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domenica 7 maggio 2017

Imperialismo: dove Lenin sbagliò

Abbiamo tradotto questo recente articolo pubblicato sul Socialist Standard n. 1353 di Maggio 2017, non solo perché ne condividiamo a pieno il contenuto, ma anche perché riteniamo che sia un elemento di analisi importante per ridare credito al socialismo marxista. Considerare personaggi del passato, come del presente del resto, infallibili o allo stesso modo dei completi falliti non è mai realistico. Il Movimento Socialista Mondiale ha spesso pubblicato materiale anti-leninista, ma questo non va letto come un voler screditare l’uomo politico, il rivoluzionario o il socialista a prescindere da tutto. E’ importante però analizzare la sua opera e le sue azioni con gli strumenti forniteci dal materialismo storico. Secondo il nostro punto di vista Lenin, già dalla sua presa di posizione del 1902 nel impostare il partito socialdemocratico russo in termini gerarchici avanguardisti, è uscito dal seminato. Il suo atteggiamento denigratorio nei confronti di chi lo criticava, premiato dal suo indiscusso successo politico grazie a quello che fu davvero il suo più grande risultato, ovvero ottenere il potere politico con il colpo di stato di Ottobre, ha determinato una visione ampiamente deformata di cosa è il Socialismo e di come si può raggiungere. Questo breve articolo a seguire rimette in prospettiva l’analisi di Lenin sull’imperialismo e la questione coloniale. Questione coloniale che è anche oggi lungi dall’esser chiusa, se consideriamo, per esempio, gli strascichi nel nord Africa e nel medio oriente. E’ storia dell’altro ieri di movimenti di sinistra internazionalisti sfaldatisi sulla questione della lotte di liberazione dal colonialismo, ci riferiamo per esempio alla sinistra comunista italiana e francese all’inizio degli anni ottanta.                     


Imperialismo: dove Lenin sbagliò

Il mese scorso sono passati cento anni dalla pubblicazione dell’opuscolo di Lenin ‘Imperialismo, la fase superiore del capitalismo’. Riguardiamo qui i suoi difetti.  
Nella sua introduzione Lenin scrisse che l’opuscolo era basato sui punti di vista espressi nel libro ‘Imperialismo’ (1902) dallo scrittore inglese, non marxista, JA Hobson e quelli del socialdemocratico austriaco Rudolf Hilferding nel ‘Capitale Finanziario’ (1910). Hilferding, si basava soprattutto sull’esperienza tedesca, descrivendo come le banche, attraverso quello che oggi chiameremmo investimento bancario, erano arrivate a fondersi con il capitale industriale, raccogliendo capitale per gli industriali e non solo facendoli pagare per questo servizio ma trattenendo una quota per se stesse. Hobson, il quale era un sottoconsumista, sosteneva che ciò che aveva portato all’imperialismo, inteso come investimento e espansione territoriale all’estero, era il sovrappiù di capitale che non riusciva a trovare uno sbocco proficuo nel paese d’origine.        
Lenin combinò queste due visioni venendone fuori con una definizione di imperialismo come ‘lo stadio monopolistico del capitalismo’ dove ‘il capitale finanziario’ e allo stesso tempo ‘il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche’ si era ‘fuso con il capitale delle unioni monopolistiche industriali’. Accettando la teoria del sovrappiù di capitale di Hobson, Lenin disse che il ‘capitalismo monopolistico’ aveva condotto alla formazione di ‘associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo tra di loro’ e la ‘ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche’.   
Questa era una descrizione passabile di alcuni aspetti del capitalismo a quei tempi, specialmente in Germania, e Lenin aveva ragione nel vedere la prima guerra mondiale come una guerra di ripartizione del mondo tra le più grandi potenze capitaliste. D’altro canto però la sua approvazione della teoria del sovrappiù di capitale di Hobson come una spiegazione per ‘esportazione di capitale’, ovvero, investimenti all’estero, lasciava dei dubbi. Una più lineare spiegazione dell’investimento di capitali all’estero sarebbe che era più proficuo investirli lì che a casa propria.       
Lenin errava anche nel vedere la fusione in stile tedesco di banche e capitale industriale come ‘la fase superiore del capitalismo’. Era un’opinione comune tra i partiti socialdemocratici a quel tempo che la competizione capitalista avrebbe condotto ai monopoli e che quello che ai socialisti toccava fare era prendere possesso di questi monopoli trasformandoli in proprietà comune e riorientare la produzione per soddisfare i bisogni della gente piuttosto che per il profitto. Karl Kautsky aveva ipotizzato che il processo di monopolizzazione poteva portare a un singolo consorzio monopolistico mondiale e a un accordo di non aggressione tra le potenze imperialiste, che egli chiamò ultra-imperialismo. Lenin aveva ragione nel dire che questo era impossibile in quanto le potenze non avrebbero mai trovato un accordo su una suddivisione permanete del mondo ma avrebbero cercato di cambiarlo a seconda di come cambiavano le loro forze. Ma Lenin non vide che questo concernesse i ‘monopoli’ nei suoi paesi ‘imperialisti’. La classe capitalista non era un blocco monolitico ma composta da sezioni diverse con interessi diversi e nessuna voleva essere tenuta in sacco da qualche monopolio. Da cui l’intervento ‘antimonopolistico’ negli Stati Uniti e la nazionalizzazione, e anche la minaccia di nazionalizzazione in Gran Bretagna.    
Fedele al suo stile polemico, Lenin attribuiva un movente a Kautsky, accusandolo di difendere un pacifico capitalismo mondiale anche se Kautsky aveva solo immaginato ‘l’ultra-imperialismo’ come una possibilità teorica. Lenin postulò un collegamento tra ‘l’opportunismo’ del quale accusava Kautsky e ‘l’imperialismo’, argomentando che il riformismo dei partiti Socialdemocratico e Laburista d’Europa era dovuto alle potenze ‘imperialiste’ che usavano una parte dei loro ‘alti profitti monopolistici’ per corrompere ‘certe sezioni di lavoratori’ nel sostenere il riformismo e lo stato nel quale questi vivevano. Dopo il colpo di stato bolscevico questo argomento fu sviluppato in una teoria bell’e fatta che lo strato più alto dei lavoratori in paesi con colonie era stato corrotto per sostenere il capitalismo per dei super-profitti derivanti dall’esplorazione coloniale e che l’indipendenza dei territori coloniali avrebbe ridimensionato questo fenomeno, con il risultato che, deprivati della loro quota di super-profitto, i lavoratori avrebbero abbandonato il riformismo e sarebbero diventati rivoluzionari.  
Questo fu un errore per un numero di ragioni. In primo luogo, va contro la teoria marxiana dei salari che sostiene che i salari sono il prezzo di quello che i lavoratori vendono e che salari più alti riflettono più alte capacità e preparazione tecnica, non qualsivoglia condizione di plusvalore come implicava Lenin (ovvero che parte dei soldi che alcuni lavoratori ricevono dai loro padroni sia una quota di plusvalore, estratto dai lavoratori delle colonie*). In secondo luogo, questo portò a sostenere la creazione di nuovi stati capitalisti per il beneficio della classe capitalista locale. In terzo luogo, presuppone che i lavoratori diventino meno riformisti se il loro livello di vita è diminuito.      
Lenin stesso menzionò un’obiezione, che attribuiva all’anti-militarista menscevico Martov, che la situazione per i socialisti sarebbe alquanto disperata ‘se fossero proprio i lavoratori meglio pagati ad essere inclini all’opportunismo’, per esempio gli ingegneri qualificati. La replica di Lenin era, tipicamente, di accusare anche Martov di difendere l’opportunismo e il riformismo.
Se i bolscevichi non avessero conservato il potere in Russia questo lavoro sarebbe rimasto un opuscolo sconosciuto e datato. Tuttavia, data la posizione di Lenin e la sua successiva semi-deificazione, fu gonfiato in un’opera seria di ricerca e teoria. Il risultato fu che le sue idee errate – specialmente in merito a dei lavoratori che condividono lo sfruttamento coloniale e che i socialisti dovrebbero sostenere l’emergere delle classi capitaliste ‘anti-imperialiste’ – divennero più ampiamente accettate di quanto sarebbero state altrimenti.      
ADAM BUICK (traduzione di Cesco)

* comunicazione personale dell’autore al traduttore

mercoledì 4 agosto 2010

La delusione antimperialista

Nel corso del XX secolo il socialismo, nel suo significato, venne trasformato da una dottrina e indirizzo associati all'emancipazione della classe operaia in una dottrina e indirizzo associati al nascente potere delle élite nazionaliste e antimperialiste delle zone economicamente meno sviluppate del mondo.

Il punto di partenza fu rappresentato dalla presa del potere in Russia nel 1917 da parte di una élite, la quale aveva ereditato la sua ideologia dal movimento operaio, ma che in pratica usò lo stato per far sviluppare economicamente la Russia e trasformarla in un potere che sfidò il dominio mondiale dell'America, della Gran Bretagna e della Francia. Come tale, essa fornì un modello che attrasse le élite modernizzanti in altri paesi che soffrivano di un’arretratezza economica e della dominazione degli stati capitalisti industrialmente avanzati dell'Occidente.

Il guaio fu che questa élite continuò a usare il linguaggio e la terminologia del movimento operaio, con la quale essa un tempo era stata associata. In questo modo, descrissero la loro conquista del potere come una "rivoluzione dei lavoratori" e il loro regime come uno "stato dei lavoratori", la prima espressione del movimento operaio internazionale, che i lavoratori ovunque avevano il dovere di sostenere, e l'accumulazione del capitale, che loro effettuarono sotto gli auspici dello stato, non come capitalismo di stato, quale fu, ma come "socialismo".

Marx, il quale osservò che quando si studia la storia non bisognerebbe analizzare i movimenti sociali e politici da ciò che loro dicono di se stessi, ma dai loro concreti risultati, sarebbe stato il primo a comprendere (se non ad apprezzare) come il socialismo, anzi le sue proprie teorie, fosse diventato lo stendardo sotto il quale fu combattuta una lotta completamente differente.

La rivoluzione inglese degli anni quaranta del XVII sec. fu condotta sotto un'ideologia derivata dal Vecchio Testamento, quella francese degli anni novanta del XVIII sec. sotto un'ideologia derivata dai tempi dei Romani. La rivoluzione russa, che fu l'equivalente di quelle rivoluzioni antifeudali, fu condotta sotto un'ideologia derivata dal movimento operaio, ma essa non rappresentò il tentativo di realizzare il socialismo più di quanto la rivoluzione inglese lo fu di realizzare la Nuova Gerusalemme e quella francese la Repubblica romana.

Sebbene fu Mao a sostituire lo slogan "Proletari di tutti i paesi, unitevi" con quello "Popoli oppressi di tutto il mondo, unitevi", le radici di questo cambiamento di prospettiva risalgono a Lenin.

La "fase suprema" di Lenin

Nel suo esilio in Svizzera, nel mezzo della prima guerra mondiale, Lenin scrisse un pamphlet dal titolo L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. In esso, egli sostenne che, attraverso un processo che si era completato a cavallo del secolo, il capitalismo aveva modificato il suo carattere. Il capitale industriale e quello bancario si erano fusi dando luogo al capitale finanziario e il capitalismo concorrenziale cedette al capitalismo monopolistico, il quale, attraverso trust, cartelli e altri accordi monopolistici, dominava la produzione. Dovendosi confrontare in casa propria con profitti calanti, questi monopoli si trovarono costretti dalle condizioni economiche a esportare capitali investendoli nelle zone economicamente arretrate del mondo, dove potevano essere realizzati profitti più elevati. Quindi, continuò Lenin, iniziò la lotta tra i più avanzati paesi industrializzati per assicurarsi le colonie dove tali "sovraprofitti" potevano essere realizzati.

Lenin esagerò sia il grado di concentrazione monopolistica a cui era giunto il capitalismo, sia la differenza tra il tasso di profitto realizzato in patria comparato con quello delle aree economicamente arretrate del mondo. Ma furono le implicazioni politiche della sua teoria che dovettero dimostrarsi più nocive per il movimento operaio.

Quando, dopo il 1917, Lenin divenne il capo del regime bolscevico in Russia, questa teoria fu diffusa per sostenere che i paesi imperialisti stavano sfruttando le popolazioni delle aree arretrate che loro controllavano e che anche una parte della classe operaia di questi paesi beneficiava dei sovraprofitti realizzati con lo sfruttamento imperialista, sotto forma di riforme sociali e salari più alti.

Tutto ciò era insensato nei termini dell'economia marxiana, la quale non misura il livello di sfruttamento dall'essere i salari più alti o più bassi, ma dal riferimento alla quantità di plusvalore prodotto in relazione al salario pagato. Utilizzando questa misura, i lavoratori dei paesi avanzati erano più sfruttati di quelli delle colonie, a dispetto dei loro salari più alti, poiché producevano più profitto per lavoratore.

La teoria diffusa da Lenin fece della lotta nel mondo non una lotta tra la classe internazionale dei lavoratori e quella dei capitalisti, ma tra stati imperialisti e antimperialisti. La lotta di classe internazionale predicata dal socialismo fu sostituita da una dottrina che predicava una lotta tra stati.

La stessa rivoluzione russa si svolse in un contesto antimperialista. Ciò che tutta l'analisi di Marx sottolineava era che il movimento operaio avrebbe prima trionfato nelle aree economicamente avanzate del mondo, non in aree economiche relativamente arretrate come la Russia. Lenin motivò questa contraddizione sostenendo che Marx aveva descritto la situazione che si presentava nella fase preimperialista del capitalismo, mentre, nella fase imperialista che si era affermata dopo la sua morte, lo stato capitalista era diventato così forte che la rottura non avrebbe potuto aver luogo in un paese capitalisticamente avanzato, ma nel più debole stato imperialista. La Russia zarista rappresentava l'anello più debole nella catena dei paesi imperialisti e questo spiegava perché proprio lì ebbe luogo la prima "rivoluzione dei lavoratori".

Ciò equivaleva a dire che la rivoluzione russa era la prima rivoluzione antimperialista, e in un certo senso essa lo fu. La Russia fu il primo paese a sfuggire alla dominazione dei paesi capitalisti occidentali e a seguire un modello di sviluppo economico che si serviva dello stato per il processo di accumulazione interno invece di contare sull'esportazione di capitale da altri paesi.

Nei primi tempi del regime bolscevico, quando la Russia dovette affrontare la guerra civile e l'intervento esterno delle potenze capitaliste occidentali, Lenin comprese che questa era una carta che egli avrebbe potuto giocare per cercare di salvare il suo regime. Giocare la carta antimperialista significava appellarsi alle "tribolanti masse" dell'Asia, non per realizzare il socialismo, ma le loro proprie rivoluzioni antimperialiste. I paesi "super-sfruttati" dovevano essere incoraggiati a cercare l'indipendenza, poiché questo avrebbe indebolito gli stati imperialisti che stavano facendo pressione sulla Russia bolscevica.

Questa strategia fu presentata al movimento operaio occidentale come una maniera per provocare una rivoluzione socialista nei loro paesi. Private dei loro sovraprofitti, le classi dominanti dei paesi imperialisti non sarebbero state più capaci di corrompere i lavoratori con riforme sociali e salari elevati e perciò questi avrebbero abbandonato il riformismo per abbracciare la rivoluzione.

Dopo la morte di Lenin nel 1924, questa strategia di costruzione di un "fronte antimperialista" contro l'Occidente fu continuata dai successori. Poiché essa insegnava che l'intero popolo di un paese colonizzato ha un comune interesse nell'ottenere l'indipendenza, p.e. un proprio stato, essa attrasse ideologi e politici nazionalisti di questi paesi.

Loro si rivolsero a tutti gli abitanti del paese e cercarono di condurli a una lotta comune per ottenere l'indipendenza. Come risultato, in questi paesi il "socialismo" venne associato con un nazionalismo militante piuttosto che con l'internazionalismo proletario, quale esso originariamente era stato. La lotta politica in questo caso non venne vista come una lotta tra la classe operaia e quella dei capitalisti, ma come una lotta di tutti gli elementi patriottici - operai, contadini e capitalisti insieme - contro una manciata di elementi non patriottici traditori, i quali si sarebbero venduti agli imperialisti stranieri.

Mentre in Europa, nel Nord America e in parti dell'America latina, il socialismo fu un movimento per l'emancipazione della classe operaia, rappresentato da varie e differenti correnti, in Asia e in seguito in Africa e nel resto dell'America latina indicò un movimento nazionalista antimperialista. Il marxismo, in senso proprio, non è mai realmente esistito in molti di questi paesi. Ciò che passò per marxismo fu in realtà il leninismo, il quale si rivolgeva a intellettuali rivoluzionari modernizzatori piuttosto che ai lavoratori. È stato solo verso la fine di questo secolo che gruppi di lavoratori in questi paesi hanno compreso che il leninismo e la sua ideologia antimperialista non ha nulla a che fare col socialismo. Ma il danno è stato comunque fatto. Per milioni di lavoratori in queste aree del mondo socialismo significa ancora nazionalismo e capitalismo di stato, che molti di loro considerano ancora come qualcosa di positivo piuttosto che una barriera alla cooperazione della classe operaia oltre le frontiere, la quale è una condizione essenziale per il socialismo.

Attraverso l'influenza che lo stato capitalista russo ebbe su una parte del movimento operaio dei paesi occidentali, questo è anche il significato che venne ad avere per molti militanti della classe operaia di questi stessi paesi. I dirigenti russi usarono i partiti comunisti degli altri paesi come strumenti ausiliari della loro politica estera, la quale era basata sugli interessi strategici della Russia come di una promettente potenza capitalistica (di stato). Ciò che era considerato "progressista" era ciò che coincideva con gli interessi della politica estera della Russia.

Durante gli anni cinquanta, la Russia si mosse verso una politica di accettazione dello status quo in accordo con l'Occidente, conosciuta come "coesistenza pacifica". I leninisti cinesi, che erano giunti al potere con Mao nel 1949, espressero differenti interessi di stato e cercarono, così, di diventare i campioni dell'"antimperialismo" al posto della Russia.

Le spaccature che si produssero nel movimento comunista mondiale non furono così provocate, come superficialmente potrebbe sembrare, dalle differenze circa le tattiche che il movimento operaio avrebbe dovuto perseguire, ma su quale cosiddetta politica estera socialista - della Russia o della Cina - si sarebbe dovuto sostenere. Questa non fu affatto una disputa che riguardava gli interessi della classe operaia, ma una disputa tra stati, nella quale i lavoratori erano chiamati a scegliere di quale politica estera desideravano essere le pedine.

La teoria leninista dell'imperialismo racchiudeva i semi di un tale ignominioso risultato sin dall'inizio, poiché essa indicò come più importante a livello mondiale non la lotta di classe ma quella tra stati, tra cosiddetti stati antimperialisti e progressisti e stati cosiddetti imperialisti e reazionari.* Ciò rappresentò una deviazione pericolosa dalla lotta di classe e condusse i lavoratori a sostenere l'uccisione nelle guerre di altri lavoratori nell'interesse dell'uno o dell'altro stato e della sua classe dirigente.

*Ciò ha condotto la sinistra, in questo secolo, a farsi paladina sino all'inverosimile di paesi con sistemi sociali e a volte tradizioni culturali ultrarretrati.

(Traduzione da Socialist Standard, agosto 1998, a cura di Giuseppe Sottile di Count Down)