Durante la cosiddetta "rivolta di gennaio", iniziata
il 6 gennaio di cento anni fa, Rosa Luxemburg viene rapita e poi assassinata,
insieme a Karl Liebknecht, dai soldati dei famigerati “Freikorps”, i gruppi paramilitari agli ordini del governo del premier
social-democratico Friedrich Ebert e del ministro della Difesa
Gustav Noske. Il corpo di Rosa,
gettato in un canale di Berlino, è recuperato solo il 31 maggio e sepolto nel cimitero
centrale di Friedrichsfelde. Si sa per certo che il brutale assassinio avviene
il 15 gennaio.
Da questo momento inizia un
vero e proprio processo di “beatificazione” per la rivoluzionaria polacco-tedesca
portato avanti dalla Sinistra mondiale delle più varie sfumature: già
nel 1926 a lei, Karl Liebknecht, Leo Jogiches e Franz Mehring viene
dedicato un monumento del famoso architetto Ludwig Mies van der Rohe, commissionato dal Partito Comunista Tedesco (la KPD) di
stretta osservanza moscovita. Successivamente, con la fondazione della Repubblica
Democratica Tedesca nel 1949 all’interno della zona di occupazione sovietica
della Germania sconfitta, praticamente tutto viene intitolato alla memoria di
Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht: vie, piazze, scuole, biblioteche, musei,
perfino monete e francobolli. Il messaggio è molto chiaro ed elementare
(benché, come vedremo in seguito, completamente falso): le idee rivoluzionarie
della Luxemburg sono sopravvissute alla sua morte nel programma della KPD e si
sono poi finalmente concretizzate nella Germania “socialista”, resa possibile
dalle baionette russe dopo il crollo del regime nazista.
Ma vi è anche un altro uso,
senz’altro più scaltro e intellettualmente sofisticato, ma non per questo più
autentico, dell’eredità politica luxemburghiana. Quando diviene chiaro, ad
opera soprattutto dei lavori del comunista libertario Daniel Guérin (1971), che
il pensiero di Rosa Luxemburg è per moltissimi aspetti irriducibile alla
vulgata marxista-leninista di Mosca o di Pechino, ella viene assunta da vari
gruppi socialdemocratici critici e “di sinistra” come l’emblema della
cosiddetta “Terza Via”, equidistante dal “socialismo reale” sovietico o cinese
e dal riformismo socialdemocratico dell’Europa Settentrionale. Campione di
questa tendenza in Italia è il dirigente del PSI prima (e del PSIUP poi) Lelio
Basso, figura culturalmente molto significativa nel trentennio ’50-‘70, ma
alquanto inquieta e oscillante tra un socialismo democratico “radicale” e un
comunismo critico “dal volto umano”, con venature anche di operaismo e di
terzomondismo. E una tale apologia luxemburghiana da parte dei
“riformisti di sinistra” continua ancora oggi: gli esponenti del partito della
"Sinistra Europea'', nato proprio a Berlino il 10 gennaio 2004, come primo
atto ufficiale si sono recati in pellegrinaggio sulla tomba di Rosa Luxemburg per
rivendicare la supposta continuità tra il loro progetto politico e quello della
grande rivoluzionaria polacco-tedesca.
Ma chi è davvero questa donna eccezionale che
con i suoi scritti e le sue azioni sembra riscuotere un consenso generale nella
Sinistra degli ultimi cento anni, mettendo apparentemente insieme lo stalinista
Walter Ulbricht, il socialista “di sinistra” Lelio Basso, l’anarco-comunista Daniel
Guérin e il comunista dei consigli Paul Mattick, in un modo tale che forse solo
un gigante del pensiero come Marx potrebbe fare?
E, soprattutto, se non fosse stata
crudelmente massacrata a soli 47 anni, cosa avrebbe pensato del “socialismo
reale” edificato dai comunisti ufficiali, o, più in generale, della ideologia
dogmatica e totalitaria del cosiddetto “marxismo-leninismo”?
Nelle poche pagine che seguono cercheremo di
dare una risposta sincera e senza preconcetti a questi interrogativi arrivando
alla conclusione, probabilmente per molti un po’ provocatoria, che è forse
proprio il “World Socialist Movement” (WSM), pur
con tutte le differenze e i distinguo del caso, a essere il raggruppamento
politico di oggi più autenticamente “luxemburghiano”. Paradossalmente
utilizzeremo per le citazioni di Lenin parte di un vecchio e misconosciuto
articolo telematico (“Chi era Rosa
Luxemburg?”, http://www.pmli.it/chieraluxemburg.htm)
di un piccolo raggruppamento maoista italiano (il PMLI) che, proprio a causa
del suo estremismo settario (agli antipodi del WSM in tutto), riesce ad essere
veritiero almeno in un punto: la pluriennale opposizione tra Lenin e la
Luxemburg.
Rosa Luxemburg (o meglio “Róża
Luksemburg”
in polacco) nasce a Zamość nella Polonia aggregata all’Impero Russo nel
1871 da una famiglia di origine ebraica di commercianti di legname, prima
agiata e poi alquanto impoverita. Trasferitasi a soli due anni a Varsavia, vi
frequenta a partire dal 1884 il liceo femminile entrando subito in contatto con
gruppi giovanili clandestini d’ispirazione socialista. Nel 1889, per sfuggire a
una serie di arresti che decima tutti i vari movimenti socialisti polacchi,
Rosa si vede costretta a emigrare in maniera rocambolesca, attraversando la
frontiera austriaca nascosta in un carro di fieno e giungendo in fine in Svizzera. Qui fa studi
universitari di filosofia, di matematica e di scienze naturali, ma alla fine
opta per la giurisprudenza e l’economia addottorandosi (cosa ancora eccezionale
per una donna) a Zurigo nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della
Polonia. Nel frattempo approfondisce lo studio del marxismo e partecipa
attivamente alla vita politica degli esuli socialisti polacchi e russi,
collaborando soprattutto con Leo Jogiches di cui
diventa la compagna. L’evento più importante di questo periodo è la separazione
(1893-1894) dei socialisti patriottici del PPS da quelli internazionalisti
dell’SDKP, che, animati proprio da Jogiches e dalla Luxemburg, fonderanno a
Parigi la rivista “Sprawa Robotnicza”
(“La Causa operaia”). Inizia fin da subito l’intransigente opposizione
luxemburghiana a ogni forma di patriottismo e di nazionalismo, persino per le
nazionalità oppresse come quella polacca, in quanto considerati una “illusione destinata a distogliere i
lavoratori dalla lotta di classe”. Cominciano proprio in questo periodo (originariamente
per banali problemi di diritti d’autore) le prime ruggini con i socialisti
russi che, per bocca del loro massimo teorico Georgij V. Plechanov (il mentore
e maestro di marxismo del giovane Lenin), nel 1893 forniscono un appoggio
organizzativo importante ai delegati social-patrioti del PPS presso il III
congresso della Seconda Internazionale, riuscendo così a privare Rosa Luxemburg
della sua delega. La battaglia contro il nazionalismo polacco prosegue con
opuscoli e articoli su diverse riviste socialiste europee (anche su “Critica Sociale” di Turati) almeno fino
al 1896, quando, durante il IV congresso della Seconda Internazionale, si
arriverà a una soluzione provvisoria di compromesso nella quale si riconosce il
diritto dei popoli all’auto-determinazione, ma si ribadisce anche che il fine
ultimo dei partiti socialisti è l’eliminazione del capitalismo a livello mondiale.
Rosa capisce però che per influire davvero
sul movimento operaio ha bisogno di portare le sue idee coerentemente marxiste
nel cuore stesso della Seconda Internazionale: il Partito Socialdemocratico
Tedesco (la SPD) e quindi nel 1898 emigra in Germania, dove si stabilisce in
maniera definitiva dopo un matrimonio fittizio con un cittadino tedesco, il
figlio dell’amica Olympia Lübeck. Trasferitasi a Berlino, stringe amicizia con
i coniugi Kautsky che in quel periodo stanno iniziando una lotta senza
quartiere contro tendenze revisioniste sostenute apertamente da Eduard
Bernstein a partire dal 1896. È il famoso “Revisionismusdebatte”. Ma piuttosto che
dedicare spazio alla nota battaglia della Luxemburg contro il riformismo
revisionista prima e contro centrismo kautskiano dopo (con il “Massenstreikdebatte” nel periodo 1906-1913), sarà molto più utile per il nostro scopo
capire come ella entri diverse volte in rotta di collisione con Lenin e i
bolscevichi russi.
Il primo episodio prende le mosse da un
attacco diretto a Lenin in un articolo che ella dedica alla crisi del Partito Operaio
Social-Democratico Russo (il POSDR) e alla successiva scissione tra bolscevichi
e menscevichi, apparso nel 1904 contemporaneamente sulla Neue Zeit (l’organo teorico della SPD) e sulla Iskra (giornale del POSDR) con il titolo piuttosto neutro di “Questioni organizzative della
socialdemocrazia russa”. Ma sotto un atteggiamento apparentemente
distaccato e quasi da cronista, la Luxemburg coglie acutamente l’essenza
radical-borghese della dottrina leninista del partito, scrivendo:
“Per questo motivo la socialdemocrazia crea un tipo di organizzazione completamente diverso da quelli comuni ai precedenti movimenti rivoluzionari, come i giacobini e i seguaci di Blanqui. Lenin sembra ignorare questo fatto quando presenta nel suo libro «Un passo avanti e due indietro» (a pagina 140) l'opinione che il socialdemocratico rivoluzionario non sia altro che un «giacobino, indissolubilmente unito all'organizzazione del proletariato, che ha preso coscienza dei suoi interessi di classe». Per Lenin la differenza tra la socialdemocrazia e il blanquismo si riduce all'osservazione che al posto di una manciata di cospiratori, abbiamo un proletariato consapevole della sua natura di classe. Dimentica che questa differenza implica una revisione completa delle nostre idee sull'organizzazione e, quindi, una concezione completamente diversa del centralismo e delle relazioni esistenti tra il partito e la lotta stessa”.
“Per questo motivo la socialdemocrazia crea un tipo di organizzazione completamente diverso da quelli comuni ai precedenti movimenti rivoluzionari, come i giacobini e i seguaci di Blanqui. Lenin sembra ignorare questo fatto quando presenta nel suo libro «Un passo avanti e due indietro» (a pagina 140) l'opinione che il socialdemocratico rivoluzionario non sia altro che un «giacobino, indissolubilmente unito all'organizzazione del proletariato, che ha preso coscienza dei suoi interessi di classe». Per Lenin la differenza tra la socialdemocrazia e il blanquismo si riduce all'osservazione che al posto di una manciata di cospiratori, abbiamo un proletariato consapevole della sua natura di classe. Dimentica che questa differenza implica una revisione completa delle nostre idee sull'organizzazione e, quindi, una concezione completamente diversa del centralismo e delle relazioni esistenti tra il partito e la lotta stessa”.
Questo articolo causò la prima violenta
reazione di Lenin contro Rosa contenuta nello scritto del settembre 1904 intitolato
"Un passo avanti e due indietro.
Risposta a Rosa Luxemburg'' (da non confondersi con il quasi omonimo saggio
leniniano citato dalla Luxemburg:
"Un passo avanti e due indietro”, di pochi mesi prima), dove la
rivoluzionaria polacco-tedesca viene accusata di aver fatto conoscere ai lettori
socialisti tedeschi non l’esatto pensiero di Lenin, "ma qualcosa di diverso'', in particolare a proposito del
progetto di Statuto del Partito elaborato e presentato al congresso del POSRD
da lui stesso. La si accusava senza mezzi termini di aver scritto "esclusivamente banalità inventate di
sana pianta'' e d’ignorare persino “l'abbiccì
della dialettica''. Ma il direttore della Neue Zeit del periodo, Karl Kautsky (in buoni rapporti con Rosa
fino al 1906), si rifiuta di pubblicare la replica di Lenin. In effetti in quel
periodo d’inizio secolo, Rosa Luxemburg, come pure Kautsky, si schiera coi
menscevichi contro i bolscevichi nella lotta all’interno del POSDR. E non è un
fatto episodico: sul piano ideologico e politico la Luxemburg sostiene e
teorizza anche in seguito posizioni chiaramente e coerentemente “mensceviche”,
avverse ad ogni concezione avanguardista del partito e fondate sull’autonomia
della classe lavoratrice nel suo processo di auto-emancipazione. Ad esempio,
nel 1912 Lenin l’attacca duramente perché in un articolo su “Vorwärts” (il quotidiano della SPD) del
14 settembre ella aveva criticato Karl Radek sulla questione del cosiddetto “liquidazionismo”
(ovvero l’ipotesi di scioglimento del POSDR), ma non da posizioni bolsceviche,
quanto piuttosto sposando le opinioni di Julius Martov, il famoso dirigente
marxista menscevico. Lenin definisce in questa occasione "presuntuose'' le parole usate da Rosa Luxemburg.
Certamente vi sono anche occasioni in cui tra
la Luxemburg e Lenin s’arriva a una parziale convergenza: nell'agosto 1908,
quattro anni dopo il primo scontro sul menscevismo, Lenin la loda pubblicamente
citando un suo articolo contro il militarismo in cui si difende la causa della
fallita rivoluzione russa del 1905. Probabilmente in quel momento il dirigente
socialista russo ritiene prioritario attirare dalla parte dei bolscevichi
elementi politici come Rosa Luxemburg e altri dell’ala "sinistra'' della socialdemocratica
tedesca.
Ma già nell’agosto del 1912 riemergono forti
contrasti tra i due quando la Luxemburg partecipa alla cosiddetta
"conferenza di Tyszka'' (lo pseudonimo di Jogiches) che raduna il Comitato
Esecutivo del SDKPiL (l’erede dell’SDKP dopo
l’ingresso dei lituani nel 1899), un partito in grave crisi dopo il 1911
divenuto assai polemico nei confronti di tutte le tendenze del socialismo russo.
Lenin, che come sempre spinge per organizzazioni politiche su base nazionale o
etnica, definisce molto aspramente quel Comitato Esecutivo sostenendo che sia “miserabile” e che “non abbia più nessun partito da amministrare”. Ma c’è di più: nel
marzo 1913, in una lettera alla redazione del “Sozial-demokrat” (l’organo centrale del partito bolscevico), Lenin
stronca in modo implacabile l’opera teorica più importante di Rosa Luxemburg: "Ho letto il nuovo libro di Rosa, «Die Akkumulation
des Kapitals». Ne dice di grosse! Ha storpiato Marx''. Anche se Nikolaj I.
Bucharin nel 1924 dimostrerà che le critiche luxeburghiane agli schemi di
riproduzione allargata di Marx non sono necessarie, il tempo sarà però
galantuomo: “L’accumulazione del
capitale”, un lavoro di notevole profondità e originalità viene riscoperto
più tardi da svariati economisti, sia marxisti come Fritz Sternberg che
accademici come Joan Robinson, ed è oggi considerato una vera e propria pietra
miliare nello studio di fenomeni tipici del capitalismo moderno, come l’imperialismo,
il colonialismo e la corsa agli armamenti.
La ferma opposizione di entrambi alla I
Guerra Mondiale sembra spingere finalmente Lenin e la Luxemburg nella stessa
direzione politica. Rosa sostiene vigorosamente la posizione anti-bellicista
intransigente dei bolscevichi russi e lo scrive, firmandosi con lo pseudonimo di
"Junius'', sia nell'opuscolo "La crisi della socialdemocrazia
tedesca'' (redatto nel 1915 durante la sua prigionia e pubblicato nel 1916
in modo clandestino), sia nelle "Tesi sui compiti della
socialdemocrazia internazionale'' a cui collaborano anche altri
socialdemocratici tedeschi di sinistra come Clara Zetkin e Franz Mehring. Tuttavia
oltre alle lodi non mancano anche delle velate critiche a Lenin e alle sue
teorie rivoluzionarie, al punto tale che questi si sente costretto a replicare
scrivendo nel luglio 1916 le sue osservazioni "A proposito dell'opuscolo di Junius”: anche se espressi "con grande vivacità'' e in grado
di esercitare "ancora una grande influenza
nella lotta contro il partito ex-socialdemocratico tedesco che è passato nel
campo della borghesia'', sostiene Lenin, "i ragionamenti di Junius sono molto incompleti'' e conterrebbero
"due errori''. Siccome "per i marxisti, l'autocritica è
indispensabile'' e "le opinioni
che devono servire come base ideologica per la III Internazionale vanno
esaminate sotto tutti gli aspetti possibili'', Lenin critica
puntigliosamente quelli che lui vede come i difetti principali di Junius-Luxemburg,
cominciando dalla "errata negazione
di tutte le guerre nazionali'', superate dalla guerra mondiale
imperialista. Infatti, secondo il leader bolscevico, affermando ciò la
Luxemburg vanifica "il principio
fondamentale della dialettica marxista'' secondo cui "tutti i limiti, nella natura e nella società, sono relativi e
mobili; che non c'è un solo fenomeno il quale non possa, in determinate
circostanze, trasformarsi nel suo opposto. Una guerra nazionale può
trasformarsi in guerra imperialista e viceversa''. Vediamo come ancora una
volta, sfrondato della tipica retorica marxisteggiante di Lenin, il punto di
scontro sia sempre quello della questione nazionale, in questa occasione però
vista dal lato militare. E poi sul tema della "difesa della patria''
Junius-Luxemburg sviluppa secondo Lenin un ragionamento sbagliato, in modo che tale
tesi finirebbe, secondo lui, per rafforzare "la
nostra convinzione che il nostro partito abbia posto questo problema nel solo
modo giusto: in questa guerra imperialista, in considerazione della possibilità
e della necessità di contrapporle la guerra civile per il socialismo e di adoperarsi
a trasformarla nella guerra civile per il socialismo, il proletariato è contro
la difesa della patria''.
Persino nel suo discorso all'indomani del barbaro
assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, Lenin introduce una leggera
nota polemica nella sua orazione funebre. La frase seguente: "L'esempio della rivoluzione tedesca ci
persuade che la democrazia sia solo una copertura della rapina borghese e della
violenza più feroce'' è in chiara polemica con la famosa e profetica critica
luxemburghiana alla Rivoluzione d’Ottobre: “Col soffocamento della vita politica in tutto il paese
anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa.
Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione illimitate, libera
lotta d'opinione in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa
apparente e in essa l'unico elemento attivo rimane la burocrazia"
(R.
Luxemburg, La Rivoluzione russa, 1918).
Ma Rosa, in quest’opera quasi profetica, non si
limita alla critica dell’identificazione bolscevica tra “dittatura del partito”
e “dittatura del proletariato”, come avrebbe fatto un qualsiasi dirigente
socialista democratico europeo (per esempio Kautsky, Bauer, Hilferding, Turati,
Blum, Vandervelde ecc.). Ella, da vera conoscitrice del marxismo, aggiunge una
preoccupazione cruciale sul ruolo regressivo dell’elemento contadino nella
rivoluzione russa, comprendendo in larghissimo anticipo che la forza
anti-zarista e anti-aristocratica fatta scaturire machiavellicamente da Lenin e
Trockij con i loro semplici e allettanti slogan prima, e con la riforma agraria
poi, avrebbe “creato un nuovo e potente strato popolare di nemici del
socialismo nel mondo agrario, nemici la cui resistenza sarà molto più
pericolosa e ostinata di quella dei grandi proprietari terrieri”.
E ancora: “L’occupazione dei latifondi da parte dei contadini secondo lo
slogan, breve e preciso, di Lenin e dei suoi compagni: «Andate e prendetevi la
terra!», condusse semplicemente all'improvvisa e caotica conversione della
grande proprietà fondiaria aristocratica nella piccola proprietà terriera
contadina. E ciò che è stato creato non è una proprietà sociale, ma una nuova
forma di proprietà privata, vale a dire la frammentazione di grandi latifondi
in piccole e medie proprietà, ossia il passaggio da unità di produzione
relativamente avanzate a unità primitive di piccole dimensioni che operano con
mezzi tecnici praticamente immutati dal tempo dei faraoni.”
Certo, si potrebbe osservare come alcune residue
illusioni sul carattere ipoteticamente “socialista” della Rivoluzione d’Ottobre
(piuttosto che borghese e anti-feudale) sono ancora presenti in questo scritto,
dato che la Luxemburg è alquanto a favore della presa del potere da parte dei
bolscevichi. Tuttavia chi conosce la tragica storia dell’URSS sa benissimo come
il monito di Rosa si sia essenzialmente avverato: tutta l’evoluzione di questo
paese verso il capitalismo di stato è stata scandita dal perenne conflitto, ora
latente, ora più palese, tra i contadini medi (i kulaki) e i burocrati
statali e di partito. Dalle requisizioni del cosiddetto “socialismo di guerra”,
alla prima e alla seconda “Nuova Politica Economica” (la NEP), fino alla
famigerata “collettivizzazione forzata” (con la vera e propria eliminazione
fisica di centinaia di migliaia di kulaki), la partita sarà chiusa solo
tra il 1930 e il 1934 con il trionfo della burocrazia, accompagnato però da una
produttività agricola davvero disastrosa: nel solo inverno tra il 1932 e il
1933 si conteranno in URSS tra i 4 e i 7 milioni di morti per fame!
Ma sarà più tardi, scrivendo le sue "Note di un pubblicista'' nel febbraio
del 1922, che Lenin farà un bilancio definitivo della vita e dell'opera della
Luxemburg, evidenziando la distanza incolmabile tra loro causata da quelli che
per lui saranno sempre e soltanto degli errori politici: "Si è sbagliata sulla questione dell'indipendenza della Polonia;
si è sbagliata nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; si è sbagliata
nella sua teoria della accumulazione del capitale; si è sbagliata quando nel
luglio 1914, accanto a Plechanov, Vandervelde, Kautsky, ecc., ha difeso
l'unificazione dei bolscevichi e dei menscevichi; si è sbagliata nei suoi
scritti dalla prigione nel 1918''.
In questo non possiamo che dar ragione al
celebre dirigente bolscevico: a dispetto di certa retorica socialista e della
comune fraseologia rivoluzionaria, la distanza politica tra il giacobinismo di
Lenin e il marxismo di Rosa Luxemburg rimane davvero incolmabile!
DC
Nessun commento:
Posta un commento