Henryk Grossmann
La trasformazione dei valori nei prezzi in Marx e
il problema delle crisi
da Zeitschrift für Sozialforschung, 1 (1/2), 1932, pagg. 55-84.
Ringraziamenti a Rick Kuhn.
Transcrizione e versione html di Einde O’Callaghan per Marxists’ Internet Archive.
I. La realtà concreta come oggetto e obiettivo della conoscenza
marxiana
Lo scopo di tutta la
scienza sta nell’esplorazione e nella comprensione della totalità dei fenomeni concretamente
dati, del loro collegamento e delle loro variazioni. La difficoltà di questo
compito è sita nel fatto che i fenomeni non coincidono immediatamente con
l'essenza delle cose. La ricerca dell’essenza costituisce quindi il
prerequisito per la conoscenza del mondo fenomenico. Ma se Marx vuole conoscere,
in opposizione all’economia volgare, “la natura nascosta” e “l’interdipendenza”
della realtà economica (Marx, Il Capitale, III 2, pag. 352 [1]), questo non significa che i fenomeni
concreti non gli interessino. Al contrario! Alla coscienza sono dati immediatamente
solo i fenomeni, con il risultato (già pienamente metodologico) che si può
giungere al loro “nocciolo” essenziale nascosto solo mediante un’analisi di
tali fenomeni (cfr. Marx, Il Capitale, III 1, pagg. 17-22).
Ma i fenomeni concreti non sono importanti per Marx solo perché rappresentano il punto di partenza e il mezzo per la comprensione del “movimento reale”, ma anche perché questi stessi sono ciò che Marx in definitiva conoscerà e comprenderà nel loro contesto. Dunque egli non vuole in nessun modo, escludendo i fenomeni, limitarsi alla sola ricerca dell'essenza. Piuttosto, l’essenza conosciuta ha la funzione di renderci capaci di capire i fenomeni concreti. Quindi Marx si sforza proprio di trovare la “legge dei fenomeni” che domini “la legge dei loro cambiamenti” (Postfazione alla 2a edizione de “Il Capitale”).
Incomprensibili e a prima vista assurdi sono, per Marx, solo i fenomeni per se stessi, sconnessi dalla “essenza nascosta” delle cose. Ma sarebbe un errore madornale della scienza economica se a questo punto la questione (cadendo nello sbaglio opposto a quello dell’economia volgare) restasse ferma all’analisi dell’“essenza nascosta” appena scoperta, senza trovare una via di ritorno ai fenomeni concreti, di cui comunque si discute la spiegazione, ossia senza ricostruire le molte mediazioni tra l’essenza e la forma fenomenica! Perciò anche Marx vede in questo cammino dall’astratto al concreto “il metodo scientifico ovviamente corretto”. Qui “le regole astratte conducono alla riproduzione del concreto secondo il modo di procedere del pensare” perché “il metodo di risalire dall’astratto al concreto è, solo lui, il modo del pensare per appropriarsi del concreto, per riprodurlo come un concreto dello spirito” (Introduzione alla Critica dell’Economia Politica, pag. XXXVI).
Marx fornisce qui un esempio pratico: non è sufficiente dire che nella produzione industriale il valore viene creato secondo la legge generale per cui “i valori delle merci sono determinati dal lavoro in esse contenuto”, poiché i processi empirici nella sfera della circolazione (p. e. l’influenza praticamente verificabile del capitale commerciale sui prezzi delle merci) mostrano “fenomeni che, senza un’analisi completa dei nessi intermedi, sembrano semplicemente presupporre una determinazione arbitraria dei prezzi”, cosicché nasce l’idea che “sia il processo di circolazione in quanto tale a determinare i prezzi delle merci, indipendentemente (entro certi limiti) dal processo produttivo”, ovvero dalle ore di lavoro necessarie alla produzione. Così provare il carattere illusorio di questa idea e stabilire la “connessione profonda” tra il fenomeno e “l’azione reale”, cosa “molto intricata e lavoro alquanto minuzioso”, “è un’opera della scienza che sa ricondurre il movimento visibile, ma solo apparente, al movimento reale interno” (Il Capitale, III 1, pag. 297), “proprio come il moto apparente dei corpi celesti viene ricondotto al loro moto reale ma impercettibile ai sensi” (Il Capitale, I 1, pag. 314).
Dunque “l’opera della scienza” d’importanza
critica consiste nell’impegno a cercare “legami intermedi” che ci guidino
dall’essenza ai fenomeni concreti, poiché senza questi legami intermedi la
teoria, cioè l’ “essenza” delle cose, sarebbe contraria alla realtà concreta. Giustamente Marx ironizzava su quei
“teorici” che si perdono in costruzioni irreali. Ma solo “il volgo ha quindi
concluso che le verità teoriche sono astrazioni
che contraddicono le condizioni reali”
(Plusvalore, II 1, pag. 166).
Anche la struttura de “Il Capitale” di Marx, come ho già mostrato [2], corrisponde a questo principio metodologico marxiano e il “metodo delle approssimazioni” lì applicato ha trovato la sua espressione più pregnante nella costruzione degli schemi di riproduzione marxiani. Utilizzando numerose assunzioni semplificanti, viene in primo luogo effettuato il “viaggio” dal concreto all’astratto. Ciò è distinto dal mondo fenomenico, dalle forme parziali concrete, dove il plusvalore entra nella sfera dalla circolazione (utili d’impresa, interessi, profitti commerciali ecc.) e tutta l’analisi dei libri I e III de “Il Capitale” si concentra sul valore e sul plusvalore complessivi, sulla loro creazione e variazione nel corso dei processi di produzione e di accumulazione. Qui “la questione connessa al processo di circolazione” (“Il Capitale”, I 1, pag. 600) viene eliminata. L’oggetto dell’analisi del I e del III libro de “Il Capitale” è esplorare la creazione di plusvalore come essenza generale del processo economico e, successivamente (ciò forma, come ha enfatizzato Marx, precisamente lo scopo e il contenuto del III libro), la connessione interna tra l’essenza scoperta e le sue manifestazioni: stabilire le forme empiricamente date di plusvalore ossia “rintracciare e mostrare le forme concrete che emergono dal processo di movimento del capitale che abbiamo finora considerato nella sua totalità. Nel loro movimento effettivo i capitali si scontrano con tali forme concrete” (“Il Capitale”, III 1, pag. 1).
Qui, nel terzo libro, le assunzioni semplificanti prima effettuate (p. e. la vendita delle merci al loro valore, l’eliminazione della sfera della circolazione e della concorrenza, la trattazione del plusvalore nella sua globalità e l’esclusione delle parti in cui esso si suddivide ecc.) vengono abbandonate e, di conseguenza, in questo secondo livello del metodo approssimato sono gradualmente presi in considerazione i fattori intermedi, precedentemente ignorati, e vengono trattate le forme concrete di profitto nel modo in cui esse si rendono visibili nella realtà empirica. Solo in questo modo si chiude il cerchio dell’analisi di Marx e si verifica che la teoria del valore lavoro non è uno schema irrealistico, ma piuttosto una “legge fenomenica”, ossia forma la base che ci permette di spiegare il mondo reale dei fenomeni. Questa idea è formulata con chiarezza inequivocabile quando Marx dice: “Lo abbiamo dovuto fare nei libri I e II solo con i valori delle merci”…”Ora”, ossia nel libro III, “il prezzo di produzione emerge come una forma di valore modificata” (“Il Capitale”, III 1, pag. 142). E ancora:
“Gli aspetti del capitale, come noi li svolgiamo nel presente (terzo) libro, si avvicinano quindi per gradi alla forma in cui essi si presentano alla superficie della società, nell’azione dei diversi capitali l’uno sull’altro, nella concorrenza e nella coscienza comune degli agenti stessi della produzione” (“Il Capitale”, III 1, pagg. 33-34).