giovedì 14 dicembre 2017

Jahiliyya, l’uso politico dell’Islam

In un precedente post Stato Islamico: una creatura del capitalismo petrolifero (lunedì 8 febbraio 2016) ho affrontato la questione medio orientale più dal punto di vista del fenomeno coloniale e degli interessi che girano attorno al petrolio. In questo post ho analizzato i motivi più interni che hanno determinato l’uso politico dell’Islam.  
Voglio iniziare questo breve approfondimento con una citazione tratta dal volume I del Capitale di Marx:
Il riflesso religioso del mondo reale può, in ogni caso, solo allora finalmente svanire, quando le relazioni pratiche della vita quotidiana offriranno all’uomo nient’altro che relazioni perfettamente intelligibili e razionali con il suo prossimo e la natura.
La religione, quindi, colma un vuoto di razionalità, di comprensione del mondo in cui viviamo. Molti confondono questo con il bisogno umano d’introversione, di sensibilità, di spiritualità. La religione per secoli ha assolto questa funzione, così come ha assolto una funzione didattica, etica e morale. Questa determinazione di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato è ancora oggi un elemento predominate in tutte le religioni. La religione ha anche controllato la scienza, mischiando quindi la conoscenza di fenomeni certi, con idee e credenze fantastiche o soltanto verosimili.
Marx in una frase spiega tutto questo dicendo, in pratica, che quando gli uomini saranno in grado di spiegare i propri rapporti, tra uomo e uomo, e quelli tra uomo e natura, la religione sarà cosa del passato. Questo vorrà dire che l’educazione, l’etica e la morale saranno formalmente determinate da leggi razionali. E questo è quello che in effetti il capitalismo ha già iniziato a fare.
Ma allora perché oggigiorno ci ritroviamo a discutere di religione e, in particolare, di Islam?
         
Il motivo è semplice, seguendo la definizione di Burak Gürel: “Islamismo è una ideologia politica che attribuisce i problemi socio-economici del mondo musulmano nell’era moderna all’alienazione dall’Islam e a un ritorno alla jahiliyya [ignoranza]”.
È quindi una ragione politica che ci riporta a parlare di religione.
L’islamismo è una forma di strumentalizzazione dell’Islam per ragioni politiche (Guilain Denoeux). Sayyid Qutb, islamista egiziano, sosteneva che il mondo musulmano stia vivendo nell’era della moderna jahiliyya, dove nuovi idoli, come nazionalismo e socialismo, hanno rimpiazzato gli idoli del passato pre-islamico.
Ma come può il concetto di jahiliyya attecchire nel mondo moderno?
È bene spiegare in poche parole cosa si intenda con jahiliyya. Jahiliyya è il periodo che precede la venuta del profeta Maometto e la sua codificazione religiosa nel Corano. La jahiliyya moderna secondo Syed Abul A'la Maududi è tutto ciò che l’Occidente ha prodotto: secolarismo, nazionalismo, socialismo.
Ma da cosa deriva questa chiusura?
La risposta può essere trovata nella parabola della cultura araba. Una grande civiltà che si è chiusa su se stessa troppo a lungo. La decadenza del Medio Oriente arabo (la Persia era già decaduta e fu conquistata dagli arabi) fu principalmente determinata dalle modificazioni geo-politiche (crociate, invasione mongola e un’oligarchia molto retrograda), nonché dalla mancanza di risorse che potessero giustificare una produzione energetica adeguata secondo i canoni del nascente capitalismo mercantile, basato su acqua, vento, e vapore; e, dunque, facilitare il commercio. Un’altra importante osservazione è che il mondo arabo non ha avuto, come invece l’Europa, monasteri col ruolo di proteggere e promuovere l’agricoltura (Charles Issawi). Il commercio veniva addirittura denigrato socialmente e relegato a minoranze religiose, come gli ebrei e i cristiani. Secondo Charles Issawi la differenza tra il Medio Oriente da un lato, e il Giappone e l’Europa dall’altro, è che questi ultimi hanno avuto un vero e proprio feudalesimo e che questo fu la condizione preparatoria per lo sviluppo capitalista. Il delegare il commercio a minoranze e l’atteggiamento di superiorità della classe dominante araba hanno probabilmente determinato questa mancanza, più che l’assenza di delega del potere secondo dei canoni feudali.
In fine, il declino orientale è stato acuito dallo sviluppo dell’Europa e dall’afflusso di ricchezza portato dalla scoperta delle Americhe. Il Medio Oriente, nonostante fosse difficile da attraversare per la mancanza di fiumi navigabili, ha rappresentato un importante snodo commerciale; l’alternativa circumnavigazione dell’Africa e la scoperta dell’America hanno determinato un ulteriore fattore di declino. Già dal XIV secolo le industrie orientali non erano più in grado di competere con quelle manifatturiere occidentali (Ashtor, 1977). Questo, associato con una chiusura culturale, ovvero con la spocchia della classe dominante menzionata pocanzi, ne ha determinato l’arretratezza che ha condizionato negativamente il suo ingresso nel sistema capitalista. La spocchia che la classe dominante musulmana aveva nei confronti delle altre culture, giustificata forse all'apice della loro civiltà, è rimasta ed ha generato una chiusura che, se da un lato le ha negato opportunità di sviluppo, dall'altro ha creato un'ottima contro-cultura nei confronti di quella che stava diventando egemonica, ovvero quella occidentale. Ecco come si giustifica il perdurare del concetto di jahiliyya, ovvero il considerare il sapere non islamico come ignoranza.

Ora, si dovrebbe parlare dei danni del colonialismo occidentale su quelle terre e su popoli già fermi culturalmente da secoli. Il processo coloniale è stato tanto intenso quanto "breve", se ci si riferisce alla presenza fisica delle nazioni europee. Si erano ormai venute a determinare le basi per uno sviluppo del sistema capitalista. La manifattura non reggeva più la concorrenza delle industrie europee e questo non ha fatto che catalizzare le tensioni sociali. Ma come per la Sicilia, anche nel Medio Oriente e nel Nord Africa la mancanza di una classe borghese matura ha determinato una sorta di adattamento “anarchico” del potere. “Anarchico”, probabilmente, solo all'apparenza. Se si prende il caso dei paesi più emblematici, Turchia, Iran, Egitto e Arabia Saudita, si può notare come una sorta di nazionalismo abbia provato a mettere le varie economie on the capitalist track, puntando sull'indipendenza. Con un'importante differenza per l'Arabia Saudita che è nata più da un movimento feudale che da uno liberale. In Turchia, Iran ed Egitto, invece, la rivoluzione industriale aveva una veste secolare (ovvero laica). Per i secolaristi l'Islam era in qualche modo segno del retaggio culturale del passato.

Il processo di modernizzazione del Medio Oriente può essere riassunto con i Giovani Turchi nel 1908 e la repubblica turca di Mustafà Kemal del 1924, la rivoluzione costituzionale iraniana del 1906, la rivoluzione egiziana del 1919 e del 1952, nonché con la rivoluzione irachena del 1958. L’Islam faceva parte del antico regime e per questo fu messo in secondo piano o limitato. I secolaristi hanno assolto il doppio ruolo di uscire dalla decadenza dell’Impero Ottomano e d’indipendenza dalle potenze colonizzatrici; ci riferiamo anche al processo di liberazione dell’Algeria, iniziato nel 1954 e durato fino al 1962.  Una volta che i secolaristi non sono stati più in grado di rappresentare la piccola e media borghesia emergenti: ecco allora che movimenti islamisti hanno preso piede. Il revival religioso non parte dal ‘79, ma il ‘79 è una data emblematica per la vittoria dell’Ayatollah Khomeini in Iran. Si consideri che i Fratelli Musulmani furono fondati all’inizio del XX secolo (Gamal Abdel Nasser ne faceva addirittura parte!). Probabilmente è stato proprio il crollo dell’Impero Ottomano che ha dato loro manforte. Poi abbiamo la nascita degli insediamenti israeliani, la sconfitta dell’Egitto, la partizione della Palestina, come elementi di estremizzazione.
La classe media rurale si è trovata tagliata fuori da questo sviluppo, mentre l'alta borghesia parlava inglese, tedesco e francese. Con le sconfitte arabe causate dagli israeliani e con la partizione della Palestina nel tardo secondo dopoguerra la classe media rurale islamica ha colto l'occasione per sferrare un colpo alla classe dominante secolarista. Quindi abbiamo l'emergere di figure alla Erbakan, Hassan al-Banna, Khomeini, ecc.
Due altre peculiarità interessanti sono il ruolo dei mamelucchi e la difficoltà di governare le popolazioni beduine. I mamelucchi nascono come schiavi turchi addestrati quali guardie del corpo del Califfo. Essendo vicini al potere però lo hanno spesso preso nelle loro mani. Secondo Jean-Pierre Filiu i vari Nasser, Hafez-al Assad, Boumedine e Bendjedid, sono “moderni mamelucchi”. Questo parallelo è interessante perché separa la figura religiosa dal despota; nonostante che i mamelucchi non si opponessero all’Islam. Filiu sostiene che i mamelucchi funzionarono come contro-società con i loro codici e riti. Apparentemente questi si adattarono bene al concetto di khassa (élite) e amma (gente ordinaria).  A tutto questo va aggiunto l’ovvio ritardo industriale, la scarsa competitività, gli strascichi coloniali e tanta instabilità dopo il lento declino del impero Ottomano.
Da aggiungere all’uso politico dell’Islam c’è addirittura la sua funzione di antidoto per limitare l’ideologia marxista-leninista o, comunque, idee e organizzazioni di sinistra e dei lavoratori in genere. Un chiaro caso c’è in Turchia quando l’influenza crescente dei partiti islamisti, come il Partito dell’Ordine Nazionale (MNP), il Partito di Salvezza Nazionale (MSP) e il Partito del Benessere (RP), sembra essere dovuta anche alla strategia del regime militare degli anni ‘80 di ridurre il seguito dei movimenti dei lavoratori di sinistra, in combinazione con i crescenti investimenti dell’Arabia Saudita nelle imprese islamiste. Non sembra esserci conflitto tra la morale islamica e l’ideologia neoliberista, questo è ammesso dagli stessi leader islamisti. Necmettin Erbakan, il predecessore di Recep Tayyip Erdoğan, primo vero leader islamista turco del secondo dopoguerra, ammetteva che non ci fosse contraddizione tra i principi islamici e la logica del libero mercato.
Ora, la cultura islamista fa da taylorismo e mutuo soccorso al contempo, oltre ad avere una funzione didattica e addirittura consumistica. Tutto ciò è capitalismo intendiamoci, e in particolare, ora, neo-liberismo, ma islamico. E quindi se il lavoratore non produce o spreca, è un peccato religioso, ma, in tutta coerenza con la morale islamica, una parte del sovrappiù deve essere utilizzata per la società, per promuovere scuole islamiche, per esempio. Non come in Occidente dove c’è il dio denaro! Ovviamente emergono supermercati con prodotti puramente islamici, vestiti islamici, carne islamica ecc.

Adesso, questo, aggiunto agli interessi economici, al dominio occidentale e ai vari retaggi che ne conseguono, genera anche un numero di disadattati facilmente manipolabili; piccoli criminali che danno un senso alla loro vita sacrificandola per una causa. Questo è comprensibilissimo se si “rivolta la frittata” (ossia s’inverte il punto di vista). Si pensi per un attimo che in Medio Oriente si crede che sia l’Occidente, in realtà, “l'unico” posto dove ci sia benessere, opportunità di lavoro, ma anche una cultura incomprensibilmente ingiusta e perversa; si crede anche che parte di questo benessere sia dovuto allo sfruttamento delle proprie terre, e che, una volta arrivati lì dove c’è ricchezza e lavoro, ci si senta sempre cittadini di “serie B”, additati come straccioni, e ladri di lavoro degli autoctoni. Mentre questi emigranti, “occidentali” in Medio Oriente, si sentono forti di una tradizione e una cultura di tutto rispetto. Insomma, è abbastanza facile intuire come questo stato di cose possa generare, a dir poco, risentimento, che quando è ben pilotato da organizzazioni criminali, "terroristiche" o meno, può sfociare in episodi di violenza e in massacri inauditi. Questa è un’altra faccia dell'uso politico della religione.

Ma alla fine questo islamismo a chi conviene? Ai lavoratori o ai padroni?
L’uso politico dell’islam conviene solo ed esclusivamente ai padroni!

Il paternalismo islamico: nel 1994 il MUSIAD (L’Associazione Indipendente di Industriali e Imprenditori) pubblica un codice di comportamento del lavoratore musulmano. Questo rigetta apertamente il modello di modernizzazione secolarista, in quando ha fallito nel suo intento e provoca iniquità, ma promuove la figura del l’uomo d’affari musulmano che segue la morale islamica. Questi può arricchirsi ma solo da attività produttive, non da azzardo, speculazione, competizione distruttiva, accaparramento. Il businessman islamico può essere considerato un “calvinista islamico”, ovvero moderato, razionale, calcolatore, competitivo, innovativo, utilitario, ma interessato al benessere della società.  Il lavoratore deve lavorare sodo, evitare l’improduttività, rispettare il datore di lavoro e non danneggiare i mezzi di produzione.  Gli scioperi dei lavoratori sono brutalmente criticati dalla classe dominante islamista perché disturbano l’armonia e la produttività in quanto rendono pigri e inoperosi (Evren Hoşgör).
In conclusione, quanto appena detto denota come l’islamismo ora sia la cultura vincente della classe borghese dominate nel Medio Oriente. La battaglia per il predominio sulla classe borghese secolarista (laica), però, è ancora aperta. La classe borghese secolarista nel seguire l’Occidente non ha portato il benessere sperato, mentre il blocco islamista o il pan-islamismo, si veda il D8 (Developing 8: Bangladesh, Egitto, Nigeria, Indonesia, Iran, Malesia, Pakistan e Turchia), è una realtà concreta per l’ambiziosa classe dominate islamica.  
Il capitalismo che sia islamico o cattolico, protestante o laico, è contro la classe lavoratrice. E una cosa è certa: la guerra tra lavoratori non può che giovare ai padroni. È ora di vedere la religione per quello che è oggi, ovvero jahiliyya, ignoranza, propaganda, controllo delle masse, “oppio dei popoli” e tornare all’unità internazionale della classe lavoratrice.


Lavoratori di tutto il mondo unitevi!  

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