In occasione del centesimo anniversario del colpo di Stato bolscevico in Russia (precisamente il 7 novembre del 1917, secondo il calendario gregoriano), il Movimento Socialista Mondiale pubblicherà una serie di articoli al fine di analizzare, il contesto storico, l'impatto sul socialismo marxista e la classe dei lavoratori, l'influenza sui socialisti in Italia che tale presa del potere ebbe e tuttora ha. A seguire la traduzione a cura di D.C. dell'articolo uscito sul numero di Ottobre 2017 dello Standard, che chiaramente mostra i limiti della visione leninista del marxismo.
La Russia è mai stata socialista?
Esaminiamo la reazione del
Partito Socialista della Gran Bretagna al colpo di stato bolscevico e descriviamo
l’analisi della Russia Sovietica iniziata per primo da questo partito.
Introduzione
L’apparente trionfo dei bolscevichi nella Russia arretrata del 1917 mise in
subbuglio il movimento marxista. Inoltre, varie organizzazioni politiche in
Europa e in America Settentrionale, precedentemente impotenti, si mostrarono maggiormente
colpite dal rapido e inatteso successo di alcuni rivoluzionari nel mezzo di una
cruenta guerra mondiale, che preoccupate per il potenziale impatto di
quest’evento sugli elementi centrali della teoria marxista (come erano stati sempre
compresi in precedenza).
Contrariamente alla leggenda il Partito Socialista della Gran Bretagna
divenne inizialmente preda proprio di questo sentimento come altri partiti
della sinistra radicale, lodando i tentativi riusciti da parte dei bolscevichi
di allontanare la Russia da quella carneficina che fu la Prima Guerra Mondiale.
Riguardo a ciò che stava accadendo in Russia a un livello più profondo, il
Partito Socialista della Gran Bretagna era più scettico. In effetti quello che
attirava la nostra attenzione più di ogni altra cosa erano le affermazioni
stravaganti, fatte per conto dei bolscevichi dai loro sostenitori in Gran
Bretagna, sull’ “Ottobre Rosso” (i primi di novembre secondo il calendario
gregoriano). La prima analisi dettagliata della situazione russa, scritta da
Jack Fitzgerald, apparve sul “Socialist
Standard” nel numero dell’agosto 1918 con il titolo: “La Rivoluzione in Russia – Dove fallisce”. Affrontava le pretese
dell’allora “Socialist Labour Party” (di
Gran Bretagna), sottolineando perché la presa del potere bolscevica non avrebbe
potuto condurre all’instaurazione del socialismo in Russia. L’articolo si
domandava:
“È
pronta per il socialismo questa massa enorme di gente, circa 160 milioni,
sparsa su otto milioni e mezzo di miglia quadrate? E i cacciatori del Nord, i
piccoli proprietari contadini in rivolta nel Sud, gli schiavi-salariati
agricoli delle Province Centrali e gli schiavi-salariati industriali delle
città sono forse convinti della necessità d’instaurare la proprietà sociale dei
mezzi di sostentamento e forniti delle conoscenze necessarie allo scopo? A meno
che una rivoluzione mentale di un’ampiezza siffatta che il mondo non l’abbia
mai vista abbia preso piede, o un cambiamento economico immensamente più rapido
di ciò che la storia abbia mai registrato sia accaduto, la risposta è ‘No!’
(…). Quale giustificazione ci potrebbe essere, quindi, per definire la
sollevazione avvenuta in Russia una ‘rivoluzione socialista’? Nessuna, al di là
del fatto che i capi del movimento di novembre si definiscono ‘socialisti
marxisti’.”
In effetti, col tempo, il Partito
Socialista della Gran Bretagna arrivò a identificare cinque ragioni principali
per cui l’edificazione del socialismo in Russia da parte dei bolscevichi sarebbe
stata impossibile:
· In primo luogo, come già indicato
da Fitzgerald, la coscienza socialista di massa, necessaria prima di una rivoluzione
socialista vittoriosa, era palesemente assente in Russia, come altrove.
Fitzgerald faceva propria un’osservazione di Litvinov, il quale suggeriva che i
bolscevichi non conoscessero veramente il punto di vista dell’intera classe
lavoratrice quando assunsero il comando, ma solo quello di alcuni suoi settori
come, per esempio, quello degli operai industriali di Pietrogrado.
· In secondo luogo non era
neanche il caso che la classe lavoratrice fosse la maggioran- za numerica in
Russia, una società dominata dall’economia rurale. Come può essere portata a
termine una rivoluzione socialista maggioritaria quando i lavoratori sono una
minoranza e la classe sociale più grande è costituta da contadini analfabeti?
Anche se l’analfabetismo non impedisce in modo assoluto il diffondersi della
comprensione del socialismo, certo, lo rende più difficile. In ogni caso i
contadini si sono da sempre mostrati più interessati a liberarsi dal pesante
fardello delle tasse sulla terra e ad accrescere la dimensione dei loro
appezzamenti piuttosto che a domandare la proprietà comune.
· In terzo luogo il
socialismo non potrebbe esistere in una nazione economicamente arretrata dove
in mezzi di produzione non siano sufficientemente sviluppati da poter sostenete
un sistema socialista di distribuzione.
· In quarto luogo, e ciò è
veramente cruciale, non è possibile costruire il socialismo in un solo paese,
data la natura del capitalismo quale sistema economico mondiale con una
divisione del lavoro su scala planetaria. Un ‘socialismo in un solo paese’,
isolato, sarebbe destinato al fallimento a prescindere dalle lodevoli
intenzioni dei rivoluzionari in esso coinvolti.
· La quinta ragione avanzata
per sostenere la natura non-socialista della Russia bolscevica andava, invece,
proprio alla radice delle nostre differenze politiche con il bolscevismo: il
socialismo non si sarebbe potuto raggiungere seguendo dei capi (illuminati o
meno che fossero).
Il Capitalismo di Stato
In assenza di una rivoluzione socialista mondiale,
realisticamente, ci poteva essere solo una via di sviluppo per la Russia
semi-feudale: la via del capitalismo. Con la virtuale eliminazione della gracile
borghesia russa, per i bolscevichi era stato necessario sviluppare l’industria
attraverso la proprietà statale delle imprese e l’accumulazione forzata di
capitale. In “La catastrofe imminente e
come lottare contro di essa” [1], scritto appena prima della rivoluzione,
Lenin aveva delineato proprio quest’approccio alla crisi russa. Secondo questo
documento Lenin immaginava che le misure immediate necessarie avrebbero comportato
la nazionalizzazione delle banche esistenti e la formazione di una sola banca
di stato, insieme alla nazionalizzazione delle compagnie assicurative, dei
monopoli e di tutte le altre realtà industriali fondamentali. Il “Socialist Standard” colse subito
l’opportunità di porre in dubbio l’ipotetica applicabilità generale delle
azioni bolsceviche in Russia, in questo caso lo sviluppo del “capitalismo di
stato” come precondizione per l’instaurazione del socialismo:
“Se dovessimo copiare la politica bolscevica, dovremmo domandare il
capitalismo di stato, che non è un passo in avanti verso il socialismo nei
paesi capitalisti avanzati. Resta il fatto, come anche Lenin ha dovuto
confessare, che non dobbiamo imparare dalla Russia, ma la Russia deve imparare
dai paesi dove la produzione su ampia scala è dominante (“Un punto di vista
socialista sulla politica bolscevica”, luglio 1920).
Come da noi evidenziato con gran pena ai
nostri oppositori filo-bolscevichi, Lenin ammise che la formazione sociale
della Russia sovietica era essenzialmente capitalistica di stato, sebbene sotto
la direzione e il controllo di un cosiddetto “stato proletario” guidato da un
partito d’avanguardia di rivoluzionari professionisti. Per Lenin la natura
della politica rivoluzionaria era il determinante cruciale del tipo di sistema
sociale esistente. Senza ciò che Lenin definì “democrazia rivoluzionaria”, i
monopoli capitalistici di stato sarebbero rimasti solo espressioni di un
capitalismo di stato. Con il controllo operaio della produzione e il controllo
dello stato proletario da parte del partito di avanguardia della classe
lavoratrice, però, il socialismo sarebbe divenuto una realtà. Secondo “La catastrofe imminente e come lottare
contro di essa” il socialismo sarebbe semplicemente “i monopoli capitalistici di stato usati per servire gli interessi di
tutto il popolo”.
Oltre vent’anni dopo la presa del potere
bolscevica eravamo rimasti scettici sul fatto che il capitalismo di stato fosse
realmente socialismo, anche se presieduto da coloro che si proclamavano
socialisti:
“… le caratteristiche principali del capitalismo [in Russia] non sono
scomparse e non sono in procinto di farlo. Le merci non sono prodotte per l’uso
ma per la vendita a quelli che hanno denaro per acquistarle, come negli altri
paesi. I lavoratori non sono membri di un sistema in cui i mezzi di produzione
della ricchezza siano posseduti e controllati socialmente, ma sono salariati impiegati
dallo stato o da imprese para-statali ecc. Le
imprese di stato russe non sono ‘socialmente possedute’ più delle Poste
Britanniche, dell’Ente Centrale per l’Elettricità [del Regno Unito], o di ogni
altra compagnia privata (…). Il tentativo bolscevico d’introdurre il socialismo
mediante ‘decreti legali’ o ‘coraggiosi balzi in avanti’ prima che le
condizioni economiche siano mature e prima che la gran massa della popolazione
desideri il socialismo, è stato un totale fallimento. Con il tempo questo
fallimento diverrà ovvio ai lavoratori dentro e fuori dalla Russia” (“Domande
del giorno d’oggi”,
1942).
Il capitalismo, basato sulla separazione tra i
produttori e i mezzi di produzione, non era stato abolito e non sarebbe potuto
esserlo. La produzione aveva ancora luogo nella forma di un sistema di scambi basato
sulla circolazione dei capitali. Il capitale si espandeva in conseguenza dello
sfruttamento del lavoro salariato e i beni erano ancora prodotti per la vendita
sul mercato in vista della realizzazione di un plusvalore. In effetti, molto
dell’analisi iniziale del Partito Socialista della Gran Bretagna dedicata alle
basi economiche del sistema sovietico rifletteva l’intento di dimostrare le
somiglianze tra il capitalismo di stato russo e il capitalismo britannico,
basato sulle imprese private, con cui il partito era più familiare.
Chi è la classe
capitalista?
Col tempo, mentre era chiaro che il
capitalismo di stato in Russia (e poi nei suoi vari paesi satelliti) manteneva
tutte le caratteristiche essenziali del capitalismo, rimanevano anche evidenti
differenze, benché superficiali. Una, ad esempio, era legata a chi fosse la
classe capitalista in Russia, dato che i sostenitori di questo sistema spesso
sostenevano che non potesse realmente esistere il capitalismo in Russia dato
che non c’era una classe capitalista nel senso tradizionale del termine. Eppure
in realtà esisteva una classe capitalista di questo tipo, come mostrato
dall’opuscolo “Milionari Sovietici”
di Reg Bishop del 1940, insieme a un settore privato che affiancava le maggiori
istituzioni e le compagnie possedute dallo stato, nonostante fosse alquanto
marginale.
Ad ogni modo era chiaro che il potere e il
controllo effettivi (comprese le decisioni economiche) erano tutti concentrati
in un potente gruppo di burocrati dirigenti che godevano di uno stile di vita
privilegiato e di alti stipendi ottenuti dalla loro posizione al vertice della
gerarchia sovietica. Questa classe dirigente non poteva essere semplicemente
equiparata ai sovrintendenti e ai manager interni al capitalismo a cui si
riferiva Marx, i quali ricevevano uno stipendio basato sulla quantità di beni
necessaria per produrre e riprodurre la loro forza-lavoro. All’opposto, questa
classe di burocrati in Russia stava usando la sua posizione di controllo per compiere
le stesse funzioni espletate dai capitalisti individuali nelle prime fasi dello
sviluppo capitalista e per impossessarsi di entrate privilegiate ricavate dal
plusvalore. Benché non avesse titoli legali sui mezzi di produzione e non fosse
in grado di cederne o passarne la proprietà, era chiaramente una classe
possidente del tipo menzionato nella nostra Dichiarazione dei Principi, che
esercitava un “monopolio … della
ricchezza estorta ai lavoratori”. Questa classe capitalistica di stato,
come la classe capitalista dei proprietari privati in occidente, era
privilegiata nei consumi ricevendo stipendi “gonfiati” che non erano il prezzo
della loro forza-lavoro, ma una quota del plusvalore totale creato dalla classe
lavoratrice. Ed erano anche privilegiati per via di una moltitudine di
vantaggi, benefici e bonus solo a loro disponibili, compreso l’accesso a
esercizi commerciali esclusivi come negozi e ristoranti di lusso da cui la
classe lavoratrice era addirittura fisicamente esclusa.
L’opinione prevalente nel Partito Socialista
della Gran Bretagna fu che la natura di classe non potesse venir determinata
dalle sole forme legali o dai metodi di selezione (infatti la classe possidente
sovietica non veniva selezionata ereditariamente, ma tramite altri metodi, più
meritocratici, che non erano stati del tutto inusuali nelle altre classi
possidenti della storia). Così, in definitiva, il partito concluse che,
nonostante la classe capitalistica di stato non avesse titoli legali di
proprietà sui mezzi di produzione, tuttavia costituiva ugualmente una classe in
grado di esercitare una proprietà collettiva sui mezzi di produzione e di distribuzione.
Ciò che venne giudicato di primaria importanza fu, quindi, la realtà sociale
del capitalismo piuttosto che una sua particolare forma legale: gli oppositori
della teoria del capitalismo di stato non erano mai stati capaci di vedere al
di là di quest’ultima.
La teoria del capitalismo di stato
Il Partito Socialista della Gran Bretagna fu
il primo gruppo politico nel Regno Unito, e probabilmente nel mondo, a
identificare la direzione capitalistica di stato presa dalla Russia sotto la
dittatura del partito comunista, benché molti altri giunsero nel corso del
tempo alla stessa conclusione, anche se non sempre per le medesime ragioni.
Diversamente da noi la gran parte di questi
gruppi restava nel solco della tradizione leninista o, per lo meno, si mostrava
interessata a identificare alcuni aspetti positivi nella presa del potere
bolscevica i quali, in futuro, sarebbero potuti essere usati dal movimento
socialista in altre situazioni. In particolare, la concezione leninista del
socialismo come proprietà e direzione statali dell’economia sotto il controllo
di un partito di avanguardia operante tramite lo strumento politico dei
consigli operai era acriticamente accettata dalla maggioranza di questi gruppi.
Di conseguenza essi attribuirono solo in seguito la caratteristica di
“capitalismo di stato” alla Russia, quando ritennero che la proprietà statale
non coincidesse più con la “democrazia proletaria” e con il potere dei soviet.
Questa fu essenzialmente l’analisi proposta inizialmente dai “comunisti dei consigli”
tra cui, per esempio, Otto Rühle che vide nella repressione dei soviet l’ascesa
del “despotismo dei commissari” e del capitalismo di stato (Rühle stesso, più
tardi, comprese l’inadeguatezza di questa posizione e giunse a concepire la
nazionalizzazione e la regolazione da parte dello stato come intrinsecamente
“capitalistiche di stato”). Il maggiore gruppo della “Sinistra Comunista” in
Europa, la KAPD tedesca [2], sviluppò una prospettiva simile. Identificò il
capitalismo con la proprietà privata (specificamente non-statale) dei mezzi di
produzione e, come la “Workers’ Socialist
Federation” (anch’essa “comunista dei consigli”) in Gran Bretagna, lodò i
bolscevichi per la loro costruzione del socialismo nei centri industriali della
Russia. In seguito la KAPD divenne fortemente critica del sistema bolscevico
dopo la repressione finale dei soviet e l’introduzione della cosiddetta “Nuova
Politica Economica”, che, sosteneva la KAPD, annunciava un “regresso verso il
capitalismo”.
Nonostante gli eccessi iniziali della
“Sinistra Comunista” e dei gruppi dei “comunisti dei consigli” che
invariabilmente lasciarono che l’ammirazione per la forma politica dei soviet
dominasse le loro analisi, forse il peggior esempio di socialismo concepito
come la combinazione di proprietà statale più “democrazia rivoluzionaria” venne
dai trotzkisti. Ironicamente le teorie trotzkiste sul capitalismo di stato, pur
essendo le più deboli, sono le più note. C. L. R. James e Raya Dunayevskaya del
“Socialist Workers’ Party”
statunitense furono i primi trotzkisti a separarsi dallo stesso Trockij e ad
attribuire all’URSS una natura capitalistica di stato, benché la teoria forse
più nota sia quella elaborata da Tony Cliff e fatta circolare come documento di
discussione all’interno del Partito Comunista Rivoluzionario della Gran
Bretagna nel periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale,
prima di venir pubblicata con il titolo: “Russia,
un’analisi marxista”.
Cliff, che era la vera guida dietro ciò che
sarebbe poi divenuto l’SWP britannico [3], sostenne che le sue ragioni per
dividersi dai trotzkisti ortodossi, identificando l’Unione Sovietica con il
capitalismo di stato, fossero abbastanza semplici:
“Quando giunsi alla teoria del capitalismo di stato non vi arrivai
attraverso lunghe analisi [sulla sopravvivenza] della legge del valore in
Russia … Niente di tutto ciò. Vi arrivai con la semplice constatazione che …
non si può avere uno stato operaio senza che i lavoratori abbiano il potere di
determinare ciò che avviene nella società” (intervista a “The Leveller”, 30 settembre 1979).
In realtà Cliff era stato pesantemente
influenzato dal suo compagno trotzkista Jock Haston circa le opinioni del
Partito Socialista della Gran Bretagna sull’esistenza del capitalismo di stato
in Russia al posto del socialismo o del cosiddetto “stato operaio”; ma Cliff non
sarebbe mai stato in grado abbandonare del tutto le prospettive di Lenin e di
Trockij. In effetti l’analisi di Cliff era profondamente radicata nell’idea che
l’URSS fosse una forma di “stato operaio” prima che il “Piano Quinquennale” di
Stalin, nel 1928, instaurasse la burocrazia come nuova classe consumatrice di
plusvalore. Come tutti i trotzkisti, Cliff non identificò l’URSS con una
società in via di sviluppo secondo le linee guida del capitalismo di stato già
dal 1917, ma soltanto a partire dall’ascesa al potere di Stalin. Sotto Lenin la
Russia sarebbe stata, ipoteticamente, una società in transizione dal
capitalismo al comunismo, fondata sul potere della classe lavoratrice. Per
Cliff un cambiamento visibile di controllo politico condurrebbe a una mutazione
fondamentale della struttura economica, a quello che, in effetti, arriverebbe a
essere un “regresso verso il capitalismo”.
Forse sorprendentemente, furono proprio i
trotzkisti che restarono fedeli alle opinioni di Trockij (nel periodo
dell’esilio) sulla Russia vista come uno “stato operaio degenerato” che mossero
le critiche più pertinenti all’analisi di Cliff, in particolar modo alle sue
conclusioni che la struttura del sistema sovietico fosse cambiata nel 1928 e
avesse assunto basi capitalistiche. Il primo di questi critici fu il rivale
trotzkista britannico Ted Grant (fondatore di ciò che poi divenne “The Militant” [4]) che scrisse:
“Se la tesi del compagno Cliff fosse corretta, ossia che in Russia oggi ci
sia il capitalismo di stato, allora non si potrebbe evitare la conclusione che il
capitalismo di stato esista dai tempi della rivoluzione russa e che la funzione
stessa della rivoluzione sia stata quella di introdurre questo sistema di
capitalismo di stato nella società. Perché, nonostante i suoi strenui sforzi
per tracciare una linea di demarcazione tra le basi economiche della Russia
prima e dopo il 1928, tali basi economiche sono rimaste immutate (…) il denaro,
la forza-lavoro, l’esistenza della classe lavoratrice, il plusvalore ecc. sono
tutti relitti del vecchio sistema capitalista sopravvissuti perfino sotto il
regime di Lenin (…) la legge del valore si applica, e deve potersi applicare,
fino a che non vi sia un accesso diretto ai prodotti da parte dei produttori”
(“Contro la teoria del capitalismo di stato”, 1949).
Questa conclusione fu certamente rifiutata da
Cliff e dagli altri teorici trotzkisti del capitalismo di stato, benché
ovviamente, non da noi. Oggi molti gruppi politici di “comunisti dei consigli”,
di “comunisti di sinistra” e di trotzkisti identificano la Russia sovietica,
sicuramente nel periodo successivo a quello di Lenin, con una realtà
essenzialmente a capitalismo di stato e, come noi, hanno applicato la loro
analisi della società russa ad altri paesi “socialisti” con caratteristiche
simili in Asia, Africa e America Centrale. Il non esser soli nell’identificare
la natura capitalistica dell’URSS ovviamente non indebolisce la nostra
posizione di unica organizzazione che promosse un’analisi basata sul
capitalismo di stato degli eventi della Russia all’epoca del loro accadimento e
non, solamente, con il senno di poi. Ma quello che è più importante è che
rimaniamo una delle poche organizzazioni impegnate a sostenere una tale critica
all’URSS (e ai regimi simili) che non abbia mai cercato di adottare o di
promuovere l’avanguardismo leninista che, così chiaramente, condusse proprio a
questo sbocco capitalistico di stato.
DAP
(da “Socialist Standard” n. 1358,
Ottobre 2017, traduzione italiana a cura del blog “Movimento Socialista Mondiale”).
NOTE
[1] “La catastrofe imminente e come lottare contro
di essa” (del 10-14 settembre 1917) in V. I. Lenin, Opere, vol. 25 (Editori Riuniti, Roma, 1967).
[2] Kommunistische Arbeiterpartei Deutschlands
(“Partito Comunista Operaio di Germania”), attivo dal 1920 al 1933.
[3] “Socialist Workers’ Party” (“Partito
Socialista dei Lavoratori”), partito trotzkista britannico fondato nel 1950 e
ancora esistente.
[4] “The Militant” (“Il Militante”) fu il giornale
dell’ala trotzkista del Partito Laburista britannico nota come “Militant Tendency” nel periodo 1964-1991.
Dopo l’espulsione proseguì come rivista autonoma fino al 1997.
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