che la Federazione dipendesse dal Partito e il giornale facesse divulgazione elementare, Bordiga propose, ed ebbe la maggioranza, che la Federazione Giovanile mantenesse un indirizzo autonomo e il giornale un carattere di battaglia contro la borghesia. Rispondendo a Gaetano Salvemini direttore dell’Unità, Bordiga osservava che se la nostra “Avanguardia” (nome della rivista sulla quale scriveva Bordiga) assumesse l’indirizzo di cultura, dopo quattro numeri gli operai non la leggerebbero più… il movimento socialista è movimento di preparazione di una parte degli individui alla necessaria trasformazione della società, ma è assurdo giungere alla preparazione con metodi scolastici, anzi occorre cercare nell’azione le fonti di tale preparazione educativa e continuava Bordiga La democrazia dice al popolo: sei sfruttato perché ignorante: studia, educati, liberati dal prete e diverrai libero. Il socialismo dice al proletariato: sei ignorante e vile perché sei sfruttato, sei sfruttato perché chini la testa al giogo: rivoltati, e sarai libero, e potrai allora diventare civile. In quanto per Bordiga Il socialismo era basato non tanto sulla cultura quanto sul sentimento di solidarietà proletaria.
Nel novembre del 1912 Bordiga scriveva “Il socialismo meridionale e le questioni morali” pubblicato sull’“Avanti”, qui egli descriveva l’arretratezza e l’inadeguatezza della borghesia meridionale dalla quale originava il problema morale. Puntualizzava che lo Stato essendo maneggiato dalla oligarchia capitalista del Nord non intendeva sviluppare capitalisticamente il Sud, in quanto lo sviluppo economico, agricolo e industriale del Mezzogiorno non potrebbe che nuocere agli attuali gruppi monopolistici della grandi industrie protette che hanno nel Mezzogiorno il mercato naturale di consumo. Questa inettitudine della classe dirigente del Sud e la conseguente corruzione della sue amministrazioni portava al malcontento sfruttato dai partiti locali, quasi sempre personali, senza alcun contenuto politico a base di clientele e di odi inveterati, in ottimi rapporti con il clero, ancora molto influente. Gli oppositori di questo degrado politico era rappresentato dai borghesi anticlericali, spesso massoni infiltrati anche nel PSI che puntavano sulla questione morale ovvero per un’amministrazione borghese onesta. Questi vendevano quindi un falso socialismo che per loro non era altro che il capitalismo borghese non corrotto ed efficiente. A questo Bordiga oppone il suo commento materialista, ladri od onesti i borghesi si equivalgono. Il PSI avrebbe dovuto essere ultraintransigente contro questi moralisti, perché il socialismo era altra cosa. L’analisi di Bordiga sulla questione morale di allora è stata ed è terribilmente attuale, nel senso che coglie a pieno quello che sarà la linea politica del PCI nel secondo dopoguerra, il partito moralista per antonomasia, che si batterà talvolta concretamente contro l’istitualizzazione della mafia, e dopo il crollo del PCI, la politica che è stata portata avanti da questo e da quel partito politico all’occorrenza.
La riscrittura dell’Opuscolo “Il soldo al soldato” secondo Michele Fatica fu affidata a Bordiga, e viene riportata nella raccolta delle sue opere. Questo opuscolo era stato discusso durante il congresso giovanile di Bologna. Qui Bordiga si scaglia contro la caserma come istituzione della democrazia borghese. La posizione del giovane Bordiga sulle elezioni era generalmente in linea con quella della fazione intransigente del PSI, ovvero a favore del suo utilizzo, ma contro ogni tipo di blocco con i partiti borghesi. La sfiducia dello strumento elettorale però si andrà maturando in Bordiga, con il succedersi delle sconfitte elettorali del PSI e l’eccessivo sforzo che questi ne riservava. Interessante è notare come in un articolo pubblicato sull’“Avanti” del gennaio del 1913, firmato a.b. intitolato “Forza e diritto”, presumibilmente, Bordiga citi come, i nostri maestri Marx, Engels, Lassalle, Antonio Labriola, e Bebel. Questo è interessante in particolare per la presenza di due socialdemocratici tedeschi come Ferdinand Lassalle, che marxista non era, e August Bebel tutt’altro che un intransigente di sinistra, ma più vicino a quello che poteva rappresentare un Turati in Italia. Questi due molto probabilmente scelti da Bordiga superficialmente perché padri fondatori del Partito Socialdemocratico tedesco. In più questo articolo potrebbe sfatare il mito che Bordiga fosse completamente indifferente al pensiero di Antonio Labriola.  
In merito all’organizzazione del Partito, argomento che segnerà più tardi, negli anni 20 e nel secondo dopoguerra uno dei contributi più originali quanto discussi, ovvero il centralismo organico, che Bordiga opponeva al centralismo democratico di Lenin, il giovane Bordiga presentava già nei suoi primi anni di vita politica, degli interessanti punti di partenza, ovvero la formazione naturale della coscienza di classe, la difesa del programma rivoluzionario, e l’antimilitarismo di classe. Bordiga affermava che il PSI non è un partito operaio né operaista, questi deve difendere il programma rivoluzionario… il partito socialista ha degenerato, il riformismo lo ha affogato… la scuola sindacalista ha giustamente reagito ma esagerando e deducendo l’inutilità del partito socialista formulando il dogma che il sindacato deve ignorare l’azione politica. Bisogna mostrare tutte le insidie del garibaldinismo che ritorna di moda.    
Ne “La Nostra missione”, articolo del febbraio del 1913, Bordiga ritorna sul ruolo del movimento giovanile, dove esplicitamente vede nel PSI l’avanguardia del proletariato nella lotta di classe. In questo articolo è interessante notare la citazione all’opera dell’anarchico russo Peter Kropotkin sul principio del mutuo aiuto. Qui Bordiga ribadisce l’indole altruista del proletariato e delinea una intuizione preziosa, ovvero che è pregiudizioso credere che la borghesia domini per mezzo dell’ignoranza: essa invece domina per mezzo della cultura, della sua cultura. L’educazione, borghese, diventa il freno morale.

venerdì 13 agosto 2010

Il bisogno di socialismo

La storia del XX secolo è stata caratterizzata da rivoluzioni, controrivoluzioni, colpi, crolli di regime e guerre di genocidio. Il capitalismo sembra aver eliminato tutti i possibili rivali, benché ancora non risponda ai bisogni fondamentali della gente.

È vero che la privazione materiale – almeno in questa parte del mondo – è minore rispetto a quando il Partito Socialista della Gran Bretagna venne formato nel 1904. Ma è anche vero che da allora c’è stato uno sviluppo tremendo delle forze di produzione – i mezzi tecnici di produzione sufficienti per tutti – cosicché, malgrado l’incremento della popolazione mondiale che vi è stato nel frattempo, non vi è oggi uomo, donna o bambino in qualsiasi parte del mondo che dovrebbe fare a meno di cibo decente, vestiario, protezione o qualsiasi altra amenità della vita. Il fatto che la maggior parte della popolazione mondiale non abbia abbastanza per vivere decentemente serve da accusa potente al presente ordine sociale, il capitalismo.

Contraddizione fondamentale

Il motivo per essere contro il capitalismo e a favore del socialismo è sempre stato semplice. Con la divisione del lavoro risultante dall’uso di macchine e tecnologie sempre più sofisticate, l’umanità già coopera per produrre ciò che è necessario per sostenere la vita e l’attività sociale, ma quello che viene prodotto non appartiene a quelli che lo producono – la classe lavoratrice, coloro i quali sono obbligati a vendere le loro energie mentali e fisiche per vivere e che costituiscono la travolgente maggioranza della società – ma a una minuscola minoranza di persone privilegiate che, per circostanze storiche, possiede e controlla i mezzi di produzione della ricchezza.

Di conseguenza ciò che è prodotto appartiene a questa minoranza e quindi non è a disposizione dei membri della società per essere preso e usato per soddisfare i loro bisogni. I prodotti sono resi a loro disponibili solamente contro pagamento, ma quello che noi della classe lavoratrice possiamo permetterci è limitato dalla misura del nostro assegno salariale o stipendiale, il quale è sempre minore del nuovo valore incorporato in quello che produciamo. La differenza è il profitto – la fonte delle entrate privilegiate della minoranza possedente e lo scopo principale della produzione. Così, non solo il libero accesso a ciò che è prodotto è negato a quelli che, collettivamente, lo producono, ma quello che deve essere prodotto è dettato non da ciò che la gente vuole e necessita, ma da ciò che è maggiormente proficuo.

Questa contraddizione tra la produzione cooperativa/collettiva e l’appropriazione privata della produzione, risultante dai mezzi di produzione che sono monopolizzati da una minoranza, è la causa originaria dei problemi affrontati dalla classe lavoratrice maggioritaria in tutti i campi della vita.

Promettere di risolvere questi problemi, per es. l’alloggiamento, il trasporto, l’ambiente, la disponibilità di cibo, è la materia dei politici, ma i partiti e i politici che votiamo non li risolvono mai. Non perché sono disonesti o non abbastanza determinati o egoisti, ma perché non possono. I problemi che promettono di risolvere sono causati dal capitalismo e perciò non possono mai essere risolti finché al capitalismo è permesso di continuare.

Il capitalismo non può operare per tutti

Il capitalismo, essendo un sistema di profitto basato sul possedimento di classe dei mezzi di produzione, non può mai essere organizzato per operare nell’interesse di tutti. Esso mette sempre i profitti al primo posto. È la sua natura, la quale non può essere cambiata da nessun governo o da nessun altra forma di attività nel contesto del possedimento di classe e della produzione per profitto.

Questo è il motivo per cui il riformismo, che è un tentativo di fare operare il capitalismo nell’interesse di tutti, è in definitiva inutile. Al massimo può solamente piallare un po’ alcune delle parti più scabrose, almeno per alcune persone e per un periodo, ma non può mai risolvere i problemi dei lavoratori salariati o stipendiati.

Questa è la situazione; ciò che la classe lavoratrice, come classe che soffre di più per i problemi causati dal capitalismo, dovrebbe essere impegnata a fare è porre fine alle contraddizioni tra cooperazione nella produzione e appropriazione privata dei prodotti. Ciò può essere fatto solamente portando il possedimento in linea con la realtà produttiva, determinando una situazione dove ciò che è prodotto collettivamente è anche posseduto collettivamente; il che è possibile solamente quando i mezzi per produrre ricchezza sono diventati la proprietà comune di tutti i membri della società.

La soluzione socialista

Questo – la proprietà comune e il controllo democratico dei mezzi di produzione da parte e nell’interesse della società nel complesso – è il socialismo ed è l’unico scopo politico per cui vale la pena adoperarsi. Esso soltanto può fornire la struttura nella quale la produzione può essere “riorientata” non per realizzare profitti a favore di una classe possedente, ma per fornire ciò che la gente vuole e necessita. Sulle basi della proprietà comune e del controllo democratico, abbastanza cibo, vestiario, alloggio, trasporto, energia e altre necessità della vita potrebbero, dovrebbero e sarebbero prodotte per assicurare che nessuno, in nessuna parte del mondo, sia senza ciò di cui ha bisogno. La privazione materiale e le preoccupazioni riguardanti il soddisfacimento dei bisogni materiali – attorno alle quali gira oggi la maggior parte delle vite della gente – non esisterebbero più.

Ma il socialismo non riguarda solo il soddisfacimento dei bisogni materiali della gente. Quello nel socialismo sarà solo routine, una cosa data per scontato. Riguarderà anche il permettere a noi esseri umani di comportarci come gli animali sociali che, biologicamente, siamo. Noi non siamo solamente dipendenti l’uno dall’altro materialmente – dalla cooperazione per produrre ciò di cui abbiamo bisogno – ma anche psicologicamente e culturalmente. Ci siamo evoluti attraverso la cooperazione e abbiamo bisogno di cooperare e sentirci parte di una comunità come altri esseri umani, ma il capitalismo ci nega questo, perché si basa sulla competizione anziché sulla cooperazione. Vi è competizione non solo tra la classe possedente e la maggioranza esclusa – la cosiddetta lotta di classe – ma anche tra i membri della classe possedente per fare profitti – il che, su scala mondiale, porta a guerre e a preparativi per la guerra, per le fonti di materie prime, le rotte commerciali, i mercati e gli sbocchi di investimento – e tra i membri della maggioranza esclusa per i lavori e gli alloggi, alimentando nazionalismo, razzismo e xenofobia.

Il socialismo, mettendo fine alla divisione della società in classi antagoniste, e assicurando che vengano soddisfatti tutti a bisogni materiali di ogni essere umano, fermerà la corsa sfrenata al successo cui siamo costretti a partecipare sotto il capitalismo e creerà una vera comunità e un vero senso di comunità. La gente non sarà più alienata dalla sua natura sociale e dagli altri esseri umani.

In che modo arrivare al socialismo?

Quelli che costituirono il Partito Socialista in Gran Bretagna ebbero un’idea chiara di come il socialismo dovrebbe succedere: attraverso la classe di maggioranza lavoratrice che giunge a capire che essa è una classe sfruttata alla quale il capitalismo non ha niente da offrire, e con l’organizzazione sul campo politico, inseguendo senza compromessi l’unico scopo di strappare il controllo del potere politico alla classe capitalista in modo da usarlo per mettere fine al monopolio esistente della minoranza capitalista sui mezzi di produzione della ricchezza. Questa espropriazione politica e quindi economica veniva vista come un atto consapevole, democratico e politico.

Essa veniva vista come un atto rivoluzionario, non nel senso di rivolta e spargimento di sangue, ma nel senso di un passaggio decisivo, di una rottura, con la rapida conversione dei mezzi di produzione dal monopolio classista di una minoranza alla proprietà comune di tutta la gente. In altre parole, una rivoluzione sociale vista come un rapido e improvviso cambiamento nelle basi della società attuato con i mezzi politici.

A quel tempo c’erano altri che si facevano chiamare socialisti, che proponevano un altro approccio: la graduale trasformazione del capitalismo in socialismo attraverso una serie di riforme sociali che avrebbero dovuto migliorare le condizioni della classe lavoratrice con l’integrazione dei loro salari derivante da benefici statali e che avrebbero dovuto convertire le industrie individuali, una dopo l’altra, in servizi pubblici producendo ciò di cui la gente aveva bisogno non per profitto. Questo andava sotto vari nomi: gradualismo, fabianismo, revisionismo (quando proposto da ex-rivoluzionari marxisti), riformismo.

Il gradualismo fallisce

Questa strategia nega la necessità di una maggioranza socialista consapevole come condizione preliminare per istituire il socialismo. Secondo i suoi proponenti, tutto ciò che era necessario era una maggioranza parlamentare acquisita sulla base di voti per un programma di riforme da essere realizzate nel capitalismo. È stata una strategia sperimentata, in Gran Bretagna, nel 1945 quando il Partito Laburista ebbe una vittoria elettorale schiacciante che gli diede un’enorme maggioranza parlamentare.

Ma non funzionò. Il Partito Laburista, avendo preso la responsabilità di governare il capitalismo, si rese conto, come durante i governi di minoranza in Inghilterra nel 1924 e 1929-1931, che il capitalismo doveva essere governato seconde le proprie regole: cioè la priorità doveva essere data alla produzione di profitto non a miglioramenti sociali per i lavoratori; di fatto, anche i salari dovevano essere contenuti. I governi laburisti di Wilson e Callaghan negli anni 1960 e 1970 non andarono meglio nel riformare il capitalismo nell’interesse di quelli che dipendevano da un salario o uno stipendio per vivere. Inoltre, quei governi finirono con l’amministrare il capitalismo secondo le sue regole, cioè nell’interesse della produzione per il profitto e contro gli interessi degli stipendi e dei salari guadagnati dalla maggioranza. Così fecero tutti i governi simili in altre parti del mondo.

L’esperienza del XX secolo ha mostrato che i gradualisti sbagliano. Tali partiti, invece di cambiare gradualmente il capitalismo, sono stati loro stessi cambiati dal capitalismo. Oggi, addirittura non pretendono di andare verso il socialismo, ma solamente di essere in grado di amministrare il capitalismo in una maniera più efficiente.

I membri del Partito Socialista in Gran Bretagna non erano gli unici critici del riformismo gradualista. I primi membri inizialmente si vedevano come parte della corrente del movimento socialdemocratico che si opponeva al revisionismo e all’opportunismo che si stavano diffondendo all’interno del movimento socialista. Tuttavia, la maggior parte degli altri oppositori del gradualismo prima della prima guerra mondiale, inclusa Rosa Luxemburg, autrice di un opuscolo con il titolo “Riforma o Rivoluzione?”, non videro il pericolo di cercare il sostegno di non-socialisti e la possibilità di diventare loro prigionieri, cioè di un partito socialista che sostenesse le riforme. Dopo il vergognoso crollo del movimento socialdemocratico internazionale quando la guerra irruppe, molti degli altri antigradualisti tornarono al bolscevismo di Lenin per una strategia alternativa.

Anche l’azione minoritaria ha fallito

Laddove i gradualisti sono sempre rimasti a favore di metodi democratici e di azione maggioritaria anche se da parte di non-socialisti, Lenin sosteneva che sotto il capitalismo solo una minoranza sarebbe stata in grado di raggiungere la consapevolezza socialista e che perciò questa minoranza aveva il dovere di organizzarsi come un partito di avanguardia per afferrare il potere per conto della maggioranza.

In altre parole, la strategia alternativa leninista non era un’azione politica socialista conscia e maggioritaria del tipo che sosteneva il Partito Socialista in Gran Bretagna, ma un’azione minoritaria: il socialismo doveva essere introdotto da una dittatura esercitata da una minoranza di socialisti. Così è come fu presentata la presa del potere dei bolscevichi nel corso della rivoluzione russa del 1917. Questa non poteva mai essere una via per raggiungere il socialismo, poiché il socialismo può solo esistere su una base democratica con partecipazione maggioritaria nelle decisioni che vengono prese. E, infatti, il socialismo non è stato raggiunto. Invece che portare al socialismo, la dittatura bolscevica in Russia ha portato a un capitalismo di stato in cui i “socialisti” di avanguardia sono diventati una nuova classe dominante che ha poi esercitato una brutale dittatura sui lavoratori della Russia.

Il XX secolo ha confermato che né la dittatura di minoranza né il riformismo parlamentare possono essere una via al socialismo. La cosa peggiore è stata che la dittatura russa ha rivendicato di essere socialista, con il risultato che milioni di lavoratori in tutto il mondo sono stati scoraggiati dall’idea stessa del socialismo. A dire la verità, il socialismo sta ancora soffrendo per questa sgradita eredità, con la diffusa idea che “il socialismo sia stato sperimentato (in Russia) e sia fallito”.

In realtà il socialismo non è stato sperimentato. Ciò che è stato sperimentato sono due strategie – il riformismo gradualista e la dittatura di minoranza leninista. Entrambe sono fallite. Ciò che non è stato provato è la strategia proposta dai membri fondatori del Partito Socialista della Gran Bretagna nel 1904: un’azione politica consapevole, maggioritaria, rivoluzionaria.

Così come il socialismo rimane urgente oggi come lo era nel 1904, lo è anche quella strategia. “Niente socialismo senza socialisti” rimane un’idea valida oggi come lo era allora. E “il formare socialisti”, come un passo verso l’emergere di un desiderio maggioritario per il socialismo, rimane il compito di quelli che vogliono vedere un mondo socialista di proprietà comune, controllo democratico, produzione per soddisfare i bisogni della gente e libera distribuzione secondo il principio “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.

(Traduzione da Socialist Standard, gennaio 2005)