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sabato 25 novembre 2017

Cento anni dalla rivoluzione della minoranza bolscevica in Russia: le critiche dei socialisti italiani e inglesi (Preambolo)

In occasione del centenario del colpo di stato bolscevico in Russia (7 novembre 1917 secondo il calendario gregoriano vigente in occidente, 25 ottobre per il calendario giuliano), abbiamo preparato un breve saggio sulla reazione dei socialisti unitari, detti anche “minimalisti”, o “riformisti”, del Partito Socialista Italiano (PSI) e la paragoneremo principalmente con la reazione dei socialisti inglesi del “nostro” Partito Socialista della Gran Bretagna (SPGB). Questo sarà diviso in quattro parti. Il preambolo che affronterà molto superficialmente il periodo che va dalla Rivoluzione di Febbraio a quella di Ottobre; un secondo che tratterà la reazione dei socialisti italiani, e in particolare quella degli unitari, la terza parte sulla reazione del SPGB, e infine le conclusioni.

È doveroso sottolineare però due cose. Paragonare il PSI al SPGB ovviamente è storicamente errato e non è l’intento di questo scritto. Il PSI era già agli inizi del ‘900 un partito con un grande seguito nelle masse, e ancor di più, come si vedrà, nel periodo post-rivoluzionario. Il SPGB nasceva dalla scissione doverosa del 1904, contro ogni tipo di riformismo e centralismo, scissione che lo aveva però ridimensionato dal punto di vista del seguito, e ciò nonostante rimaneva fedele al socialismo marxista.

In secondo luogo è importante notare l’omogeneità dell’intransigenza del SPGB, al contrario del PSI non era lacerato tra il gradualismo dei riformisti, l’attendismo dei massimalisti e il dogmatismo programmatico degli intransigenti di sinistra. Ciò nonostante la critica dei riformisti italiani, pur non condividendo noi l’imborghesimento della loro lotta politica, fu una delle più lungimiranti sui fatti di Russia ed è per questo che vale la pena riportarla.                 

Preambolo

La Rivoluzione di Febbraio viene annunciata da “L’Avanti” tramite l’agenzia Stefani, il 16 marzo del 1917 secondo il calendario gregoriano. La discussione verte principalmente sull’impegno russo nell’Intesa, e trova i liberali interventisti euforici dell’idea che questa possa dare nuovo vigore allo sforzo russo sul fronte orientale. Mentre il gruppo parlamentare socialista, nella fattispecie Filippo Turati e Giuseppe Modigliani, è scettico che la deposizione dello zar possa avere questo significato. Turati in un discorso al consiglio comunale di Milano, il 25 aprile, ribadisce la formula zimmerwaldiana della pace senza annessioni né indennità. Sempre in aprile viene pubblicata su “L’Avanti” la dichiarazione del governo provvisorio russo di rinuncia ad ogni ambizione espansionistica. Si riunisce a Milano la Direzione del Partito Socialista, il gruppo parlamentare e il consiglio direttivo della Confederazione del Lavoro, dove il Partito ribadisce la sua posizione pacifista. Da questa riunione scaturisce il documento Ai socialisti di tutti i paesi; al quale si oppone però Amadeo Bordiga con Nulla da rettificare uscito su “L’Avanti” il 23 maggio, dove sottolinea la tendenza intesista di questo documento. Gli risponde Serrati, direttore de “L’Avanti” sdrammatizzando la frase non felice attaccata da Bordiga, ribadendo la linea internazionalista del PSI. Verso la fine di aprile appare il primo articolo di Antonio Gramsci sulla Rivoluzione di Febbraio, Note sulla rivoluzione russa; qui curiosamente Gramsci precisa che “i rivoluzionari russi non sono giacobini, non hanno già sostituito alla dittatura di uno solo la dittatura di una minoranza audace e decisa a tutto pur di far trionfare il programma.” Ovvero quello che avverrà poi in ottobre. Appariva su “L’Avanti” già il 30 marzo un articolo di Genosse Sacerdote su Lenin, spiegando che questi è per la pace e contro il governo provvisorio in favore di un’Assemblea Costituente. Già a fine aprile si leggono articoli inneggianti l’autorevolezza di Lenin e la figura di Lenin rivoluzionario intransigente cresce nell’immaginario degli operai. Nonostante Vasilij Ivanovič Suchomlin (Junior) il corrispondente russo de “L’Avanti”, esalti invece la figura del socialrivoluzionario Černov. Junior aveva forti riserve su Lenin in quanto secondo lui eccessivamente dogmatico. Una volta partito per la Russia Junior, in giugno, la corrispondenza passò alla Balabanoff e ad Ing. questi erano più favorevoli nei confronti dei bolscevichi.
Quindi vi sono i fatti di luglio, ovvero la sollevazione dei soldati e operai di Pietrogrado contro il governo che si concluse con la repressione governativa che vide nei bolscevichi i principali fomentatori dichiarando il loro partito fuorilegge. Serrati nel suo La crisi della rivoluzione pubblicato il 22 luglio su “L’Avanti”, denuncia che il “malcontento popolarenon è sedato… permangono le cause che lo avevano originato… guerra … approvvigionamenti … La rivoluzione, fatta dal proletariato, sta per essere sfruttata dalla borghesia…”, e in un altro articolo intitolato Lenin Serrati esalta la figura di Lenin come il leader del movimento operaio socialista russo. Sfatando un po’ il mito del leninismo divenuto popolare solo post-Ottobre, “Critica Sociale” (si veda Primavera di rivoluzione, Verso albe nuove) dei socialisti unitari, già in occasione della rivoluzione di febbraio denuncia l’arretratezza russa ed è critica della posizione di Lenin a Zimmerwald e Kienthal. Turati e Claudio Treves sono molto chiari a riguardo della pace separata soprattutto per il timore che questa pace rafforzi la Germania a svantaggio dell’Italia. Questa posizione filo-patriottica dei riformisti si acuirà con la disfatta di Caporetto e verrà attaccata dagli intransigenti. Intanto Gramsci aggiusta il tiro in luglio, con I massimalisti russi, apparso su “Il Grido del popolo” e “L’Avanguardia”, dove esalta Lenin e i bolscevichi come i veri rivoluzionari e non evoluzionisti.

Quindi al grido di «Viva Lenin!» viene accolta la delegazione del Soviet di Pietrogrado già nell’agosto del 1917. La delegazione è composta da Goldenberg (ex-bolscevico, ora indipendente), Ehrlich (del Bund), Russanov (socialrivoluzionario) e Smirnov (menscevico). I delegati sono per la pace generale e non separata. Nasce una polemica proprio sul «Viva Lenin!» tra Turati e Serrati. Il primo sostiene che questo grido denunci “una confusione d’idee”, il secondo, invece sostiene che Lenin era “uno dei più fedeli interpreti del socialismo internazionale”. Molti socialisti non vedono di buon occhio però il sostegno che i delegati russi sembrano dare al governo Kerenskij. Questo si palesa il 13 agosto a Torino, dove il comizio dei delegati russi tradotto a braccio da Serrati per la folla, si conclude (proprio per l’esaltazione e il colorire di Serrati) con incidenti che gli costeranno l’incarcerazione e un processo. Scontri molto più seri avverranno sempre a Torino con in moti del 22 fino al 26 agosto. La Conferenza di Stato chiamata da Kerenskij che escludeva i bolscevichi viene aspramente criticata da “L’Avanti”. È chiaro come riportato da Ing. in settembre che la rivoluzione può sopravvivere non solo con la sconfitta del generale Kornilov, ma con la sconfitta del collaborazionismo di Kerenskij. Serrati nei suoi Scampoli-Lenin il 3 ottobre si chiede in tutto questo dove sia Lenin. Con la conquista della maggioranza del Soviet di Pietrogrado da parte dei bolscevichi e la nomina a presidente di Trockij su “L’Avanti” si incomincia già a leggere un mese prima della presa del potere da parte dei bolscevichi che “Lenin occuperà presto il posto di Kerensky”. Una presa del potere non troppo inaspettata in fondo.            

lunedì 15 maggio 2017

La Frazione della sinistra comunista italiana

Con questo articolo continuiamo la serie sul Giovane Bordiga illustrando la sua influenza politica determinatasi nella Frazione della sinistra comunista fino alla sua dissoluzione con la fondazione del Partito Comunista Internazionalista. Bordiga e la sinistra italiana accettarono la rivoluzione bolscevica di Ottobre come loro nuovo punto di riferimento. La loro intransigenza contro ogni tipo di corruzione della dottrina marxista, ogni tipo di collaborazione tra classi, e in alcuni casi con i sindacati, però li farà etichettare dagli stessi bolscevichi come infantili estremisti, settari e dottrinari. Comunque leninisti, i sinistri italiani saranno tra i primi a denunciare negli anni 20 la degenerazione politica del partito bolscevico, e alla fine negli anni 30, la degenerazione economica dell’Unione Sovietica. Nonostante ciò rimarranno ancorati al centralismo e alla coercizione delle masse. Questo articolo si concluderà con la citazione della risposta di Melvin Harris del nostro Partito, alla sinistra comunista, il quale taglierà corto sulla questione della degenerazione della rivoluzione russa. Questa non fu una rivoluzione Socialista, dice, ma condotta da una partito che era giacobino nella struttura e nel fine.

La sinistra comunista italiana storicamente origina dalla frazione intransigente rivoluzionaria presente all’interno del Partito Socialista Italiano (PSI). Questa frazione, come visto nel precedente scritto sul Giovane Bordiga, si opponeva a Filippo Turati e ai riformisti. Nel 1911 l’ex-operaista Costantino Lazzari aveva pubblicato “I principi e metodi del Partito Socialista Italiano” difendendo l’originale programma di partito del 1892 dalle degenerazioni riformiste. In termini semplicistici possiamo trovare in questo l’origine del concetto dell’invarianza del Programma del partito comunista, ovvero il leitmotiv, di Bordiga.  

Nell’Ottobre del 1917 il colpo di mano bolscevico alla rivoluzione russa, divise presto la frazione intransigente. Se i così detti riformisti di Turati, come Rodolfo Mondolfo, erano dell’opinione che la rivoluzione bolscevica era contro le condizioni oggettive storiche per instaurare il Socialismo, la frazione intransigente del PSI si divise tra astensionisti e massimalisti. Gli astensionisti si organizzarono nella “Frazione Comunista” fondata di fatto da Bordiga, subito prima del decisivo XVI Congresso del partito tenutosi a Bologna nell’Ottobre del 1919. La frazione era contro l’uso dello strumento elettorale in quanto spreco di preziose risorse rivoluzionarie, legittimazione dei riformisti, e fonte di corruzione degli intransigenti eletti. I massimalisti erano invece allo stesso tempo sia per la partecipazione elettorale che per la rivoluzione violenta. Alla luce dei fatti di Russia, Germania e Ungheria, durante il XVI Congresso del PSI i massimalisti riscrissero il programma originale del 1892 in uno più genuinamente rivoluzionario, il contributo di Bordiga fu però ridimensionato. Malgrado l’opposizione di Lazzari e Turati, il Partito votò per l’ingresso nella Terza Internazionale (Comintern). Il nuovo capo di fatto, anche se non segretario, divenne Giacinto Menotti Serrati, direttore dell’Avanti. Bordiga fu molto critico nei sui riguardi perché considerava la sua posizione ipocrita, ovvero sostenitrice dell’azione parlamentare e allo stesso tempo conclamatrice della rivoluzione di classe e dell’unità di partito. Unità di partito che avrebbe significato coesistere con i riformisti di Turati. Tuttavia, la politica unitaria di Serrati, diede in qualche modo, dei frutti, ovvero il 30,4% dei voti per il PSI, alle elezioni del 1919. 

sabato 25 aprile 2015

Dove ci guidano i leader

Traduciamo questo interessante articolo dei compagni del “Socialist Party of Great Britain” rivolto criticamente a uno dei vari gruppi britannici della cosiddetta “estrema sinistra”, poiché le considerazioni dell’autore si applicano in maniera abbastanza puntuale anche a quello che accade nel nostro paese per ciò che concerne la galassia dei partitini leninisti, trozkisti, stalinisti e maoisti: da “Lotta Comunista” al “Partito Comunista dei Lavoratori”, da “FalceMartello” fino al “Partito Comunista - Sinistra Popolare” e al “Bolscevico”. Con in più l’aggravante che in certi casi al discutibile metodo di Lenin se ne è sostituito da noi uno ancora peggiore: il cosiddetto “centralismo dialettico”, dove non vi sono più né congressi né votazioni, ma tutto avviene per pura cooptazione da parte della dirigenza. Direttamente la prassi di una setta esoterica o religiosa...
 
Piuttosto noto nel Regno Unito per le sue imprese, per i suoi banchetti in strada e per il suo attivismo studentesco, il Socialist Worker Party (SWP, https://www.swp.org.uk/) britannico soffrì un paio di anni fa di un notevole arretramento che condusse a un vero e proprio esodo dei suoi militanti. Uno di questi era Ian Birchall, biografo del fondatore del gruppo Tony Cliff e già componente della dirigenza del partito. Era stato membro dell’SWP e del suo gruppo predecessore, l’International Socialism (IS), per oltre cinquant’anni. Lo scorso dicembre ha pubblicato nel suo blog alcune riflessioni [1] su cosa è andato storto nel partito.
Quando venne formato negli anni ’50 come gruppo trotzkista che riconosceva la natura capitalista della cosiddetta URSS (cosa che noi ben sapevamo da parecchio tempo...) l’IS era organizzato allo stesso modo di molti altri gruppi di sinistra del Regno Unito: i suoi membri erano tutti affiliati al Partito Laburista e si definivano “laburisti di sinistra”. Poi negli anni ’60 le cose iniziarono a cambiare: uscirono dal Partito Laburista e nel 1968 Cliff decise che era il momento di riorganizzare il gruppo secondo linee guida leniniste più rigorose. Era stato lo sciopero generale in Francia di qualche mese prima a spingerlo in questa direzione. Tipicamente, da buon trotzkista, Cliff attribuiva l’impossibilità di arrivare alla rivoluzione socialista all’assenza di un partito rivoluzionario che guidasse i lavoratori in sciopero (non che la rivoluzione socialista fosse il reale obiettivo dello sciopero, tuttavia esso era effettivamente un successo da un punto di vista sindacale). Concluse quindi che ciò che i “rivoluzionari” dovevano fare alla luce di questo evento era di organizzarsi apertamente secondo le linee guida del partito bolscevico di Lenin, che, per lui e per la leggenda trotzkista, aveva condotto a una rivoluzione socialista vittoriosa (benché questa fosse successivamente degenerata in un brutale capitalismo di stato...).
Lenin aveva esposto le sue idee su come doveva essere organizzato un partito rivoluzionario nel noto opuscolo del 1903 intitolato “Che fare?”, dove proponeva un partito di rivoluzionari professionisti a tempo pieno che dovevano cercare di guidare i lavoratori e i contadini formulando parole d’ordine populiste che riflettessero il livello di comprensione che “le masse” erano considerate in grado di raggiungere. Ciò poteva avere un senso come strategia per rovesciare un regime retrogrado e autocratico quale lo zarismo. Come accadde, il regime zarista collassò per conto suo sotto la pressione della Prima Guerra Mondiale, ma la forma organizzativa di Lenin contribuì non poco alla presa del potere politico da parte dei bolscevichi dopo il crollo dello zarismo. Tale successo spinse Lenin a proclamare che quello bolscevico era l’unico modo in cui i rivoluzionari si dovevano organizzare, anche nei paesi capitalisti sviluppati là dove esisteva una stabile democrazia politica.
Così nel 1968 i membri dell’IS cambiarono nome sui loro documenti ufficiali da “lavoratori laburisti” a “lavoratori socialisti” e, più importante, abbandonarono la loro precedente struttura organizzativa dove la linea politica era decisa da una congresso di delegati di sezione che votavano mozioni proposte dalle sezioni e dove i membri del comitato esecutivo erano eletti individualmente. Tutto questo fu messo da parte e venne introdotto il sistema della “lista bloccata” che aveva usato il partito bolscevico e che era stato ereditato dal PCUS in Russia (sì, anche in questo il leninismo condusse allo stalinismo...). Con tale sistema la dirigenza (l’“ufficio politico”,il  “comitato centrale” o come vogliamo chiamarla) viene eletta in blocco al congresso di partito. I delegati non votano per i singoli candidati, ma per la lista (o “blocco”) che contiene tanti nomi quanti sono i posti vacanti. In teoria ci potrebbero essere più liste, ma in pratica non ce ne sono (e non ce ne sono mai state). Nell’SWP (come nell’URSS) ce n’era una sola, quella proposta dalla dirigenza uscente. Piuttosto che proporre una lista rivale, gli oppositori della dirigenza preferivano abbandonare il partito e formare un altro gruppo organizzato nello stesso modo (questo spiega la proliferazione di gruppi trotzkisti...). Si può vedere facilmente come sia una ricetta per la nascita di una dirigenza che si auto-replica. Cosa che infatti è puntualmente accaduta, come nota Birchall:
“Gli eventi recenti hanno mostrato i limiti del sistema della ‘lista bloccata’. È diventata un metodo con cui il Comitato Centrale può riproporsi per la rielezione all’infinito, cooptando singole persone designate quando serve.”
Ma anche nell’SWP vi è un’altra conseguenza:
“Inoltre è emersa pure l’idea della carriera: compagni, in generale ex-studenti, diventano funzionari a tempo pieno e, se hanno successo, entrano nell’apparato e divengono membri del Comitato Centrale. Così abbiamo un Comitato Centrale quasi interamente composto da persone che hanno speso la gran parte della loro carriera politica come funzionari a tempo pieno e hanno quindi una limitatissima esperienza lavorativa e sindacale.”Il sistema delle liste bloccate era applicato persino per eleggere i delegati di sezione al congresso di partito:
“Negli anni ’80, quando esistevano direttivi di sezione vigorosi, tali direttivi stabilivano le liste dei delegati al congresso di partito. Se ovviamente in teoria era possibile per i membri proporre liste alternative, questo era malvisto e, in pratica, era alquanto raro far porre all’ordine del giorno del congresso di sezione il punto in cui si raccoglievano le candidature per divenire delegati al congresso di partito. In pratica andava bene quello che faceva il direttivo: era ciò che accadeva normalmente.” Così l’SWP finì per essere un’organizzazione verticista gestita da un gruppetto di dirigenti che si auto-replicava.
Forse sorprende che Birchall non concluda che questo fosse il risultato inevitabile del sistema delle “liste bloccate”, un punto chiave nel concetto di partito leninista di avanguardia. Egli pensa ancora a un partito di rivoluzionari di professione organizzato in modo leninista. Non ce l’ha con la teoria, ma con come è stata applicata nell’SWP: burocraticamente invece che democraticamente. Però per lui “democrazia” non significa una procedura decisionale, ma soltanto un mezzo per informare la dirigenza in modo tale che possa formulare la politica migliore da perseguire e le parole d’ordine più adeguate da proporre ai lavoratori affinché le seguano:
“...una dirigenza rivoluzionaria necessita di sapere cosa accade nella classe lavoratrice. Non lo può fare leggendo il ‘Financial Times’; deve ascoltare i compagni radicati nella varie sezioni della classe che possono riportare quello che succede nella base. Come diceva Cliff: ‘...devono imparare dai loro compagni lavoratori quanto più possibile e persino in misura maggiore di quanto devono insegnare loro. Ripetendomi: il compito è dirigere e per dirigere dovete comprendere in pieno quelli che state dirigendo’.” Questa non è democrazia in nessun senso compiuto. Si sta ancora dicendo che la classe dei salariati e degli stipendiati è incapace di liberarsi da sé e che quindi necessita di un’avanguardia che si è autonominata. Si rifiuta ancora l’idea che il socialismo, in quanto società completamente democratica, possa esser stabilito solo democraticamente, sia nel senso di esser quello che vuole la maggioranza, sia nel senso di utilizzare metodi democratici. Per arrivare al socialismo la classe dei salariati e degli stipendiati necessita certamente di organizzarsi per conquistare il potere politico, per esempio in un partito politico, ma in un partito democratico, e non di seguire un partito di avanguardia o altri possibili capi.
Però c’è una cosa che Birchall sembra aver capito dopo più di cinquant’anni vissuti da trozkista-leninista:
“La cosa importante in questo momento è la battaglia delle idee, come disse William Morris: ‘il nostro compito particolare sarebbe quello di creare dei Socialisti’.” È una citazione dallo “Statement of Principles of the Hammersmith Socialist Society” stilato nel 1890. Ed è ciò che andiamo dicendo noi del “Socialist Party of Great Britain” da più di cento anni.

ADAM BUICK

tratto da “Socialist Standard”  pp. 16 e 17 , n. 1326, vol. 111, febbraio 2015. Tradotto in italiano il 12 aprile 2015.

NOTE
[1] http://grimanddim.org/political-writings/2014-so-sad/


K. Marx o V. I. Lenin? Il primo nel 1864 scrisse che “l'emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera dei lavoratori stessi”, mentre il secondo nel 1903, con l’opuscolo “Che fare?”, inventò il partito bolscevico di avanguardia: costituito da sedicenti “rivoluzionari di professione” (in genere studenti o intellettuali stipendiati con le quote dei lavoratori) sarà il germe di tutta la futura nomenklatura sovietica, rapace, repressiva e autoritaria. Il marxismo-leninismo non esiste: è una contraddizione in termini!

sabato 17 luglio 2010

Il capitalismo di Stato

Il quotidiano italiano "liberalsocialista" Avanti! ha pubblicato qualche anno fa un articolo su Bruno Rizzi (1901-1977) descrivendolo come "un socialista eretico". Non vorremmo dire che fu un socialista nel proprio senso della parola, ma diede un importante contributo alla discussione sulla natura dell'U.R.S.S., introducendo il concetto di una classe che possiede i mezzi di produzione collettivamente, come una classe, senza che i suoi membri individuali possiedano i titoli della proprietà legale a loro nome come nel capitalismo tradizionale.

Riproduciamo qui il capitolo III del suo libro del 1939, Il Collettivismo Burocratico, dove espone i suoi argomenti a riguardo. Noi piuttosto chiameremmo la passata U.R.S.S. "capitalismo di Stato" e senza dubbio la predizione di Rizzi che il mondo intero stesse rapidamente aprendosi verso il suo "collettivismo burocratico" risulta essere selvaggiamente errata. Tuttavia, come abbiamo detto, egli diede un importante contributo a una comprensione della passata U.R.S.S. come una società di classe, con una proprietà collettiva e una classe sfruttata lontanamente rimossa da qualsiasi cosa vagamente somigliante al socialismo - che deve essere una società democratica senza classi e senza stati.

LA PROPRIETÀ DI CLASSE

(Capitolo 3, Il Collettivismo Burocratico. Bruno Rizzi, 1939)

Dato che Trotzky conferisce un valore incommensurabile al fatto che la contraddizione non è passata dal dominio della ripartizione a quello della produzione, vien fatto di pensare che egli concepisca la produzione sovietica come di marca socialista. Ci sembra che questa volta ci sia ancora un'illusione ottica che non è dalla nostra parte.

Per il solo fatto che la proprietà è nazionalizzata e l'economia pianificata, si pensa che la produzione sia di una qualità sufficientemente socialista onde assicurarci il permanere dello “Stato Operaio”. In realtà tutto il sistema di produzione resta collettivo come nella organizzazione delle grandi imprese capitaliste, mentre la proprietà passa dalla forma privata a quella collettiva. Ne viene quindi che se le caratteristiche economiche sono le sole determinanti della natura dello Stato, per quanto riguarda l'U.R.S.S., noi siamo ridotti alle nazionalizzazioni ed ai piani statali.

Resta da vedere che cosa rappresenti effettivamente la nazionalizzazione della proprietà nell'U.R.S.S. e qui anche noi, senza avere la pretesa di essere marxisti ortodossi, ci permettiamo di esaminare il disotto dei fatti. Certamente essa è stata la prima misura rivoluzionaria decretata dalla classe operaia al potere nel fine della costruzione socialista, ma questa si è arrestata con la degenerazione staliniana ed è logico indagare che cosa sia socialmente diventata quella nazionalizzazione che doveva concludere in una socializzazione della proprietà. In un modo semplicista ci si dice che la proprietà è “nazionalizzata”. È ben poco per dei marxisti scientifici. Chi la dirige? Non certamente il proletariato, ma bensì la burocrazia sovietica. Tutti sono d'accordo su questo punto nel campo di Agramante, e Trotzky aggiunge che la ripartizione dei prodotti viene fatta in modo per cui la burocrazia si taglia la parte del leone. Noi ci domandiamo quale sorta di proprietà “nazionalizzata” sia questa, diretta in modo esclusivo da una classe che s'impossessa poi dei prodotti in modo altrettanto sfacciato di quello usato dalla vecchia borghesia. Negli effetti esiste in Russia una classe sfruttatrice che tiene in mano i mezzi di produzione e si contiene esattamente come una proprietaria di questi. Il suo possesso non è frazionato tra i suoi componenti ma, quest’ultimi, in blocco, come classe, sono i reali possessori di tutta la proprietà “nazionalizzata”.

Sembra che la proprietà dopo esser stata di tutti, quasi inesistente per gli uomini dell'epoca selvaggia ed esser passata poi alle comunità per trasformarsi quindi in proprietà privata, riassuma ora una forma collettiva nella veste di proprietà di classe.

La classe sfruttatrice in Russia è diventata proprietaria ed ha concretizzata la sua essenza giuridico-sociale. Per sfuggire all'assalto dei lavoratori essa li incanta con la “nazionalizzazione” della proprietà, come se ciò rappresentasse negli effetti una proprietà di tutti. Ciononostante essa ha paura e non può sviluppare il suo lavoro in un ambiente democratico; è, almeno momentaneamente, condannata a costruire uno Stato poliziesco.

Le forme di proprietà devono mettersi al passo col sistema di produzione e se la classe sfruttata non è all'altezza del suo compito storico, dal dissolvimento della classe dominante ne esce una nuova classe, chiamiamola storicamente parassitaria, che nello Stato poliziesco forse manifesta la condanna della Storia.

La contraddizione tra il modo di produzione e la forma della proprietà, proprie della società capitalista, viene quindi ad essere risolta nell'U.R.S.S. anche senza il raggiungimento del Socialismo e l'elevarsi del proletariato a classe dominante. Lo sfruttamento resta e passa soltanto dal dominio dell'uomo a quello della classe sulla classe. Lo sfruttamento umano sotto la spinta dell'ineluttabile sviluppo economico ha assunta una nuova forma. La proprietà da privata è diventata collettiva, ma di classe; in modo diverso noi non sapremmo definire questa proprietà “nazionale” che non è di tutti, questa proprietà che non è, né borghese, né proletaria, che non è privata, ma che non è neanche socialista.

Trotzky non riesce a concepire la nuova classe sfruttatrice in Russia, non riesce a concepire la progressiva polverizzazione della borghesia nel mondo, non intravede la determinazione sempre più rimarchevole della proprietà di classe non solo in Russia, ma anche nei paesi totalitari. Concepisce il mondo “come società borghese in disfacimento (pourissant)“.

Ben poca cosa per un marxista che pretende all'analisi scientifica. Da Mussolini a Labriola, da Tardieu a Wallace, tutta la letteratura di questo quarto di secolo non è che un'accusa ed un sarcasmo indirizzato alla vecchia società borghese. Il de profundis è stato cantato al capitalismo in tutte le lingue. A noi sembra che il compito dei marxisti “scientifici”, depositari della dialettica della lotta di classe, non sia quello di svignarsela con una definizione banale, ma consiste precisamente nel vedere qual è il movimento di classi che si avvera in questa epoca della fine del capitalismo, e di fissare, oltre le nuove forme di proprietà, i nuovi rapporti sociali. Vediamo così che il celebre “plus-valore” non è scomparso neanche in questo Stato-rebus che è l'Unione Sovietica, sulla qual cosa sono tutti d'accordo. Le discordanze sopravvengono quando si tratta d'individuare dove va a finire. Va forse alla borghesia inesistente? No. Va forse agli operai? Neppure poiché allora si avvererebbe il fatto che il Socialismo è in costruzione in un solo paese e precisamente in quello della “grande menzogna”. Dobbiamo forse pensare che il plus-valore va allo ”Stato Operaio”?

Per le ragioni sopraddette sarebbe il trionfo dello stalinismo di cui Trotzky è il primo nemico e se qualcuno volesse pretendere che il plus-valore è scomparso nel paese dei Soviet, bisognerebbe dedurne che anche la forza-lavoro non è più comperata ed allora il Socialismo sarebbe un fatto contro ogni evidenza.

In realtà non vi è che una risposta possibile ed ammissibile: il plus-valore passa alla nuova classe sfruttatrice: la burocrazia in blocco.

Quando si ammette che la società è in via di decomposizione, già significa che essa sta perdendo le sue caratteristiche economiche; ciò precisa che le caratteristiche peculiari della classe dominante scompaiono e la Società diviene un’altra. Il fenomeno compiuto, nel cosiddetto Stato Sovietico, si trova in via di formazione ovunque nel mondo. Quella proprietà di classe che in Russia è un fatto acquisito non risulta certamente registrata presso alcun notaio o in nessun catasto, ma la nuova classe sfruttatrice sovietica non ha bisogno di queste bagattelle, essa ha la forza dello Stato nelle mani e ciò vale ben più che le vecchie registrazioni giuridiche della borghesia. Essa salvaguardia la sua proprietà con le mitragliatrici del suo apparecchio d'oppressione onnipotente e non con documenti notarili.

Se per il fascismo, con i suoi concetti di collaborazione di classe e di Stato al di sopra delle classi, è sostenibile la tesi della proprietà nazionalizzata noi non comprendiamo come dei marxisti, anche se scientifici, se la possono cavare su questo punto. Per Marx e Lenin lo Stato è l'organo di oppressione della classe dominante; fin che esiste lo Stato permangono le classi; e la proprietà sotto l'egida dello Stato è negli effetti gestita dalla classe dominante a mezzo del suo apparecchio di dominio. Marxisticamente parlando, il concetto di proprietà nazionalizzata non ha senso, è antiscientifico e antimarxista. Per Marx la proprietà privata doveva divenire socialista e come tale l'intendeva, almeno in forma potenziale, anche nel periodo della dittatura proletaria. Seguendo la teoria marxista, dietro lo Stato c'è sempre la classe e se non fu preveduta la possibilità di una forma immediata di proprietà (la proprietà di classe), ciò dipende quasi certamente dal calcolo errato di una rapida scomparsa delle classi dopo che il proletariato avrebbe preso il potere. In realtà, anche durante la dittatura del proletariato, la proprietà assume il carattere di classe, appartiene ed è gestita dai burocrati, solo potenzialmente manifesta il suo carattere socialista. Che se poi la proprietà viene nazionalizzata in un regime non proletario, perde anche il suo carattere potenziale di proprietà socialista per restare unicamente proprietà di classe.

Nel caso dell'U.R.S.S., Stato ove la borghesia ha un peso sociale trascurabile, se l'organizzazione statale permane, ciò significa che almeno due classi devono essere ancora in vita ed efficienti. Se il buon senso si rifiuta di ritenere i lavoratori sovietici proprietari dei mezzi di produzione è logico pensare che la proprietà di questi appartenga effettivamente alla burocrazia. Altroché “commesso”; si tratta di un proprietario ben definito.

Molto probabilmente il fatto che non sia stata prevista una forma transitoria di proprietà tra quella privata e quella socialista sta alla base non solo della discordia nel campo di Agramante, ma anche della confusione politica ancora regnante nel mondo ove si valuta per Socialismo o Capitalismo l'operato di Stalin, Mussolini o Hitler mentre in realtà si tratta di Collettivismo Burocratico.

Nel campo di Agramante si fanno degli sforzi terribili per parare a queste logiche deduzioni.

Il luogotenente Naville chiedendosi di quale differenza si tratti tra la proprietà privata e la proprietà collettiva se solo una burocrazia può approfittarne di questa, risponde non esservi che una differenza di grado tra la proprietà privata capitalista e la gigantesca proprietà ”privata” della burocrazia.

Mirabolante trovata. La proprietà di svariati milioni di cittadini concepiti nel loro complesso sociale resterebbe ancora privata. Ma ci sa dire allora questo marxista scientifico che cosa intende per proprietà collettiva? E perché allora non resterebbe privata anche la proprietà di una società socialista, se è soltanto questione di grado? Forse che questo Solone scambia la Società Umana con una Società per azioni?

Le Società Umane vanno considerate in sintesi e non in somme. La proprietà privata è e resta tale finché con lo statizzarsi continuo non cambia le sue caratteristiche.

La legge dialettica di Hegel della trasformazione della quantità in qualità vale anche per la proprietà. La prima cristallizzazione della proprietà collettiva si identifica con la proprietà di classe anche se sotto l'egida del proletariato. Che i marxisti non l'abbiano previsto e non lo vedano, è un altro affare.

Se per Naville resta privata la proprietà delle statizzazioni fasciste, anche se questo processo sta per sommergere tutto il capitalismo, non vediamo per quale ragione non si debba considerare come privata anche la proprietà delle nazionalizzazioni sovietiche, dove il processo è completamente acquisito e la burocrazia ne è la grande beneficiaria. Seguendo il suo ragionamento questa deduzione è logica anche se errata. In realtà la nazionalizzazione dei mezzi di produzione nell'U.R.S.S. ha creato una forma di proprietà collettiva, ma di classe che risolve l'antagonismo capitalista della produzione collettiva e dell'appropriazione privata. Noi non usiamo due pesi e due misure nell'esame dei fatti sociali ed affermiamo che anche il profondo travaglio economico degli Stati Totalitari con le nazionalizzazioni ed i piani economici porta alla risoluzione dello stesso antagonismo con la conseguenza sociale dell'apparizione della proprietà di classe, del dominio della burocrazia, del polverizzamento della borghesia e della trasformazione dei proletari in sudditi di Stato.

Riferendosi alla burocrazia in genere, Naville continua: ”Che essa abbia o no dei titoli di proprietà, ed essa non ne ha, la burocrazia non può disporre (ripartire) liberamente, né di un capitale accumulato, né del plus-valore prodotto. Non si tratta per essa che di una proprietà capitalista privata, anche su scala di monopoli statali”.

A noi pare che la verità abbia proprio un senso contrario. La burocrazia sovietica in specie dispone dei capitali accumulati e ripartisce il plus-valore. Trotzky arriva a dire: “Ciò che non era se non una deformazione burocratica si appresta ora a divorare lo Stato Operaio senza lasciar nulla e a formare sulle rovine della proprietà nazionalizzata una nuova classe possidente”. Ed aggiungiamo noi: chi dirige l'economia? Chi appresta i piani quinquennali? Chi fissa i prezzi di vendita? Chi decreta le opere pubbliche, gli impianti industriali ecc. se non la burocrazia sovietica? E se la proprietà non fosse a disposizione di questa, per chi dunque è a disposizione e chi è incaricato della ripartizione del plus-valore? Forse la sepolta borghesia zarista, l’imperialismo mondiale od il proletariato russo? Naville non ci dà spiegazioni e continua: “Si tratta allora di una nuova forma di proprietà, dei rapporti stabiliti storicamente sulla base dell'appropriazione collettiva, ma a beneficio di una classe particolare, la burocrazia? In questo caso, bisognerebbe ammettere che la burocrazia gioisce del sistema come una classe capitalista, poiché si approprierebbe il plus-valore come un'impresa capitalista.”

Si, perbacco, proprio si tratta di questo, ma bisogna ammettere che la burocrazia gioisce del sistema della Società divisa in classi, non già come classe capitalista, ma burocratica e che si appropria del plus-valore non già come una impresa capitalista, ma come una classe sfruttatrice.

Al contrario, alla domanda che il Naville timidamente si pone egli risponde in questo modo: “La storia dimostra che il fenomeno della produzione e della appropriazione del plus-valore non è proprio limitato al capitalismo liberale o al monopolio privato. La rendita fondiaria e il plus-valore che esistevano all’epoca del feudalesimo hanno preso il loro senso con l'economia mercantile e poi con lo sviluppo industriale. Essi continuano ad esistere nell'U.R.S.S. malgrado i dinieghi di Stalin, Boukharin e della loro scuola. Solo essi sono nazionalizzati; e la differenza esenziale è qui. Se si vuole chiarire la natura della società sovietica attuale, bisogna evitare gli errori anche da questa parte.”

Messo al muro e nell'ineluttabile necessità di ammettere che il plus-valore “prende tutto il suo senso” anche nel Collettivismo Burocratico, il discepolo di Trotzky gira poco scientificamente l'ostacolo e sottolinea la posizione ambigua, antimarxista e reazionaria, per cui rendita fondiaria e plus-valore verrebbero nazionalizzate nella società sovietica. Vi riscontra anche una differenza essenziale.

Gli risponderemo con le parole del suo maestro che nella Rivoluzione Tradita così si esprimeva: “Non è contestabile che i marxisti, a cominciare da Marx stesso abbiano impiegato relativamente allo Stato Operaio i termini di proprietà “statale”, “nazionale” o “socialista” come dei sinonimi. A delle grandi scale storiche, questo modo di parlare non presentava degli inconvenienti. Ma esso diviene la sorgente di errori grossolani e di inganni allorché si tratta delle prime tappe non ancora assicurate dell'evoluzione della nuova società isolata ed in ritardo dal punto di vista economico sui paesi capitalisti.”

La proprietà privata, per divenire sociale, deve ineluttabilmente passare per la statizzazione, cosi come il bruco, per divenire farfalla deve passare per la crisalide. Ma la crisalide non è una farfalla. Delle miriadi di crisalidi periscono prima di trasformarsi in farfalle. La proprietà dello Stato non diviene quella del “popolo intero” che nella misura della scomparsa dei privilegi e delle distinzioni sociali, fase in cui lo Stato, per conseguenza, perde la sua ragione di essere. Detto altrimenti: la proprietà dello Stato diviene socialista via via che cessa di essere proprietà di Stato. Ma al contrario: più lo Stato sovietico si eleva al di sopra del popolo, più duramente egli si oppone come dilapidatore guardiano della proprietà e più chiaramente egli testimonia contro il carattere socialista della proprietà statizzata.

Non sembra quindi che in seguito ad una cosiddetta nazionalizzazione della proprietà, la rendita fondiaria ed il plus-valore risultino effettivamente nazionalizzati ossia di tutto il popolo. Differenze essenziali non ne esistono se non quella per cui non e più la borghesia la classe sfruttatrice e che incassa il plus-valore, ma è la burocrazia che si è aggiudicata questo onore.

Naville gioca sull'identità tra la proprietà nazionalizzata e proprietà socialista il che non ci sembra, né troppo scientifico, né troppo marxista. Era scusabile un tale errore ai tempi di Marx, ma non più ai discepoli ora che le previsioni del maestro, anche se non chiare, prendono sostanza sociale.

Se si vuol appurare “la natura della società sovietica attuale” bisogna proprio evitare degli errori anche da questa parte e sviscerare che cosa realmente rappresenta socialmente parlando, la proprietà nazionalizzata. D'accordo che questo lavoro deve essere fatto in modo scientifico, marxista se così meglio aggrada ai cavalieri d'Agramante. Noi non pretendiamo di averlo compiuto, ma solamente abbozzato.

Seguendo questa strada, anche l'avvento dello Stato Totalitario nel mondo risulterà un poco più chiaro a coloro che fin qui ci hanno dimostrata una totale incomprensione nei confronti del Fascismo ancora bollato quale salvatore e continuatore del capitalismo.

In questi regimi una nuova classe dirigente in formazione dichiara che il capitale è al servizio dello Stato. Fa seguire i fatti, fissa già in gran parte i prezzi delle merci ed i salari dei lavoratori, organizza su di un piano prestabilito l'economia nazionale.

Evidentemente la proprietà dei mezzi di produzione non è cosi semplice ad individuarsi come quella dei mezzi di consumo. Questi ultimi sono di uso personale, ma gli altri sono più fissi delle montagne. Non c'è alcun proprietario, né alcuna classe, né alcun Stato che se li possa collocare sulle spalle e trascinarli dove meglio gli piace. Niente da meravigliarsi quindi se si avverano momenti in cui è difficile determinarne la proprietà.

Per conto nostro, nell'U.R.S.S. i proprietari sono coloro che tengono la forza nelle mani: i burocrati. Sono coloro che dirigono l'economia così com’era normale tra i borghesi. Sono coloro che si appropriano dei profitti come è regolare presso tutte le classi sfruttatrici. Sono coloro che fissano i salari ed i prezzi di vendita delle merci: i burocrati ancora una volta.

Gli operai non hanno che fare con la direzione sociale, tanto meno con gli incassi del plus-valore e tanto peggio per quanto riguarda la difesa di questa strana proprietà “nazionalizzata”. Gli operai russi sono ancora degli sfruttati ed i burocrati sono i loro sfruttatori.

La proprietà nazionalizzata dalla Rivoluzione di Ottobre appartiene ora come un “tutto” alla classe che la dirige, la sfrutta e la salvaguardia: essa è proprietà di classe.

Col sistema di produzione collettivo integratosi durante l’evoluzione capitalista, la proprietà privata non poteva sfuggire alla collettivizzazione. La realtà è che la proprietà collettiva non si trova sotto la protezione della classe proletaria, ma bensì sotto quella di una nuova classe che nell’U.R.S.S. rappresenta un fatto sociale ormai compiuto, mentre negli Stati Totalitari è in via di formazione.