In un precedente post Stato
Islamico: una creatura del capitalismo petrolifero (lunedì 8 febbraio 2016)
ho affrontato la questione medio orientale più dal punto di vista del fenomeno
coloniale e degli interessi che girano attorno al petrolio. In questo post ho
analizzato i motivi più interni che hanno determinato l’uso politico
dell’Islam.
Voglio iniziare questo breve approfondimento con una
citazione tratta dal volume I del Capitale di Marx:
Il
riflesso religioso del mondo reale può, in ogni caso, solo allora finalmente
svanire, quando le relazioni pratiche della vita quotidiana offriranno all’uomo
nient’altro che relazioni perfettamente intelligibili e razionali con il suo
prossimo e la natura.
La religione, quindi, colma un vuoto di razionalità, di
comprensione del mondo in cui viviamo. Molti confondono questo con il bisogno
umano d’introversione, di sensibilità, di spiritualità. La religione per secoli
ha assolto questa funzione, così come ha assolto una funzione didattica, etica
e morale. Questa determinazione di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato è
ancora oggi un elemento predominate in tutte le religioni. La religione ha
anche controllato la scienza, mischiando quindi la conoscenza di fenomeni certi,
con idee e credenze fantastiche o soltanto verosimili.
Marx in una frase spiega tutto questo dicendo, in pratica,
che quando gli uomini saranno in grado di spiegare i propri rapporti, tra uomo
e uomo, e quelli tra uomo e natura, la religione sarà cosa del passato. Questo
vorrà dire che l’educazione, l’etica e la morale saranno formalmente
determinate da leggi razionali. E questo è quello che in effetti il capitalismo
ha già iniziato a fare.
Ma allora perché oggigiorno ci ritroviamo a discutere di
religione e, in particolare, di Islam?